L'ombra di un "Cambridge Analytica bis" sulle presidenziali USA 2020: la moderna essenza di democrazia nella morsa di vecchi fantasmi e futuri ...

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ISSN 1826-3534

             21 OTTOBRE 2020

L’ombra di un “Cambridge Analytica bis”
   sulle presidenziali USA 2020: la
 moderna essenza di democrazia nella
   morsa di vecchi fantasmi e futuri
          inquietanti scenari

          di Vito Michele Donofrio
                Laureato in Giurisprudenza
         Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
L’ombra di un “Cambridge Analytica bis” sulle
    presidenziali USA 2020: la moderna essenza di
     democrazia nella morsa di vecchi fantasmi e
               futuri inquietanti scenari*
                                      di Vito Michele Donofrio
                                       Laureato in Giurisprudenza
                                Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”

Abstract [It]: L’utilizzo crescente dei big data è un fenomeno che, a prescindere dal settore in cui trova concreta
applicazione, intercettano una pletora di diritti fondamentali quali la protezione dei dati personali, la capacità di
determinarsi liberamente nelle scelte di vita quotidiana, il diritto alla riservatezza tout court. Tuttavia, la tendenza
alla profilazione a tutti costi assume contorni particolarmente inquietanti quando ci si trova al cospetto di un uso
spregiudicato dei Big Data per influenzare il comportamento di voto in occasione di elezioni politiche.

Abstract [En]: The growing use of big data is a phenomenon that, regardless of the sector in which it is actually
applied, intercepts a plethora of fundamental rights such as the protection of personal data; the ability to freely
determine the choices of daily life; the right to privacy. The issue gets particularly worrying when the use of Big
Data is finalised to influence voting behaviour in political elections.

Sommario: 1. Il caso Cambridge Analytica. 2. Microtargeting politico: tra etica e manipolazione digitale. 3.
L’impegno delle Istituzioni europee e l'intervento dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.

1. Il caso Cambridge Analytica
La nostra è indubbiamente la “golden age of surveillance”.
La definizione è figlia delle - oramai diffusissime - tecnologie informatiche, che consentono di acquisire
e immagazzinare quantitativi di dati personali esponenzialmente superiori al passato1.
Questo incalzante fenomeno è alimentato principaliter2 dalle imprese - in particolare quelle operanti nel
settore ICT (Information and Communication Technologies), come service providers o produttori di software di
intercettazione - che in questo ambito sviluppano le proprie attività economiche di commercializzazione
di dati e distribuzione di tecnologie.

* Articolo sottoposto a referaggio.
1 Parlamento Europeo, Legal Frameworks for Hacking by Law Enforcement: Identification, Evaluation and Comparison of Practices,
studio del marzo 2017, disponibile a: www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/…/IPOL_STU
(2017)583137_EN.pdf, p. 20.
2 Per vero, anche l’Unione Europea partecipa attivamente a questo fenomeno, alimentato dagli Stati membri, che

attraverso le proprie forze dell’ordine accedono a comunicazioni private e acquisiscono dati per fini di sicurezza
nazionale.

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La più frequente e redditizia attività di elaborazione è rappresentata, infatti, dalla profilazione delle
persone fisiche, la quale, tramite la cronologia delle loro attività, siano o meno rese anonime o pseudo
anonime, consente di elaborare preferenze, interazioni, stili di vita.
Essa può essere utilizzata al fine di proporre prodotti o pubblicità mirata; al monitoraggio predittivo di
più ampi gruppi sociali3; all’incrocio e alla correlazione di fenomeni del più disparato genere con alti livelli
di probabilità e con impatto notevole sul rapporto tra privati e di questi con la pubblica amministrazione4.
Siffatte attività, che costituiscono una fase preliminare del rapporto tra produttore e consumatore, stanno
segnando un vero passaggio d'epoca in termini di sviluppo economico e di controllo sociale5.
È in questo scenario che ha trovato genesi, si è consumato e, infine, esploso lo scandalo Cambridge
Analyitica.
Ebbene, Cambridge Analytica è stata fondata nel 2013 da Robert Mercer, un miliardario imprenditore
statunitense con idee molto conservatrici, tra le altre cose uno dei finanziatori del sito d’informazione di
estrema destra Breitbart News, diretto da Steve Bannon (che è stato consigliere e stratega di Trump durante
la campagna elettorale e poi alla Casa Bianca).
La società britannica nasce come ente specializzato nella raccolta di dati appartenenti agli utenti dei più
svariati social networks, focalizzandosi su una serie di precisi indicatori quali:
     •   il numero dei “Mi piace” ed i post interessati;
     •   i post dove vengono lasciati il maggior numero di commenti;
     •   il luogo da cui si condividono i loro contenuti e così via.
Queste informazioni venivano, poi, elaborate da modelli e algoritmi per creare profili di ogni singolo
utente, con un approccio simile a quello della “psicometria”; il campo della psicologia che si occupa di
misurare abilità, comportamenti e più in generale le caratteristiche della personalità. Il numero dei “Mi

3 Il Garante Privacy nelle Linee guida in materia di trattamento di dati personali per profilazione on line, 19 marzo 2015, n. 161,
[doc. web n. 3881513], definisce la profilazione come «l’analisi e l’elaborazione di informazioni relative a utenti o clienti,
al fine di suddividere gli interessati in “profili”, ovvero in gruppi omogenei per comportamenti o caratteristiche sempre
più specifici, con l’obiettivo di pervenire all’identificazione inequivoca del singolo utente (cd. single out) ovvero del
terminale e, per il suo tramite, anche del profilo, appunto, di uno o più utilizzatori di quel dispositivo»; ed essa è
finalizzata: alla messa a disposizione di servizi sempre più mirati e conformati sulle specifiche esigenze dell'utente; alla
fornitura di pubblicità personalizzata, all’analisi e monitoraggio dei comportamenti dei visitatori dei siti web; allo
sfruttamento commerciale dei profili ottenuti, i quali possono avere un significativo valore di mercato in ragione della
loro capacità di fornire indicazioni sulle propensioni al consumo di beni e servizi.
4 Com’è stato nel caso della mappatura della diffusione dell’influenza da parte di Google in tempo reale e 2 settimane

prima delle istituzioni governative, ottenuta semplicemente attraverso un’analisi delle parole chiave maggiormente
digitate dagli americani in un dato periodo. Sul punto, BOGNI M. ogni – A. Defant, Big data: diritti IP e problemi della
privacy, in «Rivista di diritto industriale, 2015, p. 117 ss.
5 L’incidenza dei processi comunicativi nelle relazioni economiche della società contemporanea è chiara nell’analisi che

viene fatta dalla cd. economia della comunicazione. Si veda SANGIULIANO G., voce Economia della comunicazione, in
Enciclopedia Treccani online, XXI sec., disponibile su www.treccani.it.

