L'irrilevanza della struttura finanziaria: il Teorema Modigliani-Miller
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L’irrilevanza della struttura finanziaria: il Teorema Modigliani-Miller Giuseppe Travaglini 1 Introduzione Nel capitolo precedente abbiamo visto che la leva finanziaria può avere ef- fetti positivi o negativi sul tasso di rendimento delle azioni, a secondo che il tasso d’interesse sul debito sia inferiore o superiore a quello di rendi- mento ρ dell’impresa. Siamo partiti dall’ipotesi semplificatrice che il valore dell’impresa non cambi quando varia la struttura finanziaria. Dimostreremo ora sotto quali condizioni questa ipotesi è corretta. I risultati che seguono vanno genericamente sotto la denominazione di Teorema Modigliani-Miller (MM), dal nome dei due economisti che per primi negli anni 50’ si applicarono sistematicamente allo studio della relazione che lega il valore di un’impresa alla sua struttura finanziaria. Questo teorema è, più precisamente, un insieme di risultati che mostrano come in un mercato perfetto e completo la politica di finanziamento delle imprese sia irrilevante. Sebbene i fatti stilizzati e la teoria successiva a MM abbiano mostrato che esistono molti casi in cui le scelte finanziarie influen- zano il valore dell’impresa, il teorema MM rappresenta la base della moderna teoria della finanza poichè “showing what doesn’t matter can also show, by implications, what does” (M. Miller, 1988, p.100). Le principali proposizioni del teorema MM sono. 1. Proposizione I. Il valore di mercato di un’impresa è indipendente dalla sua struttura finanziaria. 1
2. Proposizione II. Il tasso di rendimento delle azioni di una data impresa è una funzione lineare crescente del rapporto debito-azioni. 3. Proposizione III. Il valore di mercato di un’impresa è indipendente dalla sua politica di dividendo. Come vedremo tutte queste proposizioni sono semplici conseguenze del principio di assenza d’arbitraggio: se ogni investitore può realizzare le stesse transazioni finanziarie effettuate dall’impresa, ed allo stesso prezzo, allora ogni investitore può completamente annullare gli effetti della politica di fi- nanziamento dell’impresa senza subire costi e rischi. 2 Indebitamento e valore Come è stato già ricordato, la redditività di un’impresa può essere quantifi- cata attraverso l’uso di due diversi indici che abbiamo denominato reddito operativo (RO), e reddito netto (RN ). Il primo indice offre una misura del profitto generato dall’attività produttiva dell’impresa, senza specificare quali investitori vantino diritti sul flusso dei profitti; il secondo, dà invece una misura del profitto residuale a cui hanno diritto soltanto gli azionisti, una volta che gli interessi passivi sul debito siano stati ripagati. La domanda che ci dobbiamo porre è dunque la seguente: quale di questi indici è corretto utilizzare per calcolare il valore dell’impresa. Una risposta l’abbiamo già implicitamente data quando, nel precedente capitolo, abbiamo utilizzato il RO per calcolare il valore reale V dell’impresa. Dobbiamo ora cercare di capire perchè è corretto seguire questa tecnica, e cosa cambierebbe se utilizzassimo il RN . 2.1 Il metodo RO La differenza tra i due metodi di valutazione può essere illustrata considerando il caso di un’impresa che debba scegliere tra diversi piani di finanziamento. Supponiamo che ne esistano solamente tre, e che in tutti gli alternativi scenari il RO sia conosciuto con certezza e pari a 200. Assumiamo che il rendimento dell’attività reale sia ρ = 10%, che il tasso d’interesse sul debito sia r = 4%, e che il debito nei tre casi sia rispettivamente pari a zero, 500 e 1000. Le tabelle 1 e 2 riassumono i dati relativi al valore dell’impresa calcolati con il metodo RO. 2
A C D RO 200 200 200 tasso rendimento impresa (ρ) 10% 10% 10% valore impresa (V ) 2000 2000 2000 valore debito (B ) 500 1000 valore azioni (S ) 2000 1500 1000 Tabella 1. Il valore dell’impresa calcolato con il metodo RO • Utilizzando il metodo del reddito operativo il valore totale dell’impresa viene calcolato capitalizzando il RO al tasso di mercato ρ, ossia: π VRO = = SRO + B (1) ρ dove con π indichiamo genericamente il reddito operativo (il profitto). Si noti che dalla (1) il valore delle azioni può essere riscritto come: π SRO = −B (2) ρ L’essenza di questo ragionamento è che il valore dell’impresa rimane costante indipendentemente dalla struttura finanziaria. Ciò che invece cambia è il valore del capitale azionario (vedi l’equazione (2), e l’ultima riga della tabella 1). • Questo approccio implica che ogni incremento dell’utile per azione ot- tenuto attraverso un crescente indebitamento viene esattamente com- pensato, al livello della struttura finanziaria, dal maggiore rischio sop- portato dagli azionisti. In questo contesto, il valore della singola azione non cambia al variare della struttura finanziaria (si veda tabella 2). A B C valore azioni (S) 2000 1500 1000 numero azioni 200 150 100 valore singola azione 10 10 10 Tabella 2. Il valore di una azione con il metodo RO 3
2.2 Il metodo RN Vediamo ora cosa accade al valore dell’impresa, e a quello delle azioni, uti- lizzando il metodo RN . A C D RO 200 200 200 interessi sul debito — 20 40 RN 200 180 160 tasso rendimento impresa (ρ) 10% 10% 10% Valore azioni (S) 2000 1800 1600 Valore debito(B) — 500 1000 Valore impresa (V) 2000 2300 2600 Tabella 3. Il valore dell’impresa calcolato con il metodo RN • In questo caso il valore delle azioni è calcolato capitalizzando il reddito netto al tasso ρ: RN π − rB SRN = = (3) ρ ρ Conseguentemente, il valore di mercato dell’impresa è dato dalla somma: π − rB VRN = SRN + B = +B ρ che possiamo riscrivere come: µ ¶ π ρ−r VRN = + B (4) ρ ρ ossia: µ ¶ ρ−r VRN = VRO + B (5) ρ I valori ottenuti con questa procedura sono riportati nella tabella 3. Essi mostrano che la tecnica di stima basata sul RN induce due errori nella valutazione del valore dell’impresa e del capitale azionario. 4
