Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali - Diacronie
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Diacronie Studi di Storia Contemporanea 39, 3/2019 Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali Umberto SANTINO Per citare questo articolo: SANTINO, Umberto, «Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali», Diacronie. Studi di Storia Contemporanea : Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali, 39, 3/2019, 29/10/2019, URL: < http://www.studistorici.com/2019/10/29/santino_numero_39/ > Diacronie Studi di Storia Contemporanea → http://www.diacronie.it Rivista storica online. Uscita trimestrale. redazione.diacronie@hotmail.it Comitato di direzione: Naor Ben-Yehoyada – João Fábio Bertonha – Christopher Denis-Delacour – Maximiliano Fuentes Codera – Tiago Luís Gil – Anders Granås Kjøstvedt – Deborah Paci – Mateus Henrique de Faria Pereira – Spyridon Ploumidis – Wilko Graf Von Hardenberg Comitato di redazione: Jacopo Bassi – Luca Bufarale – Gianluca Canè – Luca G. Manenti – Fausto Pietrancosta – Elisa Tizzoni – Matteo Tomasoni – Luca Zuccolo Diritti: gli articoli di Diacronie. Studi di Storia Contemporanea sono pubblicati sotto licenza Creative Commons 3.0. Possono essere riprodotti e modificati a patto di indicare eventuali modifiche dei contenuti, di riconoscere la paternità dell’opera e di condividerla allo stesso modo. La citazione di estratti è comunque sempre autorizzata, nei limiti previsti dalla legge.
Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali 8/ Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali Umberto SANTINO A cura di Fausto PIETRANCOSTA Lo storico Umberto Santino, nell’intervista rilasciata a Diacronie. Studi di Storia contemporanea il 10 ottobre 2019 presenta le sue valutazioni sul fenomeno mafioso, da un lato costruendo una dettagliata fenomenologia storica delle “realtà mafiogene” e del modus operandi del crimine organizzato nel nostro paese e, dall’altro lato, delineando nuove prospettive di ricerca nel campo degli studi sulla mafia. Fausto Pietrancosta: Qual è il rapporto tra mafia e sottosviluppo del Sud? Per anni ci siamo posti la questione considerando la mafia figlia del sottosviluppo. Poi abbiamo invertito i termini, considerando il sottosviluppo come una diretta conseguenza della mafia. Pensa che questi paradigmi siano ancora utili oppure la questione è più complessa? Umberto Santino: Anche se so che è un’osservazione prevedibile e ricorrente, la questione mi pare “un po’ più complessa”. La mafia è prodotto e riproduttrice del sottosviluppo ma è anche presente e operante in società pienamente sviluppate e con un ruolo egemonico nel contesto capitalistico contemporaneo. Questo vuol dire che bisogna andare oltre le polarizzazioni, sostituendo all’aut-aut l’et-et. E il discorso non riguarda solo il paradigma, o più genericamente l’idea che lega la mafia al sottosviluppo o allo sviluppo, vale per tutto il panorama delle idee che sono circolate sul fenomeno mafioso. Alla base delle mie analisi ci sono premesse metodologiche che partono dal vaglio delle idee correnti, classificabili come stereotipi e paradigmi. Stereotipi sono le idee correnti prive di base scientifica ma molto diffuse, a tutti i livelli, dal senso comune alle rappresentazioni mediatiche, alle stesse idee del legislatore, come quella dell’emergenza, secondo cui la mafia c’è quando spara, è un fenomeno preoccupante quando c’è la montagna di morti, diventa “questione nazionale” quando uccide Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino. Come se tra un delitto e l’altro andasse in vacanza. Tutta la legislazione antimafia viene dopo i grandi Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 39, 3/2019 1
Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali delitti e le stragi, si potrebbe dire che se non avessero ucciso Dalla Chiesa non ci sarebbe stata la legge antimafia, approvata dieci giorni dopo. Se non avessero ucciso Falcone e Borsellino non ci sarebbero stati il carcere duro e la legislazione premiale per i collaboratori di giustizia 1. I paradigmi hanno una base scientifica, cioè sono formulati in base ad un criterio e poggiano su una certa massa di dati. Corrispondono a queste indicazioni il paradigma giuridico-organizzativo, fondato sulla legislazione che ha definito l’associazione a delinquere di tipo mafioso; il paradigma culturale, secondo cui la mafia è un modello comportamentale, una subcultura; il paradigma sociologico- politico, che privilegia le