INFLUENZA AVIARIA, UNA MINACCIA REALE?

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INFLUENZA AVIARIA, UNA MINACCIA REALE?
        QUESTO ARTICOLO È SATO PUBBLICATO SUL NUMERO DI NOVEMBRE
       DELLA RIVISTA DELL’ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRI
                DELLA POROVINCIA DI TORINO “TORINO MEDICA”

A partire dal 2003 un ceppo influenzale che normalmente infetta gli uccelli ha
colpito più di 110 persone uccidendone circa 60 in Asia (Tailandia, Vietnam,
Cambogia, e Indonesia). Il virus, conosciuto come virus dell’Influenza aviaria A
H5N1, ha ucciso o obbligato a decimare più di 140 milioni di polli in 13 paesi del
Sud-Est asiatico e dell’Asia centrale, ha infettato anatre e altri uccelli migratori ed
è stato trasmesso ad altri animali come tigri, gatti e maiali, oltre che all’uomo.
Sino ad ora il virus non è stato trasmesso con facilità dagli uccelli all’uomo e, a
parte un probabile caso di trasmissione da parte di un bambino a due contatti
domestici, una efficace trasmissione diretta da uomo ad uomo non è stata
documentata. Si tratta tuttavia della più grande epidemia umana mai registrata
da quando il virus H5N1 è stato isolato per la prima volta nel 1997. Dal momento
che i virus influenzali sono notoriamente capaci di modificarsi e particolarmente
plastici, si teme che il ceppo aviario attualmente circolante possa sviluppare la
capacità di diffondersi facilmente tra le persone e scatenare una pandemia
influenzale potenzialmente di gravità pari a quella del 1918. La pandemia
influenzale (epidemia mondiale) origina infatti dall’emergenza di un ceppo di virus
influenzale al quale gran parte della popolazione non è mai stata esposta.

Che cosa è l’influenza aviaria?

L’influenza aviaria è una malattia virale degli uccelli causata dal virus influenzale
di tipo A; venne identificata per la prima volta più di 100 anni orsono proprio in
Italia. Esistono diversi sottotipi di virus influenzali che differiscono per alcune
proteine di superficie [Emoagglutinina (HA) e Neuraminidasi (N)]. I virus della
influenza aviaria sono classificati in differenti sottotipi secondo le 15
emoagglutinine (HA1-15) e le 9 neuraminidasi (N1-9). Biologicamente possono
essere classificati in poco patogeni [Low pathogenic avian influenza (LPAI)] e in
altamente patogeni [Highly pathogenic avian influenza (HPAI)]. I virus LPAI
provocano una infezione delle vie aeree e del tratto gastrointestinale senza
infettare la carne; al contrario gli HPAI provocano infezione del tratto
gastrointestinale e respiratorio con viremia e passaggio del virus alle carni ed alle
uova. La pasteurizzazione delle uova inattiva il virus. Alcuni recenti episodi hanno
dimostrato che anche i virus a bassa patogenicità, dopo aver circolato nella
popolazione aviaria, possono mutare a virus ad alta patogenicità. Ciò è già
accaduto nel 1982-1983 negli USA e nel nostro paese nel 1999-2001 quando un
ceppo H7N1 inizialmente a bassa patogenicità nel corso di 9 mesi divenne
altamente patogeno (più di 13 milioni di volatili dovettero essere eliminati). Per
questa ragione la sorveglianza dovrebbe essere estesa anche a questi ceppi. Fino
ad ora le forme ad alta patogenicità sono state causate dai virus H5 ed H7.
Il virus H5N1 è un sottotipo di virus influenzale A che si è diffuso negli ultimi anni
nel pollame da allevamento. Come gli altri virus aviari circola tra tutti i volatili ma
è molto contagioso e letale per gli animali di allevamento. Il primo isolamento
risale al 1996 nelle oche nella provincia del Guandong (Cina). Successivamente
l’infezione si è diffusa ad Hong Kong (1997). In quella occasione si verificarono
anche 18 casi umani con 6 decessi. A partire dal 1999 e fino al 2001 il virus
venne isolato nella regione di Hong Kong. Nel tardo 2000, il virus si modificò
geneticamente, incorporando nuovi geni mediante riassorbimento da virus
influenzali di uccelli acquatici. L’attuale epidemia da H5N1 ha avuto inizio in
Repubblica di Corea nel dicembre 2003 e da allora si è diffusa a molti paesi del
sud-est asiatico e ad alcuni paesi dell’Asia centrale. Nel marzo 2004 l’epidemia è
stata dichiarata sotto controllo, ma, a partire dal giugno dello stesso anno, una
nuova ondata epidemica si è diffusa in molti paesi asiatici: Rep. di Cambogia,
Cina, Rep. di Corea, Hong Kong, Giappone, Indonesia, Kazakhstan, Laos,
Malaysia, Russia, Tailandia, Vietnam ed in questi giorni di inizio ottobre si teme
che il contagio possa essere giunto fino in Turchia ed in Romania. Il grafico
illustra la diffusione del virus in Asia alla fine del mese di settembre. L’analisi
genomica ha dimostrato che tutti i geni sono di origine aviaria; ciò indica, per il
momento, l’assenza di un riassortimento genetico con virus dell’influenza umana
o di altri mammiferi. La maggior parte degli isolati dall’uomo in occasione della
corrente epidemia sono omogenei geneticamente e diversi dai virus aviari
circolanti prima del 2003. Alcuni isolati del 2005 mostrano un scostamento
antigenico (antigenic drift) rispetto al virus del 1997 e presentano modificazioni
aminoacidiche che modulano l'antigenicità e forse alcune proprietà biologiche
(trasmissibilità, patogenicità).

