Jobs Act: le tutele crescenti contro il licenziamento per i neo-assunti
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Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca Jobs Act: le tutele crescenti contro il licenziamento per i neo-assunti Enrico Barraco, Barraco Studio legale lavoro Il Consiglio dei Ministri, nell’ambito della seduta del 24 dicembre 2014, ha approvato uno “schema” di decreto legislativo avente ad oggetto il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge delega n. 183 del 2014. I principi e criteri direttivi fissati dal Parlamento in materia, a differenza di altre parti della delega la cui formulazione è talmente ampia e ricomprensiva da sfiorare la vera e propria genericità, sono piuttosto chiari e di pronta interpretazione: il Governo è delegato ad adottare una disciplina che contenga la “previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento” (art. 1, comma 7, lettera c) della legge n. 183 del 2014). Le stelle polari della delega possono essere dunque così sintetizzate: limitazione del contratto a tutele crescenti ai soli neo-assunti; istituzione, come nuova regola sanzionatoria, di una indennità meramente economica contro i licenziamenti ingiustificati; in particolare, esclusione tranchant della tutela reale per i licenziamenti economici, da intendersi in senso ampio (e quindi ricomprensivi sia di quelli individuali per giustificato motivo oggettivo che di quelli collettivi per riduzione di personale); previsione di un meccanismo di computo dell’indennità risarcitoria da licenziamento ingiustificato tarato su un parametro rigido e (verrebbe da dire) aritmetico, ossia l’anzianità di servizio del lavoratore, con ogni esclusione di valutazioni discrezionali da parte del singolo Giudice; un risarcimento, dunque, uguale per tutti e a tutte le latitudini a parità di anzianità di servizio, senza alcuna possibilità di temperamenti o inasprimenti giudiziali; espresso confinamento della tutela reale (la classica reintegrazione) al rango di vera e propria eccezione, applicabile ai soli licenziamenti nulli e discriminatori e a fattispecie specifiche (e quindi in numero assai ridotto) di licenziamento disciplinare non giustificato. Ora il procedimento legislativo impone un passaggio alle Commissioni Lavoro della Camera e del Senato, con possibili interventi modificativi in corso d’opera. Campo di applicazione ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca Il concreto raggio d’azione dello schema di decreto è in realtà molto meno ambizioso della pomposa dichiarazione di intenti che la rubrica di legge porta con sé (appunto “contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”), in quanto lo stesso schema riconosce con estrema franchezza come la disciplina si esaurisca nel dettare un “regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo” dedicato ai neo-assunti (la disciplina, in altre parole, riguarda la sola flessibilità in uscita, senza alcuna peculiarità in ordine alle modalità di assunzione e al profilo gestionale). Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti non è quindi una nuova tipologia contrattuale, ma un contratto a tempo indeterminato assolutamente standard, caratterizzato soltanto da un diverso regime sanzionatorio del licenziamento. In quest’ottica l’espressione “tutele crescenti” – oltre che intrisa di ampia retorica – pare dunque anche “falsante” (Carinci) in quanto sembrerebbe suggerire una sequenza temporale che dalla sanzione meramente economica conduca alla reintegrazione, dopo la prima fase di gestazione del rapporto di lavoro; in realtà così non è perché lo svolgimento continuativo del rapporto è idoneo soltanto – come vedremo – ad incrementare il quantum risarcitorio, ma non vi è alcun point break che consenta lo spin off dalla tutela obbligatoria alla tutela reale. La disciplina si applica soltanto ai neo-assunti (dirigenti esclusi). Per neo-assunti il decreto intende: (i) i dipendenti (operai, impiegati, quadri) assunti con contratto a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (banalmente ricordiamo, per amore di chiarezza, che essendo ancora di fronte ad uno “schema” e non ad un testo di legge pubblicato in Gazzetta Ufficiale, per i dipendenti assunti da inizio anno alla data odierna valgono ovviamente le norme precedenti); (ii) i dipendenti (anche se assunti precedentemente a tale data) il cui datore di lavoro superi la fatidica soglia dei 15 addetti a mezzo di assunzioni a tempo indeterminato effettuate successivamente all’entrata in vigore del decreto. Questa seconda specificazione, pur comprensibile dal punto di vista della ratio legislativa che è quella di incentivare la crescita delle imprese italiane togliendo loro lo spauracchio (e in alcuni casi anche l’alibi) del vecchio art. 18 St. lav., non è però forse del tutto in linea con la delega che – come visto sopra – si riferisce specificamente alle sole “nuove assunzioni”. Qui invece si stabilisce che i vecchi assunti, per il caso in cui il loro datore di lavoro superi l’asticella fatidica dei 15 addetti, non accederanno mai all’art. 18 St. lav., ma solo alla tutela crescente di cui al decreto in commento. Sul punto è evidente lo spazio per una possibile censura in ordine all’eccesso di delega in cui è incorso l’esecutivo. Il regime speciale dovrebbe valere anche per i lavoratori che, ingaggiati con contratto a termine, a seguito dell’entrata in vigore vengano assunti ex novo a tempo indeterminato. Il mercato del lavoro esce così decisamente frastagliato in quanto avremmo una disciplina sanzionatoria del licenziamento illegittimo decisamente “balcanizzata” e suddivisa per “gruppi” di lavoratori (con tutti i dubbi che ciò comporta sulla legittimità costituzionale ex art. 3 della Carta, in quanto il principio di eguaglianza ne esce quantomeno compresso dato che avremo colleghi dello stesso ufficio che, a parità di livello e mansioni, godranno di regimi fortemente differenziati