JONA CHE VISSE NELLA BALENA - Archivio Nazionale ...
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JONA CHE VISSE NELLA BALENA Italia-Francia, 1993 dur. 93’ Sceneggiatura:Roberto Faenza, Hugh Fleetwood, Filippo Ottoni. Produzione:Gianna Bellavia, Elda Ferri, Muse, Áron Sipos, Dénes Szekeres. Fotografia: János Kende. Montaggio: Nino Baragli. Musica: Ennio Morricone. Scenografia: Maria Ivanova, Laszlo Gardonyi. Costumi: Elisabetta Berardo. Interpreti: Luke Petterson (Jona a 4 anni), Jenner Del Vecchio ( Jona a 7 anni), Jean-Hughes Anglade ( Max il padre), Juliet Aubry (Hanna, la madre), Francesca De sapio ( la signora Daniel), Djoko Rosic ( il signor Daniel). Distribuzione: Mikado. Tratto dal romanzo "Anni di infanzia" di Jona Oberski. IL FILM SHOAH Amsterdam, 1942. Jona ha quattro anni e vive Shoah è una parola ebraica che significa «catastrofe», insieme ai suoi genitori ebrei. Un giorno il piccolo e ha sostituito il termine «olocausto» usato in viene portato via dai nazisti insieme alla madre , precedenza per definire lo sterminio nazista, perché che riesce a mostrare un visto per la Palestina. Così con il suo richiamo al sacrificio biblico, esso dava vengono lasciati andare e ritornano a casa. La implicitamente un senso a questo evento e alla morte, situazione è di relativa tranquillità fino a quando la invece insensata e incomprensibile, di sei milioni di famiglia è costretta al trasferimento prima nel persone. La Shoah è il frutto di un progetto campo di smistamento di Westerbrock, e poi a d’eliminazione di massa che non ha precedenti, né Bergen-Belsen, un campo di transito in Germania. paralleli: nel gennaio del 1942 la conferenza di Qui i genitori possono vedersi sempre più Wansee approva il piano di «soluzione finale» del raramente e il padre muore per gli stenti. Mentre la cosiddetto problema ebraico, che prevede l’estinzione madre di Jona è gravemente ammalata vengono di questo popolo dalla faccia della terra. Lo sterminio nuovamente trasferiti, ma il convoglio viene degli ebrei non ha una motivazione territoriale, non è bombardato e i sopravvissuti sono liberati determinato da ragioni espansionistiche o da una per dall’Armata Rossa. La mamma muore e Jona viene quanto deviata strategia politica. È deciso sulla base affidato ai vecchi amici dei genitori ad Amsterdam. del fatto che il popolo ebraico non merita di vivere. È una forma di razzismo radicale che vuole rendere il Premi mondo «Judenfrei» («ripulito» dagli ebrei). 3 David di Donatello (regia, musica e costumi), Ciak d’oro (montaggio), Premio Unicef, Premio Lowentahl Elena, La Shoah, il giorno della memoria LA STAMPA 27/01/2013 Efebo d’oro
Campi di concentramento Utilizzati agli inizi del Novecento come prigioni di guerra per recludervi militari o civili dei paesi nemici, i campi di concentramento sono stati poi usati dai regimi totalitari per rinchiudervi coloro che, per ragioni razziali o politiche, erano considerati nemici da eliminare. In questa versione i campi di concentramento sono divenuti campi di lavoro, dove la disumanità del trattamento conduceva spesso alla morte, o campi di sterminio, dove si procedeva alla sistematica uccisione dei prigionieri Enciclopedia dei ragazzi Treccani Wikimedia.org Tutto ha inzio a Mokum, il nomignolo con cui gli ebrei olandesi indicano Amsterdam. “Mokum” significa centro della terra e rende splendidamente l’idea di un mondo concepito a misura del suo piccolo abitante: come accade nell’infanzia, il luogo dove si vive è il centro dell’universo. Di esso si posseggono soltanto poche immagini generiche, sicure nella loro immobilità: si tratta delle viste dai ponti, sui canali e le barche. Sin dalle primissime immagini del film, la narrazione si dipana lungo il filo del ricordo, per mezzo della voce narrante fuori campo del piccolo Jona. Le soggettive che Faenza sceglie di attribuire al bimbo sono individuate in funzione di distillare selettivamente dei momenti privilegiati, che più forti sono affiorati dalla memoria: così il primo piano del volto di Jona, inconsapevole e innocente, precede lo sguardo sui genitori che si baciano dopo il ritorno a casa. Sono tante piccole visioni quotidiane, piccoli squarci di meraviglia dove la vista funziona come attrazione per il colore e l’armonia delle forme. Jona non coglie il significato delle cose: il ragazzo più grande che distrugge i suoi giochi, quell’enorme stella di cartone giallo che bisogna portare sulla giacca, il litigio della mamma con il verduriere che non può più venderle gli ortaggi, il papà che scrive a macchina a casa del signor Daniel. (…) La cinepresa raramente si muove, se lo fa è semplicemente per descrivere i semplici spostamenti dei genitori, su e giù per la casa, affannati perché ci sono i soldati tedeschi. Il vociare urlante e sovrapposto di questi ultimi nella loro lingua è il segno sonoro di tutta l’incomprensione del piccolo Jona. ( Umberto Mosca, Cineforum 323, n.4-Aprile 1993 pp 80-84) La prigionia del piccolo protagonista e dei suoi genitori era particolare: stavano in un settore del Lager di Bergen-Belsen riservato a quelle persone ebree già fornite di visto d’ingresso in Palestina che non venivano volontariamente massacrate ma usate come elementi di scambio con i prigionieri tedeschi. I patimenti erano quindi meno crudeli, nell’infermeria potevano esserci lenzuola nei letti, in cucina