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piace”, commenti, tweet e altri contenuti analizzati era, dunque, direttamente proporzionale al grado di
precisione con cui veniva realizzato il profilo psicometrico di ogni utente.
Oltre ai profili psicometrici, Cambridge Analytica ha acquistato nel tempo molte altre informazioni, che
possono essere ottenute dai cosiddetti “broker di dati”; società che raccolgono informazioni di ogni
genere sulle abitudini e i consumi delle persone6.
Cambridge Analytica ha, dunque, acquisito i dati di circa 50 milioni di utenti Facebook, solo negli Stati Uniti,
tramite una terza società, la Global science research (Gsr).
Quest’ultima, di proprietà dell’accademico russo-americano Aleksandr Kogan, nel 2014 avrebbe ottenuto
informazioni pagando gli utenti per farsi sottoporre ad un quiz sulla personalità, che prometteva di
produrre profili psicologici e di previsione del proprio comportamento, basandosi sulle attività svolte
online.
Per utilizzarla, gli utenti dovevano collegarsi utilizzando Facebook Login, il sistema che permette di
iscriversi ad un sito senza la necessità di creare nuovi username e password, utilizzando invece la verifica
controllata da Facebook.
Il servizio era gratuito, ma come spesso avviene online, in realtà risultava “pagato” con i dati degli utenti:
tale applicazione otteneva l’accesso all’indirizzo email, età, sesso e alle altre informazioni contenute nel
proprio profilo.
All’epoca il social network permetteva ai gestori delle applicazioni di raccogliere anche alcuni dati sulla
rete di amici della persona appena iscritta.
Difatti, Facebook ha consentito allo sviluppatore di progettare l’applicazione al solo scopo di raccogliere
dati, ma esclusivamente a fini accademici.
Kogan è stato in grado di individuare e sfruttare quest’ultima scappatoia, ottenendo accesso ai dati -
seppure in forma aggregata ed anonima - di tutte le persone che hanno scaricato e usato tale applicazione,
circa 270mila soggetti, ma anche di tutti i loro “amici”, arrivando, quindi, a memorizzare informazioni di
vario tipo su 50 milioni di profili Facebook7.

6 Ogni giorno lasciamo dietro di noi una grande quantità di tracce su ciò che facciamo, per esempio quando usiamo le
carte fedeltà nei negozi o quando compriamo qualcosa su Internet. Immaginate la classica situazione per cui andate sul
sito di Amazon, cercate un prodotto per vederne il prezzo, poi passate a fare altro e all’improvviso vi trovate su un altro
sito proprio la pubblicità di quel prodotto che eravate andati a cercare. Ora moltiplicate questo per milioni di utenti e
pensate a qualsiasi altra condizione in cui la loro navigazione possa essere tracciata. Il risultato sono miliardi di piccole
tracce, che possono essere messe insieme e valutate. Le informazioni sono di solito anonime o fornite in forma aggregata
dalle aziende per non essere riconducibili a una singola persona, ma considerata la loro varietà e quantità, algoritmi come
quelli di Cambridge Analytica possono lo stesso risalire a singole persone e creare profili molto accurati sui loro gusti e su
come la pensano. Cfr. E. MENIETTI, Il Caso Cambridge Analityca spiegato bene, in www.ilpost.it, 19 Marzo 2018.
7 La stima è del New York Times e del The Guardian: per alcuni è sovradimensionata, per altri comprende per lo più

dati inutili.

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Kogan fu, quindi, in grado di costruire un archivio enorme, comprendente informazioni sul luogo in cui
vivono gli utenti, i loro interessi, fotografie, aggiornamenti di stato pubblici e posti dove avevano
segnalato di essere andati (check-in).
Fino a quando l’applicazione di Kogan ha raccolto dati sulle reti social degli utenti non c’è stato nulla di
strano, perché in quel periodo la pratica era consentita.
I problemi sono nati dopo, quando Kogan ha condiviso tutte queste informazioni con Cambridge
Analytica, violando i termini d’uso di Facebook. Il social network vieta, infatti, ai proprietari di
applicazioni di condividere con società terze i dati che raccolgono sugli utenti.
In linea generale, il dr. Aleksandr Kogan ha ceduto alla società Cambridge Analytica i dati personali raccolti
dall’applicazione “Thisisyourdigitallife”, mediante la funzione “Facebook Login”.
Tale funzione, resa disponibile su tale piattaforma sin dal 2007 e periodicamente aggiornata, è stata
realizzata - secondo quanto affermato da quest’ultima - per consentire ai propri utenti di utilizzare le
rispettive credenziali Facebook “per autenticarsi a servizi di terzi e per trasmettere i propri dati ai fornitori di tali
servizi, al fine di ottenere un’ampia gamma di esperienze utili, innovative, sociali e personalizzate”.
Sempre secondo quanto dichiarato da Facebook, nella prima fase di registrazione alla piattaforma gli
utenti dovevano confermare di aver preso visione dell’informativa sul trattamento dei dati personali, nella
quale si faceva esplicito riferimento al fatto che le proprie informazioni pubbliche potevano essere
visualizzate da chiunque, anche al di fuori del social network.
Attraverso la funzione “Facebook Login”, Facebook comunicava all’applicazione “Thisisyourdigitallife”,
e in generale alle applicazioni attivate con le medesime modalità, le seguenti tipologie di dati personali,
associati all'utente che procedeva alla loro installazione:
     •   dati del profilo pubblico, tra cui nominativo e genere;
     •   data di nascita;
     •   “città attuale”, indicata nella sezione “altro” del profilo utente, se fornita;
     •   pagine a cui l'utente aveva messo “mi piace”;
     •   lista degli amici (in conformità con le impostazioni sulla privacy di ciascun amico, e dunque solo
         nel caso in cui l’utente avesse deciso di rendere pubblica tale lista).
Ebbene, nel marzo 2018 alcuni articoli di stampa nazionale ed internazionale hanno portato all’attenzione
dell’opinione pubblica la notizia secondo cui la società di ricerca, Cambridge Analytica, parte del gruppo
SCL-Strategic Communication Laboratories, con sede nel Regno Unito, avrebbe utilizzato i dati di 87
milioni di utenti Facebook allo scopo di delineare la loro personalità mediante una profilazione di
carattere psicologico, successivamente impiegata per veicolare, tramite lo stesso social network, una

