Il sistema di governo nella Costituzione italiana - UniFI
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Il sistema di governo nella Costituzione italiana Per capire bene gli elementi che caratterizzano oggi la forma di governo italiana, è necessario ripercorrerne gli sviluppi partendo dal disegno originario, per passare alla sua attuazione nel nostro sistema, fino ad arrivare alle profonde modifiche determinate dalla riforma elettorale del 1993 e poi dalla più recente riforma del 2005. Per far questo occorre – sia pure in estrema sintesi – fermare l’attenzione su tre aspetti fondamentali: a. Il modello costituzionale b. Il funzionamento del modello fino alla riforma elettorale del 1993 c. La riforma elettorale del 1993 e la fase di transizione d. La riforma elettorale del 2005: l’inizio della nuova fase e le prospettive future Intanto capiamo bene di cosa parliamo. Secondo quelle che sono le categorie classiche del diritto costituzionale, si intende per forma di governo di uno Stato gli insieme dei rapporti che caratterizzano le relazioni che si instaurano fra i supremi organi di governo. In base a questa definizione, si può anticipare che quella introdotta dalla Costituzione del 1948 è una forma di governo di tipo parlamentare. Cioè una forma di governo caratterizzata dall’esistenza di un rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento e dalla collocazione super partes del capo dello stato. Organo chiamato, in posizione di indipendenza e neutralità, a garantire in corretto funzionamento di questo rapporto e, più in generale, il corretto funzionamento dell’intero sistema. Detto questo cominciamo ad analizzare i fattori storici che portarono i nostri Costituenti a questa scelta.
a. il modello costituzionale . Punto di partenza di questa analisi è l’ordine del giorno, approvato dalla Seconda Sottocommissione, incaricata di disegnare il nuovo assetto istituzionale della neonata repubblica italiana, nella seduta del 5 settembre 1946, proprio all’inizio dei lavori dell’Assemblea costituente. In quella seduta la Sottocommissione, con 22 voti favorevoli sei astenuti, votò il famoso o.d. g. Perassi con il quale, dopo aver rilevato che né il governo presidenziale né il governo direttoriale rispondevano alle condizioni della realtà italiana, veniva espressa la scelta verso una forma di governo parlamentare “da disciplinarsi tuttavia - come si precisava in quel documento – con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo”. Alla base di questa scelta, maturata alla luce di un complesso dibattito che aveva occupato per ben tre giorni quella Commissione, vi era la consapevolezza che, subito esclusa la possibilità di introdurre un sistema di tipo direttoriale - assembleare, caratterizzato da un’eccessiva rigidità del rapporto governo – parlamento (impossibilità di revocare il governo una volta eletto, ovvero di sciogliere le Camere, anche quando queste si discostino dagli indirizzi politici espressi dal corpo elettorale) ed ugualmente esclusa l’introduzione di sistemi presidenziali ( perfetta separazione tra Governo e Parlamento che costituiscono due centri di indirizzo e decisione reciprocamente autonomi, ma facilmente contrapponibili tra loro, oltre che equilibrati da un sistema di decentramento forte); l’unica soluzione risultava quella del sistema parlamentare. Un sistema dove governo e parlamento, non solo non si contrappongono, ma sono espressione dello stesso indirizzo politico (perchè il governo è espresso dalla stessa maggioranza parlamentare) e, quindi sono legati da un rapporto di collaborazione.
