Il risarcimento del danno non patrimoniale: evoluzione e prospettive future

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752
                                              Direttore responsabile: Antonio Zama

Il risarcimento del danno non patrimoniale: evoluzione e
                     prospettive future
                                                20 Dicembre 2021
                                                Luigi Maria Misasi

Abstract:
Il danno non patrimoniale rappresenta un argomento tra i più dibattuti e discussi, sia in ambito
giurisprudenziale, sia dottrinario. Questa breve disamina, senza voler aver la presunzione della
completezza, mira a fornire alcuni spunti di riflessione in ordine all’evoluzione del concetto di “danno non
patrimoniale” realizzatosi attraverso plurimi interventi della Giurisprudenza nel corso degli anni e cercare
di prospettare, in termini generali, la sua evoluzione.

Introduzione: dalla responsabilità extracontrattuale al “sistema
bipolare” del danno. Il danno non patrimoniale
Il creditore può subire (e, normalmente, subisce) un danno in conseguenza dell’inadempimento del
debitore. In questo caso, il problema principale è quello di stabilire se il creditore insoddisfatto possa
ottenere dal debitore inadempiente il risarcimento del danno sofferto. Problema analogo si ripropone tutte
le volte in cui, anche a prescindere dall’esistenza di un precedente rapporto obbligatorio tra le parti
interessate, un soggetto venga a subire un danno in conseguenza della condotta tenuta da un altro
consociato. Una prima risposta all’interrogativo in esame viene fornita dall’art.2043 del Codice Civile,
secondo cui «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che
ha commesso il fatto a risarcire il danno». Da questa norma (letta congiuntamente all’art.2046 c.c.) si
deduce che, di regola, perché il danneggiante sia obbligato a risarcire il pregiudizio dallo stesso cagionato
al danneggiante debbono concorrere i seguenti presupposti: 1) il fatto; 2) l’illiceità del fatto; 3)
l’imputabilità del fatto al danneggiante; 4) il dolo o la colpa del danneggiante; 5) il nesso causale
tra il fatto e l’evento dannoso (cd. “danno evento”) e 6) il danno (cd. “danno conseguenza”). Ove
concorrano detti presupposti, la responsabilità che grava sul danneggiante viene definita
“responsabilità extracontrattuale” (in contrapposizione alla “responsabilità contrattuale”) ovvero come
“responsabilità aquiliana” (con riferimento, di derivazione romanistica, che fa riferimento alla Lex Aquilia
de damno del 286 a.C.) ovvero ancora come “responsabilità civile”.
Ultimo presupposto per far sorgere l’obbligo risarcitorio è il
        verificarsi, in conseguenza del fatto illecito, di un “danno”: se
        danno non vi è, non può esservi -pur in presenza di un illecito-
        responsabilità civile. Al riguardo, occorre non confondere due
        nozioni, che vanno tenute accuratamente distinte (v. Cass.,
        n.12597/17):
     1) la nozione di “danno evento”, intendendosi la lesione non iure di un interesse tutelato dall’ordinamento;
     2) la nozione di “danno conseguenza”, per tale intendendosi i pregiudizi concretamente sofferti dalla
     vittima in conseguenza del verificarsi del “danno evento”, ossia qualsiasi “alterazione negativa” della
     situazione del soggetto rispetto a quella che si sarebbe avta senza il verificarsi del fatto illecito.
     Ora, mentre il “danno evento” è un connotato dell’illiceità del fatto, è il “danno conseguenza” ad essere
     oggetto di risarcimento (v. Cass., SS.UU., n.794/09; ex multis: Cass., n.13071/18, n.11269/18)
     : se “danno conseguenza” non vi è non sorge alcun obbligo risarcitorio (v. Cass., SS.UU., n.25767/15; ora:
     Cass., n.31537/18). Diverso è il discorso per quel che riguarda la responsabilità penale, che colpisce il reo
     anche se la sua condotta non abbia, in concreto, provocato danni (v. Cass., n.18832/16).
     In base al cd. sistema bipolare (v. Cass., n.2788/19; n.7513/18) il danno si distingue in:
     1) danno patrimoniale, per tale intendendosi quello che si concretizza nella lesione di interessi economici
     del danneggiato. Nella lesione, cioè, del patrimonio inteso in senso strettamente economico;
     2) danno non patrimoniale, per tale intendendosi quello che si concretizza nella lesione di interessi della
     persona non connotati da rilevanza economica.