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campagna pubblicitaria altamente personalizzata (“micro-targeting advertisement”), con il presunto obiettivo
di influenzare il voto nelle elezioni, svoltesi negli USA l’8 novembre 2016.
Con un comunicato, pubblicato nell’area news di Facebook il 16 marzo 2018, il social network rendeva
noto di aver deciso di bloccare le attività del gruppo SCL sulla sua piattaforma, incluse quelle riferibili alla
società Cambridge Analytica, a seguito dell’utilizzo che quest’ultima avrebbe fatto dei dati degli utenti
Facebook.
Nel medesimo comunicato veniva resa nota anche la sospensione delle attivita' del dr. Aleksandr Kogan,
professore di psicologia dell’Università di Cambridge, per aver dichiarato il falso a Facebook e violato le
sue policy, trasferendo, tra gli altri, a Cambridge Analytica i dati di utenti della Piattaforma acquisiti
mediante la sua applicazione, “Thisisyourdigitallife” (comprensiva di un quiz sulla personalità sviluppato
dallo stesso Kogan e gestito dalla sua società, GSR-Global Science Research).

2. Microtargeting politico: tra etica e manipolazione digitale
L’impatto sui sistemi liberaldemocratici dei metodi di profilazione basati sul comportamento dei fruitori
della rete è al giorno d'oggi un tema di costante attualità.
Se indaga, infatti, la loro influenza sulle procedure di autogoverno democratico, sottolineandone la
centralità sul piano della partecipazione politica e delle procedure deliberative.
Alla diffusione di queste pratiche tecnologiche sono state attribuite, a seconda dei punti di vista, virtu'
salvifiche - giungendo all’elaborazione di autentiche visioni utopiche - o capacità demoniache, ponendo
l’accento:
     •   da un lato, sulle promesse di democrazia diretta, esaudite finalmente dagli sviluppi delle reti
         telematiche e poi dall’evoluzione del web 2.0, con le sue opportunità di interazione;
     •   dall’altro, sulle potenzialità di manipolazione e sui rischi per la vita democratica.
Siffatte, tanto innovative quanto intrusive, declinazioni della rivoluzione digitale sono state viste, volta a
volta, come una promessa o una minaccia per le democrazie liberali8.
Nell’uno e nell’altro caso, ovviamente, va discussa l’associazione degli opposti giudizi di valore alla
descrizione di un determinato fenomeno.
Orbene, in questa sede si punteranno i riflettori sulle nuove possibilità di microtargeting fornite dai social
media alle organizzazioni di campagna elettorale.

8 In un recente libro, Gianmarco Gometz ha messo in luce, in maniera esauriente, caratteristiche e contraddizioni della
e-democracy, dedicando, in particolare, un capitolo al “cyber-ottimismo” democratico e al suo declino. In particolare,
Gometz ha evidenziato il divario tra l’ottimismo legato alle promesse della democrazia deliberativa e il pessimismo
seguito alla diffusione della retorica populistica attraverso i social media.

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I feedback forniti dalle reti sociali e la capacità di ricalibrare i messaggi sulla base dei profili degli utenti
consentono, infatti, campagne elettorali fortemente individualizzate, permettendo l’aggregazione di
elettori che possono anche avere profili marcatamente diversi e che, quindi, erano più difficilmente
raggiungibili attraverso le campagne tradizionali, che procedevano tipicamente per generalizzazioni.
Il tema del microtargeting politico si sta affermando, allora, come il nuovo topos della discussione su nuove
tecnologie e democrazie il quale, dopo le vicende legate alla società di consulenza britannica Cambridge
Analytica è andato assumendo sempre più un’aria di “teoria della cospirazione”9.
Non sfugge a nessuno, siamo entrati in una nuova dimensione spazio-temporale della politica.
Nei soli ultimi 3 anni, – in concomitanza di tornate di voto che hanno profondamente cambiato lo
scenario della politica internazionale (Brexit, le presidenziali USA 2016, la vittoria di Macron in Francia e
del Movimento 5 Stelle in Italia), sono emersi fenomeni che hanno acclarato come la rete e la digitalizzazione
di massa stiano profondamente trasformando le tradizionali strategie elettorali e, più in genere, il modo di
fare politica.
I modelli di organizzazione, le forme di partecipazione, gli strumenti di analisi e i mezzi di comunicazione
si stanno adeguando al contesto digitale e chi ha saputo utilizzare in modo più incisivo (e talora
spregiudicato) i diversi attrezzi del cyber-toolkit è riuscito a spostare voti e, talora, a condizionare esiti
referendari ed elettorali.
Una tra le più diffuse - e al tempo stesso inquietanti - fenomenologie che caratterizzano questa evoluzione
è la commistione tra l’universo dei Big Data, la profilazione individuale e le moderne strategie elettorali.
In altre parole, il rapporto tra politica (rectius, orientamento della) e dimensione digitale dei cittadini.
Le perplessità etico-manipolative orbitano, infatti, attorno alla evoluzione del modo con cui la politica cerca
di raggiungere e convincere l’elettorato.
Se Obama nella campagna 2008 è stato, forse, il primo a puntare seriamente sulla rete (specie ricorrendo
a Twitter e YouTube) come vettore principale di propaganda elettorale, la storia recente insegna come
stiano diffondendosi a macchia d'olio partiti e candidati che, avvalendosi di società altamente
specializzate, applicano strategie tipiche del digital marketing.
Quella appena descritta rappresenta la naturale proiezione di un'unica, grande, società digitale in cui
viviamo incentrata sull’informazione personale.
Chiunque resta impigliato nel World Wide Web (letteralmente "ragnatela globale") rilascia quotidianamente
migliaia di tracce elettroniche su sistemi interconnessi che afferiscono alla medesima rete.

