Il tortuoso percorso degli accordi climatici: uno sguardo su Parigi e sulle politiche europee - Braconi Francesca Mariani Giulia Ricci Donatella ...
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Il tortuoso percorso degli accordi climatici: uno sguardo su Parigi e sulle politiche europee Braconi Francesca Mariani Giulia Ricci Donatella Trappolini Davide
Cosa affronteremo? • Accordi di Rio 1992 • Il Berlin Mandate 1995 • Il protocollo di Kyoto • L’accordo di Copenhagen • L’accordo di Cancùn • La Durban Platform • Gli accordi di Parigi • Green Policy Instruments for the Environment • Regulations • Tax instruments • EU ETS • Research and Development • Green Labour Market Policies
La scienza e il cambiamento climatico La scoperta che i combustili fossili e la deforestazione producessero un surriscaldamento dell’atmosfera risale alla fine del XIX secolo. Queste notizie e dati furono accantonati per il prevalere degli obiettivi di sviluppo economico. Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è il foro scientifico formato da scienziati di tutti i pasi per studiare il cambiamento climatico. Il IV rapporto dell’IPCC ha affermato che il cambiamento climatico è dovuto all’attività dell’uomo con un grado di probabilità tra il 90 % e 99%. Qui si indica anche la necessità di contenere l’aumento della temperatura alla fine del secolo entro i 2°C.
Gli inizi di un’intesa di carattere internazionale Nel 1992 nella Conferenza di Rio è adottata la Convenzione quadro sul cambiamento climatico ratificata da 195 Stati, che da allora partecipano alle periodiche COP. Importante è il c.d. principio della responsabilità comune ma differenziata CBDR
Il Berlin Mandate Il Berlin Mandate è un documento approvato durante la prima COP, che si è svolta a Berlino nel 1995. Grazie a questo documento si deve la trasformazione del CBDR della convenzione in quella che è stata considerata una muraglia che ha diviso il mondo in 2 blocchi: 1) Gli Stati industrializzati previsti nell’Annex 1. 2) Tutti gli Stati, più o meno industrializzati, non inclusi nell’Annex 1.
Il Protocollo di Kyoto Il Protocollo di Kyoto è stato adottato alla fine della COP 3 nel 1997 ed è entrato in vigore nel 2005. Prevede il contenimento delle emissioni di gas serra esclusivamente a carico dei 37 paesi industrializzati indicati nell’Annex 1. Il fallimento del Protocollo di Kyoto è stato confermato dal fatto che nel 2012 le emissioni globali sono costantemente aumentate.
Le basi per l’Accordo di Parigi (I) Il Copenaghen Accord è stato definito un accordo politico, privo di valore legale o vincolante, per questo è stato definito come un fallimento. Tuttavia analizzandolo successivamente è proprio questo accordo a costituire una delle due tappe per le basi dell’Accordo di Parigi del 2015: a) Le parti, per la prima volta, dichiarano di volersi attenere ai dati delle ricerche scientifiche (4° rapporto IPCC) b) Sono poste le premesse per la ricerca di regole condivise che garantiscano l’erogazione da parte dei paesi ricchi delle risorse finanziarie necessarie per realizzare i progetti di riduzione delle emissioni nei paesi poveri c) I paesi economicamente emergenti partecipano ai negoziati come gruppo a sé stante Queste disposizioni segnano l’inizio dello sfaldamento della barriera eretta dal Berlin Mandate e del Protocollo di Kyoto.
Il Cancùn Adaptation Committee Nel 2011 a Cancùn gli impegni politici assunti dai vari Stati a Copenhagen sono recepiti nella decisione della COP-16, dove erano presenti tutte le principali potenze economiche mondiali e i principali responsabili delle emissioni di gas serra. Inoltre è qui che è abbozzato il processo di mitigazione (disciplinato poi a Parigi) e per la prima volta viene dedicato spazio ai processi di adattamento. Viene istituito il Cancùn Adaptation Committee a cui viene attribuito il compito di predisporre i piani per l’attuazione dei processi di adattamento.