in ordine alla tutela contro il licenziamento illegittimo e ciò in base all’elemento, del tutto estrinseco e casuale, della data di assunzione): neo-assunti delle grandi imprese, neo-assunti delle piccole imprese e delle ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca organizzazioni di tendenza, vecchi-assunti delle grandi imprese, vecchi-assunti delle piccole imprese, vecchi-assunti delle organizzazioni di tendenza. Il rimprovero mosso da più parti all’attuale mercato del lavoro è, come noto, la violenta polarizzazione tra insiders e outsiders. Con la nuova normativa rischiamo però di avere un’ulteriore frantumazione tra insiders di “serie A” (i vecchi assunti e, curiosamente, i neo assunti delle organizzazioni di tendenza) e insiders di “serie B” (i neo assunti), con una disposizione – l’art. 18 St. lav. – sostanzialmente ad esaurimento in quanto di applicazione oramai limitata agli insiders di serie A. Accanto all’esclusione esplicita dei lavoratori già occupati, sembra certa anche quella (implicita) dei dipendenti pubblici privatizzati (nello stesso senso Carinci; contra Ichino), non tanto per una considerazione di stretto diritto (la norma moltiplicatrice di cui all’art. 2, comma 2, d. lgs. n. 165 del 2001 deporrebbe nel senso dell’estensione a dire il vero), quanto per un argomento logico (o, se vogliamo, più banalmente “empirico”): è in esame in questi giorni un provvedimento normativo riguardante la pubblica amministrazione e inter alia il regime di tutela in caso di licenziamento illegittimo. Curiosamente non viene prevista una disciplina ad hoc per quei lavoratori, evidentemente key workers, che pur avendo la stabilità di un posto di lavoro a tempo indeterminato assistito dall’art. 18 St. lav. (in quanto dipendenti di una grande azienda) decidano di mettersi in gioco cambiando impiego: è mai possibile che tali lavoratori, presso la nuova azienda, vengano considerati neo-assunti con abbattimento del loro exit package in caso di licenziamento? Vi è il rischio, se non viene prevista una deroga, di ingessare sul punto il mercato del lavoro. Tale lacuna normativa apre d’altro canto un interessante spazio nei confronti delle pattuizioni individuali, in quanto verosimilmente i soggetti contrattualmente forti cercheranno di ottenere congrue garanzie (clausola di prolungamento del preavviso; clausola di stabilità minima garantita) al fine di procedere al “cambio di maglia”. La deroga migliorativa potrà dunque essere attuata dall’autonomia individuale, senza necessità di scomodare gli accordi di prossimità. Andremo ora a passare in rassegna le tutele per i neo assunti. Minimo comune denominatore per grandi e piccole aziende: tutela reale piena per i licenziamenti nulli Una prima garanzia è universale e concerne i neo-assunti delle grandi e piccole aziende: viene prevista l’applicazione della tradizionale tutela reale in caso di licenziamento discriminatorio, orale ovvero riconducibile alle altre ipotesi di nullità previste dalla legge. Le ipotesi paiono essere le stesse tracciate dal comma 1 dell’art. 18 St. lav. e quindi: licenziamento discriminatorio; licenziamento contiguo al matrimonio (intimato, cioè, nel periodo che va dalla richiesta di pubblicazioni del matrimonio sino ad un anno dopo la celebrazione dello stesso; in maniera assai discutibile Trib. Milano 3 giugno 2014, superando arbitrariamente la lettera della legge che menziona soltanto le “lavoratrici”, ha esteso la tutela anche al coniuge di sesso maschile); ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca licenziamento nel periodo di interdizione per maternità (dal momento del concepimento sino ad un anno di età del bambino; in caso di fecondazione artificiale il divieto opera dal momento del trasferimento degli ovuli fecondati nell’utero della lavoratrice; il divieto di licenziamento, dall’inizio dell’astensione sino al compimento di un anno di età del bambino, si applica anche al padre lavoratore che si astenga dal lavoro nei primi tre mesi dalla nascita del figlio in mancanza della madre per morte, grave infermità, abbandono, affidamento esclusivo al padre); licenziamento per motivo illecito determinante, come ad esempio il licenziamento per ritorsione; licenziamento da considerarsi nullo per violazione di norma di legge (ad es. intimato prima del trasferimento d’azienda seguito da immediata riassunzione del licenziato da parte dell’acquirente, in frode alle garanzie di cui all’art. 2112 cod. civ.); licenziamento orale. La perfetta sovrapponibilità tra la nuova disposizione e l’art. 18, comma 1, St. lav. potrebbe essere discussa in quanto il Jobs Act menziona i soli casi di nullità “espressamente previsti dalla legge” mettendo non poco in crisi i casi di nullità virtuale (portando il ragionamento alle sue estreme conseguenze Treu perviene alla conclusione, peraltro discutibile, che motivi talora addotti in passato per sostenere la nullità del licenziamento, e quindi la reintegrazione, come ad esempio la frode alla legge, non siano più idonei allo scopo a fronte della nuova disciplina). Il neo-assunto, a prescindere dalle dimensioni dell’organico del proprio datore di lavoro, ha ancora diritto in tali casi alla reintegrazione in servizio e al risarcimento del danno parametrato alle retribuzioni perdute dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione (con il minimo di cinque mensilità), oltre all’integrale ricostruzione del periodo contributivo. Rimane altresì, in capo al solo lavoratore, la possibilità di chiedere l’indennità sostitutiva della reintegrazione. Vengono poi fatte alcune precisazioni, in linea con il primo livello di tutela di cui all’art. 18, commi 1-3, St. lav. La prima consiste nella immediata estinzione del rapporto al momento della richiesta dell’indennità sostitutiva della reintegrazione. Viene poi previsto che tale indennità non è soggetta a contribuzione previdenziale e che la richiesta deve avvenire entro 30 giorni dal deposito della sentenza o dall’invito a riprendere servizio, se anteriore. Secondariamente viene espressamente prevista la detrazione dal risarcimento del danno del c.d. aliunde perceptum, ossia di quanto percepito dal lavoratore per lo svolgimento di altre attività lavorative. Viene viceversa esclusa, a causa del disvalore insito nel licenziamento discriminatorio, la detrazione del c.d. aliunde percipiendum, ossia di quanto il lavoratore avrebbe potuto guadagnare attivandosi con l’ordinaria diligenza nella ricerca di una nuova occupazione. La reintegrazione piena viene dunque conservata per sanzionare vizi gravissimi del licenziamento, tutto sommato scarsamente ricorrenti nella pratica. ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca Una disciplina sostanzialmente identica vale anche per i dirigenti neo-assunti e ciò non tanto in virtù del decreto in commento (che, anzi, espressamente li esclude dal proprio campo di applicazione), quanto in virtù dell’art. 18, commi 1-3, St. lav.: norma quest’ultima destinata ad applicarsi alla categoria dei dirigenti senza distinzione tra vecchi e nuovi assunti. Lo schema di decreto precisa poi che la tutela reale piena è destinata ad applicarsi a fronte dell’accertamento dei predetti vizi, “indipendentemente dal motivo formalmente addotto”: prevale quindi, ma non poteva essere altrimenti, la causale effettiva di licenziamento a prescindere da quella formalmente allegata dal datore di lavoro. Circa i licenziamenti discriminatori si confida sul fatto che la giurisprudenza ribadisca con chiarezza alcuni punti fermi della precedente elaborazione: il licenziamento discriminatorio è solo quello intimato per uno dei fattori indicati tassativamente dalla legge (ragioni sindacali, politiche, religiose, razziali, etniche, nazionali, di lingua, di età, di sesso e di infezione da HIV); ogni altra differenza per ragioni atipiche, anche se arbitrarie, non è discriminazione in senso tecnico (il principio è stato scandito in maniera chiara e condivisibile da Trib. Venezia 26 marzo 2013, secondo cui “resta nell’ambito del licenziamento ingiustificato quello che è frutto di mero arbitrio, affetto da pretestuosità”: per il passaggio alla fattispecie del licenziamento discriminatorio “è necessario un quid pluris”); l’onere della prova della discriminazione, così come del motivo illecito, grava sul lavoratore; il motivo illecito rileva solo se è l’unico determinante; l’accertata giustificazione del licenziamento ne esclude per definizione il motivo illecito; l’equazione motivo inesistente motivo occulto motivo discriminatorio, che molti lavoratori provano a sostenere, è inaccettabile (Vallebona) perché il decreto in commento (così come l’art. 18 St. lav.) prevede un’apposita disciplina per i casi di licenziamento ingiustificato, anche per i casi in cui il datore di lavoro abbia “torto marcio” perché il fatto su cui il licenziamento si fonda addirittura non sussiste. In altre parole: il licenziamento potrà anche essere palesemente ingiustificato, potrà anche essere palesemente pretestuoso, ma ciò non può comportare alcuna presunzione di discriminazione: quest’ultima può sussistere, ma dovrà provarla il lavoratore (salve le agevolazioni probatorie previste specificamente in alcuni settori normativi). L’onere della prova della discriminazione incombe al lavoratore ma … attenzione alla redazione della lettera! Trib. Padova 15 gennaio 2014 Una lavoratrice viene licenziata durante la fruizione di congedo parentale frazionato; l’azienda la licenzia a causa della persistente “volontà di non rientrare al lavoro a normale regime di orario dopo il godimento dei periodi di maternità tutelati dalla legge”. Il giudice ha rilevato che “la lettera di licenziamento costituisca di per sé la prova della natura discriminatoria del licenziamento”, con conseguente ordine di reintegrazione in servizio della lavoratrice (dipendente di azienda sotto i 15 dipendenti). ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca Trib. Milano 11 febbraio 2013 Una dirigente di alto livello (Regional Business Manager) informa l’azienda, in via riservata, di aver contratto una patologia non curabile. L’azienda la licenzia adducendo inter alia la seguente motivazione: “i problemi di salute che ha stanno ostacolando il pieno esercizio delle sue funzioni da diversi mesi”. Il giudice ha ritenuto documentale il carattere discriminatorio del licenziamento, con conseguente ordine di reintegrazione della dirigente. Trib. Venezia 16 luglio 2013 Una dipendente di uno Studio professionale viene licenziata due giorni dopo la scadenza del termine annuale a tutela della lavoratrice madre, asseritamente per “ragioni di riorganizzazione dello Studio”. Il Giudice “per la tempistica dei fatti e la mancata prova della riorganizzazione ritiene insussistenti le ragioni oggettive e per converso ne presume la discriminatorietà”. Licenziamento ingiustificato: per i neo-assunti delle grandi imprese tutela solo economica (la svolta, rispetto al passato, è netta) Per il caso in cui il licenziamento non sia nullo, ma (semplicemente) ingiustificato viene prevista come regola una tutela meramente economica. Se infatti non sussiste la giusta causa o il giustificato motivo (soggettivo o oggettivo) addotti dal datore, il recesso rimane efficace e pertanto il Giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento. Il datore viene condannato al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di anzianità di servizio, con il minimo di 4 mensilità e il massimo di 24. Identica sanzione è prevista per i licenziamenti collettivi (art. 10 decreto), tanto per le violazioni procedurali quanto per la violazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5 della legge n. 223 del 1991 (qui la distinzione tra vecchi e neo assunti è dirompente in quanto i primi, in caso di violazione dei criteri di scelta, fruiscono ancora della reintegrazione). In materia di licenziamenti collettivi si registra una violenta distonia tra i dirigenti e le altre categorie di lavoratori subordinati: per questi ultimi vi è la descritta tutela crescente, per i dirigenti un’indennità tra le 12 e le 24 mensilità (così come previsto dall’art. 16 della legge n. 161 del 2014 che – malamente recependo i principi espressi da Corte Giust. 