I SOGGETTI SOTTOPOSTI AL FALLIMENTO - ASSOCIAZIONE FORENSE MACERATESE - dott. avv. Gianluigi Gentili

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ASSOCIAZIONE FORENSE MACERATESE

La riforma della legge fallimentare
    e la novella di cui al c.d.
        “decreto correttivo”

 I SOGGETTI SOTTOPOSTI
      AL FALLIMENTO

   dott. avv. Gianluigi Gentili

         16 novembre 2007
ASSOCIAZIONE FORENSE MACERATESE

         La riforma della legge fallimentare
        e la novella di cui al c.d. “decreto
                     correttivo”
                                                 ****

          I SOGGETTI SOTTOPOSTI AL FALLIMENTO

A) LA NOVITÀ LEGISLATIVA

L’art. 1 della legge fallimentare, oggi intitolato “imprese
soggette al fallimento ed al concordato preventivo”, essendo
stata abolita la procedura dell’amministrazione controllata,
ha subito emendamenti dalla sua costituzione, fino alla
radicale modifica prodotta dal D. Lgs. 9/1/2006 n. 5, ed è
stato interamente riformulato dal decreto correttivo 12/9/2007
n. 169, in vigore dall’1/1/2008, che si applicherà ai
procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti a tale
data, nonché alle procedure concorsuali e di concordato
fallimentare aperte successivamente 1.

Le più importanti novità sono costituite dalla definizione dei
nuovi presupposti soggettivi e della precisazione del soggetto
su cui grava l’onere della prova.

         B) LA NORMATIVA ANTE RIFORMA

Originariamente erano esclusi dal fallimento, oltre agli enti
pubblici, i piccoli imprenditori, intendendo per tali quelli
riconosciuti, in sede di accertamento ai fini dell’imposta di
ricchezza mobile, titolari di un reddito inferiore al minimo
imponibile.

In   mancanza   di   accertamento,  si   considerava   piccolo
imprenditore chi avesse investito nell’impresa un capitale non
superiore a lire trentamila, elevato a lire novecento mila con
L. 20/10/1952 n. 1375.

   1
    Ad eccezione delle modifica all’art. 104 ter, “programma di liquidazione”, già in vigore ed alle norma in
   materia di esdebitazione, che si applicano alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore del d. lgs.
   9/1/2006 n. 5.

                                                                                                              2
In nessun caso erano     considerate   piccolo   imprenditore   le
società commerciali.

Ma l’imposta di ricchezza mobile è stata abolita dai D.P.R.
29/9/1973 n. 597 e n. 598, che hanno introdotto l’imposta sul
reddito delle persone fisiche (IRPEF) e l’imposta sul reddito
delle persone giuridiche (IRPEG) e la Corte Costituzionale,
con   sentenza   del  22/12/1989    n.   570,   ha   dichiarato
l’illegittimità del comma 2 dell’art. 1 del R.D. 16/3/1942 n.
267 (legge fallimentare), nella parte in cui prevedeva che in
mancanza dell’accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza
mobile,    sono   considerati    piccoli    imprenditori    gli
imprenditori esercenti un’attività commerciale nella cui
azienda risulta investito un capitale non superiore a lire
novecentomila.”

Fra le motivazioni della sentenza si legge che “per effetto
della svalutazione monetaria, detta somma è divenuta un
indice insignificante della realtà operativa ed organizzativa
ed ha fatto venir meno la soglia della distinzione tra
l’imprenditore     soggetto    al   fallimento,    il    piccolo
imprenditore e l’insolvente civile, che non sono ad esso
sottoposti”. “A fondare la distinzione” - prosegue la sentenza
– occorre un criterio assolutamente idoneo e sicuro. I limiti
devono essere stabiliti in relazione all’attività svolta,
all’organizzazione     dei    mezzi    impiegati,     all’entità
dell’impresa ed alle ripercussioni che il dissesto produce
nell’economia generale.” La Suprema Corte, con sentenza del
22/12/1994 n, 11039, aderendo ai criteri stabiliti dalla Corte
Costituzionale, affermava, fra l’altro, che “l'artigiano
diventa     un    normale     imprenditore    commerciale     e,
conseguentemente deve essere assoggettato al fallimento, solo
quando organizzi la sua attività in modo da costituire una
base di intermediazione speculativa e da far assumere al suo
guadagno, normalmente modesto, i caratteri del profitto,
realizzando    così   una   vera   e   propria   organizzazione
industriale, avente autonoma capacità produttiva, in cui
l'opera del titolare non è più essenziale, né principale.”