Le basi per l’accordo di Parigi (II) La seconda tappa che ha posto le basi dell’Accordo di Parigi è la Durban Platform (2011). Gli obiettivi sono più ambiziosi e devono trattare i seguenti punti: ▪ Mitigazione ▪ Adattamento ▪ Aspetti finanziari ▪ Sviluppo e trasferimento delle tecnologie ▪ Trasparenza e sostegno nell’attuazione degli impegni La Durban Platform segna il definitivo superamento di Kyoto e dell’interpretazione della CBDR del Berlin Mandate.
COP21 PARIGI ❖ 196 parti (195 Paesi + Unione Europea) ❖ I lavori per l’Accordo iniziano il 30 novembre e si concludono il 13 dicembre 2015, nell’ambito della XXI Conferenza delle Parti della UNFCCC (COP-21), con la pubblicazione di due documenti separati: la decisione della COP (COP Decision) e l’Accordo di Parigi (Paris Agreement), formalmente un allegato della decisione. ❖ I due documenti hanno: - diversi obiettivi - diversi contenuti - diversa efficacia giuridica Decisione della COP Accordo di Parigi ❖ Non ha carattere vincolante, ❖ Accordo globale giuridicamente vincolante, si compone di 140 artt. riguardanti le entrato in vigore il 4 novembre 2016, 30 giorni dopo che è stata soddisfatta la iniziative da porre in essere dai vari condizione necessaria: la ratifica da parte di almeno 55 Parti firmatarie, Stati prima del 2020. responsabili di almeno il 55% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra
Il passato recente e alcuni futuri possibili: dal problematico al catastrofico Fonte: IPCC AR5 WG2 SPM
PRINCIPALI NOVITÀ L’Accordo supera il Protocollo di Kyoto, ponendo fine alla storica distinzione tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, richiedendo a tutti gli Stati, incluse le economie emergenti, impegni equi, stabiliti «alla luce delle diverse situazioni nazionali» (Common but differentiated responsabilites, CBDR) La scelta di abbandonare l’approccio top-down con impegni imposti da regole provenienti dall’alto, a favore di un approccio bottom-up, strategia che, partendo dal basso, privilegia l’autoresponsabilità degli Stati promuovendone sforzi, rendimenti e tentativi di soluzione. Rafforzamento della buona fede degli Stati nell’esecuzione dei propri piani ambiziosi: l’introduzione di sanzioni in caso di inadempimento avrebbe indotto i Paesi a presentare «impegni al ribasso», realizzabili senza troppe difficoltà.
GLI OBIETTIVI Contenere l’aumento medio delle temperature sotto i 2°C entro il 2100 e compiere sforzi per mantenerlo entro 1,5°C (DOPPIO TRAGUARDO). Per raggiungere l’obiettivo si prevede un taglio delle emissioni di gas serra che va dal 40 al 70%. Smettere di incrementare le emissioni di gas serra il più presto possibile e raggiungere nella seconda parte del secolo il momento in cui la produzione di nuovi gas serra sarà sufficientemente bassa da essere assorbita naturalmente Valutare i risultati raggiunti e rivedere gli impegni ogni 5 anni Raccolta di 100 miliardi di $ l’anno da parte dei Paesi sviluppati per finanziare dal 2020 i Paesi più poveri per la riduzione della CO2 e l’adattamento ai cambiamenti climatici favorendo le rinnovabili Questo impegno nasce dalla COP16 di Cancùn nel 2011
Obiettivi ambiziosi, impegni inadeguati Per raggiungere questi obiettivi ambiziosi era stato richiesto ai Paesi di presentare a Parigi i propri PIANI NAZIONALI DI AZIONE PER IL CLIMA (Intended Nationally Determined Contributions - INDC), intenzioni di intervento di ciascun governo per farsi carico della riduzione delle emissioni. Con la ratifica dell’Accordo di Parigi, le intenzioni diventano impegni. Gli INDC diventano NDC, Contributi Nazionali Determinati (Nationally Determined Contributions) e acquisiscono carattere obbligatorio. Gli NDC potranno essere rivisti in corso d’opera, ma soltanto per essere rafforzati (c.d. «no backsliding»). In definitiva, le azioni comunicate negli INDC/NDC determineranno o meno il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine contenuti nell’art. 2 dell’Accordo.