da OIE: http://www.oie.int/downld/AVIAN%20INFLUENZA/graph%20HPAI%2017092005.pdf
Tutti gli uccelli sono suscettibili al virus. Alcune specie, come quelle selvatiche,
sono più resistenti e        non manifestando la malattia fungono da serbatoio
dell’infezione. Sono molto suscettibili al contrario gli uccelli di allevamento come
polli, anatre, oche, tacchini, faraone, quaglie e fagiani.
Le epidemie hanno origine quando un nuovo virus, emerso in uno stormo
selvatico, viene in contatto con animali di allevamento che non sono immuni ad
esso. Il contatto diretto o indiretto tra animali in allevamento e uccelli migratori è
considerato il primo evento in grado di dar luogo alle epidemie. Gli uccelli infetti
eliminano il virus in alte concentrazioni con le feci, le secrezioni nasali e quelle
congiuntiveli e il contagio avviene per via aerea e per via congiuntivale. Una volta
che un allevamento è colpito, il virus può diffondersi ad altri allevamenti in
seguito al commercio degli animali o per mezzo di attrezzature contaminate
utilizzate per l’alimentazione o per il trasporto; anche i mercati svolgono un ruolo
non indifferente nella trasmissione della malattia e nel mantenimento
dell’epidemia.
La malattia nell’animale ha uno spettro clinico molto ampio: da forme lievi, pauci-
sintomatiche fino a forme altamente contagiose, a esordio brutale, decorso
gravissimo e rapidamente fatale con una letalità che può raggiungere il 100%.
Quando gli animali domestici vengono colpiti è difficile controllare la diffusione e
sovente si verificano importanti perdite economiche dal momento che molti
animali muoiono o devono essere abbattuti per contenere il contagio.
Poiché i virus della influenza aviaria sono facilmente trasmissibili da fattoria a
fattoria con attrezzature, veicoli di trasporto, alimenti contaminati, gabbie,
abbigliamento e sono in grado di sopravvivere a lungo nell’ambiente, soprattutto
a basse temperature, il controllo delle epidemie richiede interventi tempestivi e
drastici: sorveglianza, quarantena, distruzione degli animali infetti e degli interi
allevamenti con scrupolosa protezione degli addetti, pulizia e disinfezione degli
allevamenti. I vaccini sono stati usati per gestire le perdite economiche dovute
alla LPAI e, in qualche caso, sono stati utilizzati come strumento per le strategie
di eradicazione della HPAI e della LPAI. I vaccini possono prevenire i segni clinici e
la morte nei polli e nei tacchini, aumentare la resistenza degli uccelli all’infezione
e ridurre il carico di virus diffuso nell’ambiente. Tuttavia da soli non consentono di
eradicare l’infezione. Come per il vaccino dell’influenza umana non vi è protezione
crociata tra i sottotipi di virus influenzali aviari. Per questa ragione è necessario
che le varianti antigeniche circolanti siano tempestivamente riconosciute.