     L’articolo 2059 del Codice Civile
     Il legislatore, attraverso l’introduzione dell’art.2043 c.c., stabiliva il principio secondo cui il danno, per
     poter esser risarcito doveva essere “ingiusto” e, dall’altro, attraverso l’art.2059 c.c., stabiliva che il danno
     non patrimoniale è risarcibile solo nei casi previsti dalla legge. In primo luogo, occorre evidenziare come
     tale tipologia di danno non trova concreta indicazione nel codice civile, infatti, l’art.2059 c.c. non fornisce
     una precisa definizione del danno non patrimoniale, ma si limita a contemplarne la risarcibilità nei soli casi
     previsti dalla legge. Per quanto concerne l’aspetto definitorio, si tratta di constatare l’assenza di esplicite
     indicazioni normative miranti a stabilire cosa debba intendersi per danno non patrimoniale: la legge si
     limita ad individuare i profili disciplinari riguardanti la categoria, ma omette qualsiasi precisazione in
     merito ai i connotati destinati a contraddistinguere i danni cui tali regole andranno applicate.
     L’espressione «nei soli casi stabiliti dalla legge» determinava che la risarcibilità di tale tipologia di danno
     era ammessa esplicitamente solo nelle ipotesi in cui il danno derivasse da un fatto illecito che si
     configurasse, necessariamente, come reato. All’epoca dell’emanazione del Codice Civile, l’unica
     previsione del risarcimento del danno non patrimoniale, era racchiusa nell’art.185 del Codice Penale, ove si
     prevedeva che «ogni reato, che abbia cagionato un danno, patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al
     risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui»
     . La nuova disposizione civilistica fu oggetto di due tesi interpretative contrapposte:
1.
la tesi “estensiva” sosteneva che per “danno non patrimoniale” doveva intendersi qualsiasi tipo di danno
   diverso dalla lesione del patrimonio nel senso stretto del termine: di conseguenza il danno non patrimoniale
   veniva inteso sia come lesione del cd “danno morale puro”, sia come lesioni dei beni immateriali che sono
   propri di ciascun individuo, quali, ad esempio, il bene salute. Ma, in concreto, tale interpretazione portava a
   risultati applicativi paradossali: ben poteva verificarsi l’ipotesi in cui danno non patrimoniale, anche se di
   scarso valore, venisse sempre risarcito, mentre il danno alla salute non ricevesse alcuna tutela risarcitoria,
   qualora il fatto lesivo non integrasse gli estremi del reato;
2. la seconda tesi, più restrittiva, circoscriveva la portata dei danni non patrimoniali al solo caso di “danno
   morale puro”, ritenendo che la lesione di beni fondamentali, come la salute, fosse risarcibile
   indipendentemente dalla sussistenza (o meno) di un reato, facendone ricadere la tutela nello schema
   dell’art.2043 c.c.

   La sentenza della Corte Costituzionale n.184/1986
   Al fine di tutelare il diritto alla salute e superare la tipicità del danno non patrimoniale, la Consulta partì dal
   presupposto che l’art.2043 c.c. rientrasse, in sostanza, nella categoria delle “norme in bianco”. Nella
   sentenza, il bene salute viene svincolato dai rigori interpretativi dell’art.2059 c.c., ricorrendo ad una
   lettura assai ampia del concetto di patrimonio, di cui all’art.2043 c.c.: il danno, quindi, viene inteso non
   solo più in senso puramente economico, ma anche personale, comprensivo -dunque- del bene salute. La
   Corte affermò che «la vigente Costituzione, garantendo principalmente valori personali, svela che
   l’art.2043 c.c. va posto soprattutto in correlazione agli articoli della Carta fondamentale (che tutelano i
   predetti valori) e che, pertanto, va letto in modo idealmente idonea a compensare il sacrificio che gli stessi
   valori subiscono a causa dell’illecito. L’art.2043 c.c., correlato con l’art.32 Cost., va necessariamente
   esteso fino a comprendere il risarcimento, non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma (esclusi per
   le ragioni già indicate, i danni morali subiettivi) tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano le
   attività realizzatrici della persona umana». I Giudici costituzionali, proseguivano affermando che
   «da un canto, la giurisprudenza successiva all’emanazione del vigente codice civile identifica quasi
   sempre il danno morale (o non patrimoniale) con l’ingiusto turbamento dello stato d’animo del soggetto
   offeso e, dall’altro, ancor oggi la prevalente dottrina riduce il danno non patrimoniale alla sofferenza
   fisica (sensazione dolorosa) o psichica. Se, dunque, secondo il diritto vivente, l’art.2059 c.c., che, peraltro,
   pone soltanto una riserva di legge, fa riferimento, con l’espressione danno non patrimoniale, al solo danno
   morale suriettivo, lo stesso articolo si applica soltanto quando all’illecito civile, costituente anche reato,
   consegue un danno morale subiettivo». Sulla base di tali premesse, la Corte giungeva a dichiarare che
   «il danno morale suriettivo, che si sostanzia nel transuente turbamento psicologico del soggetto offeso, è
   danno conseguenza, in senso proprio, del fatto illecito lesivo della salute» e che, pertanto, «il danno
   morale è risarcibile ex art.2059 c.c., ove dalla lesione della salute (risarcibile ex art.2043 c.c.) derivi,
   come conseguenza ulteriore (rispetto all’evento della menomazione delle condizioni psicofisiche del
   soggetto offeso), un danno morale suriettivo, sempreché il fatto realizzativo del danno biologico costituisca
   anche reato».
La tutela risarcitoria del cd. “danno biologico” venne garantita in virtù del collegamento tra l’art.2043 c.c. e
l’art.32 Cost., e non già in ragione della collocazione del danno biologico nell’ambito dell’art.2059 c.c.,
quale danno non patrimoniale. Tale costruzione trova le sue fondamenta nell’esigenza di sottrarre il
risarcimento del danno biologico (danno non patrimoniale) al limite posto dall’art.2059 c.c. Tale
orientamento venne confermato dalla Corte, con la sentenza n.372/1994, ove affermarono che «il danno
alla salute è il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento
dell’equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo».