STRUTTURA DELL’ACCORDO: I PUNTI ESSENZIALI ❖ L’Accordo si compone del Preambolo e di 29 articoli Preambolo art. 3: art. 2: artt. 4, 5 e 6: Sforzi ambiziosi, Finalità perseguite quali definiti agli artt. 4, Mitigazione 7, 9, 10, 11 e 13 art.7: art. 13-14: Adattamento Trasparenza e artt. 16-29: globalstocktake Ratifica ed entrata art. 8: art.15: in vigore Perdite e danni Compliance
Preambolo Contiene una serie di disposizioni alle quali molti Stati volevano attribuire maggiore efficacia rispetto a quelle contenute nella Decisione, senza che peraltro fossero incluse nell’Accordo. Fa riferimento a temi ambientali e sociali quali: I bisogni dei paesi più poveri del mondo e quelli più vulnerabili ai cambiamenti climatici I diritti umani, diritto alla salute Equità di genere, riconoscendo il fondamentale ruolo delle donne nella lotta ai cambiamenti climatici I diritti delle popolazioni indigene, delle comunità locali, dei bambini, nonché all’equità intergenerazionale Riferimento alla protezione della biodiversità e dell’ecosistema, riconoscimento dell’importanza della conservazione del suolo e delle foreste
Finalità dell’Accordo (art.2) Prima finalità: mitigazione del cambiamento climatico (artt. 4, 5 e 6) Limitare il più possibile l’aumento della temperatura, promuovendo l’uso di energie rinnovabili e l’impiego di tecnologie più efficienti, principalmente nei PVS. Obiettivo di lungo termine: contenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2°C e perseguire gli sforzi di limitare l’aumento a 1.5°C. I Paesi puntano a raggiungere il picco globale delle emissioni quanto prima e ad effettuare rapide riduzioni al fine di pervenire ad un equilibrio tra emissioni e assorbimenti nella seconda parte del secolo.
Finalità dell’Accordo (art.2) (2) Seconda finalità: adattamento al cambiamento climatico (art.7) Concerne la promozione di procedure di adattamento agli effetti del cambiamento climatico e di rafforzamento della resilienza climatica: le parti devono cooperare per ridurre le vulnerabilità agli inevitabili effetti del cambiamento climatico (siccità, innalzamento livello mare, perdita biodiversità). Terza finalità: organizzazione degli investimenti e dei flussi finanziari (art. 9) Viene promossa una finanza per il clima, in quanto i Paesi più ricchi sono chiamati a sostenere finanziariamente i Paesi più poveri nelle azioni di mitigazione e di adattamento. Più precise indicazioni sono date dalla Decisione, che, al par. 115, «chiede fermamente» ai Paesi sviluppati di mobilitare a tal fine 100 miliardi di $ all’anno fino al 2020.
Meccanismi di mercato e non (art.6) Sono in particolare previsti tre strumenti volontari per sostenere l’implementazione degli NDCs, attraverso la cooperazione tra le Parti: a. gli approcci cooperativi (art. 6, parr. 2-3) hanno come obiettivo il trasferimento transnazionale di unità di riduzione delle emissioni attraverso lo scambio di Internationally Transferred Mitigation Outcomes – ITMOs; b.gli approcci di mercato (art.6, parr. 4-7) volti al raggiungimento degli obiettivi degli NDCs attraverso il coinvolgimento del settore pubblico e privato, prevedono l’istituzione del Sustainable Development Mechanism – SDM, che unifica il CDM e la JI previsti dal Protocollo di Kyoto. c.gli approcci non di mercato (art.6, parr. 8-9) ne individua le qualità (efficacia, coordinamento, integrazione) e introduce l’approccio olistico, ma non li identifica. Lavorare sui meccanismi non basati sul mercato ma sui valori, le speranze, le capacità di tutti sarà una grande sfida per il futuro.
Perdite e danni (art. 8) Nell’ambito dell’adattamento, si riconosce l’importanza di evitare, minimizzare e affrontare le perdite e i danni associati al cambiamento climatico, con un richiamo al meccanismo di Varsavia dei loss and damage. Viene riconosciuto, per la prima volta, come richiesto dai Paesi in via di sviluppo e dalle Piccole Isole Stato, un ruolo specifico all’argomento delle perdite economiche e dei danni all’ambiente causati dai cambiamenti climatici, da cui l’importanza di cooperare allo scopo di migliorare la gestione delle emergenze.
