L'auto-addomesticazione umana - Una teoria di Richard Wrangham - Ricerca a cura di: Spark (e-learning)

Pagina creata da Riccardo Brambilla
 
CONTINUA A LEGGERE
L'auto-addomesticazione umana - Una teoria di Richard Wrangham - Ricerca a cura di: Spark (e-learning)
L’auto-addomesticazione umana
            Una teoria di Richard Wrangham

Ricerca a cura di:
Cattaneo Pietro, Frigerio Pietro
L'auto-addomesticazione umana - Una teoria di Richard Wrangham - Ricerca a cura di: Spark (e-learning)
Desio, 27 marzo 2020
Premessa:
                                                                       (Curato da Frigerio P.)

Questa ricerca tenta di proporre un approccio interdisciplinare tra la materia di Storia
e quella di Geografia riallacciandosi, per quanto riguarda la prima, all’argomento della
preistoria, esaminato all’inizio dell’anno in corso; riguardo alla seconda, il chiaro
collegamento è al tema delle interrelazioni, pacifiche e non, tra gruppi sociali,
ricorrente quando si prende in considerazione comunità sia omogenee sia eterogenee.
Il progetto è partito dalla lettura del primo articolo citato nella bibliografia,
evolvendosi poi sino al prodotto finito qui presentato.

Svolgimento:
                    (Contenuto curato da Cattaneo P., revisione effettuata da Frigerio P.)
                                           (Layout e formattazione curati da Frigerio P.)

La formulazione della teoria di Wrangham è partita da una domanda filosofica molto
discussa: “L’uomo si può considerare buono o cattivo?”. L’autore ha cercato di
affrontare il problema seguendo una via inedita e alternativa, tentando un approccio
alla questione attraverso l’osservazione di gruppi di primati e la ricerca in campo
antropologico e genetico. Il biologo segue difatti uno studio curato da due propri
studenti su una comunità di scimpanzé a Kanyawara, nel Kibale National Park
(Uganda), dove si monitorano e registrano molti tratti sociali del gruppo di primati.

È proprio applicando un moderno concetto biologico che l’uomo si trova di fronte alla
necessità di un’importante riformulazione della domanda di partenza: secondo questa
scienza, infatti, nelle specie animali più evolute è possibile riconoscere un tipo di
violenza “reattiva”, ossia istintiva e dettata dai riflessi, e un tipo di violenza “proattiva”,
cioè pianificata e premeditata. È perciò d’obbligo riformulare la domanda, tenendo
conto dello stretto legame tra il concetto di violenza e quello, più esteso, di crudeltà; è
anche importante notare come l’uomo sia scarsamente capace di violenza reattiva se
comparato alle specie più simili a lui, mentre spesso non esiti a organizzare guerre,
genocidi o assassinii, segnali invece di un’acuta violenza proattiva. Anche molte altre
specie animali sviluppate sono pienamente dotate sia della prima sia della seconda:
basti pensare ai mammiferi predatori, capaci sia di immediata autodifesa, sia di
organizzare cacce in gruppo secondo uno schema preciso ed efficace. La domanda,
ridefinita, suonerebbe dunque così: “Come mai l’uomo spesso non esita ad organizzare
eventi violenti, tuttavia fatica a dimostrare ostilità istintiva verso i propri simili?”

La teoria sviluppata ha ipotizzato che nelle comunità proto-umane, nel corso dei
millenni, sia avvenuta una sorta di auto-addomesticazione, che ha cambiato,
attraverso una involontaria selezione artificiale, il patrimonio genetico umano. Il
fenomeno, nella sua eventualità, sarebbe simile a quello avvenuto con la razza canina,
che in poche generazioni ha cambiato l’aspetto, la modalità di interazione con l’uomo
e il comportamento di una specie ben più aggressiva della sua moderna discendenza.
La veridicità di questa - non più - teoria riguardo al rapido cambiamento canino è stata
peraltro recentemente provata dalla conclusione dell’esperimento sulle volpi bianche,
iniziato da Dmitry K. Belyaev nel 1959 e poi proseguito da alcuni suoi allievi,
all’Institute of Cytology and Genetics di Novosibirsk, in Siberia; il progetto del biologo
ha infatti, attraverso un controllato metodo di selezione degli individui e di
accelerazione dei processi sociali, distinto dall’iniziale specie selvatica una razza ben
meno aggressiva e capace di sopravvivere nel proprio habitat originario, nonché
sorprendentemente simile al “nostro” cane.

