CLIMATE CHANGE - LE CONSEGUENZE
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CLIMATE CHANGE – LE CONSEGUENZE Gli impatti previsti varieranno in maniera significativa tra le varie regioni del globo. Particolarmente gravi saranno le conseguenze per i Paesi in via di sviluppo, i più vulnerabili anche per effetto delle loro ridotte capacità di adattamento. Nel settore agricolo, ad esempio, i PVS rischiano di andare incontro a crescenti incertezze per quanto riguarda la disponibilità di cibo e ad un aumento della frequenza e della durata delle carestie. La ridotta disponibilità di cibo potrebbe far aumentare la migrazione di popolazioni alla ricerca di territori più idonei allo sviluppo di condizioni normali di vita e scatenare conflitti per il controllo delle risorse. Per i Paesi industrializzati gli impatti più significativi riguarderanno l’intensità e la frequenza degli eventi estremi, il ciclo idrologico e la disponibilità di acqua. L’esperienza di alcuni eventi estremi recenti suggerisce che, per le aree urbane, i processi di adattamento potrebbero risultare costosi e comportare elevati costi sociali. 1
CLIMATE CHANGE – LE CONSEGUENZE È possibile operare una distinzione tra gli impatti fisici e gli impatti economici dei cambiamenti climatici. Gli impatti fisici dei cambiamenti climatici previsti nel rapporto dell’IPCC possono essere distinti a seconda dei sistemi e dei settori interessati: acqua; cibo; salute; industria, insediamenti e società; ecosistemi; aree costiere e oceani. Per gli impatti che i cambiamenti climatici producono da un punto di vista economico è opportuno distinguere: • i costi legati agli effetti fisici (costo dei danni dovuti a catastrofi naturali e condizioni climatiche avverse); • i costi che si devono sostenere per ridurre o stabilizzare su livelli accettabili i fenomeni che causano i cambiamenti climatici e per prendere misure adattive. I costi di adattamento saranno sostenuti anche nel caso in cui tutte le emissioni climalteranti fossero azzerate in un lasso di tempo brevissimo; questo a causa dell’inerzia che caratterizza i fenomeni di mutazione del clima. 2
CLIMATE CHANGE – LE CONSEGUENZE A livello mondiale il testo di riferimento per gli impatti economici dei cambiamenti climatici è lo “Stern Review”, rapporto elaborato nel 2006 dall’economista britannico Nicholas Stern per il governo del Regno Unito. Sebbene sia stato criticato da più parti nel mondo accademico per le metodologie utilizzate, si tratta del lavoro più vasto, conosciuto e discusso in materia. Riassumendo le conclusioni del rapporto: Per alcuni Paesi sviluppati, e nel caso di modesti incrementi delle temperature medie, i cambiamenti climatici produrranno alcuni effetti positivi ma questi diventeranno molto negativi per temperature più elevate previste per la seconda metà del XXI secolo. I costi di eventi meteorologici estremi, come tempeste, inondazioni, siccità e ondate di calore, potrebbero controbilanciare gli effetti inizialmente positivi dei cambiamenti climatici. I soli costi di eventi catastrofici potrebbero raggiungere lo 0,5-1% del PIL mondiale e continueranno ad aumentare con il progressivo riscaldamento del pianeta. Per evitare gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici sarebbe necessario investire adeguatamente fino al 2% del PIL globale. 3
CLIMATE CHANGE – LE CONSEGUENZE 4% 2% Mendelsohn 0% Nordhaus (rischio catastrofico) -2% Nordhaus (senza rischio -4% catastrofico) -6% Tol -8% Stern (scenario climatico -10% catastrofico; impatti 0 2 4 6 8 economici e non economici) aumenti della temperatura media in °C Impatto di diversi livelli di riscaldamento sul PIL mondiale 4 Fonte: Fondo Monetario Internazionale, Data and Statistics, 2008
POLITICA AMBIENTALE NEL MONDO ED IN EUROPA CONFERENZE MONDIALI SULL’AMBIENTE - STOCCOLMA - 1972 - RIO DE JANEIRO - 1992 - KYOTO – 1997 - JOHANNESBURG - 2002 - RIO +20 – 2012 ……………………. 5
GLI ANNI SETTANTA Progressiva internazionalizzazione del dibattito intorno al tema delle relazioni tra ambiente e sviluppo. Aumenta la percezione della Aumentano le questione ambientale: conoscenze attenzione alle grandi fonti di scientifiche in materia inquinamento concentrato ambientale. (impianti industriali, centrali termiche, inquinamento urbano atmosferico ed 6 acustico, ecc.).
