Il referendum 'legislativo' nell'esperienza regionale italiana e nei sistemi costituzionali stranieri: materiali ed ipotesi per una lettura ...

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ISSN 1826-3534

                    4 MARZO 2020

Il referendum ‘legislativo’ nell’esperienza
      regionale italiana e nei sistemi
  costituzionali stranieri: materiali ed
 ipotesi per una lettura comparata del
    disegno di legge costituzionale in
     materia di iniziativa legislativa e
          referendum (A. S. 1089).

                  di Daniele Porena
      Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico
                Università degli Studi di Perugia
Il referendum ‘legislativo’ nell’esperienza
  regionale italiana e nei sistemi costituzionali
  stranieri: materiali ed ipotesi per una lettura
comparata del disegno di legge costituzionale in
   materia di iniziativa legislativa e referendum.*
                                           di Daniele Porena
                           Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico
                                     Università degli Studi di Perugia

Abstract [It]: L’ipotesi di introdurre nell’ordinamento costituzionale italiano una forma di referendum popolare
munito di effetti legislativi diretti non è nuova e, di recente, è tornata all’esame del Parlamento dove è attualmente
in discussione il disegno di legge costituzionale A.S. 1089 in materia di iniziativa legislativa e referendum. L’istituto
di cui si discute, oltrepassando i confini della mera “legislazione negativa” che caratterizzano il referendum
abrogativo, finirebbe per identificare – ove effettivamente introdotto - un canale di autentica democrazia diretta
assai diverso rispetto agli strumenti di partecipazione popolare attualmente previsti dalla Carta. Sul predetto
disegno di legge sono già intervenuti attenti contributi da parte della letteratura scientifica. Scopo del presente
approfondimento è quello di analizzare l’ipotesi di revisione nel più specifico quadro di una comparazione con le
esperienze sinora condotte nell’ordinamento interno a livello regionale nonché, ancora, in confronto con similari
esperienze istituzionali note in ordinamenti costituzionali stranieri. La comparazione mostra come l’istituto non si
caratterizzi, in effetti, per sua estesa diffusione e, ancora, illustra come la previsione di forme di legislazione
popolare diretta si arresti, per lo più, a livelli sub-statuali. Le conclusioni che se ne traggono - premessi alcuni cenni
sul generale posizionamento storico e sistematico dell’istituto referendario - coincidono con la constatazione
secondo cui il predetto istituto tenda ad esaurirsi all’interno delle forme edificate nei sistemi a democrazia
rappresentativa e che l’adozione di strumenti di legislazione popolare diretta presenti severi elementi di
contraddittorietà rispetto all’architettura rappresentativa fatta propria dai moderni sistemi costituzionali.

Abstract [En]: The hypothesis of introducing a form of popular referendum with direct legislative effects into
the Italian constitutional system is not new and, recently, it has returned to the examination of Italian Parliament
thanks to the draft constitutional law A.S. 1089. Legislative referendum, going beyond the boundaries of the mere
“negative legislation” that characterize the abrogative referendum, would end up identifying a channel of authentic
direct democracy very different from the popular participation tools currently provided by the Italian Constitution.
A lot of contributions from scientific literature have already intervened on the aforementioned Proposal. The
purpose of this contribution is to analyze the hypothesis of revision in the more specific context of a comparison
with the experiences carried out so far, at the regional level, in the internal system and in comparison with similar
institutional experiences belonging to foreign constitutional systems. The comparison shows how Legislative
referendum is not characterized by widespread dissemination and how popular legislation stops, mostly, at sub-
state levels. The conclusions - given some notes on the historical and systematic positioning of the referendum -
show that referendum tends to be limited within the forms of representative democracy systems and that the
adoption of tools of direct popular legislation present strong elements of contradiction with respect to the
representative architecture adopted by modern constitutional systems.

*   Articolo sottoposto a referaggio.

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Sommario: 1. Introduzione. 2. Referendum propositivo e referendum ‘legislativo’ nell’esperienza regionale italiana. 3.
Profili essenziali di diritto comparato. 4. Osservazioni conclusive.