1. Innazitutto, si assume che il capitale azionario dell’impresa indebitata abbia lo stesso rischio economico dell’impresa che non ricorre al debito (vedi l’equazione (3))1 , mentre noi abbiamo mostrato (capitolo prece- dente) che per un’impresa che fà ricorso al debito la rischiosità azionaria aumenta a causa del rischio finanziario indotto dalla presenza del deb- ito. 2. Come secondo aspetto, dall’equazione (5) risulta che la struttura fi- nanziaria accresce il valore dell’impresa indebitata al di sopra del val- ore VRO dell’impresa che utilizza solo i mezzi propri (le azioni). Difatti, poichè ρ−r > 0 l’aumento di B determina una crescita di VRN e del val- ore della singola azione (vedi tabella 4). Questo ragionamento condur- rebbe alla conclusione errata secondo cui, indipendentemente dal valore reale del progetto, è vantaggioso finanziare il piano d’investimento at- traverso un crescente indebitamento. Tuttavia, in un mercato perfetto gli azionisti non dovrebbero essere disponibili a sostenere questa strate- gia. Infatti, essi potrebbero ottenere un più elevato profitto se l’impresa investisse il capitale preso a prestito in un portafoglio di attività fi- nanziarie che rendono più di r. Alternativamente, l’impresa potrebbe utilizzare il capitale di debito per distribuire dividendi, che possono successivamente essere direttamente investiti in attività reali e/o fi- nanzioarie dagli stessi azionisti. A B C Valore azioni (S) 2000 1800 1600 numero azioni 200 150 100 valore singola azione 10 12 16 Tabella 4. Il valore di una azione con il metodo RN 3 Una rappresentazione grafica Una chiara illustrazione di questo diverso comportamento dei due criteri in presenza di debito è riportata nella figura 1. Si noti che i due metodi danno la stesso valore solo quando il capitale dell’impresa è composto per il 100% da azioni (B = 0). 1 Il flusso netto π − rB viene difatti attualizzato utilizzando il tasso ρ. 5
V VRO+[(ρ-r)/ρ]B π/ρ VRO B Figure 1: La relazione tra VRO e VRN • Appena la leva finanziaria cresce, il valore dell’impresa stimata con il metodo RN aumenta, e l’incremento dipende dalla differenza tra il tasso di sconto ρ dell’attività reale ed il tasso d’interesse r. In altre parole, il metodo RN opera come se gli azionisti potessero accrescere il loro rendimento azionario attraverso l’indebitamento senza sopportare alcun rischio. L’aumento dell’UP A si trasferisce quindi direttamente nel valore delle azioni. • La tecnica di valutazione basata sul RO considera invece, e corret- tamente, il trade-off esistente tra rendimento incerto e rischio. In questo caso la leva finanziaria non influenza il valore dell’impresa perchè l’aumento dell’utile per azione viene esattamente compensato dal cres- cente rischio finanziario. In questo caso il valore dell’impresa è indipen- dente dal tasso d’indebitamento. 6
4 I◦ proposizione: l’irrilevanza della strut- tura finanziaria. Fino ad ora ci siamo limitati a mostrare che l’ipotesi di costanza del valore dell’impresa al variare della struttura finanziaria implica che il criterio di va- lutazione corretto sia quello basato sul RO. Dimostriamo ora la proposizione I di MM d’irrilevanza della struttura finanzaria. MM dimostrano che in presenza di mercati dei capitali perfetti le imprese non possono guadagnare da una variazione della struttura finanziaria. Essi assumono che: 1. Esistono due imprese identiche che scelgono una diversa struttura fi- nanziaria 2. Esistono solamente due attività finanziarie: le azioni e le obbligazioni a cui l’impresa fa ricorso per finanziare l’attività reale 3. Ogni investore può prendere e dare a prestito allo stesso tasso d’interesse di mercato r 4. I flussi di profitto sono delle perpetuità, poichè l’impresa non effettua nuovi investimenti 5. L’informazione è perfetta 6. Non ci sono costi di transazione nè imposte sul reddito 7. Sono assenti i costi d’agenzia, così che non esistono divergenze di obi- ettivi tra il controllo e la proprietà dell’impresa Sulla base di queste ipotesi si può mostrare che: Proposizione 1. Il valore di mercato di un’impresa è indipendente dalla sua struttura finanziaria • Cominciamo calcolando il valore dell’impresa che utilizza soltanto cap- itale azionario. Chiamiamo questa impresa U. Per il momento as- sumiamo che l’impresa paghi un’imposta proporzionale τ sul reddito prodotto. Per questa impresa l’utile dopo le tasse è pari a: RO(1 − τ ) (6) 7
Chiaramente, la liquidità a disposizione dell’impresa in ogni periodo è superiore a quella definita dalla (6), poichè a questo valore va aggiunto l’ammortamento del capitale fisico (Am) accantonato in ogni periodo. Il cash flow dell’impresa U risulta quindi essere: CFU = RO(1 − τ ) + Am Si noti, infine, che per l’ipotesi (2) l’impresa non effettua nuovi investi- menti, ma si limita a sostituire lo stock di capitale fisico consumato. In altri termini, l’investimento, I, è pari al tasso d’ammortamento, ovvero: I = Am Dunque, il free cash flow (F CF ) dell’impresa U in ogni periodo risulta pari a: F CFU = RO(1 − τ ) + Am − I = RO(1 − τ ) (7) L’aspetto economicamente rilevante di questo risultato è che quando si assume che il flussi di cassa siano delle perpetuità il F CFU coincide con il RO dopo le imposte. Conseguentemente, dato il valore della perpetuità ed il tasso di sconto ρ dell’impresa non indebitata, il valore attuale corrispondente è: F CFU RO(1 − τ ) VU = = (8) ρ ρ • Come cambia il valore della (8) quando l’impresa sceglie una diversa proporzione tra debito ed azioni? Chiamiamo quest’impresa L. In questo caso il cash flow di pertinenza degli azionisti è dato da: RN + Am − I mentre ai creditori vanno gli interessi sul debito: rB Il flusso di cassa disponibile F CFL è dunque dato dalla somma: F CFL = RN + Am − I + rB = (RO − rB)(1 − τ ) + Am − I + rB 8
ovvero: F CFL = RO(1 − τ ) + τ rB dove la prima parte del flusso è uguale a quello generato dall’impresa che utilizza solo capitale azionario, ed ha quindi anche il medesimo rischio; il secondo addendo misura invece il vantaggio fiscale che deriva dall’utilizzo del debito. • Fin tanto che l’impresa genera utili che rimangono costanti al trascor- rere del tempo, possiamo ipotizzare che il flusso di cassa τ rB abbia lo stesso rischio dell’interesse sul debito. Il valore dell’impresa indebitata può dunque essere scritto come: RO(1 − τ ) τ rB VL = + ρ r RO(1 − τ ) = + τB (9) ρ VL = VU + τ B Il valore dell’impresa indebitata è pari a quello dell’impresa senza debiti più il valore attuale dello scudo fiscale fornito dal debito τ B. • Conseguentemente, questa relazione ci dice che in assenza di ogni im- perfezione, incluse le tasse, il valore dell’impresa è completamente in- dipendente dalla sua struttura finanziaria. Difatti, se τ = 0 risulta che: VL = VU (10) Questo risultato è noto come I◦ proposizione di Modigliani-Miller. 5 L’approccio MM e il principio d’assenza di arbitraggio Anche se non espressamente detto, il risultato precedente dipende dalla as- sunzione che gli investitori possano indebitarsi allo stesso tasso dell’impresa. Quando ciò è possibile il comportamento ottimizzante e concorrenziale del 9
