IL REGIME FISCALE DELLE PROCEDURE CONCORSUALI

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Elisabetta Bertacchini*

            Il regime fiscale delle procedure
                       concorsuali

Sommario: 1. Premessa – 2. Procedure concorsuali ed imposte dirette – 3. Procedure con-
corsuali ed imposte indirette – 4. Adempimenti dichiarativi – 5. Esdebitazione, concordato
con cessione di beni ed accordi di ristrutturazione del debito

1. Premessa

     Come premessa generale, sottolineo che ci occuperemo essenzialmente del fal-
limento, giacchè, in tutte le procedure diverse, liquidazione coatta amministrativa
e, per alcuni aspetti, amministrazione straordinaria, non verificandosi nessuna
forma di spossessamento in capo all’imprenditore, non vi è ragione di porci il
problema di profili particolari negli adempimenti fiscali, in quanto l’imprenditore
continuerà a porre in essere tutti i normali adempimenti che poneva in essere
anche prima di entrare nella procedura concorsuale. Tutte le volte, invece, in
cui abbiamo a che fare con delle procedure concorsuali che per loro natura
comportano una piena sostituzione del curatore o dell’organo corrispondente
all’imprenditore, allora si verificano dei regimi di carattere fiscale che possiamo
definire speciali, con tutta una serie di adempimenti che incombono prevalente-
mente sul curatore o sul commissario liquidatore.

2. Procedure concorsuali ed imposte dirette

    Le norme a cui dobbiamo fare riferimento in questo campo sono principal-
mente l’art. 183 T.U. e l’art. 5 d.p.r. 322/98: dalla lettura di queste due disposi-
zioni, quale prima indicazione, ricaviamo che nell’ambito dell’imposizione diretta
si ha una netta separazione tra il periodo anteriore ed il periodo posteriore ri-
spetto alla data di dichiarazione di fallimento. Tale data funziona da spartiac-
que: nonostante oggi l’art. 16 della nuova legge fallimentare strutturi gli effetti
della dichiarazione di fallimento su due livelli, resta comunque certo che, agli
effetti che a noi interessano, per data di apertura della procedura si intende la
data della sentenza di fallimento intesa come data del deposito in cancelleria.
Il nuovo art. 16 in realtà giustamente distingue tra effetti della dichiarazione di
fallimento in senso stretto – che decorrono dalla data del deposito – ed effetti
nei confronti dei terzi – che decorrono dal momento della comunicazione al
Registro delle Imprese della sentenza di fallimento, comunicazione che dovrebbe
essere pressochè coincidente al deposito in cancelleria –.
    Ci sono poi adempimenti che incombono al curatore entro un certo periodo