Le pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione
del 2003
La tradizione identificazione tra “danno non patrimoniale” e “danno morale soggettivo” viene
definitivamente superara dalla stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n.233 dell’ottobre del 2003,
analogamente a quanto fatto dalla Corte di Cassazione nel maggio precedente, con le sentenze
nn.8827/2003 e 8828/2003, confermando che i danni non patrimoniali non sono risarcibili mediante
l’applicazione dell’art.2043 c.c., ma devono essere ricondotti nell’alveo dell’art.2059 c.c.
Ritiene il Collegio che nell’ordinamento vigente, nel quale assume posizione preminente la Costituzione
che, all’art.2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, il danno non patrimoniale deve essere
inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona.
Una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il limite previsto
dall’articolo in questione, se la lesione ha riguardato valori fondamentali della persona costituzionalmente
garantiti. Occorre considerare che nel caso in cui la lesione abbia inciso su un interesse costituzionalmente
protetto, la riparazione mediante indennizzo sostituisce la forma minima di tutela, ed una tutela minima
non è assoggettabile a limiti specifici, poiché ciò si risolve in rifiuto di tutela nei casi esclusi.
D’altra parte, il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale, ben può
essere riferito -dopo l’entrata in vigore della Costituzione- anche alle previsione della Carta fondamentale,
atteso che il riconoscimento in Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona -non aventi natura
economica- ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello,
di riparazione del danno non patrimoniale.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n.233/03, ha così affermato: «può dirsi ormai superata la
tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall’art.2059 c.c. si
identificherebbe con il cd. danno morale soggettivo. In due recentissime pronunce (Cass., 31 maggio
2003, nn.8827 e 8828), che hanno l’indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato
capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, viene, infatti, prospettata, con ricchezza di
argomentazioni -nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale-
un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’astratta
previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla
persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transuente turbamento dello stato d’animo
della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente
garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art.32
Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante
dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona».
Alla luce di quanto sin qui sostenuto, si ritorna ad un sistema bipolare della responsabilità aquiliana
: da una parte, il danno patrimoniale regolato dall’art.2043 c.c. e, dall’altro, il danno non patrimoniale
regolato dall’art.2059 c.c., nel cui ambito rientrano il danno morale soggettivo (transuente turbamento dello
stato d’animo della vittima); il danno biologico (lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito,
all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico); il danno esistenziale
(lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona).