1. Introduzione
Ormai da alcuni mesi si discute dell’ipotesi di introdurre nel nostro ordinamento un modello di referendum
popolare legislativo avente ad oggetto proposte di legge di iniziativa popolare che non abbiano ricevuto
approvazione, entro un dato termine dalla loro presentazione, in sede parlamentare.
In particolare, dopo la prima deliberazione della Camera dei deputati, con la quale è stato approvato in
un testo unificato il contenuto di due proposte di legge originariamente distinte1, è attualmente all’esame
del Senato della Repubblica il disegno di legge costituzionale A.S. 1089 in materia di iniziativa legislativa
e referendum.
Con il predetto testo si propone di aggiungere al secondo comma dell’art. 71 Cost la previsione secondo
cui «quando una proposta di legge è presentata da almeno cinquecentomila elettori e le Camere non la approvano entro
diciotto mesi dalla sua presentazione, è indetto un referendum per deliberarne l’approvazione. Se le Camere la approvano
con modifiche non meramente formali, il referendum è indetto sulla proposta presentata, ove i promotori non vi rinunzino.
La proposta approvata dalle Camere è sottoposta a promulgazione se quella soggetta a referendum non è approvata».
Di seguito, il disegno di legge disciplina, tra l’altro, i casi di inammissibilità del referendum2 nonché il quorum
richiesto per l’approvazione del quesito3.
Lo scopo del presente contributo non è, invero, quello fornite un esame disteso ed analitico del disegno
di legge di cui si è detto.
Piuttosto, la finalità dei rilievi che seguono è quella di inquadrare, in un’ottica comparata, il modello di
un referendum popolare i cui effetti non si limitino alla mera conferma di una deliberazione già adottata
dagli organi rappresentativi oppure alla sola abrogazione di leggi vigenti ma, al contrario, siano destinati
alla diretta produzione di atti normativi a contenuto immediatamente precettivo.
In particolare, l’impostazione metodologica del contributo è articolata lungo l’esame dei diversi materiali
comparatistici reperibili, da un lato, in similari esperienze condotte all’estero e, dall’altro, nelle tipologie
di referendum popolare collaudati, nell’ambito dell’ordinamento interno, a livello regionale.

1 Si tratta della proposta di legge costituzionale A.C. 1173, presentata il 19 settembre 2018 di iniziativa dei deputati
D’Uva, Molinari, Brescia ed altri e della proposta di legge costituzionale A.C. 726, d’iniziativa dei deputati Ceccanti,
Cenni, De Menech e altri, presentata il 13 giugno 2018. Le predette due proposte sono state deliberate lo scorso 21
febbraio 2019 dalla Camera dei deputati in un testo unificato ora all’esame del Senato della Repubblica dove il disegno
di legge è rubricato al numero A.S. 1089.
2 In particolare, il disegno di legge prevede che «il referendum non è ammissibile se la proposta non rispetta la Costituzione, se è ad

iniziativa riservata, se presuppone intese o accordi, se richiede una procedura o una maggioranza speciale per la sua approvazione, se non
provvede ai mezzi per far fronte ai nuovi o maggiori oneri che essa importi e se non ha contenuto omogeneo».
3 Quanto al quorum, sia strutturale che deliberativo, il disegno di legge in esame prevede che «la proposta sottoposta a

referendum è approvata se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi, purché superiore a un quarto degli aventi diritto al voto».