Rapporto “I limiti dello sviluppo” (1972) Pubblicato per il Club di Roma dal MIT (Massachussets (Massachussets Institute of Technology) Technology) INQUINAMENTO DEPAUPERAMENTO RISORSE LIMITI ALLA CRESCITA 7
Limiti alla crescita – come affrontare il problema? Gestione delle risorse Gestione del rischio ambientale • Nuove tecnologie per incrementare la Viene “contabilizzato” il conservazione delle capitale naturale. risorse. • Efficienza energetica. INTERNALIZZAZIONE DEI COSTI AMBIENTALI 8
Crescita vs Sviluppo CRESCITA SVILUPPO Concetto quantitativo- Trasformazioni di tipo qualitativo -economico (reddito (in termini multidimensionali) pro-capite) Integrità Efficienza Equità sociale dell’ecosistema economica 9
I PRINCIPI DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE 1. Progressiva ricerca dell’integrazione fra le dimensioni economiche, sociali e ambientali 2. Progressiva ricerca dell’equità intergenerazionale e dell’equità redistributiva 3. Progressivo spostamento dell’attenzione dalla dimensione locale alla dimensione globale 4. Progressiva ricerca del soddisfacimento delle aspettative della collettività nel suo complesso
LA PRODUZIONE DI BENI E SERVIZI FUNZIONE DI: FATTORI FISICI – CAPITALE / MACCHINE FATTORI UMANI – FORZA LAVORO FATTORI AMBIENTALI Le proporzioni possono variare in maniera significativa, e diventa fondamentale il concetto della sostituibilità tra fattori di produzione. 11
LA SOSTENIBILITA’ In relazione al tema della sostituibilità possono essere individuate quattro diverse posizioni rispetto alla sostenibilità: MOLTO DEBOLE DEBOLE FORTE MOLTO FORTE con possibilità di sostituzione tra i fattori decrescenti passando dalla prima all’ultima. 12
LA SOSTENIBILITA’ Altri due concetti fondamentali sono quelli di: CAPITALE NATURALE CRITICO Livello minimo necessario alla riproducibilità biologica dell’ecosistema e CAPACITA’ DI CARICO Quantità di inquinamento e rifiuti che il pianeta è in grado di tollerare 13
LA SOSTENIBILITA’ EQUITA’ INFRAGENERAZIONALE EQUITA’ INTERGENERAZIONALE INCERTEZZA / IRREVERSIBILITA’ Conseguenze sulle politiche da intraprendere 14
LO SVILUPPO SOSTENIBILE: I PROBLEMI ECONOMICI 1) DISPARITA DISTRIBUTIVA: • il 20% della popolazione mondiale dispone dell’87% del reddito • Il rapporto tra il reddito del 20% della popolazione più ricco e quello più povero è passato da 1:30 negli anni ’60 a circa 1:60 • Squilibri interni ai paesi (es. tasso di povertà Svezia 7% – USA 16%) 2) INFLUENZA SUI PROCESSI MIGRATORI 15
LO SVILUPPO SOSTENIBILE: I PROCESSI MIGRATORI • La spinta principale è costituita dai differenziali salariali • Fino agli anni ‘60 avveniva soprattutto fra paesi industrializzati, successivamente dai PVS • L’immigrazione tende ad essere sempre più qualificata, specialmente nei paesi in grado di mettere in atto opportune politiche formative • I paesi di provenienza hanno il vantaggio delle rimesse, ma perdono personale qualificato in patria, con il rischio di non trovare lavori adeguati alla preparazione 16
LO SVILUPPO SOSTENIBILE: LE ESTERNALITA’ • Ottimo sociale diverso da ottimo privato • Diritti di proprietà e tasse • Problemi specifici: • Scala internazionale • Legami con sviluppo economico • Incertezza dei dati 17
LO SVILUPPO SOSTENIBILE: RISORSE NATURALI E AMBIENTE 1) CONCETTO DI ESTERNALITA’: • Es. valutazione dei costi esterni sociali dell’attività d’impresa 2) INQUINAMENTO : • Locale • Trans-frontaliero • Globale Situazioni diverse richiedono risposte differenti 18
DAL CLUB DI ROMA A OSLO Nel 1972, in un famoso rapporto intitolato “I limiti dello sviluppo”, il Club di Roma lanciò l’allarme sulle pericolose conseguenze ambientali del processo di crescita. Il rapporto rilevava che il salto in avanti nella crescita dei beni materiali non teneva conto di due problemi: l’esaurimento delle risorse e il degrado ambientale. Nel giro di alcuni anni, le preoccupazioni in merito alla salvaguardia del patrimonio naturale si sono rapidamente trasformate in una riflessione più globale sulle condizioni che lo sviluppo economico deve rispettare perché le generazioni future non si trovino penalizzate dalle scelte di oggi. Tale riflessione poggia sul nuovo concetto di sviluppo sostenibile, illustrato dalla commissione Bruntland (1987): “Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo in grado di soddisfare i bisogni della generazione attuale senza compromettere la capacità di quelle future di soddisfare i propri”.