   * Università Carlo Cattaneo – LIUC Castellanza

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Elisabetta Bertacchini

“dalla data della sua nomina”: non c’è nessun problema nei casi in cui il cura-
tore abbia accettato l’incarico e non sia stato sostituito per qualche ragione, in
quanto la data della nomina verrebbe a coincidere con la data della sentenza di
fallimento; laddove invece il curatore non potesse accettare l’incarico e quindi il
Tribunale dovesse provvedere alla nomina di un altro soggetto, allora in questi
casi avremmo una differenza nell’individuazione dei termini dai quali far decor-
rere determinati adempimenti.
    Per quello che riguarda il periodo anteriore alla sentenza di fallimento, non
si pongono particolari problemi perchè il reddito del soggetto fallito viene de-
terminato secondo le normali regole di determinazione del reddito.
    Sotto il profilo dell’imposizione diretta, assume invece un’importanza partico-
lare il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento, perchè qui si verifica
una caratteristica che – ai fini fallimentari – vale solo per le imposte dirette: si
apre un unico periodo di imposta che va dalla data di apertura di fallimento
fino alla data di chiusura dello stesso (quindi nessun obbligo di dichiarazioni
periodiche); questo anche nell’ipotesi in cui si abbia un esercizio provvisorio
(istituto il cui peso è enormemente cresciuto dopo la riforma: prima era visto
come un’ipotesi eccezionale e quasi da evitare giacchè per il vecchio legislatore
il concetto dell’azienda e della sua possibilità di continuazione tramite l’esercizio
provvisorio, ed il concetto di fallimento inteso come procedura meramente liqui-
datoria finalizzata allo smembramento dell’impresa venivano considerati concetti
assolutamente antitetici. Oggi l’esercizio provvisorio non è più previsto – vecchio
art. 90 – tra quelle norme relative alla custodia ed all’amministrazione dell’atti-
vità fallimentare, ma viene spostato – nuovo art. 104 – nell’ambito della liqui-
dazione dell’attivo, confermando un atteggiamento del riformatore finalizzato a
privilegiare tutte quelle forme di realizzo dell’attivo che consentono e agevolano
il mantenimento dell’attività dell’impresa).
    In questo periodo fallimentare le modalità di determinazione dell’eventuale
base imponibile sono completamente diverse, perchè vengono abbandonati i siste-
mi che conosciamo per la determinazione del reddito d’impresa: sostanzialmente
la base imponibile relativa al periodo fallimentare si determina semplicemente
confrontando due categorie di dati di carattere squisitamente patrimoniale, un
valore iniziale e un valore finale. Se la differenza è positiva allora questa diffe-
renza costituirà materia imponibile, se la differenza è negativa nessuna imposta
sarà dovuta. Quali sono i due termini di paragone che vengono considerati? Il
raffronto avviene tra il patrimonio netto iniziale ed il residuo attivo finale: il
patrimonio netto iniziale è la differenza tra le attività e le passività risultanti
dal bilancio redatto dal curatore e allegato alla dichiarazione iniziale relativa al
periodo anteriore il fallimento, e che il curatore deve presentare in via telemati-
ca entro l’ultimo giorno del decimo mese successivo alla data della sua nomina
(se prevalgono le passività il patrimonio netto sarà uguale a zero); il residuo
attivo finale è quell’importo (denaro o beni) di valore corrispondente all’attivo
che viene restituito al soggetto fallito.
    La dichiarazione finale del periodo fallimentare deve essere presentata dal
curatore in via telematica entro l’ultimo giorno del decimo mese successivo alla
data di chiusura del fallimento: il dies a quo in questo caso è la data del depo-
sito del provvedimento del giudice che chiude il fallimento.
    Immaginiamo che invece di una società di capitali (in tal caso la determi-

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nazione reddito risulta abbastanza facile) il fallito sia una società di persone o
una persona fisica: in questi casi il curatore dovrà far avere copia delle dichia-
razioni iniziali anche al soggetto persona fisica, il quale dovrà utilizzare quella
dichiarazione per unirla alla sua dichiarazione personale e determinare il suo
reddito complessivo.
    Relativamente alla determinazione dell’imponibile nel periodo fallimentare, va
precisato – come chiarito da diverse circolari – che per le imprese indiviuali, le
s.n.c. e le s.a.s. la differenza tra il patrimonio netto iniziale ed il residuo attivo
finale deve essere depurata da alcuni elementi che non hanno a che vedere col
reddito d’impresa e non rientrano nella procedura fallimentare: in particolare la
differenza va ridotta del corrispettivo delle cessioni dei beni personali, e, d’altra
parte, va aumentata delle somme corrispondenti al pagamento dei debiti perso-
nali dell’imprenditore o dei soci, pagati dal curatore.
    Va poi tenuto presente che nella determinazione del patrimonio netto rileva
il costo fiscalmente riconosciuto e non il valore di stima; rilevano le passività e
le attività accertate dal curatore anche se non registrate mentre sono esclusi gli
elementi attivi e passivi appartenenti al patrimonio personale dell’imprenditore
individuale od ai patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili.
    Nella determinazione del residuo finale attivo, se al fallito vengono restitui-
ti beni relativi all’impresa, tali beni vengono assunti a valore normale; i debiti
verso eventuali creditori accertati ma non insinuati che abbiano successivamente
rinunciato al credito non possono essere considerati in diminuzione; non si ri-
comprendono elementi dell’attivo insussistenti, perchè distrutti, dispersi o altro
dopo l’apertura della procedura.
    Da sottolineare l’irrilevanza delle variazioni in aumento o in diminuzione che
fossero frutto di scelte operate dall’imprenditore prima del fallimento. Lo stesso
per quanto riguarda le eventuali plusvalenze rateizzate dall’imprenditore prima
del medesimo periodo.
    Questo metodo di determinazione dell’imponibile fallimentare è sicuramente
un metodo più conveniente per il curatore e meno costoso sotto il profilo fiscale
rispetto a quello che verrebbe utilizzato nella liquidazione ordinaria (patrimonio
netto iniziale, -10mila €/ residuo attivo finale, +2mila €: imponibile con procedu-
ra di liquidazione ordinaria, +12mila €; imponibile con procedura fallimentare,
+2mila €).
    La liquidazione fallimentare quindi produce un unico reddito oppure un’unica
perdita: il periodo d’imposta è unitario anche in presenza di esercizio provvi-
sorio.
    In ogni caso la procedura fallimentare prima o poi si deve chiudere. L’art.
118 della legge fallimentare prevede quattro casi di chiusura (a cui si aggiunge
il caso particolare del concordato fallimentare): 1) inesistenza di domande di
ammissione al passivo; 2) avvenuto pagamento di tutti i creditori prima del-
la liquidazione dei beni; 3) esaurimento dei riparti; 4) manifesta insufficienza
dell’attivo. Solo nelle prime due ipotesi potrebbe esserci un’ipotesi di residuo
attivo finale positivo.
    Il mondo del fallimento tendenzialmente è escluso dalla sottoponibilità ad
IRAP, ma solo nel periodo fallimentare: una componente di imponibile IRAP
potrebbe aversi nel periodo fallimentare solo nel caso di esercizio provvisorio.