il cuoco poteva permettere ai bambini di raschiare il cibo rimasto sul fondo delle pentole, i prigionieri indossavano i propri abiti e non la divisa rigata: “Anche Anna Frank morì nella baracca accanto a quella di Jona Oberski”, informa Faenza. La bellissima fotografia dell’ungherese Janos Jende illumina di luce differente le parti diverse della storia: i toni brunodorati e caldi della pittura olandese ricreano la magi della prima infanzia nella casa di Amsterdam con i giovani genitori, ricordata come un incantesimo felice; il bianco abbacinante e decolorante della neve domina il campo di concentramento in cui il bambino impara a soffrire e a sopravvivere, gioca a beffeggiare i tedeschi, cerca di farsi accettare dagli altri bambini, vede morire suo padre; colori misti evocano nell’ultima parte la chiara allegria fiabesca e disneyana al momento dell’uscita dal Lager, le ombre rembradtiane della morte della madre folle e devastante come una bufera, la disperazione e il rifiuto della vita che ne segue per il bambino, il suo lento riprendere e accettare l’esistenza. (Lietta Tornabuoni, LA STAMPA, 23/04/1993)
Poi l’arrivo al campo, con quell’immagine – dal punto di vista narrativo francamente spiazzante – dei soldati tedeschi che Gam-Gam-Gam Ki Elekh riprendono con la cinecamera l’arrivo dei deportati. Sono i giorni della musica e dei canti, di quella canzone che la Be-Beghe Tzalmavet mamma gli canta sempre, che Jona non sa cantare con i Lo-Lo-Lo Ira Ra bambini della sua classe, e che parla di quell’altro Jona che visse nella pancia della balena. Il campo di concentramento è Ki Atta Immadì (2 volte) deputato di ogni bruttura, filtrato dallo sguardo armonizzante del bimbo, capace di cogliere qualsiasi dato negativo che vada Šivtekhà umišantekhà al di là del dato sensoriale. Le cose che accadono (la maestra portata via dai soldati) sono soltanto strane non spiacevoli. E Hema-Hema yenahmuni siffatta scelta stilistica si fa ancora più interessante nel momento in cui diventa portatrice di un’affermazione che va Anche se andassi oltre alla semplice coerenza di sguardo del personaggio. Faenza nella valle oscura sottolinea infatti come si sia sempre pensato che i lager fossero non temerei alcun male, mostruosi, aberranti, abnormi: fuori di noi, quindi, irripetibili. perché Tu sei sempre con me; È questa la cornice culturale in cui sono sempre stati inquadrati, anche nella stessa letteratura di Primo Levi: ma Perché Tu sei il mio bastone, il mio supporto, oggi basta vedere le immagini della violenza esercitata Con Te io mi sento tranquillo. sull’infanzia, di quanto accade nella ex-Juglosavia, per capire che non è vero, che il mondo dello sterminio non è inumano ma appartiene a tutti. ( Umberto Mosca, Cineforum 323, n.4-Aprile 1993 pp 80-84) Guarda sempre in alto e non odiare mai nessuno: così dice a jona la madre. Glielo dice una prima volta ad Amsterdam, quando intorno a loro il cerchio dell’odio comincia a stringersi e glielo ripete quando quel cerchio è stato spezzato dal crollo del nazismo. A questa esortazione si mantiene fedele il cinema di Roberto Faenza: il suo “sguardo” non si lascia vincere dalla tentazione dell’odio, ha il coraggio di mantenersi ben più in alto delle cose orribili che tuttavia con dolore, vede e mostra. (Roberto Escobar, Il sole 24 ore, 18 aprile 1993) Ci sono scene che racchiudono il senso di un intero film. Roberto Fanza, allontanandosi per un attimo dalla pagina scritta, ne inventa una molto bella per il finale: si vede il piccolo Jona, visitato in sogno dal padre, che sale incerto sulla bicicletta rossa regalata dai genitori adottivi dopo essersi sbbeverato come una bestiolina a quella tazza di caffelatte prima sdegnosamente rovesciata sul tappeto. È il momento più alto di un film non completamente riuscito, ma raccomandabile per il pudore con cui Roberto Faenza e il cosceneggiatore Filippo Ottoni traspongono sullo schermo il romanzo autobiografico di Jona Oberski Anni di infanzia conservandone il tono di fresca testimonianza infantile. A parte il finale e l’episodio della liberazione, Jona che visse nella balena segue fedelmente le tracce del libro, parafrasandone le situazioni salienti, dentro una narrazione quieta e soggettiva che restituisce l’atroce “normalità” della deportazione. Naturalmente il problema è sempre lo stesso: si può filmare un campo di concentramento? (Michele Anselmi, L’Unità, 2 aprile 1993) Jona Oberski è un uomo sorprendentemente sereno, uno sguardo limpido e pieno di curiosità dietro le lenti cerchiate di metallo. Eppure, questo signore cinquantacinquenne (ora ottantenne), residente ad Amsterdam e di professione scienziato, è praticamente cresciuto in un campo di concentramento. La sua lacerante esperienza l’ha raccontata in un libro pieno di speranza, Anni di infanzia, pubblicato nel ‘78, che ora è diventato un film, Jona che visse nella balena. (…) Per spiegare la sua serenità, quasi lunare, Oberski dice semplicemente: “ Ognuno di noi ha vissuto esperienze negative e ognuno di noi ha il compito di superarle. Non c’è un’ora della mia vita in cui io non ripensi a quegli anni, ma nonostante questo c’è in me quella forza vitale, forse grazie all’amore dei miei genitori”. ( Cristiana Paternò, L’Unità 26 marzo 1994)