relazioni sociali e i rapporti con le istituzioni e sottolinea la dimensione del potere; il paradigma economico, secondo cui la mafia e un’impresa e la sua finalità è l’accumulazione. Anche i paradigmi sono fondati sulla polarizzazione, per cui prevale o è esclusivo un solo aspetto. Per decenni la mafia è stata rappresentata come modo di essere, ipertrofia dell’io; dopo le rivelazioni di Buscetta studiosi, giornalisti, magistrati si sono votati al culto dell’organizzazione, nella forma rigida e piramidale di Cosa nostra. C’è stato un passaggio precipitoso dalla rappresentazione di una mafia destrutturata, amebica, all’anatomia di una mafia iperstrutturata, assumendo come nuovi dogmi le dichiarazioni dei “pentiti”. Si può dire che c’è stato un aB e un dB, assumendo come spartiacque il verbo di Buscetta. Sono dell’avviso che i “pentiti” hanno avuto un ruolo importante, determinante, nella ricostruzione dei delitti e delle relazioni, sono inaffidabili quando scimmiottano gli storici o i sociologi. Secondo Buscetta, la mafia, la sua mafia, discendeva dai Beati Paoli, i giustizieri del mito apologetico, ed era nata per tutelare gli orfani e le vedove2. Sarebbero stati i “corleonesi” a indurre il tralignamento e la causa sarebbe stato il traffico di droga, di cui Buscetta era stato uno dei pionieri, mentre i corleonesi nella spartizione dei proventi recitavano la parte dei parenti poveri 3. Ma gli accademici hanno fatto la loro parte nel distinguere un prima e un dopo. E così abbiamo letto che la mafia fino agli anni ’70 competeva per l’onore, successivamente compete per la ricchezza, e negli ultimi anni è comparso un nuovo dogma: la mafia come “industria della protezione privata”, istituto assicurativo in una società esposta al rischio. Ma è la mafia che produce il rischio, minacciando ritorsioni se non si accolgono le sue richieste. Il mio «paradigma della complessità» cerca di andare oltre le polarizzazioni, coniugando associazionismo criminale e sistema di rapporti e mettendo in relazione vari aspetti: crimine, accumulazione, potere, codice culturale e consenso sociale. Sul 1 Interessante, a riguardo, è la ricognizione offerta da LONGO, Orazio, «Le origini e l’evoluzione storica della legislazione antimafia», in Filodiritto, 4 Settembre 2009, URL: < https://www.filodiritto.com/articoli/2009/09/le-origini-e-levoluzione-storica-della-legislazione-antimafia>, [consultato il 6 ottobre 2019]. Si veda anche ANGELINI, Marco, TRAMONTANO, Luigi (a cura di), Il codice della legislazione antimafia e le altre forme di criminalità organizzata: commentato con la giurisprudenza, Piacenza, La Tribuna, 2007. 2 RENDA, Francesco, I Beati Paoli. Storia, letteratura e leggenda, Palermo, Sellerio, 1988. 3 Cfr. JANNUZZI, Lino, Così parlò Buscetta, Milano, SugarCo, 1986; ARLACCHI, Pino, Addio cosa nostra: i segreti della mafia nella confessione di Tommaso Buscetta, Milano, Rizzoli, 1996; LODATO, Saverio, La mafia ha vinto: intervista con Tommaso Buscetta, Milano, Oscar Mondadori, 2007. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 39, 3/2019 2
Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali piano della ricostruzione storica, lo stereotipo mafia vecchia – mafia nuova, è stato riverniciato come mafia tradizionale e imprenditrice. Come per tutti i fenomeni di durata, lo sviluppo storico della mafia, più che di tagli con l’accetta, è il risultato dell’intreccio tra continuità e innovazione, rigidità formale ed elasticità di fatto. La mafia è insieme arcaica e postmoderna. L’estorsione è praticata nel mercato della Vucciria di Palermo fin dal XVI secolo e sopravvive fino ad oggi perché è l’espressione emblematica della “signoria territoriale”, e un aspetto che potrebbe sembrare una forma di potere primitivo è pienamente funzionale ai traffici internazionali, come quello di droga. Gaetano Badalamenti per anni è stato un regista del traffico di droga, e nel processo alla Pizza Connection è stato condannato a 45 anni di carcere, perché esercitava la signoria territoriale sull’aeroporto di Palermo e sull’area circostante dove erano installate le raffinerie di eroina, destinata agli Stati Uniti. Bisogna partire dalla presa d’atto che la mafia, parlo in particolare del modello siciliano, è la forma più emblematica della funzionalità della violenza (soprattutto quando è in larga parte impunita, com’è stata per un ampio lasso di tempo) ai processi di accumulazione e di acquisizione di ruolo e di potere, all’interno del contesto in cui agisce. Cioè fa