Le riforme successive hanno inteso porre termine alle diverse
possibili interpretazioni, dapprima in modo non appagante con
il D. lgs. N. 5/2006, la seconda, con il D.lgs. 12/9/2007 n.
169, in modo più preciso.

                                                                     3
C) LA RIFORMA DEL D.LGS 9/1/2006 N. 5

C.1) La formulazione dell’art. 1 L.F.

“Art. 1 - (Imprese soggette al fallimento e al concordato
preventivo)

Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul
concordato   preventivo   gli  imprenditori   che  esercitano
un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i
piccoli imprenditori.
Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli
esercenti un'attività commerciale in forma individuale o
collettiva che, anche alternativamente:
a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale
di valore superiore a euro trecentomila;
b) hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi
calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio
dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare
complessivo annuo superiore a euro duecentomila.

I limiti di cui alle lettere a) e b) del secondo comma
possono essere aggiornati ogni tre anni, con decreto del
Ministro della Giustizia, sulla base della media delle
variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le
famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di
riferimento.”

Non è stato modificato il comma primo se non per la
cancellazione del riferimento all’amministrazione controllata,
mentre, al comma secondo, contrariamente a quanto disposto in
origine, si definisce il piccolo imprenditore in senso
negativo (chi non ha effettuato investimenti e non ha
conseguito   ricavi   entro   determinati   valori).   Fermo il
parametro   degli   “investimenti”,   è   stato   introdotto il
parametro dei ricavi lordi di cui si indica un preciso
criterio di determinazione. Con la riforma, quindi, si è
assolto l’intento di evitare le frequentissime discrepanze
nell’individuazione     dei     requisiti     quantitativi   di
qualificazione del piccolo imprenditore, che prescinde dalla
forma di costituzione dell’impresa. Non si dice più, infatti,
che “in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le
società commerciali”.

                                                                  4
L’art 1 della L.F. ante novella, aveva definito il piccolo
imprenditore diversamente dall’ordinaria norma civilistica,
l’art. 2083 c.c., secondo cui sono piccoli imprenditori “i
coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli
commercianti    e    coloro  che    esercitano  un’attività
professionale organizzata con il lavoro proprio e dei
componenti la famiglia.”

Da tale difformità sono derivati due diversi orientamenti
giurisprudenziali: il primo considera sufficiente il mancato
raggiungimento dei parametri quantitativi (Trib. Milano, circ.
presidenziale   21/12/2006, Trib. Torino, Sez VI, 11/1/2007,
Trib. Mantova, 1/2/2007, Trib. Roma 20/2/2007), il secondo,
minoritario (Trib. Firenze 31/1/2007) che ritiene comunque
necessaria la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2083
c.c..

C.2) La nozione generale di “investimenti”.

Non vi è dubbio che la lett. a) (“investimenti per un
capitale     di   valore   …..”  sia   stata  scritta   almeno
affeettatamente. Infatti, con il termine investimenti potrebbe
intendersi il “capitale proprio”, vale a dire il capitale
sociale e le riserve compresi gli utili indivisi, quindi il
“patrimonio netto”, ovvero la differenza fra le attività e le
passività.