Roberto Faenza Regista e sceneggiatore cinematografico italiano (n. Torino 1943). Dopo aver esordito dietro la macchina da presa con Escalation (1968), atto d'accusa contro il capitalismo, ha realizzato H2S (1968), favola fantascientifica contro il potere della tecnologia, e quindi Forza Italia (1977), Si salvi chi vuole (1980) e Copkiller (L'assassino dei poliziotti) (1983). Una particolare accuratezza nelle ricostruzioni d'epoca e un'impronta fortemente letteraria sono gli elementi centrali di Mio caro dottor Gräsler (1990), Jona che visse nella balena (1993), Sostiene Pereira (1995), Marianna Ucrìa (1997) e L'amante perduto (1999), tratti rispettivamente dai romanzi di A. Schnitzler, J. Oberskij, A. Tabucchi, D. Maraini e A. B. Yehoshua. Tra i suoi lavori successivi: Prendimi l'anima (2003), in cui ha raccontato la relazione tra S. Spielrein e lo psichiatra C. G. Jung, partendo dal diario della prima e dal carteggio fra i due; Alla luce del sole (2005), che racconta l'omicidio di don Giuseppe Puglisi, ucciso dalla mafia (2005, David di Donatello); I giorni dell'abbandono (2005), tratto dall'omonimo romanzo di E. Ferrante; I vicerè (2007), trasposizione cinematografica del grande romanzo storico di F. De Roberto; Il caso dell'infedele Klara (2009); girati nel 2011, il documentario Silvio forever, la pellicola Someday this pain will be useful to you e il film per la TV Il delitto di via Poma. Nel 2012 è tornato alla regia cinematografica con la pellicola Un giorno questo dolore ti sarà utile, cui hanno fatto seguito Anita B. (2014) e La Verità sta in cielo (2016). Nel 2017 il regista è stato insignito del Nastro d'argento alla carriera. (Treccani, Enciclopedia on line) 27 Gennaio - Il Giorno della Memoria Art.1 La Repubblica italiana riconosce il giorno della 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, non hé coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati” Art.2. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere. Legge 20 luglio 2000, n. 211 "Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000
Il diario di Anna Frank di George Stevens f.: William C Mellor; scg.: Lyle R. Wheeler, George W. Davis; i.: Millie Perkins, Joseph Schildkraut, Shelley Winters, Richard Beymer; Usa, 1959, 154'. Trasposizione cinematografica del noto Diario della giovane ebrea costretta con la sua famiglia a una vita in clandestinità e poi deportata a Bergen Belsen. Prova convincente di regia di George Stevens, che come operatore dell'esercito americano aveva filmato le terribili immagini della liberazione di Dachau. Il film fu premiato con 3 Oscar. Anna Frank ha cessato da tempo di essere soltanto una povera ragazzina ebrea barbaramente trucidata in un campo di sterminio nazista, per diventare invece un simbolo: il simbolo di tutti i perseguitati, i vinti, gli esclusi. Ciò è avvenuto, forse, troppo affrettatamente. Perché certo Anna è anche questo: racchiude in sé e su di sé il destino di una razza di fuggiaschi, aveva nel sangue - come dice Natalia Ginzburg nella sua bella prefazione all'edizione italiana del libro - «vetrine di negozi infrante, quartieri devastati e incendiati». Ma Anna è stata ed è qualcosa di più. Perché nei due anni di segregazione nell'alloggio clandestino di Amsterdam, in cui la sua famiglia era riparata per sfuggire alla cattura da parte dei nazisti, è avvenuto qualcosa di estremamente importante, qualcosa di decisivo. Anna ha cessato di essere una bambina per divenire una donna. In tutti i sensi. Non solo nel senso fisiologico del termine - anche se questo «trapasso» è determinante e davvero stupende sono le pagine del diario in cui essa descrive la sua trepidazione di fronte al fatto nuovo e sconvolgente - ma anche e soprattutto nel significato ben più decisivo di una sua presa di coscienza. Ecco, l'importanza del testamento spirituale lasciatoci dalla ragazza è proprio qui: quello che trasforma le pagine di diario di una bambina perseguitata in qualche cosa di ben più alto di un semplice documento atto a commuovere, in un monumento che si può porre sullo stesso piano delle Lettere dei condannati a morte della resistenza europea. Lentamente, quasi insensibilmente, in quelle lunghe giornate monotone e apparentemente senza storia, mentre gli altri, gli adulti, erano tutti presi dai loro piccoli meschini interessi, dalle loro piccole meschine beghe - l'unico a salvarsi, anche se non sappiamo quanto trasfigurato dall'amore della figlia, è il padre di lei - Anna ha cominciato a capire. La sua intelligenza senza dubbio eccezionale, la sua anima straordinariamente sensibile, messi di fronte alla crudele spaventosa tragedia della realtà, reagivano nel modo migliore. Pur sopraffatta dalla paura sino a giungere a gridare di notte, pur senza perdere per altro verso la meravigliosa spontaneità dell'adolescenza che conserva anche nei difetti, nella vanità, nelle piccole manie, nel carattere scontroso, Anna capisce: allora non è più l'indifesa spaurita creatura vittima di una malvagia persecuzione, ma l'essere cosciente, che ha deciso di non lasciarsi sopraffare, che vuole combattere una sua