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Il senso della indagine che segue è dunque quello di analizzare – sia sul piano interno che su quello della
comparazione con altri ordinamenti - il grado, le modalità e le ragioni di diffusione del modello su cui
oggi si confronta il Parlamento: ciò, al fine di trarre ulteriori ed utili elementi di riflessione sulla
complessiva congruità della proposta all’esame del Senato.
In via introduttiva all’analisi che segue, gioverà tuttavia svolgere alcune brevissime constatazioni
preliminari sulla natura e sui connessi profili definitori dell’istituto di cui si propone l’introduzione: cenni,
in assenza dei quali si correrebbe il rischio di perdere di vista, nell’ambito dell’indagine comparata, ogni
rapporto di possibile analogia con le esperienze che si assumeranno a paragone.
Quanto invece all’impianto teorico che, in generale, ha storicamente accompagnato la diffusione delle
forme referendarie di partecipazione popolare sarà utile qualche richiamo, seppur in via non esaustiva, in
occasione delle notazioni conclusive.
Sul piano concettuale e definitorio, la complessiva struttura del disegno di legge all’esame del Senato
sembra suggerire l’idea che il modello di referendum che si intende introdurre debba preferibilmente essere
descritto - piuttosto che come referendum ‘propositivo’, ‘deliberativo’ o ‘approvativo’ - quale ‘referendum
legislativo’.
A questo proposito, preme osservare come appaia invero priva di capacità distintiva l’espressione
‘referendum deliberativo’: ed infatti, per ogni tipologia di referendum popolare – sia esso anche solo consultivo
o d’indirizzo – si assiste, sempre e comunque, ad una deliberazione da parte del corpo elettorale.
In altri termini, ciò che muta è solo il regime degli effetti che la norma, di volta in volta, attribuisce alla
deliberazione medesima e che potranno, a seconda dei casi, essere abrogativi, consultivi, propositivi,
legislativi, approvativi, ecc.
Non convincente, per l’istituto in esame, appare poi anche la descrizione che ne venga offerta nei termini
di un referendum ‘propositivo’.
Ed infatti, da quanto emerge dalle previsioni del d.d.l., il profilo della ‘proposta’ finirebbe per arrestarsi
alla sola fase dell’iniziativa legislativa: viceversa, gli effetti del referendum – in sé considerato – non
andrebbero a costituire manifestazione di una mera ‘proposta’ quanto, al contrario, sua definitiva
deliberazione.
In ultimo, sembra non cogliere a pieno il senso dell’istituto anche l’espressione ‘referendum approvativo’.
Ciò, in quanto - per effetto del meccanismo ipotizzato - non si avrebbe certo a che fare con una
deliberazione che, già formata in sede parlamentare, risulti solo successivamente destinata ad essere
sottoposta all’approvazione del corpo elettorale4.

4 Cfr. L. GENINATTI SATE’, Il carattere non necessariamente oppositivo del referendum costituzionale, Torino, 2018, p. 46,
secondo cui «se s’intende l’espressione “referendum approvativo” nel senso che l’intervento popolare è volto all’approvazione della legge di

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D’altronde, a quest’ultimo proposito, sembra che logica che ha orientato alcuni a descrivere come
‘approvativo’ l’istituto del referendum costituzionale5 (al di là dell’ampia querelle dottrinaria sulla natura del
predetto referendum6) tragga origine, fra l’altro, anche dalla constatazione secondo cui il detto referendum ha
ad oggetto, per l’appunto, l’approvazione di una legge costituzionale già deliberata dal Parlamento.
Circostanza, quest’ultima, che al contrario non si rinviene nel modello di referendum di cui si propone
l’introduzione.
Diversamente che per gli istituti referendari comunemente ascrivibili alle categorie del referendum
‘propositivo’ o ‘confermativo’, l’ipotesi di cui si discute schiuderebbe piuttosto le porte ad una fonte di
produzione del diritto direttamente originata e perfezionata da una deliberazione popolare: peraltro, nelle
fasi prodromiche alla deliberazione popolare, null’altro sarebbe consentito al Parlamento se non

revisione, essa è certamente condivisibile nella parte in cui riproduce la statuizione dell’art. 138 Cost. (che effettivamente attribuisce
all’intervento del corpo elettorale la funzione di approvare la legge)».
5 Cfr., tra gli altri, G. ROLLA, La tutela costituzionale dei diritti, Milano, 2018, p. 135. Secondo A. MANGIA, Potere,