Va subito detto che la migliore dottrina2 esclude quest’ultima
interpretazione, perché a fronte di uguale valore contabile
del patrimonio netto possono aversi assai diversi valori della
attività. Ad esempio:

                          IMPRESA A
_____________________________________________________________

- attivo                                                         €                   5.000
- passivo                                                        €                   4.800
- patrimonio netto                                               €                     200

   2
     M. Caratozzolo, La nozione di  e di  nell’art. 1 della nuova
   legge fallimentare” in Fallimento 1/2007, 5)

                                                                                                        5
IMPRESA B
_____________________________________________________________

- attivo                                      €            500
- passivo                                     €            180
- patrimonio netto                            €            320

L’ impresa A) sarebbe esclusa dal fallimento, mentre non lo
sarebbe l’impresa B), dotata di attivo pari ad un decimo di
quello dell’impresa A). 3

Per “investimenti” devono correttamente intendersi, quindi, le
attività patrimoniali individuate dalla lett. A) alla lett. D)
dall’art. 2424 c.c. (“Contenuto dello stato patrimoniale”),
quindi tutte le attività anche estranee alle gestione
caratteristica   dell’impresa,  poiché   tutte  le   attività,
immobilizzate o circolanti, sono vincolate al soddisfacimento
dei crediti a qualunque titolo formati.

Quanto ai beni in locazione finanziaria, che potrebbero
dimostrare ex se la rilevanza patrimoniale dell’impresa pur
non essendo iscritti nell’attivo patrimoniale prima del loro
riscatto, deve aversi riguardo all’art. 2427 c.c. secondo cui
nella nota integrativa devono essere indicati:

            -                                    il valore iniziale
                 dei beni ed i successivi ammortamenti, rettifiche e
                 riprese di valore;

            -                              il valore attuale
          delle rate di canoni a scadere, determinato con il
          tasso d’interesse implicito nel contratto.
Tali dati vanno aggiornati ex art. 15 c. 4 L.F. e, per i
soggetti non tenuti all’approvazione del bilancio, vanno
desunti dai contratti.

I valori così individuati dovranno essere aggiunti al valore
degli investimenti di diretta proprietà dell’impresa.

C.3) Il periodo di riferimento

Mentre la normativa attualmente in vigore fa riferimento ad un
triennio per l’individuazione del valore dei ricavi, nulla
   3
       M. Caratozzolo, cit.,

                                                                       6
dice per l’individuazione del valore degli investimenti. Se ne
deduce,   interpretando  letteralmente  la   norma,  che   per
l’accertamento degli investimenti deve farsi riferimento ad un
momento puntuale, mentre per i ricavi dovrebbe farsi
riferimento ad un triennio calcolato a ritroso dall’inizio
dell’istruttoria prefallimentare.

Se così fosse, sorgerebbero difficoltà di analisi della
documentazione   perché   non   si  dovrebbe   far  esclusivo
riferimento ai bilanci d’esercizio bensì a riclassificazioni
di valori che solo il debitore potrebbe eseguire e che
potrebbero essergli richieste a norma dell’art. 15 c. 4 L.F.,
nell’ambito dell’istruttoria prefallimentare.

C.4) L’accertamento degli “investimenti”                               4

Si è ritenuto che il momento di riferimento per l’accertamento
del valore degli investimenti sia l’inizio dell’istruttoria
prefallimentare   (art.   15   della   L.F.),   proprio   perché
l’istruttoria ha lo scopo di accertare l’esistenza dei
presupposti per la dichiarazione di fallimento o meglio, la
sussistenza   dell’insolvenza   a   tale   data   e  fino   alla
dichiarazione di fallimento. 5

La conclusione è condivisibile e poggia anche sul disposto
dell’art. 15 c. 4 L.F. secondo cui, con il decreto di
convocazione   del   debitore  nell’ambito  dell’istruttoria
prefallimentare, il tribunale dispone il deposito di una
situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata,
in ogni caso, e, quindi, qualunque sia la natura e la forma
dell’impresa.