Il danno non patrimoniale dopo le Sezioni Unite del 2008. La
natura unitaria
La classificazione precedentemente prospettata, però, ha determinato una serie di problematiche
interpretative che hanno richiesto un nuovo intervento delle Sezioni Unite, al fine di dirimere i numerosi
dubbi sollevati mediante l’ordinanza di rimessione della Terza Sezione Civile.
Le sentenze nn.26972, 26974 e 26975 del 2008, integrando quelle precedenti del 2003, hanno enucleato
una serie di principi in tema di danno non patrimoniale
Le Sezioni Unite hanno osservato che «l’art.2059 c.c. non si presta ad un’interpretazione esclusivamente
letterale, bensì è suscettibile di visione, espansiva, difforme: il termine “legge” ha una portata applicativa
più ampia, che esula dalla mera caratteristica formale dell’atto-fonte» e che il risarcimento dei pregiudizi
di natura non patrimoniale poggia «sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della
struttura dell’illecito civile, che si ricavano dall’art.2043 c.c. (e da altre norme, quali quelle che
prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva), elementi che consistono nella condotta, nel nesso causale
tra condotta ed evento di danno, connotato quest’ultimo dall’ingiustizia, determinata dalla lesione, non
giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue (danno-conseguenza)».
Nella sentenza de quibus, la Suprema Corte ha precisato che «il riferimento a determinati tipi di
pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto
parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di
danno. È compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal
nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e
provvedendo alla loro integrale riparazione».
Più di recente, con la sentenza n.26805/2017, la Cassazione ha evidenziato che la natura unitaria dello
stesso deve essere intesa come unitarietà rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente
rilevante, non suscettibile di valutazione economica. In tale ottica, “natura unitaria” sta a significare che
non v’è alcuna diversità nell’accertamento e nella liquidazione del danno causato dal vulnus
di un diritto costituzionalmente protetto diverso da quello alla salute, sia esso rappresentato dalla lesione
della reputazione, della libertà religiosa o sessuale, dalla riservatezza o del rapporto parentale;
“natura omnicomprensiva” sta a significare, invece, che «nella liquidazione di qualsiasi pregiudizio non
patrimoniale, il giudice di merito deve tener conto di tutte le conseguenze che sono derivate dall’evento di
danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi
diversi a pregiudizi identici, e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilità, onde evitare i
risarcimenti cd. “bagatellari”. L’accertamento e la liquidazione del danno non patrimoniale costituiscono,
pertanto, questioni concrete e non astratte».
L’attuale assetto del danno non patrimoniale
     Alla luce dell’ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale, si possono così sintetizzare alcuni punti fermi
     che caratterizzano tale tipologia di danno:
1.   il danno non patrimoniale è risarcibile in tutti i casi in cui la legge lo prevede espressamente e nelle ipotesi
     in cui viene leso un diritto tutelato in Costituzionale: la riserva di legge prevista dall’art.2059 c.c. è
     rispettata, infatti, dalle norme costituzionali che tutelano i diritti fondamentali della persona;
2.   è possibile la risarcibilità del danno non patrimoniale anche ad enti e persone giuridiche (v. Cass.,
     n.2367/00): l’art.2 Cost. riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle
     formazioni sociali ove svolga la sua personalità;
3.   il risarcimento del danno non patrimoniale è ammesso anche in materia di responsabilità contrattuale
     : per molti anni è stata negata tale risarcibilità, in quanto l’ostacolo era ravvisato nella mancanza -nella
     disciplina della responsabilità contrattuale- di una norma analoga all’art.2059 c.c., dettato in materia di fatti
     illeciti. Tale orientamento è stato superato dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione sul presupposto
     che l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.2059 c.c. consente di affermare che anche nella
     materia della responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali (v. Cass., SS.UU.,
     n.26972/08). Tale principio viene confermato dalla previsione dell’art.1174 c.c., secondo cui la prestazione
     che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve
     corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore. Inoltre, l’art.1218 c.c., nella parte in
     cui dispone che il debitore che non esegue la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, non
     può essere riferito al solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale,
     qualora l’inadempimento abbia determinato lesione di diritti inviolabili della persona. Così, nell’art.1223
     c.c., il risarcimento per inadempimento -o per il ritardo- deve comprendere la perdita subita dal creditore
     come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta, riconducendo tra le
     perdite e le mancate utilità anche i pregiudizi non patrimoniale determinati dalla lesione dei menzionati
     diritti. Il rango primario dei diritti suscettibili di lesione rende nulli i patti di esonero, o limitazione, della
     responsabilità, come previsto dall’art.1229, co.2 c.c.
4.   non esistono più tipi di danni non patrimoniale, ma possono esistere solo più forme di manifestazione dello
     stesso: partendo dal concetto di unitarietà del danno non patrimoniale, conseguentemente dovrà essere
     unitaria anche la sua liquidazione. Il giudice deve tener conto di tutti i singoli pregiudizi non pecuniari
     causati dall’illecito, ma questi non dovranno essere considerati come danni ontologicamente diversi,
     determinando una duplicazione risarcitoria;
5.   altra caratteristica del danno non patrimoniale è la tipicità: tale forma di danno è risarcibile solo nei casi
     previsti dalla legge;
6.   il danno non patrimoniale, al pari di qualsiasi altro pregiudizio, non può mai ritenersi in re ipsa
     , ma è sempre necessaria l’allegazione e la prova dell’esistenza di un deficit di utilità rispetto a quelle
     godute dalla vittima prima del fatto illecito e da questo causato.
In estrema sintesi, si può genericamente affermare che il danno non patrimoniale copre tutte le lesioni a
diritti personali costituzionalmente tutelati, che non sono riconducibili ai danni patrimoniali
. È necessario evidenziare, in conclusione, che la sola copertura costituzionale dell’interesse leso non è
sufficiente -da sola- ma è necessaria la compresenza di altri due presupposti. In primo luogo, la lesione
deve essere grave, ossia deve eccedere la soglia della normale tollerabilità e, in secondo luogo, il
pregiudizio patito non deve essere futile, ossia non deve consistere in meri disagi o fastidi, ovvero nella
lesione di diritti del tutto immaginarti, come quello alla qualità della vita o alla felicità (v. Cass., SS.UU.,
n.26972/08).