Per assicurare l’effettiva esecuzione degli impegni non sono previsti meccanismi sanzionatori (buona fede), ma azioni articolate su tre assi: 1. Sostegno ai Paesi più deboli (efficienza, art.10) 2. Trasparenza e dovere di informazione (art.13) 3.Creazione di un apposito organismo con compiti di facilitazione e promozione (compliance, art.15) Assistenza finanziaria e tecnologica (art.10) Meccanismo considerato fondamentale per il successo dell’Accordo, riconosce l’importanza di rafforzare lo sviluppo ed il trasferimento di tecnologie da parte dei Paesi sviluppati per migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici e ridurre le emissioni di gas serra. A tal proposito viene istituito un apposito Technological Framework allo scopo di guidare e razionalizzare la fornitura di tecnologie ai PVS, offrendo valutazioni periodiche sui risultati conseguiti.
Trasparenza (art.13) L’art. 13 definisce un quadro di impegni in capo a ciascuna Parte finalizzato a garantire la trasparenza delle proprie azioni, con carattere di flessibilità in quanto tiene conto delle relative diverse capacità e si basa sull’esperienza collettiva. La Decisione prevede, inoltre, l’istituzione di una Capacity-building Initiative for Transparency, che deve iniziare ad operare prima del 2020, con il compito di rafforzare la trasparenza delle attività poste in essere dagli Stati e di offrire strumenti e assistenza. Global Stocktake (art.14) L’Accordo prevede inoltre un dovere di informazione collettiva ogni cinque anni: gli Stati dovranno fornire dati sui risultati dell’attuazione dei loro piani all’Ad Hoc Working Group che valuterà in tal modo se il global stocktaking sia sufficiente o se le azioni delle Parti debbano essere incrementate. Primo bilancio globale previsto per il 2023.
Tertium non datur: quale futuro? L’Accordo di Parigi ha sicuramente saputo dimostrare in che misura la comunità degli Stati abbia saputo accantonare i differenti interessi nazionali nel proporre soluzioni globali e condivise. In virtù di ciò ha rappresentato innanzitutto un successo diplomatico, il cui esito dipenderà esclusivamente dalla volontà delle nazioni coinvolte. «For the first time, every country in the world has pledged to curb emissions, strengthen resilience and join in common cause to take in climate action. What was once unthinkable has become unstoppable»
Tertium non datur: quale futuro? (2) A quasi cinque anni dalla sottoscrizione del Paris Agreement, il quadro è tutt’altro che roseo: nel 2017 e nel 2018 le emissioni globali sono tornate a crescere. La situazione si fa ancora più difficile se si tiene conto del fatto che sono diversi i Paesi che vogliono venire meno ai loro impegni: ❖ il 24/10 scorso viene diffusa dal NYT la notizia secondo la quale Trump stia preparando il ritiro formale degli USA dall‘Accordo Parigi, dopo l'annuncio sull'uscita degli USA proclamato nel 2017; ❖ il Brasile, con il nuovo Presidente Bolsonaro, tende ad andare nella stessa direzione TUTTAVIA ❖ l’UE ha saputo rappresentare l’eccezione: è molto probabile che l’obiettivo di riduzione del 20% delle proprie emissioni rispetto al periodo pre-industriale venga raggiunto, se non addirittura superato, entro il 2020.
Le politiche ambientali nell'Unione Europea ➢ Cosa sono le politiche ambientali? ➢ Qual è il loro obiettivo? ➢ Quali gli strumenti adottati?