   4
     Quanto all’applicazione delle nuove disposizioni, “se l’art. 150” norme transitorie “ riguarda anche le
   norme sostanziali, i nuovi criteri di esonero dal fallimento sarebbero inapplicabili ai ricorsi anteriori al
   16 luglio 2006” data di entrata in vigore della normativa oggi vigente; “se, viceversa, riguarda solo i
   profili processuali, nel definire la nozione di piccolo imprenditore ,occorrerebbe, anche per i ricorsi
   depositati prima del 16 luglio, applicare il nuovo art. 1 L.F.”
   “La prima tesi sembrerebbe preferibile sia dal punto di vista letterale (l’art. 150 d. lgs n. 5/2006 parla di
   “ricorsi” e dunque di domande) che in un’ottica funzionale (la sopravvenuta diversa disciplina di dirito
   sostanziale, ove fosse applicata ai ricorsi pendenti, non rappresenterebbe altro che una deviazione dal
   principio delle irretroattività della legge sancito dall’art. 11 delle preleggi); in Giurisprudenza
   Commerciala, n. 34.2, 304/II.
   5
     M. Caratozzolo, cit., 7
   Il Tribunale di Roma (12/12/2006), in Fallimento on line, ha ritenuto decisivi i tre anni antecedenti
   l’istanza di fallimento per entrambi i parametri che qualificano il nuovo identikit del piccolo
   imprenditore, G.C., 34,2, 308/iII, contra Fabiani.

                                                                                                              7
Tuttavia, l’accertamento dei presupposti per la dichiarazione
di fallimento compiuto in un momento puntuale come l’apertura
dell’istruttoria, potrebbe far escludere dal fallimento
soggetti che abbiano effettato notevoli investimenti, dismessi
in epoca successiva.

C.5) La nozione di “ricavi lordi”

La problematica interpretativa, che non sembra suscettibile di
variazioni con le disposizioni correttive, è la seguente:

       a)   se i ricavi debbano intendersi al lordo       delle
            rettifiche per resi, sconti o abbuoni;

       b) se debbano essere considerati solamente i ricavi
          delle vendite e delle prestazioni o anche gli altri
          ricavi o tutte le voci di cui alla lett. A)
          dell’art. 2425 c.c.;

       c)   se debbano essere considerati i proventi finanziari
            (C 15 e C 16), gli utili su cambi (C 17 bis), le
            rivalutazioni di attività finanziarie (D 18) ed i
            proventi straordinari (E 20);

       d)   se per ricavi in qualunque modo risultanti, debbano
            intendersi quelli risultanti da accertamenti e
            verifiche tributarie ai fini delle imposte sui
            redditi.

Sulla problematica di cui alla lett. a) non pare dubbio che
debbano computarsi i ricavi al netto di sconti, resi o
abbuoni, come previsto dall’art. 2425 bis c.c. e che per
sconti debbano intendersi gli sconti commerciali e non quelli
finanziari che, appunto, costituiscono oneri finanziari e come
tali classificati in bilancio.

I ricavi sono costituiti sia da quelli derivanti dall’attività
caratteristica di gestione (voce A 1 art. 2425 bis c.c.) sia
dagli altri ricavi (voce A 5).

Sono escluse le voci relative alle variazioni delle rimanenze
ed ai costi di natura incrementativi capitalizzati, così come
le sopravvenienze attive corrispondenti a rettifiche di costi
di precedenti esercizi.

                                                                  8
Sono   altresì   esclusi   i   componenti   straordinari   non
riproducibili e non normalmente conseguibili dall’impresa e le
rivalutazioni di attività finanziarie.

Vanno ricompresi fra i ricavi anche i proventi finanziari
(interessi attivi, dividendi ed utili su cambi (C 15, C 16 e C
17 bis), di solito non rilevanti nelle imprese industriali e
commerciali.

C.6) L’onere della prova

Nell’ attuale normativa, si è ampiamente dibattuto in ordine
alla problematica dell’onere della prova; in altri termini, si
è discusso se la prova della fallibilità spetti all’istante o
al debitore, tenuto a dimostrare la carenza dei relativi
presupposti.