procedimento e funzione nella revisione referendaria, in Rivista Aic, n. 3/2017, p. 10 e ss., la funzione approvativa del referendum
costituzionale finirebbe per poter emergere non tanto dalla intrinseca struttura dell’istituto quanto, piuttosto, dall’utilizzo
che in concreto se ne faccia: sicché, «un istituto che originariamente si riteneva essere stato pensato in termini di garanzia delle
minoranze diveniva uno strumento di ratifica delle decisioni di maggioranza» e, ancora, «nulla, nella lettera dell’art. 138 Cost., impedisce
al Governo (o alla sua maggioranza) di seguire questa ‘terza via’ alla revisione, invocando un referendum ‘approvativo’ che rinvii al ‘popolo’
o al ‘corpo elettorale’ la decisione finale su una revisione attorno alla quale la maggioranza di governo non ha avuto la capacità o la volontà
di aggregare un consenso più ampio». Sulla pregnanza descrittiva dell’espressione ‘referendum approvativo’ solleva obbiezioni
O. CHESSA, Problemi del quorum partecipativo nel referendum sulla legge statutaria sarda, in Le Regioni, n. 3/2008, p. 795, il quale
osserva che «per sottolineare le differenze tra il referendum di cui all’art. 75 Cost. e quello ex art. 138 Cost., si adoperano diffusamente,
e rispettivamente, le locuzioni di “referendum abrogativo” e “referendum approvativo/oppositivo”». Tuttavia, prosegue l’Autore, «in
entrambi i casi si chiede al popolo di approvare una proposta. La differenza riguarda semmai la natura o struttura di quest’ultima. Nel
referendum ex art. 75 Cost. si chiede al popolo di approvare la proposta di abrogare una legge; invece nel referendum ex art. 138 si chiede al
popolo di (ri)approvare la delibera legislativa già adottata dall’organo legislativo».
6 Il tema relativo alla natura del referendum costituzionale costituisce terreno di tradizionale confronto in letteratura dove

sono emerse posizioni assai diversificate. Solo per qualche cenno all’ampio dibattito intervenuto sul tema, si ricordi
quanto osservato da R. ROMBOLI, Il referendum costituzionale nell’esperienza repubblicana e nelle prospettive di riforma dell’art.
138 Cost., reperibile in www.associazionedeicostituzionalisti.it, secondo il quale la natura oppositiva del referendum costituzionale
emergerebbe con chiarezza, nelle intenzioni dei Costituenti, in quanto istituto voluto e finalizzato alla tutela delle
minoranze e, dunque, come strumento «di opposizione alla maggioranza parlamentare». Dello stesso tenore le
constatazioni di M. LUCIANI, I referendum, in AA.VV., La riforma della Costituzione: Una guida con le analisi di 15
costituzionalisti, Milano, 2016, pp. 35 e ss., il quale osserva che, «per quanto riguarda il referendum costituzionale, l’assenza di
quorum è connessa alla logica stessa dell’art. 138 della Costituzione»: la funzione dell’assenza di quorum sarebbe infatti quella di
«chiarire che il referendum costituzionale ha funzione oppositiva. Funzione oppositiva significa funzione di tutela delle minoranze (…)
l’assenza del quorum consegna ad una minoranza compatta un efficacissimo strumento di opposizione a una maggioranza “innovatrice”».
Sulla natura, invece, non necessariamente oppositiva del referendum costituzionale, si veda quanto di recente osservato da
L. GENINATTI SATE’, op. cit., p. 8, il quale osserva che «il potere legislativo non è concepito come strumento oppositivo alla
dinamica dell’evoluzione legislativa, ma come fonte di attuazione del principio democratico attraverso la ricerca del consenso utile alla modifica
dell’ordinamento positivo, così il procedimento di revisione deve caratterizzarsi per la finalità di ricercare il più ampio consenso possibile alle
modifiche costituzionali, e non ridursi a legittimare l’opposizione ad esse». Altra dottrina si mostra invece incline a favorire ipotesi
ricostruttive a “geometria variabile”, in base all’utilizzo che in concreto venga fatto, di volta in volta, dell’istituto in
questione. Tra questi, S. STAIANO, La legge di revisione: crisi e trasfigurazione del modello costituzionale, in V. Baldini (a cura
di), La garanzia delle opposizioni parlamentari nella democrazia maggioritaria, Napoli, 2006, p. 31, osserva che il referendum
costituzionale sarebbe «destinato a vedere assumere variabile significato ad alcune sue implicazioni in fase dinamica, in ragione
dell’influenza contingente del processo storico-istituzionale, tra tali variabili va posta la valenza garantista per le minoranze parlamentari
derivante dalla necessità di approvazione a maggioranza qualificata».