mercato ci assicura l’assenza di opportunità d’arbitraggio, ovvero la possi- bilità di ottenere profitti positivi dalle transazioni (finanziarie o reali) senza incorrere in costi e/o rischi. Un tipico esempio d’arbitraggio si ha, quando vi è possibilità di prendere e dare a prestito a due differenti tassi d’interesse. In generale, la condizione d’assenza d’arbitraggio elimina la possibilità che nel mercato si determini una configurazione di prezzi che consenta ad un investitore di ottenere dei profitti positivi senza sostenere costi e rischi. Con riferimento al contesto MM, indichiamo con VU il valore di un’impresa che abbia solo capitale azionario. Supponiamo che esista un’impresa iden- tica che si finanzi emettendo azioni ed obbligazioni, e che abbia un tasso d’indebitamento pari a α = B/V , e quindi una quota azionaria data da (1 − α) = S/V . Indichiamo con π il reddito operativo di ogni periodo, e con VL il suo corrispondente valore corrente. Utilizzando questa annotazione possiamo dire che per ogni azione: Principio di assenza di arbitraggio. se π > 0 allora deve verificarsi che (VU − VL ) = 0 In altri termini, se un’impresa può cambiare il suo valore di mercato modi- ficando la struttura finanziaria, allora anche i singoli investitori, siano essi azionisti oppure obbligazionisti, possono effettuare operazioni analoghe di fi- nanziamento che generino profitti d’arbitraggio. Tuttavia, in presenza di mercati finanziari perfetti, il comportamento concorrenziale degli investitori elimina le opportunità di arbitraggio assicurando che VU = VL . • Per mostrare questo risultato partiamo dalla definizione: VU = SU (11) per l’impresa che ricorre al solo capitale azionario, e: VL = SL + B (12) per l’impresa indebitata. Mostriamo che se VU 6= VL allora esiste un’opportunità d’arbitraggio che può essere sfruttata dagli investitori. 10
5.1 Il caso VU > VL Supponiamo che: VU > V L In questa circostanza un investitore può costruire un portafoglio di attività finanziarie che generi un profitto positivo senza sostenere costi e rischi. Sup- poniamo, ad esempio, che un investitore possieda una quota 1−α dell’impresa non indebitata che vale VU . La tabella 5 descrive il rendimento di questa strategia di finanziamento e una possibile strategia di replica. Investimento finanziario rendimento a) Strategia semplice (1 − α) VU (1 − α) π b) Strategia di replica: compro (1 − α) az. SL (1 − α) (VL − B) (1 − α) (π − rB) vendo (1 − α) di B (1 − α) B (1 − α) rB Valore totale di (b) (1 − α) VL (1 − α) π Tabella 5. • Si noti che il rendimento della strategia semplice (a) e quello ottenuto dal portafoglio di replica (b) è uguale e pari a (1 − α) π. In questa condizione se VU > VL esiste un’opportunità di arbitraggio che può essere sfruttata. • Tale strategia d’arbitraggio si realizza vendendo le azioni (1 − α) VU e acquistando l’ammontare (1 − α) VL dell’impresa indebitata, ottenendo immediatamente il rendimento d’arbitraggio: (1 − α) (VU − VL ) > 0 Questa strategia non comporta rischi nè costi perchè alla scadenza, in entrambi i casi, si ottiene lo stesso rendimento (1 − α) π. • Può sopravvivere questa opportunità d’arbitraggio in un mercato fi- nanziario perfetto ed efficiente? Evidentemente no. Difatti, la per- fezione del mercato assicura che il comportamento concorrenziale di tutti gli investitori sposti la domanda dalle azioni dell’impresa U, ai titoli (azioni e debito) dell’impresa L. Questo meccanismo tende a fare 11
salire il prezzo di mercato delle azioni dell’impresa indebitata L, mentre allo stesso tempo tende a ridurre il prezzo delle azioni di U. Il processo di aggiustamento si arresta solo quando VU = VL . Giunti a questo punto gli investitori non hanno più incentivo a cambiare il loro portafoglio individuale. 5.2 Il caso VU < VL Vediamo ora cosa accade se VU < VL . Per mostrare che questa disuguaglianza non rispetta l’equilibrio, supponiamo che un investitore possieda una quota (1 − α) delle azioni dell’impresa indebitata L che hanno il valore SL = VL −B. Le strategie alternative d’investimento sono descritte nella tabella 6. Investimento finanziario rendimento a) Strategia semplice: (1 − α) (VL − B) (1 − α) (π − rB) b) Strategia di replica: compro (1 − α) az. SU (1 − α) VU (1 − α) π compro (1 − α) B di L − (1 − α) B − (1 − α) rB Valore totale di (b) (1 − α) (VU − B) (1 − α) (π − rB) Tabella 6. • Si noti che anche in questo caso il rendimento delle due strategie è uguale. Se VU < VL , l’investitore può ottenere profitti d’arbitraggio spostando il suo investimento dalle azioni dell’impresa L a quelle della impresa U. Con questa strategia si ottiene il rendimento pari a (1 − α) (π − rB) come nella strategia semplice (a), ma ora il prezzo da pagare per de- tenere il nuovo portafoglio finanziario è (1 − α) (VU − B) < (1 − α) (VL − B) da cui segue che: (1 − α) (VU − VL ) < 0 Quindi, finchè VU < VL vi sono opportunità di arbitraggio. Tuttavia, anche in questo caso se il mercato finanziario è perfetto ed efficiente la concorrenza garantisce che in equilibrio è verificato che VU = VL . 12
q V = πa / ρ V= π / ρ 1-q V = πb / ρ Figure 2: I movimenti di V nel caso binomiale 6 Il teorema MM e l’incertezza Fino ad ora ci siamo limitati a considerare il caso di certezza, assumendo che il valore del profitto sia una perpetuità. Abbiamo, inoltre, ipotizzato che esistano due imprese identiche e che la strategia d’arbitraggio si realizzi costruendo dei portafogli che generarano profitti positivi senza sopportarne i costi. Assumiamo ora che l’impresa operi in presenza d’incertezza che si mani- festa attraverso l’aumento oppure la diminuzione del reddito operativo futuro (RO) seguendo una distribuzione di probabilità binomiale. • Più precisamente, indichiamo con π il valore presente del profitto; con π a (a sta per alto) il suo valore futuro, se si verifica il migliore stato del mondo, e con π b (b sta per basso) il valore corrispondente nel peggiore stato del mondo. Assumiamo inoltre che π a > π b , e che i due eventi si verifichino con probabilità q ed 1 − q. • Se, dal secondo periodo in poi i rendimenti restano costanti, il cor- rispondente valore dell’impresa su un orizzonte infinito può essere cal- colato scontando la perpetuità al tasso ρ. L’evoluzione del valore reale dell’impresa nei diversi stati di natura è descritta nella figura 2 dall’albero di probabilità (binomiale) . Con questa formulazione del problema MM è possibile generalizzare la proposizione I, mostrando che l’esistenza di una sola impresa è suffi- 13