In una recente sentenza 6 il Tribunale di Torino ha affermato
che, in assenza di una specifica disciplina della ripartizione
dell’onere probatorio, “almeno per le società commerciali, la
qualifica di imprenditore non piccolo deve presumersi, in
quanto connotazione normale della tipologia societaria.
L’eventuale mancato superamento dei limiti previsti dalla
citata norma fallimentare “ l’art. 1 L.F., “ deve essere
allegato e provato dalla parte interessata, e cioè dal
debitore in via d’eccezione.”

La conclusione – a giudizio del tribunale – è coerente con il
disposto dell’art. 15 c. 4 L.F., che impone al debitore di
depositare,   su   invito   del  tribunale,   una  situazione
patrimoniale economica e finanziaria aggiornata, che può
costituire base per ulteriori accertamenti e che, altrimenti,
sarebbe eludibile senza negative conseguenze.

Il fatto che il tribunale disponga di autonomi poteri di
accertamento e d’indagine, non fa venir meno la natura di
processo delle parti che con la riforma si è inteso dare al
procedimento prefallimentare, confermata dall’abrogazione del
potere di procedere d’ufficio così come dall’impugnabilità
diretta in Corte di appello della sentenza dichiarativa.

   6
       Tribunale Torino, Sez. IV, 11/1/2007, in Fallimento, 3/2007, 319

                                                                          9
Un’altra considerazione si pone a sostegno della tesi torinese
e cioè che, ove l’istante fosse onerato della prova dei
requisiti di cui all’art. 1, lo si costringerebbe ad una
probatio diabolica attraverso la produzione dei bilanci
depositati che potrebbero risultare non veri o finanche falsi,
per non dire della problematica che si presenterebbe nel caso
delle società di persone e delle ditte individuali.

Il tribunale fallimentare, poi, non dispone dei medesimi mezzi
di cui dispone l’autorità giudiziale in sede penale, per cui
accertamenti attraverso la Guardia di Finanza potrebbero
risultare problematici.

          D) LE MODIFICHE DEL D. LGS. 12/9/2007 N. 169

D.1) La nuova formulazione dell’ Art. 1 L.F.

Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul
concordato   preventivo   gli    imprenditori  che   esercitano
un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.
Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul
concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma,
i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti
requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di
deposito   dalla   istanza    di    fallimento  o  dall’inizio
dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale
di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro
trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre
esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di
fallimento   o   dall’inizio    dell’attività  se   di   durata
inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo
non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non
superiore ad euro cinquecentomila.
I limiti di cui alle lettere a) b) e c) del secondo comma
possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del
Ministro della Giustizia sulla base della media delle
variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le
famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di
riferimento.

Le modifiche più importanti apportate dal decreto correttivo
sono costituite dalla riscrittura dell’art. 1 (“Imprese

                                                              10
soggette al fallimento ed al concordato preventivo”) e dalla
modifica dell’art. 160 in materia di concordato preventivo,
secondo cui può essere previsto, a determinate condizioni, il
pagamento in misura non integrale dei creditori muniti di
privilegio, pegno o ipoteca.

Abolito il riferimento al “piccolo imprenditore” e venute meno
le questioni dibattute nel tempo sulla figura dell’artigiano,
il nuovo art. 1 stabilisce che sono soggetti al fallimento gli
imprenditori commerciali, esclusi, quindi, gli imprenditori
agricoli, e gli enti pubblici e che sono esonerati dal
fallimento i soggetti che non dimostrino di possedere,
congiuntamente, i requisiti di cui alle lettere a) b) e c).

            -     Alla lett. a) si fa riferimento all’ attivo
                  patrimoniale essendo stato eliminato il riferimento
                  al volume degli investimenti, e si definisce il
                  periodo di osservazione (tre esercizi antecedenti
                  la data del deposito dell’istanza di fallimento),
                  coerentemente con la disposizione dell’art. 14 che
                  pone a carico dell’imprenditore che chieda il
                  proprio fallimento,   di depositare “le scritture
                  contabili e fiscali obbligatorie concernenti i tre
                  esercizi precedenti.”

            -     Alla lett. b) è meglio definito il riferimento al
                  volume dei ricavi lordi.