CONFERENZA DI STOCCOLMA (1972) I° vertice ONU su “ambiente e sviluppo” • primo esempio di ragionamento diplomatico e politico globale sui temi dello sviluppo umano • Conferenza delle Nazioni Unite su “ambiente umano” • Riferimento ai problemi di inquinamento (fenomeno delle piogge acide, inquinamento dei mari, livello di pesticidi e metalli pesanti in pesci e uccelli, ecc.) • Scarsa attenzione ai problemi ambientali e di sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo • Creazione di reti globali e regionali per il monitoraggio dell’ambiente per procedere alla programmazione delle iniziative • Viene istituito l’UNEP (United Nations Environment Programme) 20
CONFERENZA DI TORONTO - 1988 Il primo vero passo in direzione di accordi globali e vincolanti è stato fatto con la Conferenza di Toronto, la prima, a detta di molti esperti, a spostarsi dagli spazi della scienza a quelli della politica. Vengono presi impegni per la riduzione delle emissioni di biossido di carbonio e il miglioramento dell’efficienza energetica. Nasce l’IPCC per il monitoraggio del clima, dell’impatto economico, sociale e ambientale dei cambiamenti climatici, e per la definizione di possibili strategie. Il primo rapporto dell’IPCC conferma una modificazione del sistema climatico scientificamente accertata. La conferenza è ricordata per la particolare incisività delle dichiarazioni finali e per gli impegni politici che sono stati presi. 21
Conferenza di Rio de Janeiro (1992) Obiettivi Stabilire l’entità degli aiuti Definire un percorso (finanziari, operativi, di di sviluppo sostenibile trasferimento tecnologie) nel mondo. ai Paesi poveri. RIDEFINIZIONE DEI RAPPORTI NORD-SUD DEL MONDO 22
Conferenza di Rio de Janeiro (1992) “Earth Summit”, II° vertice ONU su “ambiente e sviluppo” (UNCED, United Nations Conference on Environment and Development) • Presenti le delegazioni di 183 paesi. • Confronto tra i Paesi industrializzati (che hanno esaurito le capacità di carico dei propri ecosistemi) e i Paesi del Sud del mondo, sottosviluppati o in via di sviluppo (contrari ad assumersi responsabilità verso l’ambiente, se non previo misure compensative, come i programmi di assistenza economica). • I principali risultati della conferenza sono riassunti in una serie di documenti: • l’Agenda 21; • la Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo; • la Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste; • la Convenzione sulla biodiversità; • la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC, United Nations Framework Convention on Climate Change). 23
CONFERENZA DI RIO (1992) Risultati: Convenzione sul clima emissioni CO2; Convenzione sulla biodiversità conservazione patrimonio genetico di specie animali e vegetali; Dichiarazione sulle foreste non è diventata una vera e propria convenzione per l’opposizione dei paesi detentori della maggior parte delle foreste tropicali; Dichiarazione di Rio 27 principi sull’integrazione ambiente-sviluppo; Local Agenda 21 programma d’azione planetario che identifica i caratteri dello sviluppo sostenibile e i mezzi per realizzarlo. 24