ciente per ricavare l’irrilevanza della struttura finanziaria. Il modello che costruiamo si fonda essenzialmente su due ipotesi: 1. Il mercato dei capitali è completo. 2. Si suppone che il processo stocastico delle azioni sia binomiale molti- plicativo nel senso che π a = π ∗ a e π b = π ∗ b, dove a e b sono due fattori moltiplicativi. La prima ipotesi implica che esiste mercati a pronti, futuri e contingenti, ovvero condizionati ai futuri stati del mondo, per ogni attività finanziaria. La seconda è invece un’ipotesi di comodo che consente di semplificare la trattazione analitica del problema. Per completare le informazioni assumiamo che l’impresa possa finanziarsi attraverso l’emissione di azioni. Il loro prezzo corrente è pari ad S, ed hanno un prezzo futuro che per l’ipotesi di distribuzione binomiale molti- plicativa sarà Sa oppure Sb a secondo degli stati del mondo che si realiz- zano. L’impresa può scegliere la sua struttura finanziaria emettendo anche il debito B, su cui paga un fattore d’interesse R = (1 + r) indipendentemente dallo stato del mondo che si realizza. Affinchè non vi siano opportunità d’arbitraggio, è necessario che nessuno dei due titoli risulti dominante: as- sumeremo perciò a < R < b. • Il nostro obiettivo è quello di mostrare che in presenza d’incertezza se i mercati finanziari sono completi e perfetti il valore reale dell’impresa può essere replicato da una struttura finanziaria scelta dai singoli in- vestitori; e che ove vi fosse differenza tra questi due valori, esisterebbe un’opportunità d’arbitraggio che il comportamento concorrenziale degli investitori tende a fare scomparire • Nel nostro caso le attività esistenti sono l’impresa di valore V, l’azione il cui prezzo corrente è S, e l’obbligazione B che offre il rendimento costante R. Assumiamo che al tempo corrente il valore finanziario dell’impresa sia dato dalla somma delle azioni con le obbligazioni, S+B, mentre nel periodo successivo quasta struttura può valere Sa+BR, op- pure Sb + BR (vedi figura 3). 14
q Sa+BR S+B 1-q Sb+BR Figure 3: Il portafoglio di replica. 1 0 Pa Pb 0 1 Figure 4: I prezzi delle attività “base” • Indichiamo infine con P a e P b i due fattori di sconti che devono essere applicati ai prezzi delle diverse attività finanziarie nei due alternativi stati del mondo, a e b, per calcolarne il corrispondente valore corrente. Questi prezzi “ipotetici” possono essere pensati come i prezzi di due attività “base” che al tempo corrente hanno un prezzo pari a P a op- pure P b , e che offrono un rendimento pari ad 1 solo se si realizza il corrispondente stato del mondo, e nullo nell’altro (figura 4).2 • Per ottenere il valore corrente di questi prezzi procediamo come segue. L’azione offre un rendimento Sa in uno stato e Sb nell’altro. Se un investitore compone un portafoglio con una quantità Sa del titolo che ha il prezzo P a e con Sb unità del secondo titolo, il portafoglio così 2 Per consuetudine gli asset che hanno queste caratteristiche prendono il nome di Arrow- Debreu securities, dal nome dei due economisti che per primi ne hanno definito le proprietà. 15
formato avrà gli stessi rendimenti dell’azione e quindi per la condizione di assenza d’arbitraggio deve avere lo stesso prezzo S al tempo corrente. Possiamo quindi scrivere che: S = SaP a + SbP b Allo stesso modo poichè le obbligazioni offrono il medesimo rendimento R nei due stati possiamo scrivere: B = BRP a + BRP b Mettendo a sistema queste due equazioni: ½ 1 = aP a + bP b (13) 1 = RP a + RP b ricaviamo i due prezzi base: R−b u−R Pa = , Pb = R (a − b) R (a − b) • Sappiamo già che il valore dell’impresa nei due diversi stati del mondo è V a e V b . Applicando i fattori di sconto appena calcolati deve dunque essere verificato che: V = V aP a + V bP b (14) Ma per la condizione di assenza d’arbitraggio deve anche essere vero che nei due diversi stati di natura il valore reale dell’impresa è uguale al valore della sua struttura finanziaria. Se così non fosse si verificherebbe un’opportunità d’arbitraggio. Difatti, supponiamo che in almeno uno stato del mondo il valore finanziario dell’impresa sia inferiore al valore reale della stessa, mentre nell’altro stato i due valori coincidono. Per esempio in a: V a − (Sa + BR) > 0 (15) In questa caso un investitore può ottenere un profitto d’arbitraggio nello stato a. La strategia d’arbitraggio richiederebbe di prendere a prestito al tempo corrente una somma B, e di farsi finanziare dagli azionisti il restante capitale di rischio S. Con queste fonti di finanziamento si 16
costituisce un’impresa di valore V. Nel periodo successivo, dopo avere pagato le azioni e rimborsato il debito, l’investitore ottiene un profitto d’arbitraggio che nello scenario b è nullo (i due valori coincidono per ipotesi), mentre in quello a è positivo e quantificato dalla relazione (15). • Il principio di assenza d’arbitraggio esclude questa possibilità impli- cando che la (15) deve valere con segno d’uguaglianza, e conseguente- mente che la (14) può essere riscritta come: V = (Sa + BR) P a + (Sb + BR) P b ovvero: ¡ ¢ ¡ ¢ V = aP a + bP b S + RP a + RP b B che applicando le due condizioni della (13) diviene: V =S+B In altre parole, se non debbono sussistere opportunità d’arbitraggio il valore corrente della struttura finanziaria deve essere uguale al valore corrente dell’impresa. La composizione della struttura finanziaria non modifica quindi il valore dell’impresa. 7 II◦ proposizione: il rendimento delle azioni Questa proposizione stabilisce che il tasso di rendimento delle azioni aumenta con l’aumentare della leva finanziaria. Più precisamente: Proposizione II. Il rendimento delle azioni è una relazione lineare cres- cente del rapporto d’indebitamento. Vediamo in dettaglio. • Sappiamo che il tasso di rendimento delle azioni per l’impresa non indebitata U coincide con il tasso di sconto del progetto reale ρ, ed è dato dall’espressione: π ρ= (16) VU dove π è il profitto (contabilmente il R0), e VU è il valore dell’impresa con solo capitale azionario. 17
• Il rendimento azionario dell’impresa indebitata è dato dall’espressione: π − rB π rB ra = = − (17) SL SL SL Moltiplicando e dividendo il primo termine della (17) per VU si ottiene: π VU rB ra = − VU SL SL ³ ´³ ´ e aggiungendo e sottraendo l’espressione VπU B SL si ricava: µ ¶ µ ¶ π VU B π B ra = − − −r VU SL SL VU SL µ ¶ π π B = − −r VU VU SL perchè per la prima proposizione VU = VL , e quindi VU − B = SL . Infine, sfruttando la (16) si ha che: B ra = ρ + (ρ − r) (18) SL • Quindi, il tasso di rendimento delle azioni (ra ) per un’impresa indebi- tata è uguale al tasso di rendimento delle azioni dell’impresa che non fa ricorso al debito (ρ) più un premio per il rischio (ρ − r) SBL che dipende dal grado d’indebitamento dell’impresa. Maggiore è la leva finanziaria, più alto è il rapporto SBL , maggiore il premio per il rischio richiesto dagli azionisti per detenere le azioni, e più elevato è il rendimento azionario ra . Questa relazione rispecchia le considerazioni sviluppate nel primo capitolo in cui abbiamo mostrato come l’aumento della leva finanziaria rende più rischiosa la posizione finanziaria degli azionisti perchè i loro diritti residuali sul valore dell’impresa diventano più variabili. Di con- seguenza, essi richiedono un più elevato rendimento per compensare il maggiore rischio. • Un utile modo di riscrivere la relazione (18) è il seguente: µ ¶ SL + B B ra = ρ− r SL SL 18