Gli strumenti della politica ambientale Normativa Strumenti fiscali Sistema di scambio delle quote di emissione (EU ETS) Ricerca e Sviluppo Investimenti Pubblici
Normativa ➢ Legislazione autovetture ➢ Legislazione furgoni
Strumenti fiscali ➢ Energia ed oli minerali Environmental Tax ➢ Trasporti Reforms (ETR's) ➢ Emissioni ed inquinamento atmosferico
Tasse sull'energia
Tasse sui trasporti
➢Sussidi Miglioramento Detrazioni fiscali ed altre disposizioni ➢Sovvenzioni ➢Crediti d'imposta efficienza speciali: ➢Detrazioni fiscali ➢ Esenzioni energetica Piano "20-20-20"
Tendenze alla tassazione
Tendenze della tassazione
Sistema di scambio delle quote di emissione dell’unione europea (EU ETS) Cos’è Quando Perché Settori coinvolti Stati coinvolti Come funziona Struttura
EU ETS (cont) Cos’è Sistema di scambio di quote Quando 2005 Perché Ridurre emissioni GHG Settori coinvolti Settore energetico, industriale (>= 20 MW) e dell’aviazione Stati coinvolti 27 Stati Membri EU + Norvegia, Islanda e Liechtenstein
EU ETC (cont) Come funziona (pt.1) Sguardo d’insieme: 1. Principio del «cap and trade»: acquisto e vendita di «carbon credit» 2. 1 quota = 1 tonnellata di C02 (o GHG equivalente) da poter emettere 3. 2 tipologie di quote: gratuite e tramite aste
EU ETS (cont) Come funziona (pt.2) Tetto limite complessivo 1. Perché è stato fissato? 2. Varia ogni anno 3. Tendenza decrescente (da - 1,7% a -2,2% per raggiungere obiettivo del 2030 del -40% emissioni)
EU ETS (cont) Come funziona (pt.3) Trend dei prezzi 1. Perché all’inizio erano bassi? 2. Perché ora stanno aumentando? 3. È sufficiente questo aumento per il fuel-switching?
EU ETS (cont) Fasi PRIMO PERIODO 2005-2007 1. Fase pilota (di apprendimento del meccanismo) 2. Naps (coerenti con gli obiettivi del Protocollo di Kyoto) 3. Crediti internazionali vs quote (CDM e JI → SDM, REED, etc) 4. Settore energetico e industriale 5. Assegnazione a titolo gratuito SECONDO PERIODO 2008-2012 1. Riduzione tetto quote del 6,5% rispetto al 2005 2. Adesione nuovi Stati (Islanda, Liechtenstein e Norvegia) 3. Naps diversi creano problemi di coordinamento del sistema
EU ETS (cont) TERZO PERIODO 2013-2020 1. NAPs eliminati (unico tetto europeo) 2. Unico tetto di quote uguale per tutti gli Stati che si riduce dell’1,74% ogni anno 3. Riduzione quote assegnate gratuitamente (43%) + norme armonizzate 4. Carbon leakage diretto e indiretto 5. Quote scambiate prevalentemente tramite aste (57%) 6. Obiettivo -21% riduzione quote entro il 2020 rispetto al dato del 2005 Nuovi settori e nuovi concorrenti non ETS potranno utilizzare i crediti internazionali ma fino al 2020 7. Obiettivo -20% riduzione emissioni in UE 8. Introduzione della «Market Stability Reserve» nel 2014
EU ETS (cont) QUARTO PERIODO 2021-2030 1. Obiettivo -43% riduzione quote entro il 2030 2. Obiettivo del -40% riduzione emissioni entro il 2030 3. Riduzione delle quote del -2,2% annuo 4. Assegnazione gratuita delle quote maggiormente in quei settori in cui si rischia la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio 5. Riserva aumentata dal 12% al 24%
Ricerca e sviluppo Ricerca e sviluppo: altro strumento green per la riduzione delle emissioni Cosa fa l’UE per Ricerca e Sviluppo? 1. Partenariati di ricerca pubblico-privato (PPRP) (caso Francia e Regno Unito) 2. Fondi di investimento per la ricerca 3. Sussidi e prestiti governativi 4. Programmi di educazione ambientale 5. Investimenti pubblici
Politiche verdi nel mercato del lavoro europeo COSA SONO OBIETTIVI: 1. operare la transizione verso un’economia verde 2. aumentare l’occupazione 3. migliorare le condizioni di lavoro 4. perseguire la sostenibilità NO ARMONIZZAZIONE EU (politica del «doppio dividendo», caso Germania)
Politiche verdi (cont) SFIDE PER IL FUTURO 1. Quali competenze future? 2. Adeguamento sistemi di istruzione 3. Disallineamenti di competenze 4. Disallineamenti geografici 5. Adeguate e pronte risposte politiche
Quale futuro? Se il modello economico e geopolitico mondiale non opererà un cambio di rotta decisivo nella riduzione di emissioni e di uso di combustibili fossili, si andrà incontro a un cambiamento climatico irreversibile.
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