battaglia, che sa che il mondo può e deve essere migliore, che ha fiducia - una fiducia priva di illusioni - nella sostanziale bontà degli uomini, e che pensa con fermezza al suo avvenire. Un avvenire in cui, passata la bufera, essa potrà inserirsi validamente nella società e far udire la propria voce. Il suo desiderio di diventare scrittrice trascende l'ingenua aspirazione della giovinetta e diventa l'accettazione di un compito preciso, staremmo per dire di una missione. Basterà ricordare, per tutte, queste poche parole: «Mi rendo sempre più indipendente dai miei genitori; giovane come sono affronto la vita con maggior coraggio di mamma, e ho più di lei radicato il senso della giustizia. So quello che voglio, ho uno scopo, un'opinione, una fede, e un amore. Lasciatemi esser me stessa e sarò contenta. So di essere una donna, una donna con forza interiore e molto coraggio. Se Dio mi concederà di vivere, arriverò dove mia madre non è mai arrivata, non resterò una donna insignificante e lavorerò nel mondo e per gli uomini. E ora so che per prima cosa occorrono coraggio e giocondità». [...] Franco Valobra, Cinema nuovo, 1959 Tutti sanno chi fu Anna Frank e quale fu il ricordo che lasciò nelle pagine del suo diario. I mesi e gli anni che la piccola ebrea trascorse, con la sua famiglia, con quella dei van Daan e con il dentista Dussel, nella casa segreta di Amsterdam, dove essi si illudevano di sottrarsi alla prigionia nazista e allo sterminio dei campi, sono descritte nelle sue pagine come angosciosi, ma vi si inseriscono gli stimoli, le ingenuità, gli aneliti dell'adolescenza. Proprio i frammenti da cui risulta la sua ribellione alla condanna sono i più significanti: per esempio il precoce risveglio all'amore, nella visita che ella fa all'abbaino dove l'attende Peter, lo studente suo compagno di sventura. In quell'episodio, il pensiero della sventura è cancellato; c'è soltanto una ragazzina che incontra la primavera, e il rombo dei cannoni è troppo lontano perché lo avverta. Di avere ancorato tanta sostanza commossa ai toni dimessi della verità, evitando il furore della requisitoria e di aver dato senso e vibrazione anche alle meschinità delle privazioni va dato merito a Stevens, riflessivo direttore di magnifici interpreti. Gli effetti, se ci sono, vengono dall'interno, non già dai fatti; la stessa irruzione finale dei carnefici nella casetta segreta dei rifugiati è soltanto preannunciata. Un intelligente pudore schiva l'urto della tragedia consumata. Uno spettacolo esemplare, sul piano estetico e sul piano dei moti dei sentimenti; e uno spettacolo necessario sul piano della morale. Non soltanto è giusto, ma è indispensabile che il pazzo massacro compiuto dagli hitleriani sia ricordato; perché non sia più possibile che l'umanità torni alla terribile notte dei tempi, che ci ricondusse alla ferocia dissennata dei cavernicoli, e tutto fu buio. Arturo Lanocita, Corriere della sera, 16 settembre 1959
MONSIEUR BATIGNOLE Francia, 2002 dur. 100’ Regia: Gérard Jugnot Soggetto: Philippe Lopes-Curval, Gérard Jugnot Sceneggiatura: Gérard Jugnot, Philippe Lopes- Curval Produzione: Dominique Farrugia, Olivier Granier, Gérard Jugnot Fotografia: Gérard Simon Montaggio: Catherine Kelber Musica: Khalil Chahine Scenografia: Jean_Louis Pov[da Costumi: Martine Rapin, Annie Thiellement Interpreti: Gérard Jugnot (Edmond Batignole), Jules Sitruk (Simon Bernstein), Jean-Paul Rouve (Pierre- Jean Lamour), Michèle Garcia (Marguerite Batignole), Alexia Portal (Micheline Batignole), Violette Blanckaert (Sarah Cohen), Gotz Burger (Colonnello delle SS Spreich). Distribuzione: Ladyfilm IL FILM Monsieur Batignole è un personaggio di finzione, ma se non lo fosse potrebbe essere considerato un Parigi, luglio 1942. Edmond Batignole è un GIUSTO TRA LE NAZIONI? salumiere che tenta di sopravvivere, durante l'occupazione tedesca della Francia, evitando con Negli anni ’60 Yad Vashem iniziò un progetto mondiale per cura di prendere posizione e curandosi soltanto dei assegnare il titolo di “Giusti fra le Nazioni” ai non ebrei suoi affari. Quando il suo futuro genero denuncia i che rischiarono le loro vite per salvare gli ebrei durante la suoi vicini ebrei alla polizia francese, la famiglia Shoah agendo disinteressatamente. A tale scopo Yad Batignole cerca di farsi assegnare, riuscendoci, il Vashem istituì una commissione guidata da un membro loro prestigioso appartamento rimasto vuoto. della Corte Suprema Israeliana, la cui responsabilità è di Solamente Simon Bernstein, uno dei figli della assegnare il titolo. Questo è l’unico progetto al mondo famiglia ebrea riesce a far ritorno in quella che era che , usando criteri stabiliti, onora le persone che salvarono la sua casa. Batignole comprende di essere la sua ebrei durante la Shoah. L’assegnazione del titolo dei Giusti sola speranza di sopravvivenza e in un primo e gli alberi piantati nel Viale dei Giusti fra le Nazioni hanno ricevuto attenzione mondiale e lo stesso concetto di momento ospiterà il bambino all’insaputa di tutti. “Giusto fra le Nazioni” è diventato un simbolo importante Poi cercherà di attraversare clandestinamente il ed universale. Fino alla fine del 2007 erano stati confine per portare Simon in Svizzera insieme a riconosciuti 22.000 Giusti ; oltre a ciò Yad Vashem sta due sue cugine, anche loro sfuggite alla completando un’enciclopedia-“The Lexicon of the deportazione. . Righteous Among the Nations” – che includerà le storie dei Giusti riconosciuti. La versione italiana dell’Enciclopedia, “I Giusti d’Italia”, è stata pubblicata nel Gennaio 2006. http://www.yadvashem.org/