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manifestare una volontà puramente “adesiva” in assenza della quale prenderebbe avvio, come
evidenziato, l’iter referendario.
Sicché, la migliore via per definire un referendum popolare direttamente abilitato a produrre una nuova
norma di rango primario appare, in effetti, quella di descrivere l’istituto come ‘referendum legislativo’: ciò,
peraltro, quale speculare versione “positiva” del referendum abrogativo le cui conseguenze, al contrario e
come noto, si manifestano nei soli termini negativi dell’ablazione normativa7.

2. Referendum propositivo e referendum ‘legislativo’ nell’esperienza regionale italiana
Una pur sommaria ricostruzione sulla configurazione che l’istituto referendario ha assunto, nel tempo,
lungo le vicende attraversate dal regionalismo italiano potrà senz’altro agevolare l’analisi sulle condizioni
del contesto ordinamentale all’interno del quale andrebbe a calarsi l’ipotesi di cui si discute.
Già nel corso dei lavori dell’Assemblea Costituente – se, da un lato, non pochi furono dubbi e resistenze
frapposte anche solo all’idea di introdurre l’istituto referendario a livello nazionale - più ampie furono le
aperture registrate intorno all’espansione dell’istituto sul piano locale8 e, soprattutto, regionale9.
Ed in effetti - mentre il referendum nazionale finì per assumere natura esclusivamente abrogativa oppure,
per il caso del referendum costituzionale, confermativa/oppositiva – per altro verso furono ravvisate le
condizioni per un’assai più ampia e libera declinazione dell’istituto referendario a livello regionale.

7  Invero, anche in passato, la terminologia impiegata per descrivere ipotesi similari si è mostrata assai variegata. Nel
corso della XVII legislatura, l’ampio tentativo di revisione costituzionale conteneva, anch’esso, la previsione di una
forma di ‘referendum propositivo’. Nel prosieguo della legislatura fu poi presentata presso la Camera dei deputati la
proposta di legge A.C. 4508 (On. Preziosi ed altri) per la revisione dell’art. 71 Cost. mediante introduzione del referendum
‘deliberativo’. Sempre nel corso della XVII legislatura, nella proposta di legge A.C. 3124 (On. Fraccaro ed altri) era
contenuta una ipotesi di revisione avente ad oggetto, tra l’altro, un referendum ‘propositivo legislativo’. Nel corso della
XVI legislatura, il tema del referendum ‘propositivo’ è stato posto dal disegno di legge A.S. 1092 (Sen. Adamo ed altri), ed
A.S. 1428 (Sen. Peterlini ed altri) dove l’istituto era declinato secondo la formula di una ‘votazione popolare deliberativa’.
Il tema del referendum propositivo, peraltro, era rifluito anche nella relazione finale della Commissione per le riforme
costituzionali istituita dal Governo Letta nel 2013 e, ancora, nel testo di riforma approvato dalla Commissione bicamerale
per le riforme costituzionali istituita nel corso della XIII legislatura. La questione, come noto, non ha costituito elemento
di dibattito solo recente. A questo proposito, solo per ricordare alcune tra le proposte più risalenti, si pensi – tra il 1985
ed il 1987 - alla proposta di legge A.C. 2452 (On. Ferrara ed altri) ed al disegno di legge, sempre avanzato nel corso della
IX Legislatura, A.S. 24 (Sen. Pasquino ed altri).
8 Si ricordi, ad esempio, l’intervento dell’On. Uberti, favorevole ad «affermare nella maniera più ampia possibile

il referendum comunale, stabilendo che quando una deliberazione dell'Amministrazione superi un limite determinato di spesa, si debba, in
sostituzione del controllo di merito, ricorrere al referendum», cfr. Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Seconda
Sottocommissione, Resoconto sommario, seduta del 30 novembre 1946, p. 819.
9 Tra gli altri, si ricordi l’intervento di Umberto Terracini (Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Seconda