13 febbraio 2014 – ha introdotto per i dirigenti non solo la procedura di informazione e consultazione sindacale, come era lecito attendersi, ma anche una disciplina sanzionatoria speciale). Ad un dirigente basta quindi lavorare pochi mesi per poi fruire dell’anzidetta, energica tutela nel caso di coinvolgimento in un licenziamento collettivo viziato sotto il profilo procedurale o di violazione dei criteri di scelta. La reintegrazione è dunque sempre esclusa per i licenziamenti economici (sia individuali per motivo oggettivo sia collettivi). ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca Licenziamento disciplinare: un unico caso di reintegazione (depotenziata) Per i licenziamenti disciplinari, a fronte della generalizzazione della tutela economica, residua un’unica ipotesi di tutela reale: si tratta del caso in cui sia dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto contestato al lavoratore. Quest’ultimo, in tal caso, avrà diritto alla riammissione in servizio e al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perdute, con il tetto massimo delle 12 mensilità. Si parla in questi casi di tutela sì reale, ma depotenziata in quanto permane la reintegrazione nel posto di lavoro, ma si assiste ad una drastica riduzione delle conseguenze risarcitorie (cfr. la disposizione “parallela” di cui all’art. 18, comma 4, St. lav.). Rispetto alla reintegrazione piena infatti: il risarcimento del danno viene ancora parametrato alle retribuzioni perdute, ma è esclusa la penale minima di 5 mensilità e (soprattutto) l’indennità non può superare il tetto massimo delle 12 mensilità della retribuzione globale di fatto; la durata del processo superiore all’anno va quindi a danno del lavoratore che d’ora in poi sarà interessato non più alle lungaggini volte a lucrare, ma ad una rapida definizione del procedimento; opera la detrazione non solo dell’aliunde perceptum, ma anche di “quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro” (la detrazione di questa componente potrebbe essere più incisiva di quella del tradizionale aliunde percipiendum, che nell’attuale contesto di crisi non viene normalmente fatto oggetto di specifica indagine da parte dei Giudici). Il legislatore recepisce pressoché alla lettera il recentissimo insegnamento della Suprema Corte (Cass. 6 novembre 2014, n. 23669), secondo cui “Il nuovo articolo 18 (così come riformato dalla c.d. legge Fornero) ha tenuto distinta dal fatto materiale la sua qualificazione come giusta causa o giustificato motivo, sicché occorre operare una distinzione tra l’esistenza del fatto materiale e la sua qualificazione. La reintegrazione trova ingresso in relazione alla verifica della sussistenza/insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, così che tale verifica si risolve e si esaurisce nell’accertamento, positivo o negativo, dello stesso fatto, che dovrà essere condotto senza margini per valutazioni discrezionali; conseguentemente esula dalla fattispecie che è alla base della reintegrazione ogni valutazione attinente al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità del comportamento addebitato”. Il decreto, ponendosi in linea di continuità con la Suprema Corte, stabilisce che il fatto di cui si discute è solo quello materiale, restando “estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”; per il caso in cui il fatto sia sussistente, ma insufficiente a fondare il licenziamento, dunque, non opera la reintegrazione, ma solo la sanzione economica anzidetta. Insussistenza del fatto contestato significa che l’accusa rivolta al lavoratore non è risultata non vera in punto di fatto: ad es. non c’è stato alcun furto di materiale aziendale oppure il furto in azienda c’è stato, ma non lo ha commesso il lavoratore (cfr. Trib. Venezia 7 agosto 2013 che ha ritenuto insussistente il fatto nella seguente fattispecie: al lavoratore era stato contestato di aver partecipato ad una rissa, l’istruttoria giudiziale aveva viceversa evidenziato semplicemente un violento diverbio verbale; Trib. Venezia ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca 6 luglio 2013 ha parimenti ritenuto insussistente il fatto nel caso seguente: rifiuto opposto da un autotrasportatore all’ordine datoriale di caricare un automezzo, giudicato legittimo a fronte delle limitazioni al sollevamento di carichi impartite a tutela del lavoratore per problemi di salute). Il legislatore intende così porre fine alla battaglia interpretativa tra i sostenitori della tesi del fatto “materiale” e quelli del fatto “giuridico”. I primi (fatto materiale) fanno principalmente leva sulla dizione letterale impiegata dalla riforma Fornero nel riscrivere il comma 4 dell’art. 18 St. lav. che, prevedendo la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro solo laddove il fatto a quest’ultimo contestato non sussista, non può evidentemente che riferirsi a una ben determinata condotta, individuabile con immediatezza nella sua materiale esteriorità. Ai fini dell’accertamento circa la sussistenza del fatto contestato, quindi, è sufficiente la verifica del suo solo nucleo sostanziale, privo di qualsiasi connotazione soggettiva. Tale tesi appare senza dubbio suggestiva in quanto valorizza appieno la ratio ispiratrice della riforma. Se infatti, questa ha avuto l’obiettivo – e, secondo alcuni, anche il merito – di prevedere diversi livelli di sanzioni ciascuno dei quali parametrato al grado di disvalore della condotta datoriale, allora necessariamente la tutela reintegratoria deve essere prevista in funzione del maggior grado di gravità della illegittimità del licenziamento