Secondo Richard Wrangham, l’uomo dei primordi avrebbe dunque ridotto i geni che
implicavano atteggiamenti aggressivi da parte dell’individuo che li possedeva
eliminandoli progressivamente. A supporto di quest’idea, ci sono tre ragionamenti
principali, che si fondano tutti sul presupposto che non sia il singolo a portare i geni
evolutivi, bensì la comunità mediamente ristretta. È infatti geneticamente probabile
che nel lungo termine non sia un solo elemento a originare dei geni “nuovi”, bensì il
gruppo, insediatosi in un luogo dalle particolari condizioni, che richiedono un
necessario adattamento; in un contesto sociale ristretto e chiuso, inoltre, le probabilità
di una generazione successiva più largamente partecipe del nuovo cambiamento
aumentano, in quanto il gene “rivoluzionario” ha più libertà di circolazione e di
diffusione.

Dunque, le tre argomentazioni da lui fornite sono le seguenti:

1. In primis, possiamo affermare che nelle piccole comunità primitive, come in alcune
   tribù odierne non ancora raggiunte dalla modernizzazione, non vigessero ruoli di
   autorità dalla possibilità di garantire una convivenza pacifica e la soppressione di
   comportamenti svantaggiosi per la totalità degli individui: l’assenza di leggi
   imponeva la necessità, per far cessare un comportamento poco proficuo al gruppo,
   di eliminare o aggredire fisicamente il “pericolo” a causa della mancanza di un
sistema che assicurerebbe alternative per la cancellazione del comportamento
   dannoso. Inoltre, nelle stesse comunità preistoriche, spesso la mancanza di un
   linguaggio già completamente articolato impediva alternative verbali allo scontro
   fisico, sia tra l’elemento tossico ed il gruppo nel suo insieme, sia tra due elementi
   singoli.

2. In secondo luogo, l’uomo è ad oggi l’unico essere vertebrato in grado di
   organizzare in gruppo l’eliminazione di un proprio simile, e questo dato ci può
   permettere di ipotizzare che non sia un caso che l’unico animale in grado di
   sopprimere volutamente propri simili sia anche l’unico ad essersi evoluto
   riscontrando una riduzione della propria ostilità nei confronti di pericoli esterni.

3. Infine, analizzando la natura dell’uomo valutando le specie a lui più vicine e il loro
   percorso evolutivo, si nota che i due primati dai comportamenti più simili a quelli
   umani sono gli scimpanzé ed i bonobo. Entrambi dotati di intelligenza ben sopra la
   media delle razze simili, si contraddistinguono l’uno dall’altro per il tipo di
   organizzazione sociale, profondamente differente nei due casi: gli scimpanzé sono
   infatti più propensi all’utilizzo di utensili, sottomettono le figure femminili, si
   trovano spesso in conflitto con i gruppi rivali ed infieriscono su individui del proprio
   “branco” se commettono errori; i bonobo invece, meno favorevoli alla
   realizzazione di strumenti, sono molto più amichevoli verso i propri simili e verso
   specie esterne, se non si dimostrano aggressive, e prediligono comportamenti
   costruttivi, privilegiando la riproduzione sessuale in molti dei propri gesti
   quotidiani. Curiosamente, per questo motivo questa seconda razza di scimmia è
   stata inizialmente cacciata, sterminata e censurata, anche per i frequenti
   accoppiamenti omosessuali, e successivamente pubblicizzata ironicamente, quasi
   con il fine di stereotipatarla.
   Secondo i dati archeologici ed antropologici attualmente in nostro possesso,
   l’ultimo antenato comune a queste due specie e all’uomo è vissuto tra i sei e gli
   otto milioni di anni fa; da questa specie quasi generalmente sconosciuta, si è poi
   distaccato il ramo da cui si sono originati gli odierni bonobo. Sono quindi gli
   scimpanzé ad avere l’ultimo antenato comune con l’umanità, benché non sia
   ancora chiaro quando sia avvenuto esattamente il distacco definitivo.
   È quindi comprensibile che l’uomo, anche razionalizzando il proprio pensiero, abbia
   preferito la violenza per porre fine alle abitudini nocive di alcuni piuttosto che
   cercare un metodo di confronto. Chiaramente, per questioni di sintesi, i
   comportamenti delle due specie sono stati un po’ stereotipata; è tuttavia
   innegabile la natura più violenta negli scimpanzé e più pacifica nei bonobo.
Ovviamente, nonostante l’accuratezza delle argomentazioni di Wrangham, né lui né la
comunità scientifica pretendono che questa teoria sia accettata come definitiva; la
decisione è dovuta alla palese mancanza di prove conclusive dissipanti ogni contro-
argomentazione o dubbio, assenza che impedisce, come voluto dal metodo scientifico
sperimentale galileiano, di considerare l’idea una tesi completa. La teoria riguardante
l’evoluzione collettiva, inoltre, per quanto accreditabile, non è ancora stata provata
definitivamente: perciò alcuni esperti la contestano ancora apertamente,
compromettendo di riflesso anche la stessa teoria di Wrangham, almeno ai propri
occhi. Difatti, qui si trova il maggior punto debole nelle argomentazioni del biologo.
 Il suo ideatore ritiene però che, essendo stata accettata la teoria evoluzionista da
poco più di un secolo (Darwin pubblicò L’origine della Specie nel 1859, tuttavia ci
vollero molti anni perché la comunità scientifica del tempo abbandonasse le proprie
idee creazioniste) e possedendo noi gli strumenti necessari per effettuare ricerche
approfondite solo da pochi decenni, probabilmente entro la fine del centenario
l’evoluzione comportamentale umana sarà stata studiata approfonditamente, e
saranno esaurite le possibilità di compiere vere e proprie rivoluzioni in questo ambito
di ricerca. Il ricercatore crede dunque, come affermato in numerose interviste, che in
poco più di una decina d’anni la teoria dell’auto-addomesticazione sarà stata
confermata da studi trasversali: ciò è già accaduto in parte, come dimostra una
recentissima ricerca, la cui scoperta consiste nell’individuazione di un gene, nominato
BAZ1B, che ci distingue profondamente da Neanderthal e Denisoviani e che ha
un’altissima probabilità di essere coinvolto proprio nel processo auto-addomesticativo
umano. Il progetto, nato dalla collaborazione fra l’Istituto Europeo di Oncologia e
l’Università Statale di Milano, ha infatti evidenziato la somiglianza tra la differenza
genetica tra lupi e cani odierni e quella tra l’uomo odierno ed i propri antenati. È
importante specificare che la maggior parte dell’influsso del gene riguardi i tratti
somatici del volto, però anche una concreta parte legata alla socialità ne viene
interessata.