parte della fisiologia dell’economia reale e della morfologia del potere, così come storicamente si è configurato. Un fenomeno-specchio, che riflette le contraddizioni della società in cui sviluppo e sottosviluppo sono le facce di un’unica realtà. Ed è questa la ragione del suo successo e della sua persistenza, anche in contesti spazio-temporali mutati o in mutamento, e nell’attuale società liquida, secondo la vulgata baumaniana4. F.P.: Sono ravvisabili, a suo modo di vedere, delle affinità di “metodo” e/o delle differenze tra la “mafia storica” (Cosa Nostra) e le altre mafie, con particolare attenzione a ’Ndrangheta e Camorra? Esistono analogie nell’evoluzione delle diverse organizzazioni criminali? U.S.: Se risaliamo indietro nel tempo, è nata prima la camorra, ma la mafia siciliana si è imposta per una maggiore continuità e visibilità. Non parlerei di Cosa nostra se non a partire dagli ultimi decenni, dagli anni Settanta negli Stati Uniti e successivamente in Sicilia, in seguito alle dichiarazioni di Buscetta. La mafia c’era già prima anche se non si chiamava, o non si sapeva che si chiamasse Cosa nostra. La tradizionale struttura confederale si è mutata in monarchia assoluta con i corleonesi, ora pare che sia ritornata la forma repubblicana e confederale. C’è da dire poi che Cosa nostra non racchiude tutta la soggettività criminale di tipo mafioso esistente in Sicilia. Ci sono altre organizzazioni, come per esempio la Stidda, in conflitto o convivente con Cosa nostra. 4 Cfr. SANTINO, Umberto, La borghesia mafiosa: materiali di un percorso d’analisi, Palermo, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, 1994; SANTINO, Umberto, La cosa e il nome: materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2000; ID., L’alleanza e il compromesso, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1997; ID., La mafia dimenticata. La criminalità organizzata in Sicilia dall’Unità d’Italia ai primi del Novecento, Milano, Melampo, 2017. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 39, 3/2019 3
Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali Per anni si è sostenuto che la ’ndrangheta non avesse una struttura unitaria e può anche darsi che fosse così, ma recenti inchieste, come Crimine-Infinito, hanno mostrato che c’è un organo di coordinamento5. La camorra ha avuto un’articolazione che ha fatto da progenitrice di altre organizzazioni, ma negli ultimi anni ha subito un processo di frammentazione che produce una bellicosità permanente. Ne I mafiusi di la Vicaria di Palermu6, il primo testo scritto in cui si parla di mafia, ma il termine mafiusi compare solo nel titolo, l’organizzazione all’interno del carcere, ma probabilmente anche all’esterno, è strutturata secondo il canone camorristico, almeno di quel tempo, nella seconda metà dell’Ottocento. Se le strutture possono avere delle specificità, il metodo mi pare che sia una prassi unificante: un mix di violenza, minacciata o agita, e di convenienza, intimidazione e consenso. A volte, come nel caso dei corleonesi e dei clan camorristici, prevale la violenza. Che sembra una manifestazione di forza ma può essere la dimostrazione di una debolezza. Alla lunga la violenza, se non è regolamentata e governata, produce effetti boomerang, sia all’esterno che all’interno. All’esterno innesca la reazione istituzionale e suscita la mobilitazione sociale, all’interno produce reazioni soprattutto tra i perdenti della guerra intestina, come il ricorso alla giustizia nella forma del “pentitismo”. Ma anche all’interno del gruppo vincente ci possono essere ripensamenti e prese di distanza, tenendo conto degli effetti che il surplus di violenza ha causato, con la legislazione antimafia, gli arresti e le condanne. Questo vale non solo per la mafia, ma per qualsiasi altro gruppo quando l’azione del capo diventa controproducente e si pone il problema di contenerlo o di eliminarlo. Nessuna sorpresa se Provenzano ha tradito e consegnato Riina e se Gaspare Pisciotta ha tradito e ucciso Salvatore Giuliano. E bisogna tener conto che anche all’interno della mafia ci sono processi di laicizzazione: ai vecchi codici dell’omertà si sostituisce la comparazione tra costi e benefici e la collaborazione con la giustizia, più che frutto di un “pentimento”, si basa su un calcolo, un do ut des. Recentemente due capimafia, che facevano parte della nuova “cupola”, hanno collaborato con la giustizia subito dopo l’arresto, prova evidente che la generazione dei Riina e dei Badalamenti ha fatto il suo tempo. Anche per i nuovi gruppi, le cosiddette “piccole mafie”, si applicano le prescrizioni del 416 bis, verificando se sono presenti gli aspetti elencati nella norma, lasciando da parte valutazioni legate alla mafia storica, a cominciare dalla signoria territoriale o dai rituali canonici7. 