L’infezione umana da H5N1

L’influenza aviaria di solito non coinvolge l’uomo. La prima documentata infezione
umana da virus aviario si è verificata ad Hong Kong nel 1997 con il
coinvolgimento di 18 persone e 6 decessi. Le ragioni del contagio vennero
identificate con lo stretto contatto della popolazione con gli animali infetti; si
osservò anche una limitata trasmissione al personale curante senza malattia
grave. La distruzione tempestiva, in tre giorni, della popolazione aviaria (1,5
milioni di uccelli), ridusse le opportunità di ulteriori contatti e l’epidemia venne
stroncata. Nel febbraio 2003 si verificò un nuovo allarme quando una epidemia
ancora da H5N1 nel pollame causò 2 casi e un decesso. Altri due virus influenzali
hanno causato malattia umana negli ultimi anni: una epidemia da H7N7 in Olanda
nel febbraio 2003 causò il decesso di un veterinario ed una malattia lieve,
congiuntivite, in 83 persone.; ad Hong Kong il virus H9N2 causò due casi nel
1999 ed uno nel 2003. L’attuale epidemia da H5N1 ha al contrario causato molte
più vittime tra il 2004 ed il 2005; la tabella successive illustra la distribuzione dei
casi nei diversi paesi con la relativa letalità (solo casi confermati) alla fine del
mese di settembre.

    Cambogia             Indonesia            Tailandia             Vietnam                    Totale
  casi       decessi   casi       decessi   casi        decessi   casi        decessi   casi       decessi
         4         4          4         3          17        12          91        41      116          60

da http://www.who.int/csr/disease/avian_influenza/country/cases_table_2005_09_29/en/index.html

Il contagio umano

Si ritiene che le infezioni umane in occasione della recente epidemia siano
derivate da contatto diretto con animali infetti            soprattutto durante la
macellazione, lo spennamento e la preparazione del cibo; non sono stati segnalati
casi nel personale degli allevamenti o in occasione degli abbattimenti. Altre
possibili occasioni di contagio sono state il contatto con polli da combattimento o
la convivenza in ambiente domestico con anatre (utilizzate come animali di
accompagnamento ed abituali nelle case in estremo oriente). La trasmissione per
mezzo di carni non cotte può essere ipotizzata per analogia con quanto avvenuto
negli zoo dove alcune specie di felini (tigri, leopardi) sono state infettate.
Considerata la stabilità del virus nell'ambiente e la sua resistenza è ritenuta
possibile anche la via indiretta: ingestione di acqua contaminata, inoculazione
nasale o congiuntivale in occasione di esposizione a ambienti contaminati. La
trasmissione interumana è stata ipotizzata in alcuni cluster epidemici in Vietnam e
accertata in un caso da bambino alla mamma; i contatti intimi senza alcuna
precauzione espongono al contagio con il virus, ma sino ad ora questa modalità di
trasmissione sembra inefficiente. Gli studi sierologici condotti in occasione delle
recenti epidemie non hanno dimostrato trasmissione per contatto sociale, e
neppure in occasione delle pratiche di assistenza ospedaliera anche quando le
misure di protezione individuale non erano adottate. Non si sono mai riscontrati
casi secondari. Il rischio di infezione nelle aree endemiche è comunque
considerato basso. Il rischio nel nostro paese al contrario è da considerarsi al
momento nullo per la tipologia degli allevamenti e la loro distribuzione sul
territorio; non si deve dimenticare che epidemie da virus aviari si sono già
verificate nel nostro paese nel passato senza conseguenze per gli uomini.
Clinica