            -     Alla lett. c) si introduce il criterio del volume
                  dei debiti, il che costituisce rilevante novità,
                  potendo così essere sottoposto al fallimento
                  l’imprenditore che abbia “debiti anche non scaduti
                  non superiori ad € 500.000.”

E’ stato osservato 7che il disposto della lett. c) si pone in
controtendenza   con  il   dichiarato   scopo  della   riforma
fallimentare, che si prefiggeva una riduzione delle procedure
fallimentari, ma si pone in linea con quanto previsto in
materia di amministrazione straordinaria (legge Marzano) e con
l’esigenza di assicurare, nei casi di forte indebitamento, il
rispetto della par condicio creditorum ed un’adeguata tutela
penalistica, nonché in considerazione     del fatto che nelle
azioni esecutive individuali è oggi necessario disporre di un
valido titolo esecutivo, cosicché alcuni creditori possono
   7
       Note di commento al decreto correttivo, a cura di G. Bozza, in Zucchetti, software Giuridico, 2007

                                                                                                            11
avere   adeguata        tutela   solo   attraverso   la   procedura
fallimentare.

Sotto altri profili, il disposto della lett. c) “considerati
i possibili effetti esdebitatori del fallimento e l’accesso
al concordato preventivo (fondato sugli stessi requisiti), si
risolve in un a maggiore tutela anche per il debitore che
sia, appunto, fortemente indebitato”. 8

Vi è, certamente, mancanza di coordinamento fra quanto
previsto all’art. 1 in termini di limiti dell’indebitamento,
con il disposto dell’art. 15 c. 9, secondo cui “ non si fa
luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei
debiti   scaduti   e   non   pagati   risultanti   dagli   atti
dell’istruttoria     prefallimentare,    è     complessivamente
inferiore a € 30.000.”

Se ne dovrebbe dedurre che non si dia luogo al fallimento se
manchi la prova dell’esistenza di debiti inferiori ad €
500.000, si accerti che il passivo non supera € 30.000.

Sgomberato il campo dalla problematica interpretativa della
nozione di “investimenti”, opportunamente sostituita     con
“attivo patrimoniale”, per la cui nozione si rimanda al par.
C.2), analizziamo, ora, le problematiche che si evidenziano,
almeno ad una prima lettura della novella.

D.2) Cosa deve intendersi per “esercizio”

La novella ha introdotto il termine “esercizio” per la
individuazione dei valori sia dell’attivo patrimoniale, sia
dei ricavi lordi.

Deve chiarirsi, dapprima:

a) cosa debba intendersi per “esercizi” di riferimento; in
altri termini, se si debba fare riferimento agli esercizi
chiusi prima della data di deposito dell’istanza di fallimento
o se debbano considerarsi periodi della durata ordinaria di un
esercizio (l’anno), con decorrenza calcolata a ritroso dalla
data di deposito dell’istanza;

   8
       G. Bozza, cit.

                                                                  12
b) se si pongano problematiche interpretative in presenza nel
caso   di   durata   ultrannuale   dell’esercizio   che   può
determinarsi:

- per il primo esercizio, quando nell’atto costitutivo si
stabilisce una durata diversa dall’anno solare;

- in caso di modifica della durata dell’esercizio in sede di
fusione o di scissione o di semplice modifica deliberata
dall’assemblea straordinaria;

- per l’ultimo esercizio, nel caso di liquidazione che si
concluda in data diversa da quella statutariamente prevista o
nel   caso   di   chiusura  dell’esercizio   per   operazioni
straordinarie;

c) come debba essere considerata la frazione dell’esercizio
decorsa alla data di deposito dell’istanza di fallimento;

d) quale sia il riferimento temporale nel caso di scioglimento
e liquidazione della società;

e) se possano insorgere divergenze interpretative nel caso di
società di persone e di società di capitali;

f) se, con riguardo all’indebitamento, debba farsi riferimento
analogico a tre esercizi precedenti o ad un dato puntuale e se
debbano essere computate le garanzie.