9 Cfr. DAMELE G., L'impatto dei Social Media sulla cittadinanza politica, Pontificio Ateneo Sant'Anselmo – seminari su
tecnologia e la persona, Roma 19 Maggio 2019, p. 9.

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Internet è l’ecosistema virtuale in cui le persone riversano una quota importante della propria esistenza.
Oggi non c’è circostanza nella nostra vita che non transiti dal web: siamo sempre connessi quando
lavoriamo, intratteniamo relazioni, compriamo voli, consultiamo referti medici, paghiamo tasse e fatture,
stipuliamo finanziamenti, esprimiamo opinioni, lasciamo disposizioni testamentarie.
I nostri dati anagrafici, i rapporti affettivi e professionali, le abitudini quotidiane, le inclinazioni e
convinzioni di ogni genere (religiose, politiche, filosofiche, sessuali), la capacità o propensione economica,
le speranze e le paure più profonde: tutte queste informazioni sono già online da qualche parte. Alcune
di esse sono già palesi e pronte ad essere date in pasto al profilo individuale, altre sono velocemente
desumibili grazie algoritmi di analisi correlata largamente in uso.
Se le persone vivono sempre connesse e se tutte le informazioni sono online, non c’è da stupirsi, allora,
che ci siano innumerevoli organizzazioni interessate ad accedere a quei dati, ad analizzarli per restituirci
messaggi mirati a venderci qualcosa o a convincerci di qualcosa.
Oggigiorno, le aziende specializzate nel settore possono fruire, infatti, di servizi di targeted advertising
sempre più evoluti e a basso costo; ben più efficaci delle vecchie campagne pubblicitarie erga omnes perché
- grazie all’analisi su base individuale di gusti e abitudini - arrivano solo a chi ha un potenziale interesse
all’acquisto del prodotto specifico.
Orbene, le campagne politiche - esattamente come quelle di marketing - hanno l’obiettivo di convincere
le persone ad aderire una proposta.
Il loro obiettivo principale è quello di informare, rendere partecipi e persuadere i cittadini elettori
attraverso la comunicazione.
Alla base di una campagna elettorale di successo c’è sempre un messaggio efficace soggetto a
interpretazioni e reazioni emotive da parte delle persone che lo ricevono.
Secondo Luntz10 le parole, una volta proferite, non appartengono più a chi le ha pronunciate.
Per questo motivo è necessario fare molta attenzione a chi riceverà il messaggio, costruendolo in modo
che tenga conto delle diverse implicazioni emotive che parole, frasi, immagini e simboli possono
presentare.
In questo senso, si può dire che “il messaggio è il destinatario”11.
Sulla scorta di siffatte considerazioni, il medesimo ecosistema tecnologico e iper-connesso che fonda un
sistema economico globale animato dal digital marketing può essere lo strumento ideale per raggiungere
testa e cuore degli elettori (ben più che i vecchi sondaggi d’opinione in cui gli interpellati non sempre
dicono ciò che pensano, specie sulle questioni più delicate). E per questo, ad ogni latitudine del globo, la

10   LUNTZ F., Words That Work: It's Not What You Say, It's What People Hear, 2008.
11   CACCIOTTO M., Spin Doctor- Il blog di Marco Cacciotto, 2016.

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politica sta facendo affidamento sull’analisi dei dati personali rilasciati online dai privati cittadini per
sviluppare le proprie strategie elettorali (e non solo)12.
I giganti tecnologici che dominano la digital economy (e i data broker che operano più o meno nell’ombra)
detengono ed elaborano una miriade di dati riguardanti ciascuno di noi; informazioni preziose che
correlate tra loro sono in grado di rivelare esattamente chi siamo, dove viviamo, cosa facciamo e cosa
pensiamo.
Sul web siamo principalmente inquadrati come consumatori cui inviare offerte e pubblicità
personalizzate, come individui da fidelizzare.
Il medesimo ecosistema informativo ci rende, tuttavia, profilabili anche come elettori.
Non stupisce, allora, che le campagne politiche siano sempre più data-driven, che si stiano sviluppando
sofisticati strumenti di analisi dell’elettorato, non solo in riferimento alla massa o a segmenti parziali di
popolazione, ma anche su base individuale.
Tuttavia, può accadere che – specularmente a quanto ripetutamente rilevato nel web marketing – la
raccolta ed elaborazione delle informazioni personali per finalità politiche sia svolta ad insaputa
dell’individuo, circostanza che garantisce l’affidabilità delle informazioni stesse ma che può provocare
una lesione delle libertà e dei diritti fondamentali della persona13.
È bene che nessuno di noi sottovaluti la discriminante tra il targeted advertisement di natura commerciale e
quello per scopi politici: nel secondo caso non c’è in ballo l’acquisito di un prodotto bensì la democrazia
ossia il bene più prezioso: una conquista recente nella storia dell’uomo, costata centinaia di milioni di vite
e che, tutt’oggi, diverse popolazioni non hanno ancora assaporato.
Se non fosse stato scoperchiato il caso Cambridge Analytica, le moltitudini non avrebbero appreso che
nell’era della connettività totale la politica ha individuato un nuovo modo per sviluppare le proprie
strategie e per fare propaganda.
Il caso Facebook/Cambridge Analytica, emerso in relazione alle presidenziali USA del 2016, ha reso chiaro
anche al grande pubblico quanto sussista un tema urgente da chiarire nel rapporto tra politica e privacy nell’era
di Internet e dei social network.
In quel caso i dati personali di 87 milioni di ignari utenti Facebook erano stati raccolti, analizzati con
algoritmi sofisticati e, infine, utilizzati per manipolare le loro inclinazioni elettorali tramite una sapiente
opera di political advertisement personalizzata e targettizzata. Il tutto orchestrato da una società di consulenza

12 Cfr. MASSIMINI M., Privacy, elezioni e politica nell'era digitale. Il momento delle regole e della consapevolezza, in
privacy.it, 22 Maggio 2019.
13 Cfr. MASSIMINI M., Privacy, elezioni e politica nell'era digitale. Il momento delle regole e della consapevolezza, in

privacy.it, 22 Maggio 2019.