ra ρ r B/SL Figure 5: La relazione tra ρ, ra ed r ovvero: µ ¶ µ ¶ SL B ρ= ra + r (19) SL + B SL + B Quest’ultima espressione formalizza l’affermazione più volte detta che il rendimento reale dell’investimento ρ è invariante in presenza di vari- azioni della struttura finanziaria, quando il mercato dei capitali è per- fetto. L’espressione (19) è spesso denominata weighted average cost of capital (wacc), in quanto offre una misurazione del contributo relativo delle due diverse fonti di finanziamento al costo dell’investimento reale. • Le implicazioni generali della proposizione II sono indicate nella figura 5. La figura parte dal presupposto che il debito sia privo di rischio. Così r è indipendente dal rapporto tra debito ed azioni, mentre ra aumenta in funzione lineare all’aumentare di tale rapporto. 19
7.1 Indebitamento e rischio del rendimento azionario Per spiegare in maniera più formale questa relazione tra rendimento e rischio nel contesto MM riprendiamo l’espressione (18): B ra = ρ + (ρ − r) SL che come sappiamo può essere riscritta come: VL B ra = ρ− r SL SL In MM il debito non è soggetto ad incertezza, mentre il reddito operativo può essere incerto. Assumiamo dunque che il profitto π sia una variabile stocastica normalmente distribuita. Ovviamente, questo implica che anche il tasso ρ segue la stessa distribuzione di probabilità3 che noi caratterizziamo con la seguente ipotesi: ¡ ¢ ρ v N µ, σ 2 Quindi, la varianza del rendimento azionario è data dall’espressione: µ ¶2 2 VL σ ra = σ2 SL il che implica che σ 2ra > σ 2 perchè per definizione VL > SL . Ossia il debito accresce la rischiosità delle azioni.4 8 La relazione tra il modello MM ed il CAPM Il CAPM è una relazione di asset pricing che misura il rendimento atteso di un titolo in funzione del suo rischio sistematico. In sintesi, poichè l’investitore 3 Per spiegare questa implicazione basta ricordare che su un orizzonte infinito il valore dell’impresa che produce una perpetuità π è pari a V = π/ρ. Se vale il teorema di MM, il valore V è una costante e quindi possiamo anche scrivere che: π ρ= V Quindi se π è una variabile stocastica di tipo normale, anche ρ ha la stessa distribuzione di probabilità in quanto ne è solamente una trasformazione lineare. 4 Come abbiamo mostrato nel capitolo precedente, in presenza di debito il rischio dell’impresa è dato dalla somma del rischio economico con il rischio finanziario. 20
sceglie un portafoglio diversificato, la componente del rischio che deve essere considerata nel valutare il trade-off tra rischio e rendimento è la sola parte non diversificabile. Nel CAPM il rendimento atteso remunera solamente il rischio sistematico. Questa parte del rischio non diversificabile è misurata dal rapporto β i = σσim 2 , dove σ im è la covarianza tra l’attività i ed il portafogliodi m mercato m, mentre σ 2m è la varianza dello stesso portafoglio. In termini generali, il CAPM si esprime attraverso la seguente equazione: E(ri ) = r + β i [E(rm ) − r] dove E(ri ) è il rendimento atteso del titolo i, r è il tasso d’interesse non rischioso, ed E(rm ) è il rendimento atteso del portafoglio di mercato. Questa equazione è nota come Security Market Line (SML) ed esprime la relazione di equilibrio tra rendimento atteso e rischio sistematico di un qualsiasi asset. Come abbiamo visto in precedenza, il modello MM non fa invece dis- tinzione tra rischio sistematico e rischio non sistematico.5 E’ quindi impor- tante capire quale relazione esiste tra i due modelli. La figura 6 offre una rappresentazione grafica del modo in cui le due equazioni di valuazione pos- sono essere rappresentate. • Mentre per la SML il rendimento atteso cresce in funzione del rischio sistematico β delle attività che vogliono essere acquisite, Modigliani e Miller assumono che tutti gli investimenti effettuati dall’impresa ab- biano lo stesso rischio. Conseguentemente, il valore il tasso atteso di rendimento dell’impresa nel modello di MM è indipendente dalla com- ponente sistematica, e rappresentabile attraverso una retta orizzontale: il rendimento reale ρ, ossia il WACC, non cambia in funzione del rischio sistematico. E’, tuttavia, possibile ricondurre il modello di MM all’interno di uno schema di valutazione che tenga in considerazione il fatto che i progetti pos- sono avere rischi diversi, e dipendenti solamente dalla componente sistemat- ica del rischio (Hamada (1969) e Rubistein (1973)). • Con questo obiettivo in mente, manteniamo l’ipotesi di MM che il deb- ito non sia rischioso, ossia assumiamo che il beta del debito sia pari a 5 Questa accade perchè l’originario contributo di Modigliani e Miller è stato sviluppato in anticipo rispetto al CAPM. 21
E(Ri) SML WACC β Figure 6: La SML e il WACC zero, β B = 0. Teniamo, invece, presente che, mentre è possibile quan- tificare il rischio sistematico delle imprese indebitate, ovvero il loro β L , non è invece direttamente osservabile il corrispondente valore β U delle imprese che utilizzano solamente capitale azionario. • Derivare questa relazione è comunque possibile. Per fare ciò eguagliamo il rendimento atteso dalle azioni dell’impresa indebitata espresso alter- nativamente attraverso il CAPM e l’equazione di MM. Possiamo scri- vere: B r + β L [E(rm ) − r)] = ρ + (ρ − r) SL Poi sostituiamo sul lato destro dell’uguaglianza la relazione di CAPM per il rendimento reale ρ = ra dell’impresa non indebitata: B r + β L [E(rm ) − r)] = r + β U [E(rm ) − r)] + {r + β U [E(rm ) − r)] − r} SL Semplificando questa espressione si ottiene infine: · ¸ B βL = 1 + β (20) SL U 22