E’ prevalente l’orientamento a considerare, di norma, i tre
esercizi conclusisi antecedentemente al deposito dell’istanza
di fallimento, in assonanza con la disposizione dell’art. 14
che pone a carico dell’imprenditore che chieda il proprio
fallimento, di depositare “le scritture contabili e fiscali
obbligatorie concernenti i tre esercizi precedenti.”

Sorge il dubbio, tuttavia, se, nel caso di esercizio
ultrannuale,   o  di   frazione   di  esercizio,   l’ammontare
dell’attivo debba essere parametrato ad un periodo annuale e,
quindi, se debba provvedersi ad una riclassificazione.

Propenderei per una risposta negativa, sia per la lettera
delle norma che, appunto, ha adottato il termine “esercizio”,
sostituendolo anche per il riferimento ai ricavi lordi al

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termine “anno”, sia per il fatto che la durata ultrannuale
dell’esercizio si stabilisce in pochissimi casi, generalmente
per brevi differenze temporali. 9

Nei casi di scioglimento e liquidazione, a mio avviso non
mutano i parametri di riferimento dell’esercizio, se si
considera che i liquidatori, ai sensi dell’art. 2490 c.c.
“devono redigere il bilancio e presentarlo alle scadenze
previste per il bilancio d’esercizio della società, per
l’approvazione all’assemblea …..”

Non vi sono differenze interpretative fra società di persone e
società di capitali. Infatti, se per le società di capitali la
durata e la scadenza dell’esercizio è regolata dalla legge e
dai patti sociali, per le società di persone si fa sempre
riferimento all’anno solare. 10

Deve chiarirsi, altresì, quale effetto abbia, in termini
temporali per il calcolo dell’ammontare dell’attivo, il ritiro
della prima istanza di fallimento; in altri termini, se nel
caso di ritiro dell’istanza, cambi il riferimento temporale e
si debba dovendosi computare il periodo di osservazione con
riferimento alla data di deposito della seconda istanza e così
via, nel caso si di successivi ritiri.

Le interpretazioni sono diverse, come è stato constatato nel
recentissimo convegno organizzato dal “Centro Studi di Diritto
Fallimentare” di Bari, che si è svolto in tavole rotonde fra
giudici delegati di diversi tribunali del centro – sud.

Taluni hanno affermato – e la soluzione sembra condivisibile -
che la prima istanza radica il procedimento, altri che il
procedimento è governato dalle parti, per cui nel caso di
desistenza, si deve ricominciare.

   9
    L’art. 76 del TUIR stabilisce che l’imposta è dovuta per periodi di imposta e che il periodo d’imposta è
   costituito dal esercizio… determinato dalla legge o dall’atto costitutivo. Se la durata dell’esercizio non è
   determinata dalla legge o dall’atto costitutivo, o è determinata in due o più anni, il periodo d’imposta è
   costituito dall’anno solare.
   10
     Le disposizioni fiscali confermano l’assunto. Infatti l’art. 7 del TUIR , applicabile alle persone fisiche,
   stabilisce che l’imposta è dovuta per anni solari. Per le società di capitali vedasi nota 9.

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D.3) Cosa deve intendersi per “ricavi lordi”

L’art. 1 lett. b) stabilisce, quale elemento concorrente per
l’esonero dell’imprenditore commerciale dal fallimento, l’
“aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi
antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o
dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi
lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad
euro duecentomila.”

La nozione di ricavo lordo in qualunque modo risultante è
stata definita nel par. C.5).

E’ stato sostituito il termine “anno” con quello di
“esercizio” ed è stato modificato il criterio di calcolo; da
“media degli ultimi tre anni o dall’inizio dell’attività se
di durata inferiore ….” ad “ammontare complessivo annuo …..”.

Riemerge il problema dell’esercizio ultrannuale o della
frazione di esercizio che deve essere risolto secondo i
medesimi   criteri   esposti in materia  di  accertamento
dell’ammontare dell’attivo.