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- Cambridge Analityca per l'appunto - vicina ad ambienti conservatori che ha svolto un ruolo pesante anche
nell’influenzare gli esiti della Brexit.
Il caso Facebook/Cambridge Analytica ha lasciato il segno. Da quel momento, il colosso di Menlo Park si è
trovato sotto un fuoco incrociato di critiche ed indagini per aver tradito la fiducia di 2 miliardi di iscritti
e per non aver impedito la manipolazione politica di decine di milioni di utenti (perseguendo un business
model incentrato sulla monetizzazione dei dati, no matter what). Zuckerberg ha dovuto ammettere le
responsabilità, promettendo maggiore trasparenza e protezione agli utenti.
Nonostante i recenti sforzi14 che denotano un maggiore senso di responsabilità da parte del gigante
californiano, non sarà facile tenere gli iscritti al riparo da interferenze indebite.
A titolo meramente esemplificativo, si ponga mente ad un caso recente, il 16 maggio scorso Facebook ha
rimosso 265 account iperattivi su temi politici che si fingevano localizzati in paesi africani, sudamericani
e asiatici ma che, in verità, sono risultati riconducibili ad una società israeliana che commercializza
strumenti e strategie di marketing elettorale a favore di partiti e governi stranieri.
Sulla scorta di quanto testé osservato si evince chiaramente che il problema non è Facebook che usa i
dati dei cittadini per fare profitti, in quanto tendenza diffusa tra tutte le aziende e anche gli editori, la
questione è un'altra e presenta contorni ben più inquietanti: milioni di persone sono state raggiunte da contenuti
politici grazie a dati raccolti senza il loro consenso per quella specifica finalità. Tramite Facebook, tramite le Poste
tedesche15, tramite altri mille rivoli.

14 Da qualche mese Facebook si erge a paladina della privacy:
     • lanciando un manifesto programmatico sulla riservatezza e la sicurezza delle comunicazioni di chi utilizza le
          piattaforme Facebook, Instagram e Whatsapp;
     • proponendo, tramite il suo CEO, l’applicazione dei principi del GDPR ad ogni latitudine.
          In vista, poi, delle elezioni europee 2019, Facebook ha adottato nuove misure contro la manipolazione delle
informazioni che possono riassumersi in:
     • tolleranza zero verso account falsi;
     • maggiore controllo e trasparenza nelle inserzioni di pagine appartenenti a politici o gruppi politici (d’ora in poi,
          prima di pubblicare contenuti a pagamento di carattere elettorale, sarà obbligatorio ottenere apposita
          autorizzazione, registrarsi e fornire una serie di informazioni identificative, a partire dalla nazione di residenza);
     • riduzione della distribuzione delle notizie false. È istituito un team di fact-checker sarà attivo 24/7 e si occuperà
          di identificare le fake news rimuovendole e indicando l’eventuale versione corretta della notizia;
     • monitoraggio proattivo delle ingerenze estere.
15 La Deutsche Post ha ceduto, infatti, i dati dei cittadini del suo enorme database a due dei partiti politici tedeschi prima

delle elezioni del 2017. Sia le Poste che i due partiti si sono affannati a difendere la pratica in questione, sostenendo che
in realtà i dati sono anonimizzati (cioè privati di tutti gli elementi identificativi, quindi non sarebbero nemmeno più
soggetti alla normativa in materia di protezione dei dati personali, ma in realtà sembrerebbe più una pseudonimizzazione,
cioè quando agli elementi identificativi viene sostituito un qualcosa di diverso - hash - tipo una stringa alfanumerica,
rendendo solo più difficile l'identificazione degli interessati) prima di essere ceduti (in affitto dicono le Poste, come se
cambiasse qualcosa). Cioè, i dati non si riferirebbero a singole persone bensì a “microcelle” di 6,6 famiglie. Nella pratica,
però, quei dati hanno consentito la microtargetizzazione della campagna politica a livello di singola strada, per cui il fatto
che i singoli soggetti non fossero identificati (non c’era il nome e cognome per capirci) non muta i termini della

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Sic stantibus rebus, sorge spontaneo chiedersi: se l’analisi dei sentimenti utilizzata per vendere prodotti è
più o meno accettata, fermo restando che si parla sostanzialmente di bisogni indotti nei cittadini, si può
ugualmente tollerare che una analisi di questo tipo sia alla base dei messaggi politici?16
A tal uopo, si badi bene, non si effigia il politico che fa discorsi incentrati su paure dei cittadini che
involgono la comune sensibilità di una generalità di consociati, quali ad esempio flussi migratori, tassi di
delinquenza, livelli disoccupazione etc.…; viceversa, si discorre di una pratica molto più subdola e meno
trasparente traducentesi nella veicolazione di messaggi che sono cuciti su misura per un destinatario
determinato, adattandosi alle sue paure ed emozioni.
Ad un'attenta riflessione, dunque, in questo modo si finisce per svincolare la politica dai fatti e dagli
argomenti concreti e ricollegare una vittoria elettorale esclusivamente ad argomenti emotivi.
Non vi è chi non veda, infatti, che già oggi la politica è estremamente orientata a proporre argomenti
emotivi, ma l'elettore può ancora scegliere, volendo, di accontentarsi di tali argomentazioni oppure votare
basandosi sui fatti. Un domani questo sarà sempre più difficile perché i messaggi politici saranno in grado
di coinvolgere emotivamente fin dal profondo, in quanto selezionati in base ad interessi e più intime
paure di ognuno. Scelti persona per persona, elettore per elettore.
Insomma, una politica che trasforma lo spazio pubblico in uno scenario di rappresentazioni emozionali,
dove l’opinione pubblica lascia il passo all’opinione emotiva. Si è pronti a una politica basata sulle
emozioni?
Lo stesso Garante per la protezione dei dati personali di Amburgo, Kaspar, ha messo in guardia contro
questo uso dei dati: “Quando la Costituzione assegna ai partiti il compito di rappresentare la volontà popolare, non
significa certamente usare metodi non trasparenti per manipolare la volontà degli elettori”.
La percezione che tali metodi di invio di messaggi politici possano influenzare gli elettori,
indipendentemente dalla loro efficacia, potrebbe minare ulteriormente la fiducia dei cittadini nella
democrazia e nelle istituzioni.
A meno che i governi non inizino a regolamentare questo tipo di targetizzazione politica, è alto il rischio
che casi come quello di Cambridge Analityca abbiano a replicarsi sempre più spesso in occasione di tornate
elettorali che per loro natura sono cicliche.
Ma questo, purtroppo, vorrebbe dire che gli Stati dovrebbero regolamentare per primi la propria attività.
Regolamentare solo piattaforme come Facebook non cambierebbe assolutamente nulla.