Questa relazione implica — in coerenza con le nostre precedenti con- siderazioni — che β U < β L . La principale implicazione della (20) è che dall’osservazione di β L si può ricostruire il beta dell’impresa che opera solamente attraverso il cash flow operativo, e questo valore dipende solamente dalla componente sistematica del rischio reale. • Quindi, per tenere in considerazione il fatto che il rendimento atteso dei nuovi investimenti può essere diverso dal WACC calcolato sui vec- chi progetti, è necessario stimare il β U che caratterizza il nuovo piano d’investimento come se l’impresa utilizzasse solo capitale proprio, per poi ricostruire il WACC del nuovo progetto considerando le diverse ipotesi d’indebitamento con l’ausilio della relazione (20). 8.1 Quando anche il debito è rischioso. Che cosa cambia nella I ◦ proposizione di MM se assumiamo che anche il debito sia rischioso? Dalle ipotesi elencate sopra sappiamo che il livello di leverage non influenza il reddito operativo (RO) dell’impresa. Perciò, fintanto che nel modello non vengono inserite altre frizioni, come per esempio i costi di bancarotta, non c’è nessuna implicazione per la proposizione di neutralità della struttura finanziaria nell’assumere che il debito sia rischioso (Stiglitz 1969). Per mostrare ciò, partiamo dall’osservazione che nel CAPM, se il debito è rischioso deve valere la seguente relazione: E(rB ) = r + β B [E(rm ) − r)] dove β B = σσBm2 . Inoltre, dalla equazione (17) possiamo scrivere che per m l’impresa indebitata il rendimento azionario è pari a: π − rB B ra = (21) SL ossia il rendimento dipende dal reddito netto (RN). • Ovviamente, in termini attesi il rendimento delle azioni può essere espresso con il CAPM. E’ utile riscrivere questa espressione come: E (ra ) = r + λ̂σ am (22) 23
E(rm )−r dove λ̂ = σ2m , e con: ½· µ ¶¸ ¾ π − rB B π − rB B σ am = E −E [rm − E(rm )] (23) SL SL 1 = [Cov (π, rm ) − BCov (rB , rm )] (24) SL • Ora sostituendo la (21) e la (24) nella (22) si ottiene la seguente espres- sione per l’impresa indebitata: E(π) − E (rB ) B = rSL + λ̂ [Cov (π, rm ) − BCov (rB , rm )] (25) • Seguendo la stessa procedura possiamo ricavare l’espressione corrispo- nente al caso in cui l’impresa non utilizzi il debito (B = 0, e SL = VU ). Si ha in questo caso: E(π) = rVU + λ̂ [Cov (π, rm )] (26) Sostituendo quest’ultima equazione per E(π) nella (25), e ricordando che VL = SL + B, si ottiene infine: VU = VL che è esattamente il risultato di MM. Quindi, l’esistenza di un deb- ito rischioso non può essere considerata di per se una condizione che conduce alla determinazione di una struttura ottimale del capitale fi- nanziario delle imprese. 9 III◦ proposizione: l’irrilevanza della polit- ica di dividendo Possiamo ora affrontare il problema della distribuzione dei dividendi e degli effetti che tale politica può avere sul valore dell’impresa e della sua struttura finanziaria. In particolare, vogliamo rispondere alle seguenti domande: 1. qual’è l’effetto di un cambiamento della politica dei dividendi sul valore della impresa, ferme restando le decisioni di investimento reale. 24
2. può la politica del dividendo influenzare la struttura finanziaria. Per affrontare questi problemi è utile isolare la politica dei dividendi dalle altre decisioni dell’impresa, ipotizzando che gli investimenti reali siano costanti e l’indebitamento nullo. Naturalmente, mantenendo fisse le spese d’investimento e l’ammontare del debito, la variazione del flusso dei divi- dendi pagati agli azionisti può avvenire solamente attraverso il riacquisto (emissione) di (nuove) azioni. Quindi, per politica dei dividendi si intende la scelta che l’impresa deve fare tra finanziare la distribuzione dei dividendi ricorrendo a una parte, o a tutto, dell’ammontare degli utili netti conseguiti in ogni periodo, oppure ricorrendo alla raccolta di liquidità attraverso l’emissione azionaria. 9.1 Il dividendo Prima di affrontare tecnicamente il problema relativo alla natura e alla dis- tribuzione dei dividendi è bene dare qualche definizione. • Il dividendo è il pagamento erogato agli azionisti. Il suo ammontare viene stabilito da chi amministra l’impresa, dopo avere decurtato dal reddito operativo (il profitto) i debiti che l’impresa ha contratto con i finanziatori esterni e le imposte sul reddito d’impresa. • I dividendi vengono erogati in molte forme. Il modo più usuale è quello di decurtare dal reddito netto un ammontare complessivo che diviso il numero delle azioni dà il dividendo per azione. • Il rapporto tra dividendo e reddito netto per azione è stato negli ul- timi trenta anni generalmente intorno al 40-50%. Ovviamente, dal punto di vista delle risorse finanziarie utilizzabili per realizzare i nuovi piani d’investimento, la distribuzione dei dividendi riduce le fonti di auto-finanziamento dell’impresa. Tale pagamento non ha però effetti sull’ammontare complessivo del capitale sociale in quanto non modifica il numero delle azioni in circolazione. • Il dividendo non è sempre distribuito in contante. Spesso le imprese offrono nuove azioni ai sottoscrittori. Tali azioni possono essere succes- sivamente rivendute dagli azionisti che ne ricevono un corrispondente 25
flusso di rendimento. Vi è però una netta differenza con il caso prece- dente. Poichè in questo caso il numero delle azioni aumenta, ed il val- ore di ogni singola azione, a parità d’investimento e d’indebitamento, si riduce. Si parla in questo caso di diluizione del capitale azionario. • Una terza forma di pagamento è il riacquisto delle azioni. Questo metodo di distribuzione dei profitti viene preferito, ad esempio, quando in presenza di una fase di rallentamento della crescita dell’impresa si determina un eccesso di liquidità interna. Oppure quando un piano di riacquisto delle azioni può frenare la caduta dei prezzi del titolo quotato in borsa.6 9.2 Alcuni fatti stilizzati Quattro osservazioni empiriche ricorrenti hanno alimentato il dibattito sulla importanza della politica di dividendo: 1. le imprese utilizzano una percentuale significativa dei propri profitti per distribuire dividendi 2. storicamente, il dividendo è stato la forma predominante di pagamento che le imprese hanno riservato agli azionisti 3. le imprese tendono a stabilizzare il dividendo nel tempo. In particolare, le variazioni dei dividendi seguono le variazioni dei profitti di lungo periodo; 4. il mercato reagisce positivamente all’annuncio di un aumento del divi- dendo, e negativamente ad un annuncio di una sua riduzione.7 Un semplice modello quantitativo che tenga conto di tutte queste ev- idenze empiriche può essere costruito ipotizzando che il profilo temporale della distribuzione dei dividendi segua un processo ad aggiustamenti parziali. 6 Vi sono diverse modalità di riacquisto. La più comune è l’offerta pubblica di acquisto (OPA) che viene realizzata attraverso l’interessamento di banche d’investimento che inter- mediano tra singoli azionisti (risparmiatori) ed impresa. 7 Questo accade perchè i dividendi possono essere interpretati come degli indicatori degli utili futuri dell’impresa. 26