Così come per l’attivo, deve farsi riferimento ai tre esercizi
compiuti prima del deposito dell’istanza di fallimento, salvo
rapporto a periodo annuale nel caso di frazione di esercizio
trascorsa alla data di deposito dell’istanza di fallimento.

D.4) L’accertamento dei “ricavi lordi”

I ricavi lordi vanno accertati sulla base         dei bilanci
ordinari d’esercizio e per la frazione dell’esercizio in corso
alla data di deposito dell’istanza di fallimento, sulla base
della situazione ex art. 15 c. 4 che l’imprenditore dovrà
depositare.

Per le imprese non tenute al deposito del bilancio annuale,
obbligate alla sola tenuta dei registri fiscali, i ricavi
risulteranno dai documenti utilizzati per la predisposizione
della dichiarazione annuale dei redditi.

I ricavi extracontabili dovranno essere considerati se
risultanti da documenti in possesso del tribunale perché
acquisiti dall’Amministrazione Finanziaria o dalla Guardia di

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Finanza in modo inequivocabile, escludendo, quindi,                                               gli
accertamenti induttivi o in base a studi di settore.

D.5) Cosa deve intendersi per “debiti non scaduti”.

Secondo il disposto della lett. c) del c. 2 del novellato art.
1), è esonerato dal fallimento il soggetto che, oltre a
rientrare nei limiti di cui alle lett. a) e b), non abbia
debiti,   ancorché  non   scaduti,  non   superiori  ad   euro
cinquecentomila.

L’accertamento          deve  essere  effettuato alla  data  della
decisione del          tribunale, non essendo previsti riferimenti
temporali.

Deve stabilirsi se   fra i debiti non scaduti debbano essere
considerate le garanzie.

La interpretazione più prudente è in senso affermativo, ma è
stato obiettato che nell’art. 2424 c.c. si fa separata
menzione dei debiti 11 e in tutti i casi nei quali la legge ha
voluto intendere le garanzie comprese nei debiti, lo ha fatto
espressamente.

D.6) L’onere della prova

Novità fondamentale dell’art. 1 è l’aver stabilito a carico
del debitore l’onere di provare il possesso congiunto dei
parametri di cui all’art. 1 L.F.

Si deduce che “il creditore deve dimostrare, sotto il profilo
soggettivo,    soltanto  che   il    debitore  è    imprenditore
commerciale;    spetta  poi  a    quest’ultimo   dimostrare   di
possedere i requisiti che impediscono la declaratoria di
fallimento, di modo che se questi non riesce a fornire la
prova di possedere tutti e tre detti requisiti è soggetto al
fallimento, il che vuol dire che il debitore imprenditore
fallisce anche se rientra in uno solo dei tre parametri
richiesti.” 12

D.7) Obbligatorietà della difesa
   11
      art. 2424 lett. D) “debiti con separata indicazione per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre
   l’esercizio successivo”; c. 4: “in calce allo stato patrimoniale devono risultare le garanzie prestate
   direttamente o indirettamente, distinguendosi le fideiussioni, avalli, altre garanzie personali …..”
   12 G. Bozza, cit.

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Si discute se sia obbligatoria la difesa.

Si propende per il si, argomentando che si verte in materia di
decisioni che incidono su diritti soggettivi. Si dubita che la
difesa sia necessaria ove l’attività si limiti al mero
deposito di documenti e si propende per il no nel caso di
istanza di proprio fallimento, trattandosi procedimento non
contenzioso.

D.8) Legittimazione al procedimento

Si discute su chi sia legittimato a stare in giudizio per le
società di capitali, ma non pare in dubbio che la
legittimazione competa al rappresentante legale, salvo che non
si sia in presenza do socio unico che assume responsabilità
illimitata ai sensi degli artt. 2325 c. 2 e 2462 c. 2 c.c.

In tale caso, così come nel caso di società di persone quando
non consti il consenso di tutti i soci illimitatamente
responsabili,   dovrà  essere  disposta   l’integrazione  del
contraddittorio.

                                  Gianluigi Gentili

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