5 Cfr. CHIAVARI, Marta, La quinta mafia. Come e perché la mafia al Nord oggi è fatta anche da uomini del Nord, Milano, Ponte alle Grazie, 2011. 6 RIZZOTTO, Giuseppe, MOSCA, Gaspare, I mafiusi di la Vicaria di Palermu: scene popolari in tre atti, Palermo, Pubblicazione Reprint, 1994. 7 Su questi temi si vedano CHINNICI, Giorgio, SANTINO, Umberto, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni ’60 ad oggi, Milano, Franco Angeli, 1989; SANTINO, Umberto, La borghesia mafiosa, cit.; SANTINO, Umberto, LA FIURA, Giovanni, L’impresa mafiosa, Milano, Franco Angeli editore, 1990; SANTINO, Umberto, Dietro la droga, Torino, Gruppo Abele, 1993; BERTONI, Alberto, Dalla mafia alle mafie, La criminalità come impresa, Milano, EGEA, 1997. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 39, 3/2019 4
Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali F.P.: È immaginabile oggi un “potere internazionale della mafia” artefice di un processo di convergenza operativa delle mafie che si sono moltiplicate al di là di Cosa Nostra? Che ruolo hanno giocato in tal senso i processi di globalizzazione economica e finanziaria? U.S.: Non c’è la Supermafia planetaria, c’è la proliferazione di una serie di gruppi che sono più o meno riconducibili al modello mafioso. Per la Sicilia, ma il discorso può valere anche per altre regioni meridionali, ho parlato di “società mafiogena”, nel senso che ci sono aspetti che producono mafia e la rigenerano quando ha ricevuto dei colpi che ne determinano la crisi: l’economia legale debole che induce il ricorso all’economia illegale, l’illegalità diffusa, la lontananza dalle istituzioni, raggiungibili attraverso canali personali e clientelari, la fragilità del tessuto sociale, la cultura della sfiducia e del fatalismo, l’aggressività nei rapporti della vita quotidiana. Ma questo discorso non vale per l’insediamento della mafia, negli ultimi tempi soprattutto della ’ndrangheta, nel Nord Italia, dove si potrebbe parlare di una predisposizione all’accoglienza e alla ricettività, derivante dalla negazione-sottovalutazione quando il fenomeno è allo stato embrionale, dalla convenienza offerta dalla grande disponibilità di liquidità, in periodi di difficoltà nell’accesso al credito, dalla domanda di beni e servizi illeciti, dalle droghe allo smaltimento dei rifiuti. Per questi territori, invece di mafiogenicità, si potrebbe parlare di “mafiabilità”. Ma il discorso sulla mafiogenicità mi pare applicabile per i processi di globalizzazione in atto da decenni. La globalizzazione è criminogena per due aspetti fondamentali: l’aggravarsi degli squilibri territoriali e dei divari sociali, la finanziarizzazione dell’economia. A fronte di un numero esiguo di super-ricchi, gran parte della popolazione mondiale vive in un’immensa periferia, in condizioni di emarginazione e povertà, per cui l’accumulazione illegale è l’unica risorsa o la più conveniente, e per potere accedere all’accumulazione illegale occorre professionalizzarsi nella forma mafia o qualcosa del genere. La finanziarizzazione dell’economia, quello che Luciano Gallino chiamava finanzcapitalismo, rende sempre più difficile la distinzione tra flussi di capitali legali e illegali. Così, tanto al centro che nelle periferie, proliferano gruppi di tipo mafioso e alla globalizzazione neocapitalista corrisponde la globalizzazione del crimine8. F.P.: A suo parere come hanno affrontato il fenomeno mafioso e la sua evoluzione nel tempo i media e secondo quali canoni la cultura in senso lato ha inquadrato e valutato le dinamiche 8 SANTINO, Umberto, Dalla mafia alle mafie: scienze sociali e crimine organizzato, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006; ID., Mafie e globalizzazione, Trapani, Di Girolamo Editore, 2007; MARINO, Giuseppe Carlo, Globalmafia: manifesto per un'internazionale antimafia, Milano, Bompiani, 2011; GALLINO, Luciano, Finanzcapitalismo: la civiltà del denaro in crisi, Torino, Einaudi, 2013. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 39, 3/2019 5
Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali mafiose nelle sue caratteristiche fondamentali? Si sono verificate distorsioni, forzature, fraintendimenti in tal senso? U.S.: L’approccio dominante si è configurato come reazione all’emergenza delittuosa, secondo il copione della “scoperta” o “riscoperta”, ed enfatizzazione ad effetto. I media, la televisione, il cinema, tolta qualche eccezione, hanno creato, con l’icona della Piovra, un’immagine di mafia onnipresente e onnipotente, il Male assoluto e del Padrino come eroe omerico, incarnazione della Tradition in un mondo senza identità e senza valori. I film di Coppola, esplicitamente apologetici, sono tra i più grandi successi della cinematografia dagli inizi ad oggi 9. C’è poi una produzione seriale che obbedisce a canoni discutibili o decisamente inaccettabili. Del tipo storytelling. A proposito del mio impegno nella vicenda di Peppino Impastato è stato girato e ha avuto un grande successo: 7 milioni di spettatori, un telefilm in cui faccio cose che non ho mai fatto e non faccio le cose che ho fatto. Il regista mi ha detto: “le fiction si fanno così!”. E quello che vale per la ricostruzione di eventi vale anche per l’attenzione, o la disattenzione, per quello che si studia e si produce. Anche il mercato editoriale ha le sue leggi 10. Sul piano culturale, considerando il mondo dell’accademia, la mafia fino a qualche decennio fa non era considerata un tema di studio, ma solo un argomento da giornalisti. Ci sono studiosi che nel proporre come argomento delle loro ricerche il fenomeno mafioso, si sono sentiti rispondere: “Ma lei vuol fare il sociologo o il giornalista?”. Nonostante ci fossero stati studi di grande rilievo a livello scientifico, su tutti l’inchiesta di Franchetti e Sonnino del 187511, il termine più usato per indicare la produzione di pubblicazioni riguardanti la mafia era, e in parte è ancora, “mafiologia” e “mafiologo” non è un attributo professionale degno di avere cittadinanza nel mondo scientifico. Negli ultimi anni si sono istituiti cattedre di Sociologia e di Storia del crimine organizzato, master e corsi di dottorato, parecchi studenti hanno scelto la mafia come tesi di laurea. Si potrebbe dire che anche qui sia prevalso lo stereotipo dell’emergenza. I grandi delitti e le stragi, con il loro condizionamento della vita quotidiana e dello scenario sociale e politico-istituzionale, hanno agito da spinta per avviare un’attività di ricerca e il tema ormai figura tra i più frequentati anche nelle Università e certamente è uno di quelli che dà più visibilità. Gli approcci sono quelli registrati come paradigmi, con le osservazioni su polarizzazioni, si potrebbe dire monoteismi, che ho già enunciato. 9 Cfr. ZAGARRI, Vito, Francis Ford Coppola, Firenze, La nuova Italia, 1980. 10 Si veda anche SANTINO, Umberto, «L’antimafia e gli imprenditori morali. Da “I cento passi” a “Felicia”», pubblicato su la Repubblica edizione di Palermo del 9 giugno 2016, con il titolo: SANTINO, Umberto, «Le troppe licenze mediatiche dei film sulla mafia», la Repubblica : Palermo, 9 giugno 2016, URL: [consultato il 6 ottobre 2019]. 11 FRANCHETTI, Leopoldo, SONNINO, Sidney, Inchiesta in Sicilia, Firenze, Vallecchi, 1974. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 39, 3/2019 6
Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali F.P.: Qual è stato secondo lei il ruolo delle donne nelle organizzazioni criminali? Gli studi di genere che importanti innovazioni hanno introdotto per la comprensione del fenomeno della mafia? U.S.: Si è posto il problema se le donne possano essere soltanto vestali e trasmettitrici di cultura mafiosa o abbiano un ruolo anche nella struttura organizzativa, formalmente o almeno di fatto. La mafia è maschilista perché è nata in un mondo maschilista, ma siccome la sua prassi è fondata sul pragmatismo non è detto che ci sia un’esclusione delle donne codificata, come può essere per la Chiesa cattolica che le esclude dal sacerdozio. Giusy Vitale, una donna di famiglia mafiosa di Partinico, storica roccaforte mafiosa, ha rivelato di essere stata nominata capo mandamento in sostituzione dei fratelli in carcere. Alcuni hanno scritto che non è possibile, per me è perfettamente credibile, tenuto conto che ha ordinato anche un omicidio. Siamo nell’ordine della supplenza, ma non è detto che sia un punto invalicabile. Nella ’ndrangheta ci sono le “sorelle d’umiltà” e nella camorra ci sono figure come Pupetta Maresca e la sorella di Cutolo, con un ruolo dirigenziale. Gli studi di genere hanno dato un contributo significativo nell’analizzare il ruolo delle donne sia nelle organizzazioni criminali sia, o soprattutto, nella lotta contro di esse. Nella forma di raccolta di