Local Agenda 21 Raccolta di intenzioni per avviare politiche di sviluppo sostenibile attraverso il consenso dell’intera società civile (popolazione, istituzioni, imprese, ecc.) su scala nazionale, regionale e sub- regionale. CAP. 28 Programma d’azione Gli attori locali devono multisettoriale (4 sezioni divenire dei partner attivi nei - economico-sociale, conser- processi decisionali inerenti il vazione e gestione delle proprio territorio risorse per lo sviluppo, PROCESSO DI GOVERNANCE rafforzamento del ruolo delle (scelte volontarie condivise forze sociali, strumenti di “dal basso verso l’alto) e di attuazione - e 40 capitoli) e PARTNERSHIP (scelte partecipativo per i governi nel partecipate e attuate da parte XXI secolo. di tutti i soggetti presenti sul territorio). 25
LA DICHIARAZIONE DI RIO La Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo supporta l’Agenda 21 definendo i diritti e le responsabilità degli Stati relativamente agli argomenti trattati. Nella dichiarazione sono stati sanciti alcuni principi fondamentali: la centralità dell’essere umano all’interno della questione dello sviluppo sostenibile; l’improrogabilità di interventi per impedire il degrado ambientale laddove esistano minacce di danni gravi o irreversibili, anche in presenza di incertezza scientifica; la sovranità dei Paesi nello sfruttamento delle proprie risorse senza però danneggiare l’ambiente di altri Stati; l’indispensabile necessità dello sradicamento della povertà e della riduzione delle diseguaglianze negli standard di vita; l’essenzialità della partecipazione delle donne per ottenere uno sviluppo sostenibile; il riconoscimento, da parte dei Paesi sviluppati, della responsabilità che hanno nel perseguire lo sviluppo sostenibile a causa della pressione che esercitano sull’ambiente e delle 26 tecnologie e dei mezzi finanziari di cui dispongono.
LA CONVENZIONE QUADRO SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI Il primo rapporto dell’IPCC, che ha evidenziato la correlazione tra le emissioni dei gas serra antropici e un probabile cambiamento climatico, ha costituito la base scientifica per i negoziati della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici. Nel 1992, i delegati di 150 Paesi hanno infatti approvato la Convenzione, adottata a New York il 9 maggio e presentata ai governi per la firma nel corso del Vertice della Terra svoltosi a Rio de Janeiro nel mese di giugno. La Convenzione, sottoscritta a Rio da 154 Paesi, più l’Unione europea, è entrata in vigore il 21 marzo 1994, 90 giorni dopo la cinquantesima ratifica. Essa definisce un obiettivo di stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra per la protezione del sistema climatico e promuove interventi a livello nazionale e internazionale per il raggiungimento di questo obiettivo, ma non prevede impegni vincolanti per la riduzione delle emissioni di gas serra, bensì solo un impegno di massima per i Paesi industrializzati a riportare entro il 2000 le proprie emissioni di gas serra ai livelli del 1990. Le riunioni della Conferenza delle Parti (COP, Conference of Parties), che si svolgono con cadenza annuale, valutano le azioni intraprese e gli impegni da assumere anche alla luce delle conclusioni dei rapporti dell’IPCC. Secondo la prassi delle Nazioni Unite, tutte le decisioni della Conferenza delle Parti 27 richiedono, per essere adottate, il consenso di tutti i Paesi firmatari.