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3. Procedure concorsuali ed imposte indirette

    Rispetto all’imposizione diretta, il discorso è un pó diverso dal punto di vista
del metodo: la differenza fondamentale è che ai fini IVA non esiste un metodo
assimilabile a quello del “maxiperiodo” delle imposte dirette.
    Fonte normativa fondamentale è l’art. 74 bis del dpr 633/72, che distingue i
vari aspetti degli obblighi del curatore.
    Innanzitutto il primo obbligo riguarda la regolarizzazione delle operazioni
effettuate anteriormente alla dichiarazione di fallimento: il curatore è tenuto a
fatturare e registrare tutte le operazioni effettuate prima della dichiarazione di
fallimento, purchè i termini non siano ancora scaduti, e deve farlo entro 4 mesi
dalla sua nomina.
    Per le operazioni effettuate successivamente all’apertura del fallimento il cura-
tore deve ottemperare a tutti gli adempimenti previsti dalla normativa IVA, che
ci sia o meno l’esercizio provvisorio: dovrà emettere le fatture entro 30 giorni
dal momento di effettuazione dell’operazione e dovrà fare le liquidazioni perido-
diche ogni volta in cui nel mese o nel trimestre (a seconda del regime dell’im-
presa) siano state realizzate delle operazioni. Se la vendita dei beni è effettuata
attraverso l’Istituto vendite giudiziarie, la fatturazione sarà emessa direttamente
dall’Istituto vendite giudiziarie, mentre la cessione dei beni personali del fallito
sarà considerata operazione fuori campo IVA.
    Il fallimento è esonerato dalla comunicazione annuale IVA.
    I rimborsi dei crediti IVA previsti dall’art. 30 non ancora liquidati alla data
di apertura del fallimento (e quelli successivi) vengono eseguiti senza la presen-
tazione delle prescritte garanzie fino a un importo complessivo di 258.228,00 €:
tale disposizione – per espressa disposizione della risoluzione 46005/92 – trova
applicazione anche nell’amministrazione straordinaria.
    Gli adempimenti dichiarativi del curatore ai fini IVA sono quelli previsti
dall’art. 8 dpr 322/98, ma vi sono anche adempimenti preliminari, ossia le co-
siddette variazioni dati: entro 30 giorni dalla nomina il curatore deve presenta-
re la variazione su mod. AA9/7 (per imprese individuali) o mod. AA7/7 (per le
società); stessa variazione, di senso opposto, sarà presentata alla chiusura della
procedura fallimentare.