Le conoscenze cliniche della malattia derivano dall'osservazione dei pazienti
ricoverati, mentre la frequenza di sindromi cliniche lievi-moderate o le
presentazioni atipiche non sono ben conosciute. L'incubazione varia da 2 a 5 gg,
fino a 8-17. I sintomi di esordio comprendono febbre elevata e sintomi classici
dell'influenza associati a quelli di coinvolgimento delle basse vie aeree, mentre
quelli delle alte vie aeree sovente mancano. Diversamente da quanto avvenuto in
occasione delle infezioni da H7 aviario la congiuntivite è rara. Nelle fasi iniziali
della malattia, talora anche prima dei segni respiratori, non sono rari la diarrea di
tipo secretivo, il vomito, i dolori addominali e pleurici, le epistassi e le
gengivorragie. Le manifestazioni di interessamento delle basse vie aeree si
sviluppano precocemente e talora sin dall'esordio; la dispnea insorge entro 5
giorni dai primi sintomi (tra 1 e 16 giorni in media); si associano distress
respiratorio, tachipnea, rantoli crepitanti. L'espettorato è variabile, talora ematico.
Quasi tutti i pazienti manifestano un quadro di polmonite con espressione
radiografica variabile da infiltrati diffusi o multifocali a segni di consolidamento
lobare o segmentario; in media le alterazioni radiografiche compaiono 7 giorni
dopo l'esordio (media 3-7 gg). In molti casi la malattia progredisce verso
l'insufficienza respiratoria associata ad estensione delle opacità polmonari con le
caratteristiche dell'ARDS. La malattia si è dimostrata letale per lo più per
insufficienza respiratoria progressiva in più del 50% dei pazienti ricoverati.

Terapia e profilassi

Il virus H5N1 è resistente alle amantadine, mentre è suscettibile agli inibitori della
neuraminidasi. I pazienti con sospetta malattia dovrebbero ricevere
immediatamente un trattamento antivirale con questi farmaci in attesa degli
accertamenti di laboratorio. La dose e la durata del trattamento non sono
conosciuti. Gli studi indicano che i recenti isolati virali sono meno sensibili rispetto
a quelli del 1999; non vi sono studi su zanamivir topico. La dose standard di
oseltamivir di 75 mg due volte al giorno secondo alcuni studiosi dovrebbe essere
raddoppiata nei casi gravi e protratta per 8-10 giorni, ma non esistono ancora
dati certi. Come per l'influenza umana sono stati descritti già i primi casi di
resistenza all'oseltamivir.
Gli antivirali costituiscono anche una componente importante della strategia di
controllo di una pandemia influenzale dovuta ad un nuovo virus di qualunque
origine compresa quella aviaria. Nei periodi pandemici 1968 e 1977 le amantadine
dimostrarono efficacia preventiva vicina al 70%; l’efficacia protettiva degli
inibitori delle neuraminidasi (zanamivir e oseltamivir) dovrebbe essere almeno
altrettanto alta.
Non è attualmente disponibile un vaccino per uso umano. I primi vaccini H5 non
erano sufficientemente immunogeni e richiedevano più dosi; sono allo studio
nuove formulazioni con adiuvanti che sembrano rendere i vaccini più efficaci. I
vaccini allestiti con il ceppo del 1997 forniscono una cross reattività variabile e
forse insufficiente. Vaccini allestiti con il ceppo isolato nel 2004 sono oggetto di
studi e sembrano stimolare una immunità nei confronti dell'emoagglutinina.