Un sistema, tuttavia, quello prescelto che, calato in una realtà – quale quella italiana – già allora caratterizzata da un elevato numero di partiti fra loro assai diversi e conflittuali, esigeva, come si legge in quell’ordine del giorno, meccanismi di razionalizzazione in grado di assicurare la durata degli esecutivi, senza esporre il governo a continue crisi. Va subito detto, tuttavia, che le buone, anzi le ottime, intenzioni espresse in quella storica seduta dai nostri Costituenti non ebbero poi il seguito sperato. Gli auspicati meccanismi di razionalizzazione si sono tradotti in assai pochi elementi volti ad assicurare la stabilità dell’esecutivo (voto di fiducia palese sul programma; limiti introdotti alla sfiducia dall’art. 94) Piuttosto che i meccanismi di razionalizzazione, più numerosi furono i correttivi, cui si dimostrarono particolarmente interessati i costituenti i quali , in una prospettiva che allora rendeva assai incerto definire quelle che sarebbero state le forze politiche destinate a formare le future maggioranze di governo, si preoccuparono di predisporre un sistema in grado di assicurare il più possibile garanzie reciproche : v. un forte sistema di controllo costituzionale delle leggi e dei comportamenti degli organi costituzionali; l’introduzione dell’istituto referendario; ampi poteri affidati al capo dello stato; costruzione di una struttura interna all’organo esecutivo imperniata da elementi che andavano sia nella direzione della governabilità (nomina presidente del consiglio e sua titolarità della direzione dell’indirizzo politico; proposta dei ministri) sia della uguale legittimazione di tutte le forze politiche che avrebbero partecipato alla compagine governativa ( mancanza del potere di revoca, responsabilità collegiale). Un modello, dunque, quello previsto, che poneva l’accento più sulla garanzia che non la governabilità e che sostanzialmente trovava il suo completamento, sul piano elettorale, nella scelta del sistema proporzionale che, pur non incluso nella nostra
costituzione, è stata subito considerato come un elemento della nostra costituzione materiale. b. il funzionamento del modello fino alla riforma elettorale del 1993 Sotto tale profilo va subito detto che il modello parlamentare ha fin dall’inizio – o, quanto meno, a partire dal 1953 con la fine della fase degasperiana – funzionato in termini anomali o comunque sconosciuti all’esperienza classica dei governi parlamentari. Alla base di ciò stanno, non tanto i difetti o le carenze del modello, quanto la vicenda politica che ha caratterizzato il nostro paese, ben diversa da quella dei paesi (o delle epoche) in cui il governo parlamentare ha nel complesso funzionato. E’ noto come il buon funzionamento di un governo parlamentare viene tradizionalmente misurato con riferimento a due aspetti, che vengono in definitiva a misurare la stessa ratio del sistema.: la possibilità di realizzare una piena alternanza tra maggioranza ed opposizione; la netta distinzione dei ruoli spettanti alla maggioranza e alla opposizione: la prima investita di poteri di indirizzo, la seconda del controllo politico su tali poteri. Condizioni che dipendono, a loro volta, da alcune “precondizioni” determinate dalla presenza di un tessuto sociale sostanzialmente omogeneo quanto alla condivisione dei valori di fondo e da un sistema politico ordinato su un numero limitato di partiti ben coesi al loro interno. Ambedue questi elementi, come è noto, non si sono mai realizzati in Italia, dove, a partire dai primi anni della nascita della nostra Repubblica si è radicato un sistema definito a multipartitismo esasperato.(SARTORI; ELIA). Caratterizzato cioè , non solo da un numero elevato di partiti fra loro molto diversi, ma anche dall’esclusione dall’area di governo di cospicue e affatto secondarie forze politiche.
Il che ha creato governi deboli ed instabili e un sistema di democrazia bloccata , senza ricambio . Tutto ciò ha prodotto: 1. frequenti crisi di tipo extraparlamentare, per la mancanza di formule di ricambio che rendeva impossibile l’apertura di crisi formali; 2. la modifica del ruolo del presidente del consiglio da organo di indirizzo a mero organo di mediazione di una politica governativa frammentata e definita con una formula felice una politica di governo per ministeri . 3. la mancanza di un ricambio compensata, però, da una confusione di ruoli tra maggioranza ed opposizione attraverso il fenomeno c.d. del consociativismo, legato alla formazione di indirizzi non decisi dalla sola maggioranza , ma concordati con l’opposizione. 