questione. I due partiti hanno potuto accedere ad una mappa che gli indicasse in quali strade e quali palazzi inviare
messaggi politici mirati, e dove andare col porta a porta.
16 Cfr. SAETTA B., Microtargeting, profilazioni, algoritmi: il vero problema etico e' l'uso da parte della politica dei dati

dei cittadini, in valigiablu.it, 22 Aprile 2018.

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3. L’impegno delle Istituzioni europee e l'intervento dell’Autorità Garante per la protezione dei
dati personali
Come visto nel precedente paragrafo, le campagne di propaganda politica possono oggi contare su una capacità senza
precedenti di analisi individuale cui far seguire l’invio di messaggi personalizzati.
In fondo, il contesto non è dissimile da quello della profilazione dell’utente per finalità di digital marketing:
servono trasparenza e regole precise, altrimenti il rischio di manipolazione occulta è incipiente.
Non può sfuggire, altresì, che - a differenza del micro targeting commerciale - quando ci si riferisce alla
libertà di voto, il termine manipolazione risuona come una minaccia per la democrazia stessa. Ecco perché
il framework di regole sulla protezione dei dati personali si appresta a giocare una nuova fondamentale
partita a difesa delle libertà civili dei cittadini europei.
Le istituzioni europee si stanno muovendo, infatti, in maniera coordinata su più piani per regolamentare
l’utilizzo dei dati personali durante le campagne elettorali.
Il caso Facebook/Cambride Analytica ha insegnato che servono regole precise, controlli severi, e sanzioni
che intimidiscano i possibili trasgressori.
Sul versante europeo, l’allora Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker nel discorso
sullo stato dell'Unione del 12 settembre 2018 aveva preannunciato un pacchetto di misure volte garantire
che “le elezioni del Parlamento europeo si svolgano in modo libero, equo e sicuro”.
Le misure comprendono una maggiore trasparenza dei messaggi pubblicitari online di natura politica e la
possibilità di imporre sanzioni per l’uso illegale di dati personali finalizzato a influenzare deliberatamente il risultato delle
elezioni europee. Gli Stati membri sono stati inoltre invitati a istituire reti nazionali di cooperazione in
materia elettorale composte delle pertinenti autorità - come le autorità competenti in materia elettorale e
in materia di cybersicurezza, le autorità incaricate della protezione dei dati e le autorità di contrasto - e a
designare dei punti di contatto che partecipino a un’analoga rete di cooperazione in materia elettorale di
livello europeo.
Ebbene, nella primavera del 2019 il Parlamento della UE ha approvato le norme contro l'uso improprio
dei dati personali nelle campagne elettorali europee17. Con le modifiche al Regolamento n. 1141/2014 è
stata introdotta la possibilità di imporre sanzioni finanziarie ai partiti o alle fondazioni che influenzano,
o anche solo tentano di influenzare, i risultati delle elezioni del Parlamento europeo attraverso condotte
in violazione del GDPR e delle altre norme in materia di protezione dei dati. Le sanzioni previste

17 “Soprattutto dopo lo scandalo relativo alla protezione dei dati di Facebook e Cambridge Analytica, le persone sono più attente all’uso dei
dati personali. Questo regolamento è un passo importante per ridare ai cittadini la fiducia nell’UE e nella partecipazione democratica in
generale”, ha spiegato il responsabile della relazione Rainer Wieland, eurodeputato tedesco del PPE.

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ammontano al 5% del bilancio annuale del partito o della fondazione che commetterà l’abuso che, inoltre,
non potrà più ricevere rimborsi elettorali a carico del bilancio UE nell’anno di irrogazione della sanzione18.
In contingenza alle modifiche regolamentari di cui supra, si è registrato l'intervento in materia di un'altra
istituzione europea.
Il Comitato Europeo per la Protezione die Dati (EDPB) ha emesso, infatti, la “Dichiarazione 2/2019
sull'uso dei dati personali nel corso di campagne politiche” per richiamare l’attenzione sull’uso dei dati
personali durante le campagne elettorali.
L’EDPB è ben consapevole che le campagne politiche si affidano sempre più a dati personali per profilare
gli elettori; tuttavia, l’uso di strumenti predittivi e altri metodi per elaborare i dati pone rischi per la privacy agli interessati.
Ad avviso del Comitato, le tecniche di trattamento dei dati a fini politici possono comportare gravi rischi,
non solo per quanto riguarda i diritti alla privacy e alla protezione dei dati, ma anche all’integrità del
processo democratico.
Nella propria dichiarazione, l’EDPB evidenzia, dunque, una serie di punti chiave che devono essere tenuti
in considerazione quando i partiti politici (o loro supporter) elaborano i dati personali nel corso delle
attività elettorali:
     1. i dati personali che rivelano opinioni politiche costituiscono una categoria particolare di dati a
          norma del regolamento generale sulla protezione dei dati. In linea di principio, il trattamento di
          tali dati è vietato ed è soggetto a una serie di condizioni da interpretarsi in modo restrittivo, come
          ad esempio il consenso esplicito delle persone, specifico, pienamente informato e libero;
     2. i dati personali che sono stati resi pubblici o altrimenti condivisi dai singoli elettori, anche se non
          sono dati che rivelano l’esistenza di opinioni politiche, restano soggetti a, e tutelati da, il diritto
          dell’UE in materia di protezione dei dati. A titolo di esempio, non è possibile fare uso dei dati personali
          raccolti attraverso i social media senza rispettare gli obblighi in materia di trasparenza, specificazione delle finalità
          e liceità;
     3. anche qualora il trattamento sia lecito, si devono osservare gli altri obblighi previsti dal
          regolamento generale sulla protezione dei dati, compreso l’obbligo di garantire trasparenza e
          informazioni sufficienti alle persone che sono oggetto di analisi e i cui dati personali vengono