Perché vi sono dei timori?
Sono ragionevoli?
Si possono fare delle previsioni?
Quali sono le ragioni per cui i virus aviari possono trasferirsi all’uomo?

Una pandemia influenzale gravata da potenzialmente alta morbilità e letalità è la
conseguenza dell’adattamento all'uomo di un nuovo sottotipo antigenico di virus
influenzale capace di replicarsi e di diffondersi. Tutte le pandemie (1918, virus
H1N1, 1957, virus H1N2 e 1968, virus H3N2) hanno visto il coinvolgimento di
nuovi ceppi virali che derivano per alcune parti del corredo genetico da virus
aviari.
I virus influenzali hanno una significativa plasticità a causa di un alto tasso di
mutazioni e per la prerogativa di avere il genoma segmentato in 8 separate
molecole di RNA. Questa segmentazione permette frequenti scambi genetici per
riassortimento in ospiti co-infettati con 2 virus influenzali. L’estendersi
dell’epizootia in estremo oriente può aumentare il carico ambientale di virus e
causare infezioni nei mammiferi, in tal modo aumentando la probabilità che un
virus altamente trasmissibile emerga. Non vi è evidenza, finora, che ciò sia
avvenuto con gli isolati del 2004-2005 che sono sempre risultati tutti aviari.
La domanda che con maggiore insistenza viene posta negli ultimi tempi è se
esista, al momento, un virus che possa causare una pandemia delle stesse
proporzioni di quelle osservate nel secolo scorso e soprattutto simile per
diffusione e gravità a quella del 1918.
Non è facile dare una risposta a questa domanda ma il virus H5N1 sembra un
serio candidato.
Recenti lavori hanno sottolineato l’analogia della situazione attuale con quanto
verificatosi in passato; la sequenza genetica recentemente scoperta dimostra che
il virus del 1918 era completamente di origine aviaria. L’analisi del virus del 1918
ha dimostrato inoltre che alcune mutazioni sono presenti anche nell’H5N1 e che
alcune caratteristiche della patogenicità di quest’ultimo sono simili a quelle del
virus della "Spagnola"; i dati indicano che entrambi i virus condividono la capacità
di saltare da una specie all’altra senza essersi prima ricombinati e adattati. Anche
le pandemie successive, del 1957 e del 1968, furono causate da virus ibridi che
avevano alcuni geni di origine aviaria. Uno dei maggiori determinanti della specie
specificità del virus è l’affinità della proteina virale HA per il recettore presente
sulle cellule dell’ospite. E’ stato dimostrato che in occasione delle epidemie del
1957 e del 1968 si verificarono mutazioni di due residui aminoacidici che
consentirono a virus aviari di adattarsi alla specie umana. L’abilità di riconoscere il
recettore umano viene acquisita precocemente dopo l’introduzione di un virus
aviario nell’uomo. L’affinità dei ceppi per l’uomo aumenta durante gli anni
successivi, suggerendo un raffinamento delle proprietà di riconoscimento del
recettore in questi nuovi ospiti. In occasione della epidemia 1957-58 (Asiatica),
sono stati isolati, nelle prime fasi dell’epidemia, ceppi umani che ancora
portavano residui aminoacidici aviari. A partire dal 1958, soltanto un anno dopo
la pandemia, le modificazioni erano simultaneamente e stabilmente presenti negli
isolati umani del virus H2. Un evento analogo è stato osservato in occasione della
pandemia del 1967-68 (Hong Kong) in cui il sottotipo H3 passò dalle anatre alla
popolazione umana. Le ricerche suggeriscono che un cambiamento della
specificità del virus aviario per il recettore è un prerequisito per la generazione
della pandemia. I risultati indicano tuttavia anche che le mutazioni di uno o due
aminoacidi nel virus aviario sono sufficienti per questo cambiamento; in
conseguenza, un limitato numero di replicazioni di un virus aviario nell’uomo può
essere sufficiente a rendere il virus adattato all’uomo.
Tre prerequisiti sono ritenuti necessari per l’emergenza di una pandemia
influenzale: a) che il nuovo sub-tipo influenzale possa essere trasmesso all’uomo;
b) che il nuovo virus sia in grado di replicare nell’uomo e causare malattia; c)
che il nuovo virus possa essere efficientemente trasmesso tra uomo e uomo. Il
virus dell’influenza aviaria altamente patogeno (H5N1) ha dimostrato di
possedere almeno i primi due requisiti. Nessuno in questo momento può predire
quando un tale evento pandemico possa verificarsi, tuttavia gli esperti osservano
l’epidemia attuale con apprensione e stanno studiando le misure più appropriate
per contrastare l’eventuale diffusione del virus.