4. Accrescimento dei poteri del capo dello Stato, accompagnato da una forte politicizzazione della carica (contrassegnata dalla difficoltà di elezione) resa sempre più evidente e dalla prassi del ricorso al c.d. potere di esternazione che soprattutto con la presidenza Pertini ha molto rafforzato la posizione del Presidente nel circuito politico Governo- Parlamento- opinione pubblica. Le cose cominciano a cambiare agli inizi degli anni ’80 con i primi governi a conduzione laica, (Spadolini; Craxi) che imposero,come urgenti, i problemi della governabilità, dando inizio ad una serie di riforme in questo senso (la legge 400/88; la riforma del voto segreto e dei regolamenti parlamentari, ma soprattutto l’avvio del dibattito sulle modifiche costituzionali con l’istituzione di tre commissioni parlamentari: : la commissione Bozzi (1983), la commissione de Mita-Iotti (1992), la commissione D’Alema (1997)). Sullo sfondo di tutto ciò vi è l’inizio di una nuova fase istituzionale caratterizzata dalla definitiva e formale scomparsa della conventio ad escludedum dopo la caduta del muro di Berlino del 1989 e dalla insistita richiesta di strumenti di riforma della
politica in grado di far fronte alla grave crisi che aveva colpito lo Stato italiano, sfociata nel referendum del 1993 che ha portato alla modifica della legge elettorale di Camera e Senato in senso maggioritario, sia pure temperato da un ampio recupero proporzionale. c. la riforma elettorale del 1993 e la fase di transizione Fin troppo note le vicende dopo quella riforma: 1. XII leg. (1994-1996) a. Nascita del goverrno Berlusconi dopo le elezioni del 1994 nelle quali il partito delle libertà sia era presentato con due diverse alleanze al nord (lega) e sud (alleanza nazionale). b. crisi del governo Berlusconi apertasi nel 1994 con la presentazione di una mozione di sfiducia da parte delle opposizioni cui aderiva la Lega e conclusasi con le dimissioni di Berlusconi prima del voto. c. mancato scioglimento delle Camere e formazione del governo Dini, ministro del Tesoro del governo Berlusconi e con forte coloritura tecnica piuttosto che politica, in grado – secondo le intenzioni del capo dello stato – di portare avanti le riforme rese necessarie dal mutamento del sistema politico ed istituzionale, così come indicato nel programma, la cui attuazione era posta alla base della stessa durata del Governo (il governo riceve la fiducia con i voti de PDS , popolari ed astensione di Forza Italia). c.Dimissione del governo Dini dopo l’approvazione della legge finanziaria nel dicembre 1995 e nuove elezioni con la formazione di due coalizioni il Polo delle libertà e l’Ulivo con un loro leader destinato a divenire il Presidente del consiglio in caso di vittoria 2. XIII leg. (1996- 2001) a. Formazione del Governo Prodi dopo rapide e brevi consultazioni che sottolineavano la vincolatività del mandato elettorale. b. crisi del governo Prodi , colpito dal voto di sfiducia dopo il distacco di Rifondazione comunista dalla coalizione di governo. c. Formazione del governo D’Alema appoggiato da una parte politica, sia pure minoritaria, dell’opposizione. (Cossiga ed altri) . c. Crisi del governo D’Alema, formazione di un D’Alema II , di nuovo crisi di governo dopo le elezioni amministrative del 2000 e formazione del governo Amato, 8. XIV leg.
(2001- 2006) a. Formazione di due governi Berlusconi che durano fino alla fine della legislatura. b. approvazione prima della fine della legislatura della riforma elettorale del 2005 (che rintroduce un sistema proporzionale, corretto da un premio di maggioranza)e la riforma costituzionale Caratteristiche di questa fase: 1. formazione di un bipolarismo conflittuale.2. fragilità delle maggioranze di governo.3. rafforzamento ulteriore del Capo dello Stato che, invece di arretrare di fronte a maggioranze più compatte, acquista nuovi spazi (v. la presidenza Scalfaro con i governi tecnici Ciampi e Amato, Dini e il mancato scioglimento delle Camere del 1994 dopo la crisi del governo Berlusconi, l’ampio uso dell’esternazione). d. La riforma elettorale del 2005: l’inizio della una nuova fase e le prospettive future Dopo la riforma elettorale, inizia la XV legislatura (2006 – 2008) che però dimostra l’imperfetta attuazione di questa legge: a. nascita del Governo Prodi, referendum costituzionale del giugno 2006 , fine anticipata della XV legislatura . XVI legislatura (2008) a. formazione di un sistema bipolare-bipartitico .b. nomina del governo Berlusconi Con la XVI legislatura possiamo dire che si realizza la definitiva stabilizzazione del sistema maggioritario. Ciò porta il risorgere del problema relativo alla necessità (o no) di riforme costituzionali e il riaccendersi del dibattito sulle riforme stesse con l’apparente abbandono di un progetto di modifiche globali.. Il nuovo indirizzo verso riforme settoriali . La immotivata trascuratezza degli istituti di garanzia nei nuovi progetti
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