Il cinema francese volge di nuovo l’occhio agli anni bui Cronologia Shoah in Francia della guerra e dell’Occupazione: (…) Monsieur Batignole è un'ottima commedia dolce-amara dove la Parigi 1940 Aprile - Giugno. La Germania attacca la Danimarca, poi il Belgio, i Paesi Bassi e la dell'epoca è ricostruita con scrupolosa esattezza di Francia, Occupazione di Parigi. Armistizio di particolari. Non è questo, però, il pregio migliore del film Compiegne e fine della Terza Repubblica. La di Jugnot, cui vanno aggiunti un umorismo gentile, Francia divisa in due zone: quella settentrionale occupata dai tedeschi. E quella meridionale lasciata equidistante dall'eccesso di bontà come dal cinismo, e all’amministrazione francese (Stato di Vichy), controllata soprattutto un bellissimo personaggio, una 'parte' di gran dal governo collaborazionista del maresciallo Pétain. Il generale De Gaulle proclama da Londra, la Resistenza. classe che il regista ha scritto e interpretato personalmente. "Libertà, uguaglianza, fraternità" è sostituito da "Lavoro, (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 8 ottobre 2002) famiglia, Patria". Inizio della collaborazione con una politica antiebraica di sterminio. Fine Agosto. Il governo francese di Vichy abrogò la Legge Arriva in Italia un altro film su uno dei più grandi Marchandeau , approvata nell’aprile 1939 dal governo “rimossi” della recente storia francese: la repubblica di socialista di Leon Blum , che proibiva qualunque Vichy e l’occupazione tedesca. Per fare i conti con il discriminazione di tipo razziale. 3 Ottobre 1940 Entrò in vigore lo “Statut des juifs” . Si fantasma del collaborazionismo, il regista e protagonista impediva agli ebrei l’accesso a impieghi pubblici , esercito Gerard Jugnot sceglie la chiave della commedia, anzi , giornalismo , insegnamento, teatro e cinema. dichiara di essersi proprio ispirato agli sceneggiatori e ai 1941 14 Maggio 1941 a Parigi circa 3710 ebrei maschi polacchi furonoi arrestati e internati nei campi.Tra il 20 e il 23 registi della commedia all’italiana. Agosto 1941, 1232 ebrei adulti vennero fermati per le (Emiliano Morreale, Film TV – 15/10/2002) strade dell’XI Arrondissement o nelle loro case della capitale dalla Gendarmerie francese . Si trattò questa volta di un arresto di ebrei “rei di crimini contro il III Reich”, gli Monsieur Batignole non descrive atti eroici, non esalta arrestati finirono a Drancy, un quartiere della banlieue scelte patriottiche, racconta una storia di comune eroismo, parigina. quello di un uomo qualunque che si eleva sulla massa 1942 La Germania decreta la “Soluzione finale” silenziosa assumendo una posizione morale destinata a sterminare tutti gli Ebrei d’Europa. 27 Marzo 1942 , circa due mesi dopo la famigerata nell’immediato, praticandola concretamente senza alcuna “Conferenza del Wansee” di Berlino 565 internati di assunzione di principi. Drancy e 547 internati di Compiègne furono scelti per (Achille Frezzato, L’Eco di Bergamo – 16/11/2002) quello che fu il primo convoglio di deportati ebrei dalla Francia per Auschwitz. 1° Giugno 1942 Imposizione a tutti gli ebrei di cucire sui Ottavo film del simpatico regista-attore Gérard Jugnot, propri abiti una stella di David gialla con la scritta erede di De Funès, 'Monsieur Batignole' (buon successo “Juif”(ebreo). 16 luglio Retata di Vel d’Hiv. Deportazione commerciale in patria) diverte e emoziona. Dal dramma al di massa degli Ebrei francesi. Creazione della road movie sulle ali del riscatto morale. Per chi pensa milizia per combattere la Resistenza, gli che... non è mai troppo tardi. Grandi attori, bei paesaggi e Ebrei e gli oppositori del regime di Vichy. Istituzione del Servizio obbligatorio per finale sorprendente. Buonista? No. Buon cinema. l'impiego (STO). Creazione del Consiglio (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 11 ottobre 2002) nazionale della Resistenza. Presidente: Jean Moulin. Batignole è un uomo del 1944 6 giugno. Sbarco degli alleati in Normandia, sotto il comando del generale Eisenhower. suo tempo, espressione Dopo la liberazione di Parigi (agosto 1944), De Gaulle con la quale s’intende un divenne il capo del governo provvisorio. individuo e un tipo umano Inizio della Epurazione. pienamente 1993 Febbraio. Il capo di stato François Mitterand , dichiarò ufficialmente la grave responsabilità dello stato francese rappresentativo di una nelle politiche di repressione antiebraiche durante la generazione. Egli non è shoah , e dichiarò ufficialmente il 16-17 Luglio di ogni anno “Giornata nazionale per le vittime ebree della solo un piccolo-borghese Politica di Vichy” . alle prese con le difficoltà di mantenere un tenore di vita 1995 Nasce la “Fondation pour la Mémoire de la shoah”, dignitoso in tempo di guerra e che si trova nelle condizioni inaugurata ufficialmente nel gennaio 2005. Essa è oggi la di poter trarre profitto dalle disgrazie altrui; non è solo prima istituzione in Europa per lo studio approfondito della Shoah . diviso fra resistere con dignità o lasciarsi sedurre dalle lusinghe dei dominatori, ma è terribilmente sconfitto dalla storia (il ricordo della Prima Guerra mondiale è vivido e costante in tutto il film). Batignole cerca di fuggire dalla realtà nascondendosi in un piccolo universo fatto di totale dedizione al lavoro, di concentrazione sugli affari e cerca di salvare la cassa e la coscienza in un gioco di difficili equilibri tra furbizia da bottegaio e scrupoli di buon padre di famiglia.