storie di vita (penso in particolare al lavoro del Centro Impastato, svolto da Anna Puglisi) o con gli studi e le riflessioni, da Alessandra Dino a Renate Siebert e Ombretta Ingrascì12. E in Sicilia già nei primi anni Ottanta si è costituita l’Associazione delle donne in lotta contro la mafia, che ha operato per anni nelle scuole e ha sostenuto donne che si sono costitute parte civile in processi di mafia. Nell’Associazione non c’erano solo donne familiari di vittime, protagoniste di quello che si può definire “familismo morale”, ma militanti in partiti di sinistra che riscrivevano la loro militanza nell’impegno antimafia. Se oggi abbiamo un panorama più completo, tanto negli studi che nella mobilitazione, lo dobbiamo alle donne. E nelle attività nelle scuole, che dai primi anni Ottanta rappresentano una parte significativa del movimento antimafia contemporaneo, le donne sono tra gli insegnanti più motivati. Ma le donne hanno avuto un ruolo di primo piano nell’antimafia storica. Nelle ricerche per il mio libro La mafia dimenticata ho incontrato figure di donne totalmente dimenticate, che hanno denunciato i responsabili dei delitti di loro congiunti. Sono donne del popolo, come Giuseppa Di Sano, a cui in un attentato hanno ucciso la figlia diciassettenne, Emanuela Sansone, e lei è rimasta gravemente ferita, che nonostante minacce e intimidazioni, accusa gli autori dell’attentato e riesce a farli condannare. La 12 PUGLISI, Anna, SANTINO, Umberto, La mafia in casa mia, Palermo, La Luna 1986; PUGLISI, Anna, Sole contro la mafia, Palermo, La Luna 1990; ID., Donne, mafia, antimafia, Trapani, Di Girolamo Editore, 2005; ID., Storie di donne: Antonietta Renda, Giovanna Terranova, Camilla Giaccone raccontano la loro vite, Trapani, Di Girolamo Editore, 2007; SIEBERT, Renate, Le donne, la mafia, Milano, Il Saggiatore, 1994; DINO, Alessandra, Mutazioni: etnografia del mondo di Cosa Nostra, Pioppo, La Zisa, 2002; INGRASCÌ, Ombretta, Donne d'onore: storie di mafia al femminile, Milano, Bruno Mondadori, 2007. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 39, 3/2019 7
Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali madre del sindacalista Salvatore Carnevale, Francesca Serio, e la madre di Peppino Impastato, Felicia Bartolotta, non sono le prime a denunciare i mafiosi e a chiedere giustizia. Le donne hanno partecipato alle lotte contadine, dalla fine dell’Ottocento a metà degli anni ’50 del secolo scorso. Nel periodo dei Fasci siciliani (1891-1894) c’erano Fasci di sole donne che come impegno primario imparavano a leggere e a scrivere. Una sorta di protofemminismo che significava uscire da una condizione di inesistenza civile, di emarginazione e subalternità. Anche nelle lotte contadine successive troviamo le donne in primo piano13. F.P.: È attualmente ipotizzabile la fine della "Cosa Nostra" siciliana? Come si è trasformata e perché continua ad essere egemone? e in tal senso, quali insegnamenti sono da trarre dalle recenti sentenze come quella sulla "trattativa Stato-mafia”? U.S.: Ad avviso dei giudici che hanno redatto la sentenza di primo grado nel processo sulla trattativa Stato-mafia, Cosa nostra, intesa come «l’organizzazione criminale plasmata dai corleonesi e caratterizzata da precise regole, e soprattutto, gerarchie, non esiste più». A loro avviso «La ‘mafia storica’ è stata sconfitta dallo Stato»14. Il che non significa che “non esista più la ‘mafia’”, “né che non esistano già e che non possano ancora nascere strutture criminali che in qualche modo tentino di imitare la Cosa Nostra, ma si tratta, in ogni caso, di fenomeni diversi e non più sovrapponibili all’esperienza storica prima ricordata”. La Cosa nostra a gestione corleonese viene identificata con Cosa nostra tout court, ma in realtà quella Cosa nostra è stata una parentesi di pochi anni; Cosa nostra c’era già prima e tutto lascia pensare che ci sia anche dopo. Anche la trattativa viene considerata come un unicum, mentre la storia della mafia siciliana è la storia di un’interazione con le istituzioni che ha assunto varie fogge, dalla convivenza alla connivenza e al conflitto. Già la mafia a gestione Provenzano, che pure è stato uomo per tutte stagioni (killer con Liggio, stragista con Riina, e dopo mediatore-pacificatore) aveva percorso altre vie, mettendo fine alla violenza rivolta verso l’alto, che aveva avuto effetti boomerang disastrosi per l’organizzazione. Come dicevo prima, da monarchia assoluta è tornata alla tradizionale “repubblica confederale”. Ma ci sono