I nostri commenti:

Abbiamo scelto di comune accordo, per non incorrere in disagi dovuti ad un’eventuale
disparità di opinioni ed evitare comunque di inserire il nostro pensiero solo in parte, di
formulare ciascuno il proprio commento.

                                                                   (Curato da Frigerio P.)
Secondo me la teoria di Wrangham non è totalmente corretta: infatti lui parla di una
selezione genetica che ha reso l’uomo come è ora, meno violento. A parer mio l’uomo
è riuscito a divenire più pacifico anche seguendo un processo di acculturazione,
durante il corso di tutta la storia dell’umanità, arrivando a ciò che siamo ora tramite lo
sviluppo di valori morali secondo cui è sbagliato uccidere ed assumere un
comportamento violento. È abbastanza chiaro però che mai l’umanità raggiungerà uno
stato di assoluta pace e tranquillità, ogni generazione dovrà combattere guerre o
adattarsi a situazioni di difficoltà, ed è proprio ciò che farà evolvere la specie. È sempre
stato così, ogni generazione ha uno o più personaggi che spiccano sopra gli altri per
intelligenza, autorità o violenza, e tuttora ci stiamo evolvendo; quando supereremo
questo momento di urgenza mondiale saremo più evoluti, e per anni saremo pronti a
tutto. Tuttavia, poi arriverà qualcosa che ci metterà in gioco per spronarci ad evolverci,
ad adattarci: è su questo che si basa il concetto di evoluzione. Non raggiungeremo mai
un livello di assoluta pace nel Mondo; in ogni parte della Terra si ha avuto necessità di
ogni genere e ciò ha portato - e ci porterà - a cambiamenti che molto probabilmente
comprenderanno guerre e violenze, stati di incredibile carenza igienica che porteranno
malattie, dilemmi economici e politici che sfoceranno in conflitti. Ci sarà un vincitore
che diverrà sempre più potente, assumendo autorità, ma prima o poi incontrerà
qualcuno di più potente, più violento o più aggressivo, e ci saranno nuove guerre.
Insomma: un circolo vizioso da cui non usciremo mai e che mai finirà in uno stato di
pace. La violenza esisterà sempre, e sicuramente non riusciremo a estinguere ogni
forma di violenza solo con una selezione genetica: ci serve qualcosa di più che ora non
abbiamo, oppure abbiamo bisogno di un processo di evoluzione dei principi e dei valori
molari che porteranno la nostra cultura e la nostra mente ad un livello molto più
elevato, ma ora non possiamo fare molto. Ciò perché dovremmo cambiare le menti
degli uomini più potenti al mondo, ma ciò non è possibile: saranno loro a raggiungere
uno stadio avanzato di cultura e di esperienza che cambierà i loro principi morali.