• Se indichiamo con b il rapporto desiderato tra dividendo dt e il reddito netto RN per azione, il dividendo ottimale di lungo periodo può essere scritto come d∗t = (b) RNt + εt dove εt è un disturbo stocastico stazionario con media nulla, E(εt ) = 0, e varianza costante E(εt )2 = σ 2 , cioè una componente irregolare (white noise) che allontana in maniera non sistematica il dividendo effettivo da quello desiderato. • La dinamica di aggiustamento parziale della politica di dividendo è invece descritta dall’equazione: dt − dt−1 = λ (d∗t − dt−1 ) che, quindi, identifica la politica di dividendo di breve periodo. Sos- tituendo d∗t in quest’ultima espressione ed esplicitando per il dividendo al tempo t otteniamo la seguente equazione autoregressiva: dt = (β) RNt + (α) dt−1 + µt dove β = bλ, α = (1 − λ) , e µt = λεt . • Questa relazione mostra che il dividendo al tempo corrente è determi- nato, al di là delle oscillazioni imprevedibili del disturbo µt , dal reddito netto del periodo (RNt ) e dal dividendo del periodo precedente (dt−1 ). Se l’orizzonte temporale di programmazione parte dal tempo t = 0, risolvendo a ritroso quest’ultima equazione si ottiene: t X t X s dt = β α RNt−s + αs µt−s + αs dt−s s=0 s=0 Se nel primo periodo (s = t) il dividendo distribuito è pari a zero (dt−s = 0), il valore atteso del dividendo al tempo corrente è solo una media degli utili passati ovvero: t X E (dt ) = β αs RNt−s s=0 Pn i ¡ ¢ perchè per ipotesi i=0 α E µt−i = 0. 27
• Quindi, se questa ipotesi è corretta nel lungo periodo il dividendo è una media ponderata dei redditi netti correnti e passati. Alcuni studi empirici approfonditi hanno confermato questa ipotesi, mostrando che la struttura autoregressiva dei redditi netti può spiegare fino al 85% della variazione annuale dei dividendi. 10 La politica dei dividendi è irrilevante in un mercato perfetto Benchè l’equazione del paragrafo precedente ci offre una descrizione del modo in cui le imprese scelgono la politica di dividendo nel lungo periodo, nulla ci dice circa la relazione che lega il dividendo al reddito operativo e quindi al valore dell’impresa. Per quanto detto sopra, gli azionisti (la proprietà) hanno diritto a quella parte dei profitti che la gestione dell’impresa sceglie di dichiarare come dividendo. Evidentemente, a parità di quota percentuale dei dividendi distribuiti, l’azionista riceverà un pagamento tanto maggiore quanto più elevato è il profitto. 10.1 Dividendo e valore dell’impresa Iniziamo la nostra discussione con un inciso. Fino alla fine degli anni 50’ si riteneva che, anche sotto l’ipotesi di mercati perfetti, più elevato era il divi- dendo pagato agli azionisti e più elevato sarebbe stato il valore dell’impresa. Questa affermazione era basata sull’idea che il tasso di sconto applicato ai flussi di profitto generati da un investimento dovesse riflettere anche la po- litica di dividendo perseguita dall’impresa. • Il ragionamento da cui scaturiva questa conclusione era il seguente. Se un’impresa avesse annunciato un più alto dividendo per il peri- odo futuro questa dichiarazione doveva essere interpretata dal mercato come un segnale di rallentamento dell’attività futura d’investimento. A fronte di questo rallentamento si sarebbe registrata un’incertezza minore circa il livello dei profitti futuri che sarebbero derivati esclu- sivamente dalle attività produttive dell’impresa già in essere al mo- mento dell’annuncio. Quindi, benchè i dividendi futuri avrebbero po- tuto essere presumibilmente più bassi dei correnti, la minore incertezza si sarebbe immediatamente riflessa nella riduzione del tasso di sconto 28
che avrebbe, infine, più che compensato il decremento dei flussi futuri di cassa. Il valore scontato dei dividendi sarebbe dunque aumentato, e con esso il valore dell’impresa. Modigliani e Miller (1961) mostrano che questo ragionamento è errato. Più precisamente essi mostrano che: Proposizione III. Il valore di mercato di un’impresa è indipendente dalla sua politica di dividendo. • Per ottenere la proposizione d’irrilevanza della politica di dividendo, manteniamo le stesse ipotesi di mercato perfetto discusse in precedenza. Per semplificare l’analisi assumiamo però che l’impresa ricorra al solo capitale azionario. • In questo scenario, agli azionisti pervengono in ogni periodo t due flussi di rendimento: il dividendo dt e il guadagno (o perdita) in conto capitale vt+1 −vt vt , dove vt è il prezzo iniziale di una singola azione. Il rendimento complessivo che deriva dal possesso dell’azione è il tasso ρ che coincide il tasso di rendimento dell’attività reale dell’impresa. • Per l’intervallo [t, t + 1] possiamo quindi scrivere: dt+1 + vt+1 − vt ρ= vt Da questa espressione si ricava: 1 vt = [dt+1 + vt+1 ] (27) 1+ρ In questa forma vt è il valore corrente dell’azione al netto del dividendo pagato in t, dt+1 è il dividendo del periodo successivo, mentre vt+1 è il valore dell’azione in t + 1. Se nt è il numero di azioni in circolazione al periodo iniziale t, il valore complessivo delle azioni in circolazione è Vt = vt nt , mentre il corrispondente valore totale dei dividendi pagati in t + 1 è Dt+1 = dt+1 nt . L’equazione (2) può essere riscritta come: 1 Vt = [Dt+1 + vt+1 nt ] 1+ρ dove ora Vt rappresenta il valore dell’impresa. 29
• E’ importante notare che l’espressione vt+1 nt non rappresenta il valore delle azioni in t + 1 perchè in questo lasso di tempo potrebbe essere aumentato (diminuito) il numero delle azioni in circolazione (emissione o dismissione). Per tenere conto di questo fatto il valore Vt+1 deve essere scritto come: Vt+1 = vt+1 nt + vt+1 mt+1 (28) dove mt+1 misura l’aumento (diminuzione) del numero delle azioni nel periodo successivo. La (28) diviene: 1 Vt = [Dt+1 + Vt+1 − vt+1 mt+1 ] (29) 1+ρ perchè Vt+1 − vt+1 mt+1 = vt+1 nt . 10.2 Risorse e impieghi finanziari Per completare la nostra discussione si tenga presente che in ogni t i dividendi Dt rappresentano per l’impresa un impiego insieme ai costi variabili Ct e agli investimenti It , e che tali impieghi devono essere coperti dalle risorse finanziarie a disposizione dell’impresa che nel nostro caso sono rappresentate dai ricavi Rt e dall’emissione di nuove azioni vt mt . • In t + 1 deve essere quindi verificato che: Rt+1 + vt+1 mt+1 = Dt+1 + Ct+1 + It+1 (30) Dalla precedente discussione (vedi paragrafo 4) sappiamo che quando la politica d’investimento non cambia allora si verifica che It = Am, ovvero l’investimento è appena sufficiente a coprire le spese di ammor- tamento del capitale fisso. Da questa relazione si ricava che: −vt+1 mt+1 = ROt+1 − Dt+1 dove con ROt+1 indichiamo il reddito operativo dato dalla differenza Rt+1 − Ct+1 − Am. Sostituendo nella (29) si ottiene infine: 30