Che cosa si può fare:
sorveglianza,
controllo,
ricerca,
formazione,
allevamento in sicurezza,
vaccini, farmaci.

I mezzi per contrastare la diffusione dell’infezione sono molteplici e diverse
strategie sono già state programmate. Tutte le maggiori istituzioni e agenzie
internazionali (WHO, CDC, FAO, OIE, EFSA) hanno redatto norme e suggerimenti
per contrastare la diffusione della infezione tra gli animali e nell'uomo. Tutti
concordemente raccomandano in primo luogo interventi che permettano di
valutare costantemente l'evoluzione dell'epidemia con reti di sorveglianza
veterinaria e umana efficienti; per queste attività è necessario l'intervento diretto
di esperti ed il sostegno ai paesi colpiti. Accanto alla sorveglianza sono parimenti
necessarie attività di controllo e di eradicazione: quarantena, assistenza nelle
attività di abbattimento e smaltimento degli animali colpiti dall’infezione,
protezione del personale che lavora negli allevamenti o che partecipa
all’abbattimento, pulizia e disinfezione degli allevamenti. Le attività di ricerca
nell'ambito della diagnostica sono aspetti imprescindibili per lo svolgimento della
sorveglianza e per il successivo allestimento di vaccini attivi sugli animali e
sull'uomo e per lo sviluppo di farmaci. Il sostegno ai paesi attualmente colpiti
dall'epidemia per sviluppare migliori condizioni di allevamento e di preparazione
igienica del cibo è infine determinante.
   Comprendere perché e come l’infezione da virus influenzale possa raggiungere
una proporzione globale e causare tante vittime è un imperativo urgente. Le
recenti scoperte pubblicate su Science e Nature forniscono informazioni critiche
sulla genesi della pandemia del 1918 e sulle ragioni della sua letalità. Queste
informazioni potranno consentire di prepararsi per la possibile minaccia.
   Esistono elementi di preoccupazione e il rischio potenziale che possa verificarsi
in futuro una grave pandemia influenzale non può essere escluso; al momento
tuttavia non è possibile predirne l’epoca e la gravità. Gli elementi di
preoccupazione sono legati all’estensione dell’attuale epidemia aviaria e alla
dimostrazione che un virus aviario, senza modificazioni, può colpire l’uomo. Si
tratta ancora una volta di una “minaccia infettiva globale” conseguente alla
interdipendenza legata ai viaggi e agli spostamenti migratori, allo spostamento
delle merci ed ai mutamenti sociali. Nessun paese può ritenersi così remoto o
disconnesso dagli altri da essere considerato sicuro, tuttavia gli attuali standard di
igiene degli allevamenti del nostro paese, la disponibilità di una rete di
sorveglianza sull'intero territorio nazionale e le recenti misure approvate per il
contenimento della attuale minaccia aviaria unitamente ad uno sguardo solidale e
collaborativo con i paesi colpiti dall’epidemia possono farci guardare con serenità
al futuro.
                                                                   Pietro Caramello
                               Direttore U.O.A Malattie Infettive e Tropicali“A”
                                                     Ospedale Amedeo di Savoia
                                                                       ASL 3, Torino

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