4. Adempimenti dichiarativi

   Ai fini delle dichiarazioni, per quanto riguarda le imposte dirette si tratta
di distinguere tra il periodo di imposta anteriore a quello in corso alla data di
apertura del fallimento, il periodo di imposta fino alla data del fallimento ed il
periodo di imposta fallimentare. Per quanto riguarda il primo periodo – quello
d’imposta anteriore – il curatore non ha obblighi dichiarativi: gli altri due pe-
riodi sono sicuramente di competenza del curatore. Il periodo pre-fallimentare
va dal 1º gennaio alla data di dichiarazione del fallimento: se il soggetto è un
soggetto IRES, il curatore calcola il reddito secondo le nomali modalità di red-
dito d’impresa e presenta la dichiarazione (non paga nulla perchè è un debito
vecchio: sarà l’Agenzia ad insinuarsi al passivo); se tra i soggetti del fallimento
ci sono persone fisiche o soci illimitatamente responsabili falliti a seguito del

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fallimento di una società di persone, il curatore si occuperà della dichiarazione
della società, ma per le singole persone fisiche il curatore dovrà solo mandare
loro copia della dichiarazione della società in modo che questi la possano inse-
rire nella dichiarazione personale; in questo caso – secondo quanto chiarisce la
circolare 26/E del 22 marzo 2002 – il curatore deve predisporre anche i quadri
di altri redditi suscettibili di essere attratti nel fallimento per effetto dello spos-
sessamento (eventuale determinazione redditi fondiari, redditi da partacipazione
in società, redditi da lavoro eccedenti il proprio mantenimento). Alla chiusura
del periodo fallimentare, se si tratta di soggetto IRES, il curatore liquida e versa
l’imposta presentando la dichiarazione in via telematica; se invece il soggetto è
IRPEF, il curatore predispone la dichiarazione consegnandone copia all’interes-
sato, il quale la allegherà alla propria dichiarazione. Per la dichiarazione IRAP
nulla è dovuto se non vi è esercizio provvisorio, mentre in caso di esercizio
provvisorio la dichiarazione IRAP deve essere presentata relativamente a ciascun
periodo d’imposta.
    Per quanto riguarda le imposte indirette vanno distinti vari periodi ai fini
della dichiarazione IVA.
    Per l’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento, se alla data di nomina
del curatore i termini ordinari di dichiarazione IVA non sono ancora scaduti,
il curatore la presenta nei termini ordinari, mentre se sono scaduti ha tempo
4 mesi per presentarla (fosse anche in bianco). Per il periodo pre-fallimentare
(1 gennaio-dichiarazione di fallimento) il curatore deve presentare entro 4 me-
si dalla nomina il mod. IVA 74-bis, comunicazione strumentale per far sapere
all’Agenzia delle Entrate che l’impresa è fallita e consentire a quest’ultima di
insinuarsi al passivo; detta comunicazione è necessaria, perchè se in questo mo-
mento sorgesse un credito non potrebbe essere chiesto a rimborso fino a quando
non fosse riportato in uno dei due moduli della dichiarazione annuale.
     Per le dichiarazioni del periodo fallimentare il curatore deve sempre tenere
presente tre momenti: la dichiarazione per l’anno di apertura della procedura,
la dichiarazione per ciascuno degli anni di durata della procedura e la dichia-
razione dell’anno di chiusura della procedura stessa.
    Per l’anno di apertura della procedura (dichiarazione di fallimento-31 dicem-
bre) il curatore presenta nei termini ordinari la dichiarazione annuale relativa a
tutto l’anno in oggetto, utilizzando il normale modello di dichiarazione annuale
IVA – ma compilando due diversi moduli per i due diversi periodi (pre e post
dichiarazione di fallimento) – e paga l’eventuale debito d’imposta o puó chiedere
a rimborso il credito; la presenza di un credito IVA nel primo periodo consente
di riportare i saldi sommati o compensati nel secondo modello ma non vale il
contrario.
    Per ciascuno degli anni di durata della procedura il curatore adempie come in
regime normale e secondo le modalità ordinarie, mentre per l’anno di chiusura
della procedura opera sempre in regime normale e con le modalità ordinarie,
ma la dichiarazione puó essere presentata anche prima della chiusura del fal-
limento se si è sicuri che non ci saranno più adempimenti da assolvere ai fini
IVA e si è chiusa la partita IVA.