Conclusioni: le prospettive future
Da questa “breve” disamina è emerso uno scenario in continuo mutamento, dai contorni spesso poco nitidi
e sfumati, figlio della dialettica tra pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, nonché dall’emersione - a
partire dagli anni ’70 - di una nuova sensibilità sociale, che guarda all’individuo in quanto tale,
focalizzandosi sui suoi bisogni, sulle sue sofferenze e sulla sfera realizzativa della sua personalità.

   Le sentenze di cui si è discusso paiono aver spostato l’attenzione
   dei giudici sul concetto di “ingiustizia costituzionalmente
   qualificata”: la nuova frontiera del confronto, infatti, sembra
   ora essere quella determinazione in concreto di questo nuovo
   attributo del danno. Si tratterà, presumibilmente, di una ricerca
   dei nuovi interessi meritevoli di tutela, da distribuire tra gli
   artt.2043 e 2059 c.c., non tanto sul presupposto della dicotomia
   tra “patrimonialità” e “non patrimonialità”, quanto sul binario
   “atipicità” / “tipicità”.
Tutto ciò, ben inteso, tenendo sempre a mente la funzione compensativa attribuita al rimedio del
risarcimento del danno non patrimoniale, che non consente di dare ingresso a istituiti, quale quello dei
punitive demages, proprio dei sistemi di common law, aventi natura di sanzione punitiva, in ossequio alla
salvaguardia del fondamentale principio del nostro ordinamento, frutto di due millenni di storia (dai delicta
romani alle disposizione del Code Civil napoleonico), che consente di risarcire solo i danni subiti, senza
che il danneggiato possa lucrare ingiustificati arricchimenti dal fatto illecito.

Letture consigliate:
BIANCA C.M., Inadempimento delle obbligazioni, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, sub artt.1218-1229
, VI, Bologna-Roma, 1997
CARNELUTTI F., Il danno e il reato, Padova, 1926
DE GIORGI M.V., voce Danno, in Enc. Giur. Treccani, VI, 1990
PASCALE G., I danni non patrimoniale, Santarcangelo di Romagna, 2020
RODOTÀ S., Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964
ROSSETTI M., Il danno alla salute, Padova, 2009, p.792
ROSSETTI M., Il danno non patrimoniale, Cos’è, come si accerta e come si liquida, Milano, 2010, pp.27
ss.
SALVADORI F.C., Il danno non patrimoniale: evoluzione storica e prospettive future, Venezia, 2011
SCOGNAMIGLIO R., Il danno morale, in Riv. dir. civ., 1957, p.316
SPERA D., Tabelle milanesi 2018 e danno non patrimoniale, Milano, 2018, p.7

Riferimenti giurisprudenziali:
Cassazione, Sezioni Unite, n.9556/2002
Cassazione, Sez. III Civ., n.8827/2003
Cassazione, Sez. III Civ., n.8838/2003
Cassazione, Sez. III, Civ., n.4400/2004
Cassazione, Sezioni Unite, n.26972/2008
Cassazione, Sezioni Unite, n.26973/2008
Cassazione, Sezioni Unite, n.26974/2008
Cassazione, Sezioni Unite, n.26975/2008
Cassazione, Sez. II Civ., n.22973/2017
Corte Costituzionale, n.184/1986
Corte Costituzionale, n.372/1994
Corte Costituzionale, n.233/2003

TAG: Danno non patrimoniale, Risarcimento del danno, giurisprudenza, responsabilità extracontrattuale

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