Pierre-Jean, dichiaramente nazionalista e di destra, che sostiene opportunisticamente la politica razziale dei tedeschi consapevole delle vantaggiose ripercussioni economiche e della possibilità di rimescolare le carte dell’assetto sociale a vantaggio di quel ceto medio scaltro e ardimentoso pronto a occupare spazi lasciati vuoti dalle deportazioni di massa. Nel film ci sono tre bambini reali (Simon, Sarah e Guilia) ma anche un bambino mai cresciuto che è Edmond Batignole. L’ingenuità infantile così come la regressione all’infanzia sono spesso al centro della vicenda. Può sembrare strano che un uomo di mezza età regredisca parzialmente fino ad assumere un comportamento infantile e d’immaturità come quello in cui ottusamente Batignole si costringe. Forse l’esperienza della Prima guerra mondiale lo spinge a rifugiarsi in una maschera bonaria, pavida e miope; scelta che ha come conseguenza quella di subire ogni iniziativa altrui. (http://www.istitutoparri.eu/didattica) Monsieur Batignole, anche se è ispirato da certi eventi autentici, è ovviamente un film di finzione che deriva da un considerevole lavoro di messa in scena. È indubbiamente importante portare i giovani spettatori a prendere coscienza di questo lavoro e ad interrogarsi, anche in modo limitato, sul significato e sui possibili effetti di questa messa in scena. Tra i molti aspetti, che potrebbero essere presi in esame, ci sembra che il modo in cui il film di Gérard Jugnot giochi su una gamma limitata di emozioni meriti attenzione. Una scena notevole L'omicidio di Pierre-Jean in Monsieur Batignole crea probabilmente un effetto sorpresa per la maggior parte degli spettatori. In effetti, l'impostazione di questa sequenza, il modo in cui è stata filmata e mostrata, sorprende le nostre aspettative. Richiama lquesta scena e quella immediatamente precedente. Pierre-Jean è appena sceso nella cantina dove ha scoperto il giovane Simon e le sue due cugine. Il signor Batignole tenta di intervenire, ma Pierre-Jean è armato dell'ascia con cui ha rotto il portoncino della cantina e ora minaccia di denunciare il clandestino alla polizia. Il signor Batignole è quindi costretto a cedere e tutti sono pronti per tornare al piano terra. La scena immediatamente successiva ci mostra la bottega di Monsieur Batignole dall'esterno circondata da poliziotti e soldati tedeschi. Quindi pensiamo che siano venuti ad arrestare bambini come aveva annunciato Pierre-Jean. Ma la cinecamera che entra nel negozio ci mostra invece il cadavere di Pierre-Jean, il cranio distrutto, con Madame Batignole che piange col colonnello Spreich. Come spettatori, siamo probabilmente sorpresi da questo rovesciamento della situazione: nulla ci è stato mostrato su come il signor Batignole sia riuscito a prendere l'ascia di Pierre-Jean e a rompergli il cranio! Al contrario, siamo obbligati a capire da soli come ha agito. Tra queste due scene, c'è un salto, un evento che manca e non ci viene mostrato (l'omicidio di Pierre- Jean). Questo meccanismo narrativo è chiamato ellisse e produce qui un effetto sorpresa ma anche il nostro sollievo perché capiamo che il signor Batignole è riuscito a scappare con i bambini nonostante le gravi minacce di Pierre-Jean. (http://www.grignoux.be/dossiers/144#note1)
Gérad Jugnot, nato a Parigi il 4 maggio 1951, è un attore, regista, sceneggiatore e produttore francese. Dopo aver studiato arte drammatica, Gérard Jugnot fonda nel 1974, con Thierry Lhermitte, Michel Blanc e Christian Clavier, incontrati sui banchi del liceo Pasteur, il caffè teatro Splendid e sarà uno degli autori di testi teatralidi successo della compagnia. Oltre alla sua attività teatrale, l’attore debutta per il grande schermo in alcuni film come I santissimi (1974) di Bertrand Blier, Il giudice e l'assassino (1974) di Bertrand Tavernier e L'inquilino del terzo piano (1976) di Roman Polanski. È con la commedia Les Bronzés, di Patrice Leconte, e Le Père Noël est une ordure, nel 1982, secondo lungometraggio adattato dall’opera teatrale dello Splendid, che Gérard Jugnot ottiene finalmente il riconoscimento del pubblico. I film ottengono grande successo e l’attore comico non tarda ad essere reclamato dai registi che vogliono giocare sulla sua immagine di “francese medio”: Edourd Molinaro, Jean- Marie Poiré, Claude Zidi… Gli anni ‘80 sono un periodo importante per la By Georges Biard, CC BY-SA 3.0, wikimedia.org sua carriera fino a quando passa alla regia ottenendo successo con film come Pinot agente semplice (1984), Scout toujours… (1985), Monsieur Batignole (2002), Boudu (2005). “Salvare dall’oblio quelle storie, coltivare la Memoria, è ancora oggi un vaccino prezioso contro l'indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza. E la può usare". Liliana Segre, sopravissuta ad Auschwitz e neosenatrice a vita 27 Gennaio - Il Giorno della Memoria Art.1 La Repubblica italiana riconosce il giorno della 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati” Art.2. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere. Legge 20 luglio 2000, n. 211 "Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000