18Le autorità di controllo nazionale per la protezione dei dati hanno, poi, il compito di supervisionare le elezioni a livello
nazionale. I partiti politici europei possono organizzare campagne a livello transnazionale, incluse quelle per i candidati
capilista. Se un’autorità di controllo nazionale stabilisce che si è verificata un’infrazione, deve informare la Authority for
European Political Parties and European Political Foundations. Sarà poi quest’ultima a decidere l’entità della sanzione
da applicare, ma solo dopo aver consultato uno specifico comitato europeo (detto “Comitato di Personalità
Indipendenti”), il quale dovrà essere chiamato ad esprimere un parere sul fatto che il partito politico europeo o la
fondazione politica europea in questione abbiano o meno deliberatamente influenzato o tentato di influenzare l’esito
delle elezioni europee compiendo una violazione delle norme sulla protezione dei dati personali.

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trattati, siano essi ottenuti direttamente o indirettamente. I partiti e i candidati politici devono
          essere pronti a dimostrare in che modo abbiano rispettato i principi di protezione dei dati, in
          particolare i principi di liceità, correttezza e trasparenza;
      4. i processi decisionali esclusivamente automatizzati, compresa la profilazione, sono soggetti a limitazioni qualora
          la decisione produca effetti giuridici o incida in modo analogo significativamente sulla persona
          oggetto della decisione. La profilazione connessa a una campagna mirata può, in determinate
          circostanze, incidere “in modo analogo significativamente” su una persona e, in linea di principio,
          è lecita solo con il consenso esplicito e valido dell’interessato;
      5. in caso di campagne mirate, è opportuno fornire agli elettori informazioni adeguate che spieghino
          per quale motivo ricevano un messaggio particolare, chi ne sia responsabile e come possano
          esercitare i loro diritti in qualità di interessati. Il Comitato osserva inoltre che in alcuni Stati
          membri la legge impone trasparenza riguardo ai finanziamenti utilizzati per le campagne
          pubblicitarie di natura politica.
Dal 25 maggio 2018 la disciplina sul trattamento dei dati personali è dominata dal Regolamento UE
2016/679 (GDPR) che è direttamente applicabile e che, pertanto, tutela i cittadini italiani anche per quanto
concerne l’utilizzo dei loro dati per fini politici e di propaganda elettorale.
Come si avuto modo di osservare già precedentemente, tale disciplina generale è armonizzata e, in alcuni
casi, contestualizzata dal D.Lgs. 196/2003, ossia il “vecchio” Codice Privacy per come emendato dal
D.Lgs. 101/2018, che dispone anche circa la proposizione di reclami e le sanzioni di carattere penale.
Il quadro regolamentare pare, dunque, sufficientemente idoneo a perseguire condotte scorrette o illecite
in ambito politico, una volta tenuto conto che con riguardo al contesto di specie esso è ora completato
da:
      •   le citate modifiche al Regolamento n.1141/2014 con cui si è introdotta la possibilità di sanzionare
          i partiti influenzano le votazioni europee violando la privacy degli elettori;
      •   il recente provvedimento del Garante Privacy che (di cui si darà cenno di qui a brevissimo)
          dettaglia le regole che i partiti e i movimenti politici italiani devono osservare.
Il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha approvato, infatti, il 19 aprile 2019 uno specifico
provvedimento che fissa - per quanto attiene l’ambito nazionale - le regole per il corretto uso dei dati
degli elettori da parte di partiti, movimenti politici, comitati promotori, sostenitori e singoli candidati.
L’Autorità si sofferma, in particolare, sull’uso di messaggi politici e propagandistici inviati agli utenti dei
social network (come Facebook e Linkedin) o su altre piattaforme di messaggistica (come Skype,
Whatsapp, Messenger), ribadendo che tale uso deve rispettare le norme in materia di protezione dei dati.

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Sulla scorta dei recenti casi di profilazione massiva degli elettori, il Garante Privacy denota quanto sia
fondamentale proteggere il processo elettorale ed evitare rischi di interferenze e turbative esterne.
Ragioni di completezza espositiva suggeriscono di soffermarsi, dunque, sulle prescrizioni imposte del
Garante.
Or dunque, l'analisi delle misure de quibus si dipanerà in ordine di intensità crescente, partendo dalle più
blande, passando per quelle maggiormente incisive per poi giungere al sistema informativo e
sanzionatorio nel suo complesso.
Entrando in medias res, la prima categoria afferisce i dati utilizzabili senza consenso.
Per contattare gli elettori ed inviare materiale di propaganda, partiti, organismi politici, comitati
promotori, sostenitori e singoli candidati possono usare senza consenso i dati contenuti nelle liste
elettorali detenute dai Comuni. Possono essere usati, anche, altri elenchi e registri pubblici in materia di
elettorato passivo e attivo (es. elenco dei cittadini residenti all’estero aventi diritto al voto o degli elettori
italiani che votano all’estero per le elezioni del Parlamento europeo) e altre fonti documentali, detenute
da soggetti pubblici, accessibili da chiunque. Si possono utilizzare senza previo consenso anche i dati
degli aderenti a partiti o movimenti politici o di soggetti che hanno con essi contatti regolari.
Il secondo gruppo involge i dati utilizzabili solo con il previo consenso.
È necessario il consenso informato, difatti, per poter utilizzare recapiti telefonici contenuti negli elenchi
telefonici e quindi per effettuare chiamate o inviare sms e mail. Un obbligo di consenso sussiste anche
per poter trattare i dati reperibili sul web, come, ad esempio: quelli presenti nei profili dei social network
e di messaggistica; quelli ricavati da forum e blog; quelli raccolti automaticamente con appositi software
(web scraping); le liste di abbonati di un provider; i dati pubblicati su siti web per specifiche finalità di
informazione aziendale, commerciale o associative; i dati raccolti nell’esercizio di attività professionali, di
impresa o nell’ambito della professione sanitaria; i dati di persone contattate in occasione di singole
specifiche iniziative (es. petizioni, proposte di legge, referendum, raccolte di firme) e di quelli di
sovventori occasionali.
Chi intende, poi, utilizzare, acquisendole da terzi, liste cosiddette “consensate” (dati raccolti previa
informativa e consenso), è tenuto a verificare che siano stati effettivamente rispettati gli adempimenti di
legge. Lo stesso vale per i servizi di propaganda elettorale curata da terzi a favore di movimenti, partiti,
candidati.
Il terzo insieme è composto dai dati non utilizzabili.
Non sono in alcun modo utilizzabili i dati raccolti o usati per lo svolgimento di attività istituzionali come
l’anagrafe della popolazione residente; gli archivi dello stato civile; le liste elettorali di sezione già utilizzate
nei seggi; gli elenchi di iscritti ad albi e collegi professionali; gli indirizzi di posta elettronica tratti