difficoltà a ricostituire la cupola, alcuni mandamenti sono stati accorpati, c’è una carenza di quadri al vertice e nelle strutture intermedie. La scarcerazione di alcuni capi può suscitare frizioni con i reggenti che li hanno sostituiti. L’egemonia nel traffico di droga, dei tempi di Badalamenti, mi pare che sia un lontano ricordo. La mafia siciliana sembra 13 SANTINO, Umberto, La mafia dimenticata. La criminalità organizzata in Sicilia dall’Unità d’Italia ai primi del Novecento, cit. 14 Si veda a riguardo il documento «Corte d’assise di Palermo, Sez. II, sent. 20 aprile 2018 (dep. 19 luglio 2018), Pres. Montalto», in Diritto penale contemporaneo, Fascicolo 7-8/2018, URL: , [consultato il 6 ottobre 2019]. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 39, 3/2019 8
Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali ormai uno dei tanti soggetti implicati nel traffico, non necessariamente come Cosa nostra. Il rapporto con la politica deve fare i conti con un quadro in movimento e nelle fasi di transizione la mafia ha giocato su più cavalli, per poi puntare sul cavallo vincente. Tutto sta a indovinare chi possa essere. Dubito che Cosa nostra sia egemone nel contesto nazionale. Se c’è oggi una mafia egemone è la ’ndrangheta. A Palermo si è creata negli ultimi anni una situazione inedita: ci sono gruppi di mafia nigeriana che gestiscono il traffico di droga e di esseri umani, in particolare la tratta delle donne condannate a una prostituzione schiavistica. Per il loro insediamento sul territorio pagano una sorta di pizzo alla mafia? Può darsi. Risulta che il traffico di droga viene fatto in collaborazione con la mafia. Mi chiedo se questo sarebbe stato possibile quando la “signoria territoriale” di Cosa nostra aveva una dimensione totalizzante, senza smagliature. F.P.: Quali sviluppi attendono e cosa possiamo aspettarci dalle misure di contrasto alle mafie sia dal punto di vista delle istituzioni e delle autorità pubbliche che dal lato della società civile? Possiamo trarre un bilancio positivo nella lotta alle organizzazioni mafiose degli ultimi decenni o prevalgono a suo parere limiti, criticità e ombre? U.S.: Il bilancio è positivo per quanto riguarda la legislazione, gli arresti, i processi e le condanne, quanto meno dell’ala militare. Resta un problema che non è nuovo: individuare e punire mandanti e strateghi dei grandi omicidi e delle stragi. Attualmente sono in corso due processi che cercano di far luce su questo versante: l’ennesimo processo per la strage di via D’Amelio e quello sulla trattativa. Sono processi che rimandano alla morfologia del potere istituzionale. All’intreccio tra potere criminale e criminalità del potere, una costante nella storia del nostro Paese. Non so fino a che punto possa spingersi l’azione penale. Per il depistaggio delle indagini sul delitto Impastato, dopo aver ottenuto le condanne dei responsabili dell’assassinio, ci siamo rivolti alla Commissione parlamentare antimafia che, nel 2000, ha approvato una relazione che ha individuato in rappresentanti della magistratura e delle forze dell’ordine i responsabili del depistaggio. Non so se anche per la strage di via D’Amelio e altre stragi debba farsi la stessa scelta. Per la trattativa si attende l’esito del processo d’appello, ma anche in questo caso al centro ci sono il ruolo di Paolo Borsellino e le motivazioni della sua condanna a morte. Le chiamate in causa di Berlusconi riusciranno ad andare oltre le citazioni degli accenni di Giuseppe Graviano a un disorientato Gaspare Spatuzza? La “cortesia” chiesta da “Berlusca” significava l’inferno di via D’Amelio e non solo? Sul fronte della società civile si può dire che l’azione delle associazioni, dei comitati, dei centri studio, il lavoro nelle scuole, nell’antiracket, nell’uso dei beni confiscati, abbia dato buoni frutti. Certo ci sono dei limiti, problemi, divisioni; si sono verificati fatti che è troppo poco definire “spiacevoli”. Il presidente della Camera di commercio di Palermo colto in flagrante Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 39, 3/2019 9
Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali mentre intascava una mazzetta15; il vicepresidente nazionale di Confindustria incriminato per mafia16, la presidente dell’ufficio misure di prevenzione del tribunale di Palermo anche lei incriminata per vari reati17. Come si spiegano questi fatti? Mancata vigilanza, eccesso di fiducia malriposta, protagonismo che bisognava individuare fin dal suo primo apparire; l’antimafia, più che professionismo interessato, camuffamento ed esibizionismo. L’associazione di associazioni Libera ha fatto un gran lavoro, ma ci sono stati problemi di democrazia interna che hanno portato ad esclusioni e scomuniche. Il capo carismatico unisce e divide, attrae ed emargina. Ma il problema di fondo rimane la “società mafiogena”: possiamo ottenere grandi successi nella repressione, buoni risultati nella creazione di esperienze positive, ma se non agiamo sulle cause, di cui ho già parlato, la malapianta che pensavamo sradicata la vedremo rinascere. 15 Si veda «Tangenti, arrestato presidente Camera di commercio di Palermo: intascava una mazzetta», in Ansa Sicilia, 4 marzo 2015, URL: [consultato il 6 ottobre 2019]. 16 Si veda «Corruzione e dossieraggio, arrestato l’ex paladino dell’antimafia Antonello Montante», in La Stampa del 14 maggio 2018, URL: , [consultato il 6 ottobre 2019]. 17 Si veda «Silvana Saguto fa tremare i colleghi: ‘In agenda nomi di legali e giudici che mi indicavano amministratori’», in La Sicilia, 20 febbraio 2019, URL: [consultato il 6 ottobre 2019]. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 39, 3/2019 10
Intervista a Umberto Santino: Mafia e storiografia. Premesse culturali e prospettive attuali L’AUTORE Umberto SANTINO è fondatore, assieme ad Anna Puglisi, e direttore del Centro siciliano di documentazione di Palermo, il primo centro studi sulla mafia e altre forme di criminalità organizzata sorto in Italia (1977), successivamente intitolato a Giuseppe Impastato, assassinato dalla mafia nel 1978. Umberto Santino ha svolto seminari e tenuto lezioni nelle scuole e nelle Università, in Italia e all’estero. Ha insegnato in master e corsi di dottorato sul crimine organizzato. Negli ultimi anni si è impegnato nella realizzazione di un Memoriale-laboratorio della lotta alla mafia – No Mafia Memorial, un progetto condiviso dal Comune di Palermo, sostenuto da familiari di vittime, studiosi, insegnanti, associazioni e ha come partner, tra gli altri, la Rai, la Federazione nazionale della stampa, la Banca etica, il Movimento del Volontariato italiano, la CGIL. Il progetto, che prevede la creazione di uno spazio multimediale che sia insieme: luogo di studio e di progettazione, laboratorio didattico, percorso museale sulla mafia e sull’antimafia, ha cominciato l’attività nel corso del 2018. Umberto Santino è autore di vari saggi, tra cui ricordiamo, tra gli altri: L’impresa mafiosa (Milano, Franco Angeli, 1990), Dietro la droga (Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1993) con Giovanni La Fiura, La borghesia mafiosa (Palermo, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato,1994), L’alleanza e il compromesso (Soveria Mannelli, Rubbettino, 1997), La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l’emarginazione delle sinistre (Soveria Mannelli, Rubbettino, 1997), Dalla mafia alle mafie (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006), Mafie e globalizzazione (Trapani, Di Girolamo, 2007), Storia del movimento antimafia (Roma, Editori Riuniti University Press, 2000, 2009), La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2000), Breve Storia della mafia e dell’antimafia (Trapani, Di Girolamo, 2011), Don Vito a Gomorra (Roma, Editori Riuniti University Press, 2011), Mafia and Antimafia. A Brief History (London, Tauris Academic Studies, 2015), La strage rimossa. La Sicilia e la Resistenza (Trapani, Di Girolamo, 2016), La mafia dimenticata. La criminalità organizzata in Sicilia dall’Unità d’Italia ai primi del Novecento (Milano, Melampo, 2017). URL: < https://www.studistorici.com/progett/autori/#Santino > IL CURATORE Fausto PIETRANCOSTA ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Storia presso l’Università di Bologna con una tesi inerente le relazioni tra istituzioni politiche e intervento pubblico in economia nella prospettiva del coordinamento tra amministrazioni centrali ed enti regionali. Già dottore magistrale in Storia d’Europa, presso la stessa Università con una tesi in Storia dello Stato italiano e in Scienze politiche con una tesi in Amministrazione e politiche pubbliche, i suoi interessi sono rivolti allo studio dell’evoluzione storica delle autonomie regionali nell’Italia del secondo dopoguerra e delle politiche di intervento a favore dello sviluppo del territorio. URL: < https://www.studistorici.com/progett/autori/#Pietrancosta > Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 39, 3/2019 11
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