OGNI COSA È ILLUMINATA Everything is Illuminated USA, 2005 dur. 102’ Regia: Liev Schreiber Soggetto: Jonathan Safran Foer Sceneggiatura: Liev Schreiber Fotografia: Matthew Libatique Montaggio: Andrew Marcus e Craig McKay Musiche: Paul Cantelon Scenografia: Mark Geraghty Costumi: Michael Clancy Interpreti: Boris Leskin, Elijah Wood, Eugene Hutz , Gil Kazimirov, Igor Latta, Jana Hrabetova, Jaroslava Sochova, Jonathan Safran Foer, Ljubomir Dezera, Ludmila Kartouska, Mikki, Mouse, Oleksandr Choroshko, Oleksandr Houtz, Pamela Racine, Robert Chytil, Sergei Ryabtsev, Stephen Samudovsky, Yuri Lemeshev, Zuzana Hodkova. Location: Odessa( Ucraina), Praga, Produzione: Mark Geraghty Distribuzione: Warner Bros Tratto dal romanzo “Ogni cosa è illuminata” di Jonathan Safran Foer, 2002 IL FILM QUALCHE RIFLESSIONE…. Jonathan è un giovane ebreo americano, timido e riservato, con Amnesie. vistosi occhiali, meticoloso collezionista In Italia si parla molto di Memoria, quasi niente del suo contrario, che da noi non è l’oblio, come di solito si dice, di ogni sorta di oggetti che pone in ma molto più spesso il Vuoto di Memoria. L’amnesia è di sacchetti trasparenti etichettati con tutti gli individui umani, ma in Italia, come ha detto data e luogo. Si reca in Ucraina con una acutamente R. Bodei, la amnesia tende a confondersi con la foto che ritrae suo nonno con una “amnestia”, ovvero con il disperato tentativo di sconosciuta Augustine e il nome di un autoassolversi oppure con il desiderio di far dimenticare la luogo: Trachimbrod. Vuole trovare la parte meno accettabile del proprio passato. Ciascuna parte donna che ha salvato suo nonno durante in campo ha la sua amnesia, tutti sono molto bravi a l’invasione nazista. In questo viaggio cogliere in fallo l’avversario, quasi nessuno fa i conti con il prorpio passato. Sui giornali di questi giorni è stato scritto nella memoria Jonathan viene che la Giornata della Memoria dovrà trasformarsi in un accompagnato dal giovane Alex e dal laico Kippur, ossia in una giornata in cui ciascuno farà i suo nonno cieco, ma in realtà ben conti con se stesso e con la prorpia storia. Parole sante: vedente, che ha sempre con sé il suo bisognerebbe però che tutti domani si mettessero al lavoro, cane guida... a partire dalla classe politica e senza escludere gli stessi ebrei italiani che non hanno ancora del tutto esaurito il discorso sul loro coinvolgimento nel fascismo, prima, beninteso, del ‘38. (Approfondimenti a cura dei Istoreto, gennaio 2011)
IL FILM Everything is illuminate restituisce parte della complessa vicenda degli ebrei d0Ucraina, che più volte ( e non solo dai nazisti) hanno subito la vendetta dei governi e la tortura dei soldati. Ma il film si concentra anche su un altro aspetto più delicato : il rischio della rimozione e l’importanza della consapevolezza delle proprie origini. ( Dario Zonta, L’Unità – 06/09/05) I TEMI Il tema della Shoah si riempie di nuova bellezza nel percorso verso il vuoto della città morta con i due ucraini all’inizio indifferenti verso l’ennesima visita degli ebrei sui luoghi delle stragi. Nello stupore della scoperta di persone, sguardi, fotografie, tracce, si ricompone un passato che non ‘deve’ essere ricordato, ma è semplicemente una parte di noi, un tassello indispensabile per completare il mosaico della vita. Davanti al prato lungo il fiume dove sorgeva la città senza più nome, l’emozione si espande e va oltre ogni appartenenza. ‘Ho un problema di memoria-ha raccontato il regista- per cui qundo mio nonno, un emigrato ucraino è morto, ho avuto paura di dimenticare la nostra storia e mi sono messo a scrivere. Poi ho scoperto che uno scrittore aveva pubblicato un libro simile, l’ho letto e gli ho chiesto di incontrarci’ (Mariuccia Ciotta, Il Manifesto-11/11/05) Si tratta di un viaggio iniziatico alla ricerca del passato; un viaggio nella memoria. Film molto interessante che parla della Shoah da un’angolazione non abituale. Non uno svolgimento di fatti storici, ma una storia presente che si rivolge al passato e che richiede allo spettatote un coinvolgimento attivo nella riceca. Il presente porta in sé le conseguenze del passato e si volge indietro per scoprirne le origini. La verità emergerà poco alla volta e porterà all’illuminazione, ma bisogna saperla vedere. Importante è sottolineare la dialettica luce-oscurità e il contrasto vista-cecità. Si tratta di una vista non fisica ma interiore e Jonathan, simbolicamente presentato con i suoi grandi occhiali, ha in sé la capacità di vedere e la verità lo porterà a una maturazione e a un miglioramento di se stesso. (…) Al di là del tema storico dell’occupazione nazista ( e non solo) trattato con estrema delicatezza, altri sono i temi presenti nel film come il bisogno di trovare le proprie origini famigliari che spinge Jonathan a compiere il viaggio; l’importanza della memoria, anche se tragica, perché rimuoverla vuol dire vivere nell’inquietudine, nella menzogna o addirittura nel rimorso. Il passato ha un valore inestimabile perché dà significato al presente e gli oggetti del passato assumono una grande importanza perché sono il segno tangibile della memoria e solo attraverso essi continuano a vivere le persone che li hanno posseduti. (Anna Fellegara- http://www.sas.bg.it/sas/schede-approfondimento-film-proiettati-per-le-scuole) Jonathan Il protagonista è lui stesso, Jonathan Safran Foer, impersonato da Wood, giovanotto statunitensa, che, saltando del tutto una generazione, torna nella vecchia Europa, nel cuore dell’Ucraina, alla ricerca di una persona che convinse suo nonno a lasciare il paese e a trasferirsi negli Stati Uniti pochissimi giorni prima dell’arrivo dei nazisti. ( Antonio Angeli, Il Tempo-14/11/05) Lo schivo e problematico Jonathan è rigidamente motivato dalla curiosità e dal metodico e maniacale approccio alle cose che lo spinge a imbustare in asettici sacchettini di plastica tutto ciò che raccoglie e colleziona appendendolo a una sorta di muro della memoria. (c.b., Cineforum, 449- 2005) Alex Alex ( un sorprendente Eugene Hutz) è un grottesco prodotto del sostrato ucraino ed ebreo dietro la spinta della sottocultura mediatica americana. L’interazione dei loro caratteri ( di Alex e Jonathan) è foriera di un ‘irresistibile comicità che, comunque, era già stata abbondantemente corroborata dalla descrizione della