intimato da parte datoriale rispetto all’ingiustificatezza semplice sanzionata con una mera indennità economica. Ma per poter affermare in capo al comportamento del datore di lavoro una certa gravità “qualificata”, non si può pretendere dal medesimo una valutazione estesa che tenga conto anche dei profili soggettivi inerenti la colpevolezza del lavoratore. In altre parole, il comportamento del datore di lavoro che abbia intimato un licenziamento disciplinare contestando un fatto insussistente, è più grave proprio perché basato su una valutazione di carattere esclusivamente fenomenologico e dunque di maggiore semplicità ed immediatezza (il fatto c’è stato veramente, o no? È stato compiuto proprio dal lavoratore licenziando, o no?). Se, invece, nell’espressione “insussistenza del fatto contestato” fosse ricompresa anche la valutazione di elementi estrinseci ed ulteriori rispetto alla mera condotta materiale del lavoratore, di elementi cioè soggettivi e psicologici inerenti alla colpevolezza del lavoratore, spesso sfuggenti nella loro individuazione, non si vede dove sarebbe la maggior gravità della condotta datoriale che, per ipotesi, abbia operato una valutazione censurata dal giudice. Altra parte della dottrina aderisce invece a una nozione “giuridica” di fatto contestato, nella quale rientrano, da un lato, la circostanza che si tratti di un comportamento qualificabile come inadempimento contrattuale e, dall’altro lato, i profili soggettivi della condotta, cioè l’intenzionalità, la colpevolezza e la relativa intensità. Varie sono le proposte ricostruttive poste alla base di tale teorica. Si sostiene, in primo luogo, che ai fini dell’individuazione della sanzione corretta, si debba prendere in considerazione non qualsiasi comportamento, bensì “quello la cui insussistenza determina la mancanza di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo” . Il comportamento del lavoratore, oltre a sussistere, deve costituire giusta causa di licenziamento, e quindi necessita della presenza di una certa gravità, di ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca una specifica volontà e finalità del lavoratore, e della proporzionalità tra la condotta e la sanzione irrogata. Come si vede, trattasi di un’opinione del tutto in linea con il diffuso indirizzo giurisprudenziale precedente alla riforma che, in materia di licenziamento intimato per furto in azienda di un bene di modico valore, reputava il recesso ingiustificato in quanto sproporzionato, e conseguentemente ordinava all’imprenditore la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Nel senso del fatto giuridico si è orientato il Tribunale di Bologna nella ormai celebre ordinanza del 15 ottobre 2012 , la quale prende posizione su una vicenda in cui il lavoratore, responsabile del controllo qualità dell’azienda, scrive al superiore gerarchico una e-mail dal seguente contenuto: “Parlare di pianificazione in questa azienda è come parlare di psicologia con un maiale, nessuno ha il minimo sentore di cosa voglia dire pianificare una minima attività”. Il fatto di insubordinazione al superiore era documentato, incontestato, pacificamente sussistente, ma ciò non è bastato a evitare al datore di lavoro di subire l’ordine di reintegrare in servizio il lavoratore. Il Tribunale, infatti, ha fatto propria la tesi secondo cui “la norma in questione, parlando di fatto, fa necessariamente riferimento al c.d. Fatto Giuridico, inteso come il fatto globalmente accertato, nell’unicum della sua componente oggettiva e della sua componente inerente l’elemento soggettivo. Non può, infatti, ritenersi che l’espressione “insussistenza del fatto contestato” utilizzata dal legislatore facesse riferimento al solo fatto materiale, posto che tale interpretazione sarebbe palesemente in violazione del principi generali dell’ordinamento civilistico, relativi alla diligenza e alla buona fede nell’esecuzione del rapporto lavorativo, posto che potrebbe giungere a ritenere applicabile la sanzione del licenziamento indennizzato, anche a comportamenti esistenti sotto l’aspetto materiale ed oggettivo, ma privi dell’elemento psicologico, o addirittura privi dell’elemento della cosciente volontà dell’azione”. L’ordinanza in esame fa leva sulla lieve intensità della colpa, a suo dire derivante dall’inesistenza di precedenti disciplinari in capo al lavoratore e, in particolare, dalla situazione di difficoltà psicologica del lavoratore derivante dallo stress cui era sottoposto, nonché dalla particolare ironia con cui gli era stato rivolto l’ordine di pianificazione dell’attività da parte del superiore. L’ordinanza del Tribunale di Bologna è stata confermata in fase di opposizione (sentenza del Tribunale di Bologna del 17 gennaio 2013), nonché in fase di reclamo con la sentenza della Corte d’Appello di Bologna del 23 aprile 2013. A fronte della descritta querelle (fatto esclusivamente materiale / fatto globalmente inteso, ivi inclusa la componente soggettiva), si può tentare una sintesi che tenga conto degli elementi di bontà apportati da ciascuna. Da un lato, la lettera del decreto è chiara: la reintegrazione spetta soltanto nel caso di dimostrata insussistenza “del fatto materiale contestato” al lavoratore. Dall’altro non bisogna però dimenticare che l’art. 3 del decreto non ridefinisce le fattispecie, rimanendo tributario nei confronti dell’art. 2119 cod. civ. in ordine alla nozione di giusta causa e all’art. 3 l. 604 del 1966 in ordine al giustificato motivo soggettivo: quindi il lavoratore dovrà aver sempre commesso un fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto” o, rispettivamente, “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali”. ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca Quindi ad escludere la reintegrazione non pare sufficiente la sussistenza di un qualsivoglia fatto materiale, perché altrimenti anche un singolo (ma vero) ritardo di pochi minuti potrebbe essere indice di giustificatezza del licenziamento. Il fatto deve innanzitutto essere anche imputabile: non lo è, ad esempio, un ritardo causato da forza maggiore (chiusura dell’autostrada per neve o nebbia) oppure il furto commesso da un magazziniere affetto da cleptomania (cfr. la giurisprudenza penale sul riconoscimento della cleptomania come vizio di mente ex art. 88 c.p.). Il fatto quindi deve sicuramente sussistere nella sua materialità, essere imputabile e – come ulteriore condizione - configurare altresì un inadempimento, altrimenti potendo il datore di lavoro arrivare a licenziare per un fatto sì sussistente nel suo profilo materiale, ma di privo di qualsiasi connotazione in termini di antigiuridicità (es. uno starnuto non gradito al datore di lavoro). Del resto, l’art. 1455 cod. civ. dispone che “il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”. Quelli accennati saranno sicuramente argomento di discussione nelle aule dei Tribunali in quanto il legislatore ha espressamente espunto dall’accertamento sul fatto il giudizio di proporzionalità, ma non quello di imputabilità o addirittura il profilo inerente l’esame dell’elemento psicologico del lavoratore. La reintegrazione viene altresì conservata nel caso di licenziamento intimato per (asserita) inidoneità psico-fisica del lavoratore in realtà insussistente. Si ritiene, anche se non espressamente previsto, che il lavoratore ricorrente in giudizio possa comunque chiedere al giudice di accertare la natura disciplinare del recesso, indipendentemente dalla causale economica asseritamente utilizzata dal datore di lavoro. Rispetto ai vecchi-assunti, viceversa, non viene conservata l’ipotesi della reintegrazione per il caso in cui il fatto rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili (art. 18, comma 4). La soppressione di tale inciso è importante; infatti la previsione negoziale che ricolleghi ad un determinato fatto solo una sanzione conservativa si ritiene continui a vincolare il Giudice, trattandosi di una condizione di miglior favore fatta espressamente salva dalla legge (art. 12 legge n. 604 del 1966). In una prospettiva pratica ed operativa pare infatti difficile pensare ad un Giudice che mandi assolto un datore di lavoro per un fatto che il contratto collettivo (vigente ed applicabile), ancorché precedente alla nuova norma in commento, preveda soltanto una sanzione conservativa. E’ verosimile pensare ad un Giudice del lavoro che riconosca la legittimità del licenziamento per un singolo giorno di assenza ingiustificata, quando il contratto collettivo preveda che i giorni debbano essere almeno tre (o quattro) per uscire dall’alveo delle sanzioni conservative? Certamente no; sulla conseguente sanzione è però lecito dubitare (reintegrazione o indennità economica) visto che il fatto materiale sussiste ed è anche antigiuridico, però il recesso datoriale viola la disciplina collettiva. Questo passaggio è pericoloso in quanto potrebbe indurre alcune aziende, per avere mano maggiormente libera in materia di licenziamenti, ad uscire dal sistema della contrattazione collettiva nazionale. Da ultimo, l’unico caso sopravvissuto di tutela reale porta con sé un dubbio di natura processuale; il legislatore ne prevede l’applicabilità nelle ipotesi “in cui sia direttamente dimostrata in giudizio ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca l’insussistenza del fatto materiale”, sembrando addossare al lavoratore uno specifico onere della prova sul punto. In realtà, si ritiene che l’infelice formulazione letterale non sia idonea a superare l’art. 5 della legge n. 604 del 1966 (secondo cui incombe sul datore di lavoro provare la giustificatezza del licenziamento: nello stesso senso Treu; contra Carinci), se non altro perché altrimenti la norma sarebbe censurabile per evidente eccesso di delega. La legge n. 183 del 2014, infatti, non fa alcuna menzione del profilo attinente l’onere della prova. Vizi formali e procedurali: sanzione annacquata Il legislatore, in piena linea di continuità con il trend legislativo inaugurato dalla legge Fornero, ha scelto di alleggerire ulteriormente le sanzioni conseguenti alle violazioni di carattere formale/procedurale del licenziamento. Ora in caso di violazione della procedura disciplinare di cui all’art. 7 St. lav. o di violazione dell’obbligo di motivazione contestuale al licenziamento scritto, è prevista una tutela indennitaria di importo pari ad una mensilità per ogni anno di servizio, con il minimo di 2 e il massimo di 12 mensilità. Da notare che anche qui l’unico criterio di quantificazione è dato dall’anzianità di servizio (mentre per i vecchi assunti vi è una valutazione discrezionale da parte del Giudice, tarata “in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro”: cfr. art. 18, comma 6, St. lav.). Sulla scia della già richiamata sentenza di Cassazione (6 novembre 2014, n. 23669) è da ritenere che “il requisito della immediatezza della contestazione … rientri tra le regole procedurali”; conseguentemente, l’eventuale tardività della contestazione viene sanzionata da questo blando livello di tutela economica (nello stesso senso Ichino). Diverso è il caso in cui via sia “la violazione del requisito di tempestività (del licenziamento, n.d.s.), che viene considerata elemento costitutivo del diritto di recesso”, precisa la Suprema Corte; pertanto nel caso in cui il datore di lavoro esaurite le esigenze difensive del procedimento disciplinare (contestazione scritta, rispetto del termine a difesa, audizione assistita se richiesta) non provveda a chiudere lo stesso con il licenziamento in tempi congrui (solitamente fissati dalla medesima contrattazione collettiva), subirà non la presente (blanda) sanzione per vizi procedurali ma la sanzione crescente dalle 4 alle 24 mensilità prevista per il licenziamento disciplinare privo di giusta causa/giustificato motivo. La sanzione per vizio procedurale è molto blanda e verrebbe quasi da dire che invita a bypassare le norme su forma e procedura di licenziamento. In realtà non è così perché resta salva la possibilità per il lavoratore di chiedere al giudice di accertare che, oltre al vizio di forma, vi è anche un difetto di giustificazione con l’applicazione del tipo di tutela previsto a seconda della gravità di quel difetto. La norma richiede una specifica “domanda” del lavoratore che si ritiene debba essere calata già nel ricorso introduttivo. ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca Licenziamento ingiustificato: la tutela per i neo-assunti delle piccole imprese Per le imprese sino a 15 dipendenti la tutela per i neo-assunti è così sintetizzabile: licenziamento ingiustificato: indennità pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio, con il minimo di 2 e il massimo di 6 mensilità (rispetto alla “classica” tutela obbligatoria, dunque, si registra una piccola riduzione del minimo che passa da 2,5 a 2 mensilità); la reintegrazione è sempre e comunque esclusa, anche nel caso di licenziamento disciplinare per fatto insussistente; violazione formale/procedurale: in caso di omissione della motivazione contestuale al licenziamento scritto o di violazione del procedimento disciplinare di cui all’art. 7 St. lav., si applica una sanzione meramente economica di importo pari a mezza mensilità per ogni anno di servizio, con il minimo di 1 e il massimo di 6 mensilità. Regole di computo dell’indennità risarcitoria Circa il computo delle indennità risarcitorie sopra viste, il legislatore opera le seguenti precisazioni: il moltiplicatore da prendere a riferimento è “l’ultima retribuzione globale di fatto”; per i lavoratori impiegati in un’attività soggetta a cambio di appalto (evidentemente con passaggio diretto al nuovo appaltatore), l’anzianità si computa tenuto conto di tutti gli spezzoni lavorativi effettuati; le indennità, per le frazioni di anno di anzianità di servizio, vengono riproprozionate; le frazioni di mese uguale o superiori a 15 giorni si computano come mese intero. le indennità non sono assoggettate a contribuzione previdenziale, ma – a differenza delle statuizioni parallele di cui all’art. 18 St. lav. – non si specifica espressamente il carattere onnicomprensivo delle stesse, con il possibile rischio di incertezza relativo alla proponibilità o meno di domande risarcitorie connesse all’intervenuto recesso datoriale (es. danno alla salute consistente nella depressione causata da un licenziamento in tronco?). Gli incentivi alla monetizzazione deflattiva del licenziamento per i neo-assunti E’ indubbio che lo schema di decreto delegato ambisca a soluzioni amichevoli delle controversie. Tale obiettivo viene perseguito attraverso diversi strumenti: 1. il datore di lavoro, entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, può effettuare in sede protetta (sede sindacale, Dtl, sedi di certificazione, collegio di conciliazione e arbitrato ex art. 412 quater c.p.c.) un’offerta conciliativa pari ad una mensilità per ogni anno di servizio, con il minimo di 2 e il massimo di 18 mensilità; l’incentivo sta nel fatto che tale importo non è soggetto ad imposizione fiscale né ad imposizione contributiva e tale esenzione potrebbe ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca favorire non di poco la trattativa tra le parti; la molla psicologica per il lavoratore potrebbe essere data dall’immediatezza del pagamento, che deve essere fatta con assegno circolare da consegnare immediatamente; ovviamente trovandosi in sede protetta le parti possono approfittare dell’occasione per dirimere qualsiasi ulteriore pendenza inerente o conseguente all’intercorso rapporto di lavoro (pervenendo il datore di lavoro all’agognato carattere “tombale” dell’accordo); 2. inoltre c’è uno strumento meno appariscente, ma altrettanto incentivante, sia pur in forma larvata e potremmo dire quasi maliziosa. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nelle grandi aziende non dovrà più essere preceduto dal tentativo di conciliazione preventivo in Dtl (che rimane, ad esaurimento, per i vecchi assunti) e per le cause di licenziamento intentate dai neo-assunti non si applica il rito Fornero: i lavoratori, dunque, non potendo fruire del tentativo bonario precedente al licenziamento (che sino ad ora ha dato buona prova di sé, portando a numerose conciliazioni) e, una volta che questo sia stato intimato, dell’anzidetta corsia processuale accelerata, potrebbero essere indotti ad una conciliazione a buon mercato anziché attendere i tempi (lunghi) del processo “ordinario” del lavoro (in gergo: pochi, maledetti ma subito!). Organizzazioni di tendenza “normalizzate” Finisce per le organizzazioni di tendenza (i.e. i “datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto”, ad esempio partiti politici, sindacati etc) il regime agevolante sino ad ora vigente (i.e. l’esclusione dell’art. 18 St. lav.). Per i neo-assunti si applicherà la tutela sopra vista, tarata sulle dimensioni dell’organico. Qui si crea un effetto paradossale perché l’effetto penalizzante si appunta sui vecchi-assunti delle grandi organizzazioni di tendenza: essi continueranno a fruire della blanda tutela obbligatoria (indennità tra le 2,5 e le 6 mensilità), i neo-assunti della più sostanziosa tutela crescente che può arrivare sino alle 24 mensilità dopo 12 anni di servizio. Qualche problema potrebbe darlo la generalizzata applicazione della tutela contro il licenziamento discriminatorio, ma tutto sommato la criticità pare risolvibile alla stregua dei principi precedenti: il licenziamento del dipendente per incompatibilità ideologica dovrebbe ritenersi tuttora giustificato (ad esempio il caso del funzionario sindacale che esprima apertamente il proprio dissenso rispetto alla linea ideologica della O.S. di appartenenza), mentre negli altri casi di nullità varrà la tutela sopra vista. Analogamente al fine di determinare la giustificatezza o meno del recesso datoriale dovrebbe valere la distinzione tradizionale tra mansioni di tendenza (cioè direttamente collegate alle finalità del datore di lavoro) e mansioni neutre (ad esempio, diverso è il caso in cui ad esprimere il proprio convincimento ateo in una scuola cattolica sia l’insegnante di filosofia o l’addetta alle pulizie). ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca Le ipotesi non previste Lo schema di decreto delegato, pur avendone l’ambizione, non copre tutte le possibili ipotesi di illegittimità del licenziamento, non dettando ad esempio alcuna disciplina con riferimento al caso del licenziamento per asserito sforamento del comporto in realtà non ancora superato. In tale ipotesi è da ritenere, non senza qualche difficoltà (in quanto siamo di fronte ad una fattispecie speciale che trova il suo fondamento normativo nell’art. 2110 cod. civ. e non nell’art. 3 della legge n. 604 del 1966), che si applichi il regime connesso alla ingiustificatezza per carenza del motivo oggettivo previsto dal decreto in commento (in questo senso Ichino); in tal senso si potrebbe utilizzare lo strumento di cui all’art. 12 delle preleggi che prevede, in caso di vuoto normativo, l’applicazione alle disposizioni che regolano “casi simili o materie analoghe”. Il decreto non menziona lo scarso rendimento, come era stato proposto in un primo tempo. Sulla medesima fattispecie “anfibia”, pertanto, si riproporrà il tradizionale dubbio circa la collocabilità della stessa all’interno del motivo economico o viceversa disciplinare (dubbi sulla fattispecie che ovviamente hanno una ricaduta operativa sulla procedura da seguire per l’intimazione del recesso). La revoca del licenziamento Il decreto conferma anche per i neo assunti la possibilità di revoca del licenziamento introdotta tre anni fa dalla riforma Fornero (cfr. art. 18, comma 10, St. lav. nuovo testo). La “revoca del licenziamento” può essere effettuata “entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo”. In tal caso “il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità”, spettando al lavoratore soltanto la retribuzione per il periodo compreso tra il licenziamento e la revoca, ma con espressa esclusione di qualsiasi sanzione connessa al licenziamento. La revoca non è più una mera proposta del datore di lavoro, ma è un vero e proprio potere del datore che non necessita di accettazione da parte del lavoratore. A fronte di una revoca tempestiva il lavoratore, salva la retribuzione del periodo indicato, non ha diritto ad alcuna tutela e quindi nemmeno all’indennità sostitutiva della reintegrazione. Il legislatore dopo aver dettato tale condivisibile disciplina tace sulle concrete modalità di esercizio della revoca stessa. Quanto alla forma, pur non essendo espressamente prevista, non paiono esservi dubbi sul fatto che debba essere scritta, trattandosi di negozio collegato al licenziamento per il quale è prescritta tale forma. La domanda è però un’altra: che succede nel caso in cui il lavoratore, dopo la revoca tempestiva del licenziamento, non riprenda servizio? Si ritiene che il datore di lavoro nella stessa lettera con cui comunica la revoca debba assegnare al lavoratore un termine congruo per il rientro in servizio. A fronte dell’assenza ingiustificata per un certo lasso di tempo il datore potrà procedere sul piano ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
Prof. Avv. Enrico Barraco Professore a contratto Università di Padova Prof. Andrea Sitzia Professore aggregato Università di Padova Avv. Nadia Moretti Avv. Silvia Rizzato Dott. Giulio De Luca disciplinare sino al licenziamento. Non sono invece configurabili dimissioni o risoluzione consensuale per fatti concludenti in quanto per tali atti è ormai necessaria la forma scritta, oltretutto appesantita dalle nuove procedure. Essa si applica con certezza anche alle piccole imprese in quanto prevista dall’art. 5 del decreto la cui applicazione è sganciata dai requisiti dimensionali dell’azienda. Scontata, infine, pare l’applicabilità dell’istituto ai licenziamenti collettivi, che anzi parrebbero il terreno di più fertile utilizzo dell’istituto, specie per il caso in cui un datore di lavoro si accorga tempestivamente di un vizio attinente la procedura. Generalizzazione della tutela economica e decorrenza della prescrizione Come noto, secondo la giurisprudenza tradizionale, la prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore decorre anche durante il rapporto di lavoro solo nei rapporti dotati di stabilità in quanto il lavoratore, potendo contare sulla eliminazione degli effetti del licenziamento ingiustificato, non dovrebbe avere alcun timore reverenziale a far valere i suoi diritti nei confronti del datore di lavoro già in corso di rapporto. Ecco che allora, prima della riforma del 2012, si riteneva che la prescrizione nelle piccole aziende decorresse soltanto a far data dalla cessazione del rapporto, nelle grandi (cui si applicava il vecchio e monolitico art. 18, volto a prevedere l’unitaria sanzione della reintegra) già in corso di rapporto. A fronte del nuovo regime di tutela per i neo assunti non pare possa ancora sostenersi il decorso della prescrizione in corso di rapporto, in quanto anche nelle grandi aziende il rapporto tutela reale/tutela obbligatoria è oramai un rapporto di eccezione/regola come nelle piccole aziende. In attesa quindi di una nuova ricostruzione da parte della Consulta o di un intervento di interpretazione autentica da parte del legislatore, si ritiene che per i neo assunti la prescrizione è destinata a correre soltanto dalla cessazione del rapporto sia nelle piccole che nelle grandi aziende. ________________________________________________________________________________________________ 35131 PADOVA – Via Tommaseo, 69/D – Tel. 049 776794 – Fax 049 8085667 C.F. BRRNRC75R05G888N – P. IVA 04440580282 – e mail: info@enricobarraco.com www.enricobarraco.com
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