                                                                   (Curato da Cattaneo P.)

Concordo pienamente con Pietro per quanto riguarda l’idea che l’auto-
addomesticazione non sia l’unica via attraverso la quale l’umanità abbia raggiunto
l’odierno stato di innocuità relativamente alla violenza reattiva: è d’obbligo infatti
puntualizzare che ci siano anche stati dei contesti culturali e sociali che hanno
permesso di sviluppare concetti etici che avrebbero vietato, nel proprio evolversi,
l’assunzione dei comportamenti che il ragionamento oggettivo di Wrangham definisce
come “dannosi” per la società in cui si collocano. È grazie a queste leggi, inizialmente
non verbali, in seguito ufficializzate ed infine scritte, che l’umanità è riuscita a
raggiungere nel suo complesso una progressiva diminuzione della violenza.
Nonostante i terribili conflitti che tuttora opprimono il mondo, infatti, è stato
constatato che viviamo nel periodo globalmente più pacifico degli ultimi millenni della
storia dell’umanità; sebbene l’idea che nel corso della propria evoluzione l’uomo abbia
raggiunto dei risultati così poco soddisfacenti possa portare a sconforto, ciò dimostra
comunque come ci sia stato effettivamente un calo dei comportamenti violenti
affiancato allo scorrere del tempo, nel lungo termine. Ciononostante, è abbastanza
scontato che la razza umana sia ben lungi dall’aver raggiunto un risultato appagante, e
che faticherà a raggiungerlo nel breve termine: l’uomo resta pur sempre un animale,
agli istinti del quale è legata una violenza intrinseca molto difficile da sradicare; a
riprova di ciò, possiamo osservare che, nei momenti di panico, in cui a prendere il
controllo non è più la nostra parte razionale, bensì quella più istintiva, vengano assunti
comportamenti molto spesso sconvenienti e talvolta anche apertamente violenti (lo si
è mestamente constatato anche in relazione alla recente cronaca).
Infine, personalmente non credo, come affermato da Richard Wrangham, che entro la
fine del secolo sia possibile esaurire la possibilità di formulare teorie rivoluzionarie nel
campo biologico e antropologico. Difatti, ritengo che il progresso scientifico, come
dimostrato in passato, non sia indipendente per ogni propria disciplina, bensì che si
trovi avvantaggiato dai molti scambi di informazioni tra di esse. In questo modo, com’è
quasi successo per la scoperta del gene BAZ1B, una scoperta mediocre affrontata con
un approccio alla genetica può confermare una teoria sensazionale nel campo
dell’antropologia. Può accadere, però, che la convinzione dell’esaurimento delle
possibilità di trovare nuove informazioni freni il progresso scientifico, come avvenuto
con il cosiddetto “Ipse dixit”, ossia il rendere incontestabile un concetto perché
affrontato e ritenuto risolto nel passato, come accadde con il pensiero di Aristotele.
Addirittura, per citare un esempio da noi già esaminato grazie alla materia di chimica, il
filosofo, contestando la teoria atomica di Democrito, ostacolò la ricerca scientifica per
secoli, sino all’arrivo di John Dalton, Antoine Lavoisier e Joseph Proust, che
confutarono la sua ipotesi che supponeva che la materia fosse divisibile all’infinito e
costituita da soli quattro elementi. Dunque, per garantire una più realistica visione di
quanto ci circonda, è fondamentale continuare la ricerca scientifica in ogni campo sino
all’approfondimento massimo.

Bibliografia e Sitografia
                                                                   (Curata da Cattaneo P.)

Ferrari M., Che cosa ho capito dell’animo umano, in “Focus”, a. XXI, n. 328, febbraio
   2020.
Wrangham R. Il Paradosso della Bontà. La strana relazione tra convivenza e violenza
   nell’evoluzione umana, Milano, Bollati Boringhieri, 2019.
https://www.spreaker.com/show/il-gorilla-ce-lha-piccolo (il titolo del podcast può
   sembrare volgare o offensivo, ma in realtà è tenuto da biologi dalla lunga esperienza
   e si rivela informativo con la massima credibilità).
Puoi anche leggere