famiglia di Alex (e, in particolare, del suo nonno bizzoso e bizzarro), il cui irrompere sulla scena aveva ribaltato i toni quasi elegiaci con cui era stato presentato Jonathan. (Marco Onorato, 16Noni-15/11/05) L’esuberante Alex è interpretato con istrionesca vivacità innata da Eugene Hutz, front men del gruppo Gogol Bordello, attore esordiente al cinema ma da dieci anni animale da palcoscenico con il suo gruppo di musicisti-teatranti-gipsy-punk-ucraino-americano. (c.b., Cineforum, 449- 2005) Il nonno di Alex Alex e suo nonno gestiscono con sfacciata ribalderia un’agenzia specializzata nel portare i rampolli di ricche famiglie ebree espatriate sulle tracce degli antenati rimasti morti in Ucraina. Nel film si apprende che il nonno, finto cieco, è un ebreo che ha rinnegato le sue origini subito dopo essere sopravvissuto miracolosamente ad un’esecuzione dei nazisti. Emerge salvo tra i corpi dei compagni morti e fugge. Sarà lo studente americano a condurlo per mano, e involontariamente, nei meandri ei ricordi, delle rimozioni e delle epifanie. E importante dire che nel romanzo lo stesso personaggio non è ebreo. Quindi il regista ha voluto prorpio evidenziare nella figura del nonno il momento della riflessione. ( Dario Zonta, L’Unità – 06/09/05) Dal libro al film Il regista porta sullo schermo l’adattamento di una parte dell’omonimo romanzo, divenuto best seller in tutto il mondo, dell’esordiente scrittore ebreo Jonathan Safran Foer. Si stratifica dunque il gioco dei rimandi autobiografici: nulla di più identificativo, per il regista debuttante, della storia di un ragazzo ebreo americano di origini ucraine, che porta il nome dello scrittore stesso, in viaggio nel paese ex-spvietico per conoscere la donna che salvò il nonno dal massacro nazista.(…) La scelta di Schreiber di limitarsi a trasporre sullo schermo solo una delle tre parti che lo compongono, alternandosi e sovrapponendosi, il romanzo rappresenta forse una parziale mutilazione o quanto meno un impoverimento dello spirito e delle atmosfere yddish fondamentali dell’opera letteraria, tuttavia segna un inconsueto atto di umiltà o perlomeno, denota una certa consapevolezza delle difficoltà che avrebbe incontrato il mezzo cinematografico nella resa di una materia così cinematograficamente ostica come quella di partenza. Il fil si concentra dunque su A Very Rigid Search, il romanzo che il giovane Alex iz Odessy scrive dopo il viaggio del giovane Jonathan from Usa alla ricerca della anziana Augustine z Trachimbrodu. Il regista Il giovane regista Liev Schreiber, che i più ricorderanno come attore in Kate & Leopold (2001) o The Manchurian Candidate (2004), osserva con occhio attento e ironico il nuovo Est Europa, inzeppato di ruderi di centrali nucleari dismesse e pieno di fast food nuovi di zecca. La camera vola su prati verdi e distese di cemento, senza mai perdere di vista gli uomini che di ogni luogo possono fare un paradiso o un inferno. Dipende da loro. Schreiber nasce a San Francisco, in California, il 4 ottobre del 1967, figlio di Tell Schreiber, un attore e regista teatrale statunitense nato da un'abbiente famiglia WASP di origini austriache, svizzere, irlandesi e scozzesi, e di Heather Milgram, un'eccentrica pittrice statunitense nata a Brooklyn (quartiere di New York) da una famiglia ebraica di origini polacche, ucraine e tedesche, che scelse per il futuro attore il nome Liev in onore dello scrittore russo Lev Tolstoj. La madre, che per un periodo visse in un ashram in Virginia, ha sempre proibito al figlio di guardare film a colori, per indirizzarlo verso le pellicole in bianco e nero, come i classici di Charlie Chaplin. È cresciuto in Canada e, in seguito alla separazione dei genitori (avvenuta quando aveva 5 anni), si è trasferito a New York, dove ha mostrato interesse per la scrittura di testi teatrali. Di Joella Marano -wikimedia
Studia in seminario con l'attrice Amanda Peet, in seguito studia alla Royal Academy of Dramatic Art e si laurea nel 1992 alla "Yale School of Drama", lavora per diversi spettacoli teatrali a Broadway con classici di William Shakespeare come La tempesta, Amleto, Otello e molti altri, al fianco di attori del calibro di Sigourney Weaver e Jason Robards. Debutta nel 1994 nel film di Nora Ephron Agenzia salvagente, in seguito recita nella trilogia di Wes Craven Scream, Scream 2 e Scream 3 nel ruolo di Cotton Weary, Sfera di Barry Levinson del 1998 e Hurricane - Il grido dell'innocenza del 1999. È stato candidato al premio Emmy e al Golden Globe per l'interpretazione di Orson Welles nel film RKO 281. Nel 2002 prende parte alla commedia Kate & Leopold con Meg Ryan e Hugh Jackman, parallelamente alla carriera cinematografica continua la sua attività teatrale che lo porta a vincere il premio Obie per la sua interpretazione in Cymbeline. Nel 2005 debutta alla regia con il film Ogni cosa è illuminata, tratto da un romanzo di Jonathan Safran Foer, girato tra Praga e l'Ucraina. Tra gli altri film come attore The Manchurian Candidate ed Omen - Il presagio. Recita in L'amore ai tempi del colera di Mike Newell, tratto dall'omonimo romanzo di Gabriel García Márquez. All'inizio del 2007 partecipa ad alcuni episodi della serie tv CSI - Scena del crimine, nel ruolo di Michael Keppler, per la temporanea assenza di William Petersen, e inoltre lavora a Broadway nella commedia teatrale di Eric Bogosian Talk Radio, interpretazione che gli vale diverse nomination a premi teatrali. Interpreta Victor Creed, alias Sabretooth, in X-Men le origini - Wolverine di Gavin Hood, film incentrato sulle origini del personaggio dei fumetti Wolverine. Recita in Motel Wo odstock di Ang Lee, dove veste i panni di un travestito. Per Schreiber non è la prima interpretazione di un travestito, infatti al suo esordio ebbe un ruolo simile nella commedia del 1994 Agenzia salvagente. ( da Wikipedia) “Salvare dall’oblio quelle storie, coltivare la Memoria, è ancora oggi un vaccino prezioso contro l'indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza. E la può usare". Liliana Segre, sopravissuta ad Auschwitz e neosenatrice a vita 27 Gennaio - Il Giorno della Memoria Art.1 La Repubblica italiana riconosce il giorno della 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati” Art.2. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere. Legge 20 luglio 2000, n. 211 "Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000.
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