PROTOCOLLO DI KYOTO (1997) RIDUZIONE COMPLESSIVA DEL 5% (RISPETTO AL 1990) DELLE EMISSIONI DI GAS CHE ALTERANO L’EFFETTO SERRA DA REALIZZARE ENTRO IL 2010. IN PARTICOLARE: U.E. 8%, U.S.A. 7%, GIAPPONE 6% RUSSIA 0 AUSTRALIA + 8% NESSUN LIMITE PER I PVS 28
IL PROTOCOLLO DI KYOTO Una svolta per la politica dei cambiamenti climatici si è avuta alla COP 3 a Kyoto, nel 1997, con l’adozione del Protocollo di Kyoto. Il protocollo prevede che i Paesi industrializzati riducano, entro il periodo 2008-2012, le emissioni dei gas serra del 5% a livello mondiale rispetto all’anno base 1990. Per conseguire i propri specifici obiettivi di riduzione, il protocollo permette ai Paesi industrializzati di fare uso degli assorbimenti di biossido di carbonio da foreste e terreni agricoli (cosiddetti carbon sink) e dei meccanismi di cooperazione internazionale per ridurre le emissioni. I dettagli operativi relativi all’uso di questi strumenti sono stati però definiti solo dalla COP 7, svoltasi a Marrakech nel novembre 2001. Il protocollo poteva entrare in vigore solo dopo la ratifica da parte di almeno 55 Paesi firmatari della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, responsabili per almeno il 55% delle emissioni di CO2 del 1990. Gli impegni del protocollo, a differenza di quelli della convenzione, sono vincolanti per i Paesi firmatari: la sua ratifica è avvenuta nel novembre del 2004, con l’adesione della Russia. Nel 2005 la Conferenza delle Parti ha avuto luogo a Montreal, in Canada: è stato approvato un piano d’azione che prevedere tagli più consistenti alle 29 emissioni di gas serra e l’estensione del Protocollo di Kyoto oltre il 2012.
IL PROTOCOLLO DI KYOTO - 2 L’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni di biossido di carbonio, metano e protossido di azoto è il 1990, mentre per HFC, PFC e SF6 è possibile scegliere tra il 1990 e il 1995. La riduzione complessiva del 5% viene ripartita in maniera diversa: per i Paesi dell’Unione europea nel loro insieme la riduzione deve essere dell’8%, per gli Stati Uniti la riduzione deve essere del 7% e per il Giappone del 6%. Nessuna riduzione, ma solo stabilizzazione è prevista per la Federazione Russa, la Nuova Zelanda e l’Ucraina. Possono, invece, aumentare le loro emissioni fino all’1% la Norvegia, fino all’8% l’Australia e fino al 10% l’Islanda. Nessun tipo di limitazione alle emissioni di gas serra viene previsto per i PVS. Per l’Unione europea Kyoto ha fissato, a conclusione di un’impegnativa negoziazione, una riduzione dell’8%, tradotta poi dal Consiglio dei Ministri dell’Ambiente dell’UE del 17 giugno 1998 negli obiettivi di riduzione delle emissioni dei singoli Stati membri. Per l’Italia è stato stabilito che entro il 2008-2012 si riducano le emissioni nella misura del 6,5% rispetto ai livelli del 1990. 30
IL PROTOCOLLO DI KYOTO - 3 Per il conseguimento dei propri obiettivi, i Paesi industrializzati e ad economia in transizione possono contabilizzare come riduzione delle emissioni il carbonio assorbito dalle nuove piantagioni forestali e dalle attività agroforestali (carbon sink) e utilizzare in maniera sostanziale i meccanismi flessibili, previsti dal Protocollo di Kyoto: il Clean Development Mechanism (CDM) la Joint Implementation (JI)) l’’Emissions Trading (ET) Il Clean Development Mechanism consente ai Paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare nei PVS progetti che producano benefici ambientali in termini di riduzione delle emissioni di gas serra e di sviluppo economico e sociale dei Paesi ospiti e nello stesso tempo generino crediti di emissione per i Paesi che promuovono gli interventi. La Joint Implementation consente ai Paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare progetti per la riduzione delle emissioni di gas serra in un altro Paese dello stesso gruppo e di utilizzare i crediti derivanti, congiuntamente con il Paese ospite. L’Emissions Trading, infine, consente lo scambio di crediti di emissione tra Paesi industrializzati e ad economia in transizione. Un Paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo può così cedere tali crediti ad un Paese che non sia stato31 in grado di rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni di gas serra.
DICHIARAZIONE DI JOHANNESBURG (2002) RICONOSCIAMO CHE L’ELIMINAZIONE DELLA POVERTA’, IL CAMBIAMENTO DEGLI STILI DI PRODUZIONE E CONSUMO E LA PROTEZIONE E LA GESTIONE DELLE RISORSE NATURALI SONO GLI OBIETTIVI ED I PRESUPPOSTI ESSENZIALI PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE 32
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