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dall’Indice nazionale dei domicili digitali. Non sono utilizzabili i dati resi pubblici sulla base di atti
normativi per finalità di pubblicità o di trasparenza come, ad esempio quelli presenti nei documenti
pubblicati nell’albo pretorio on line; quelli relativi agli esiti di concorsi; quelli riportati negli organigrammi
degli uffici pubblici contenenti recapiti telefonici ed indirizzi mail. Non si possono, infine, utilizzare dati
raccolti da titolari di cariche elettive e di altri incarichi pubblici nell’esercizio del loro mandato elettivo o
dell’attività istituzionale.
Sussiste, poi, uno specifico meccanismo informativo in capo ai cittadini.
Gli elettori, infatti, devono essere sempre informati sull’uso che verrà fatto dei loro dati personali. Se i
dati sono ottenuti direttamente presso gli interessati, l’informativa va data all’atto della raccolta. Per i dati
acquisiti da altre fonti è necessario che gli interessati siano informati in un tempo ragionevole al massimo
entro un mese. Qualora tale adempimento sia però impossibile o comporti uno sforzo sproporzionato,
partiti, organismi politici, comitati promotori, sostenitori e singoli candidati possono esimersi
dall’informativa, a condizione che adottino misure adeguate per tutelare i diritti e le libertà dei cittadini,
utilizzando, per esempio, modalità pubbliche di informazione.
Infine, un cenno merita l'impianto sanzionatorio.
Il Garante ricorda che la violazione della disciplina sui dati comporta sanzioni che possono essere anche
molto onerose, come previsto dal GDPR.
Inoltre, in ragione delle recenti modifiche introdotte dal legislatore europeo al Regolamento UE
1141/2014 sullo statuto e il finanziamento di partiti e fondazioni politiche europee, l’Autorità europea
per i partiti politici e le fondazioni politiche europee - se viene a conoscenza di una decisione di
un’Autorità nazionale di protezione dati da cui sia possibile evincere che la violazione delle norme sia
connessa ad attività volte ad influenzare o a tentare di influenzare l’esito delle elezioni europee - è tenuta
ad avviare una procedura di verifica, all’esito della quale potranno essere applicate sanzioni pecuniarie
che potrebbero ammontare, nei casi più gravi, al 5% del bilancio annuale del partito o della fondazione.
Alla luce di quanto sin qui osservato, tra regolamentazione europea, legislazione nazionale e il
summenzionato provvedimento del Garante, il panorama di prescrizioni e tutele appare adeguatamente
coordinato e sufficientemente articolato.
Nei prossimi mesi (e, sicuramente, anni), si potrà capire meglio quale strada i processi democratici abbiano
imboccato a fronte della rivoluzione digitale che sta trasformato le nostre società e il nostro modo di
vivere. Osserveremo se la maggiore sensibilità e consapevolezza di ciascuno e le regole poste a difesa
della riservatezza e della libertà di scelta sapranno ergersi a barriera dalle manipolazioni occulte rese
possibili da uno scenario tecnologico in continua, irrefrenabile evoluzione.

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Il normale cittadino sta diventando una persona digitale, vive attraverso la tecnologia che gli è messa a
disposizione pur non dominandone i meccanismi che la animano.
Per questo, se per un verso è indispensabile che le istituzioni ad ogni livello e latitudine regolamentino e
controllino l’ecosistema digitale, tanto più in riferimento alle libertà democratiche; è altrettanto
indispensabile che le big tech assumano condotte etiche e responsabili, rimettendo gli utenti e i loro diritti
al centro dei loro modelli di business.
All’incirca 3 anni fa, lo storico ed esperto di scienze sociali Yuval Noah Harari19 ha scritto un interessante
articolo sul Financial Times intitolato “Big data, Google e la fine del libero arbitrio”.
Ebbene, Harari ci ricorda che la teoria di Marx, nella sua essenza, afferma che chi possiede i mezzi di
produzione, comanda.
Oggigiorno la teoria andrebbe emendata nel seguente modo: chi possiede i dati, comanda. Questo è il
“dataismo”, quella che lui definisce un’ideologia emergente, quasi una nuova forma di religione, in cui
flusso di informazioni è il “valore supremo”. Harari osserva: “I dataisti credono inoltre che sulla base dei dati
biometrici e del potere informatico tale sistema onnicomprensivo possa arrivare a capirci molto meglio di quanto non capiamo
noi stessi. Quando questo succederà, gli esseri umani perderanno la loro autorità e pratiche umaniste come le elezioni
democratiche diventeranno obsolete quanto la danza della pioggia, i coltelli di selce”20.
La speranza è che le fosche premonizioni di Harari non si realizzino e che la società globale sappia
asservire al bene comune il potenziale infinito dei big data, algoritmi e intelligenza artificiale, preservando
la centralità dell’elemento umano.

19 Noto per il best seller Sapiens. Da animali a de'i. Breve storia dell’umanità, primo capitolo di una ideale trilogia (con i
successivi Homo Deus e 21 lezioni per il XXI secolo) sulla storia passata, presente e futura dell’uomo.
20 HARARI Y.N., Big data, Google e la fine del libero arbitrio, in Financial Times.

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