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5. Esdebitazione, concordato con cessione di beni ed accordi di ristrutturazione
   del debito

    L’esdebitazione è stata introdotta dall’art. 142 della legge fallimentare a favore
dei soggetti falliti che siano persone fisiche: al verificarsi di una serie di condi-
zioni che possiamo legittimamente definire di meritevolezza (aver tenuto un com-
portamento di collaborazione con il curatore, non aver intralciato le operazioni
della procedura e quindi aver agevolato un celere e proficuo svolgimento della
procedura, avere sempre consegnato la posta al curatore, non aver usufruito del
medesimo procedimento nei 10 anni anteriori, non essere stato condannato in
via definitiva per alcuno dei reati fallimentari e aver chiuso un fallimento che
deve aver soddisfatto almeno in parte – la norma non quantifica nè qualifica – i
creditori), alla chiusura del fallimento la richiesta dell’esdebitazione determina la
liberatoria del fallito nei confronti dei creditori che non sono stati soddisfatti dal
fallimento. L’art. 88 T.U.I.R. da sempre prevede il principio in base al quale nel
caso di riduzione delle passività in conseguenza di determinate procedure concor-
suali (concordato preventivo e concordato fallimentare), il risparmio in termini di
debito non è considerato sopravvenienza attiva: ci si domanda se nell’ipotesi in
cui un soggetto – beneficiando dell’esdebitazione – si trova azzerata la sua espo-
sizione debitoria, questo tipo di beneficio si estende anche alla non imponibilità
delle sopravenienze attive. Allo stato la risposta più corretta sarebbe che l’art. 88
non trova applicazione, anche se in futuro si imporrà una riflessione.
    L’art. 86 T.U. afferma che la cessione di beni in sede di concordato preventivo
con cessione di beni ai creditori non costituisce determinazione di plusvalenze.
Oggi il nuovo art. 160 della legge fallimentare ha espressamente introdotto la
figura dell’assuntore nel concordato preventivo: nell’ipotesi in cui il concordato
preventivo veda la figura dell’assuntore – al quale vengono trasferiti tutti i beni
– ci si domanda se alle eventuali plusvalenze che derivino da questa assunzione
di beni trovi applicazione l’art. 86.
    Il buon senso, la logica, e soprattutto la “filosofia” della riforma, ci indurreb-
bero a dire che per agevolare la presenza di un assuntore sarebbe opportuno
condividere l’applicabilità dell’art. 86, ma allo stato delle cose non è possibile
sostenerlo con certezza.
    L’art. 182 bis della legge fallimentare ha introdotto ex novo anche un’altra
figura, gli accordi di ristrutturazione del debito, che in qualche modo hanno
sostituito quella che era la funzione dell’amministrazione controllata. L’orien-
tamento generale – in pieno dibattito – è a favore del ritenere gli accordi di
ristrutturazione una procedura autonoma dal concordato preventivo: l’istituto
consente al debitore di proporre ai debitori qualsivoglia soluzione, a condizione
di raccogliere il consenso di almeno il 60% dei creditori ed a condizione che
vi sia l’impegno di pagare in maniera integrale i creditori che non hanno ade-
rito; è un accordo preconfezionato “fuori” dalle porte del Tribunale e portato
“all’interno” del Tribunale attraverso una corsia preferenziale. La differenza con
il concordato è evidente: nel concordato i creditori votano e la maggioranza vin-
cola tutti, mentre in questi accordi il principio è opposto. In effetti il dibattito
sulla possibile assimilazione degli accordi al concordato nasce probabilmente da
un’infelice incipit dell’art. 182 bis, che richiama “la dichiarazione di cui all’art.
161” (documentazione relativa al concordato).

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Elisabetta Bertacchini

    La domanda è la stessa di prima: si applica a tale nuovo istituto l’art. 88?
Ancora una volta la logica sarebbe per la soluzione positiva, ma allo stato non
è possibile applicarlo perchè manca una previsione espressa e abbiamo appena
detto che non possiamo assimilare l’istituto al concordato.
    Un ultimo accenno all’istituto della transazione fiscale previsto dall’art. 182
ter, con cui, sostanzialmente, è stata introdotta ex novo una procedura con-
corsuale fiscale proponibile anche nei confronti del Fisco, incominciando così,
finalmente, a mettere in discussione il principio dell’intoccabilità dei creditori
privilegiati.

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