1 Vt = [ROt+1 + Vt+1 ] (31) 1+ρ • Quest’ultima è una equazione alle differenze finite del primo ordine a coefficienti costanti che può essere risolta iterativamente in avanti fino al raggiungimento del periodo finale. In t + 1 si ha: 1 Vt+1 = [ROt+2 + Vt+2 ] 1+ρ e sostituendo per Vt+1 nella (31) si ottiene: 1 1 1 Vt+1 = ROt+2 + 2 ROt+1 + Vt+2 1+ρ (1 + ρ) (1 + ρ)2 Se l’orizzonte di investimento dell’azionista giunge fino a T, sostituendo iterativamente fino a quasta data si ottiene la soluzione: XT ROt+i 1 Vt = i + Vt+T (32) i=1 (1 + ρ) (1 + ρ)T • Questa espressione afferma che un azionista compra al prezzo Vt il flusso di profitti ROt+1 più il valore attuale del futuro capital gain, (1 + ra )−T Vt+T , poichè al tempo T il valore delle azioni Vt+T è pari al valore scontato dei futuri profitti netti da quel periodo in poi. • Se l’orizzonte fosse infinito la (32) richiederebbe evidentemente che: 1 lim Vt+T = 0 (33) T →∞ (1 + ρ)T ovvero: X∞ ROt+i Vt = (34) i=1 (1 + ρ)i 1 essendo 1+ρ < 1. Questa è la condizione aggiuntiva di trasversalità che elimina la bolla speculativa che assicurerebbe all’azionista un profitto d’arbitraggio sempre positivo. Difatti, quando il tempo tende ad in- 1 finito se (1+ρ)T Vt+T > 0 ciò significherebbe che il valore dell’impresa cresce così velocemente da rendere conveniente acquistare le azioni con il solo scopo di rivenderle in futuro guadagnando l’incremento di valore. 31
• Si noti che, come nei due casi precedenti, quando gli investimenti non variano, e quando l’impresa opera in condizioni di certezza, il red- dito operativo diviene una perpetuità, che ci consente di semplificare l’equazione (32). Per un’orizzonte infinito e sotto l’ipotesi di perpetuità si ricava dunque: ∞ X RO RO Vt = i = (35) i=1 (1 + ρ) ρ ossia il valore corrente delle azioni è pari al valore scontato al tasso ρ del flusso infinito dei profitti netti RO. • Questa espressione è significativa in quanto mostra che il valore delle azioni, e quindi il valore dell’impresa, in t è completamente indipendente dalla politica di dividendo che si dichiara verrà applicata nei periodi successivi. Le sole variabili che determinano Vt sono il tasso di interesse ρ che prevale al tempo corrente e il profitto operativo. Si ha dunque che la politica di distribuzione dei dividendi è irrilevante per il valore dell’impresa. • E’ importante sottolineare che la proposizione d’irrilevanza della po- litica di dividendo si basa sull’ipotesi che gli investimenti dell’impresa rimangano costanti al trascorrere del tempo. In questa circostanza poichè i profitti non mutano e il debito è costante (pari a zero), l’unico modo di distribuire maggiori dividendi è quello di emettere nuove azioni e di utilizzare la somma di denaro incassata per pagare l’incremento di dividendo. Evidentemente, ciò non altera il valore dell’impresa, ma aumentando il numero delle azioni implica una diluizione del capitale azionario, e quindi una riduzione del valore della singola azione. I nuovi azionisti entrano in possesso di azioni che valgono meno di quelle preesistenti all’annuncio dell’aumento del dividendo, mentre i vecchi azionisti si ritroverranno con un pò più di denaro in tasca, ma con delle azioni che valgono rispettivamente meno in banca. Si noti comunque che per i vecchi azionisti le perdite in conto capitale sono esattamente compensate dal maggior dividendo. • Questa implicazione è chiaramente illustrata dalle relazione (29) e (28). Se i profitti uniperiodali non variano, i ricavi e i costi sono costanti, e se la politica di indebitamento non muta, l’unico modo per aumentare 32
il dividendo distribuito Dt+s è di accrescere vt+s mt+s , ovvero il valore delle nuove azioni che devono essere emesse (vedi eq.29). Ma ogni aumento in Dt+s determina una riduzione di vt+s nt = (Vt+s − vt+s mt+s ) cioè una diminuzione del valore dell vecchie azioni in circolazione nel periodo precedente (vedi eq.28) . 11 Equivalenza tra sconto dei dividendi e dei profitti Le precedenti relazioni possono aiutarci a ricavare qualche altra utile im- 1 plicazione. Riprendiamo l’equazione (27), vt = 1+r [dt+1 + vt+1 ] , che rap- presenta il valore di ogni singola azione espresso in funzione del dividendo futuro. E’ immediato mostrare (con successive iterazioni) che quando t tende a infinito: X∞ dt+i vt = (36) i=1 (1 + r)i • Questa relazione non ci deve trarre in inganno. Essa non significa che variazioni del dividendo modificano il valore vt dell’azione. Dal paragrafo precedente sappiamo, difatti, che se la politica d’investimento non cambia, ogni incremento di dt+i è esattamente compensato da una riduzione di vt+i . Quindi una variazione del livello di dt+i deve riflettersi in una variazione opposta del valore vt+i delle vecchie azioni. Quindi la politica di dividendo influenza solamente il profilo temporale della distribuzione dei dividendi, ma non il loro valore attuale. E’ infine immediato verificare che il valore di mercato dell’impresa è pari a X∞ Dt+i Vt = vt nt = (37) i=1 (1 + r)i dove Dt = dt nt . Quindi il metodo dei dividendi e quello dei profitti devono fornire lo stesso valore dell’impresa. 12 Valore e nuovi investimenti La proposizione d’irrilevanza della politica dei dividendi ci porta a concludere che se l’impresa si limita a mantenere costante lo stock di capitale nel lungo 33
periodo, e se l’indebitamento non muta, i flussi di profitto rimangono invariati al trascorrere del tempo. In queste condizioni un aumento del dividendo può solo creare un passaggio di ricchezza tra i nuovi e i vecchi azionisti, che ve- dranno quindi indebolita la loro posizione nell’impresa. Questo implica che per aumentare la ricchezza degli azionisti l’unica strategia è quella di realiz- zare nuovi progetti d’investimento. Può questa scelta inficiare la proposizione di irrilevanza della politica di dividendo in un mercato perfetto? • Per discutere questo punto prendiamo nuovamente in considerazione la formula (34). Indichiamo con: It = ∆Kt + Am l’investimento lordo che è dato dalla somma tra l’ammortamento (Am) con l’investimento netto ∆Kt che ipotizziamo sia positivo (∆Kt > 0). Indichiamo con: π t+i = R0t+i − ∆Kt+i il profitto operativo al netto della spesa per nuovi investimenti, dove come di consueto ROt è il profitto operativo, mentre ∆Kt sono gli investimenti netti sostenuti nel stesso intervallo di tempo. Sulla base di questa definizione la (34) può ora essere riscritta come: ∞ X π t+i ∞X ROt+i − ∆Kt+i Vt = i = (38) i=1 (1 + ρ) i=1 (1 + ρ)i ossia il valore dell’impresa è dato dalla somma del valore attualizzato del RO meno la spesa in nuovi investimenti. • Evidentemente, i nuovi investimenti sono realizzati solamente se deter- minano un incremento dei profitti futuri, ossia un aumento del reddito operativo. Supponiamo quindi che ogni nuovo investimento realizzato in t + 1 generi a partire dal periodo successivo t + 2 un flusso aggiuntivo di profitto che ha un valore pari a γ∆Kt , con 0 < γ < 1. In t + i con i = 2...T si ha dunque che: R0t+2 = R0t+1 + γ∆Kt+1 R0t+3 = R0t+2 + γ∆Kt+2 = R0t+1 + γ∆Kt+1 + γ∆Kt+2 ......................... 34
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