Sottocommissione, Resoconto sommario, seduta del 30 novembre 1946, p. 697) il quale mostrò il proprio favore a «che
il referendum debba essere applicato soprattutto nella Regione, in quanto soltanto una larga prassi nell'ambito regionale e comunale potrà
farne avvertire l'utilità in sede nazionale: l'applicazione più facile e quindi più frequente che può farsene negli ambienti ristretti fa sviluppare
la tendenza a maneggiare questo strumento di intervento diretto del popolo». Ancora, si ricordi la constatazione di Ferruccio Ruini,
in occasione della seduta dell’Assemblea Costituente del 17 luglio 1947, il quale ebbe ad osservare che «in materia
di referendum regionale v'è un consenso che potrebbe non esservi in materia di referendum nazionale», cfr. Assemblea Costituente, resoconto
stenografico, seduta del 17 luglio 1947, p. 5869.

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Il favore mostrato dai Costituenti nei confronti del referendum regionale sembrò poggiare su diversi ordini
di considerazioni: dal minor grado di “politicità” delle determinazioni adottate a livello territoriale fino al
coinvolgimento, nella vicenda referendaria, di più ridotte comunità di cittadini elettori e, ancora, fino alla
maggiore attitudine di alcune scelte operate a livello regionale ad incidere, in modo diretto e senz’altro
più immediato, sulle posizioni giuridiche soggettive di ciascun cittadino10.
Un tratto di quanto da ultimo constatato sembra in effetti riverberarsi sulla definitiva formulazione
dell’art. 123 Cost. - rimasto immutato, quanto all’istituto referendario, sin dalla sua originaria stesura –
secondo cui il ricorso al referendum regionale è consentito non solo in relazione a leggi regionali ma anche
in relazione ai provvedimenti amministrativi della Regione11.
Il riferimento anche ad atti di natura amministrativa - per quanto per lo più codificato, a livello statutario,
con riferimento ad atti amministrativi a carattere generale12 - pare infatti idoneo a disvelare quale fosse,
in linea generale, l’inclinazione del Costituente rispetto all’introduzione dell’istituto referendario sul piano
regionale. In estrema sintesi, sembra che sia stata anche la maggiore prossimità delle funzioni regionali al
cittadino ad aver giocato, nella prospettiva del Costituente, un ruolo chiave nello schiudere orizzonti di
maggiore ampiezza nella disciplina del referendum regionale.
In particolare, maggior larghezza di vedute si registrò sia nel superamento di molte delle resistenze
manifestate rispetto al referendum abrogativo nazionale sia nel favore per una formula costituzionale capace
di includere categorie di referendum non solo munite di portato meramente negativo ma, anche, idonee
dotare il corpo elettorale del ruolo e delle funzioni tipiche di un “organo attivo di formazione
legislativa”13.

10  Ad esempio, osservò l’On. Laconi che «il referendum è un istituto comprensibile in un Comune o in una Regione, ove si tratta di
problemi locali che interessano direttamente i cittadini, ma non è altrettanto concepibile nell'ambito nazionale di quasi cinquanta milioni di
abitanti, ove si tratta di mobilitare milioni di elettori», cfr. Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Seconda
Sottocommissione, Resoconto sommario, seduta del 17 gennaio 1947, p. 819.
11 L’art. 123, primo comma, Cost. è rimasto immutato nel suo secondo periodo, a mente del quale «Lo statuto regola

l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei
regolamenti regionali».
12 Come riassuntivamente constatato da M. SCUDIERO, Il referendum nell’ordinamento regionale, Napoli, 1972, p. 145, si

può «ritenere che la categoria dei provvedimenti amministrativi di cui all’art. 123 Cost. vada identificata negli atti di amministrazione attiva
della regione adottati nell’interesse generale della comunità e a concretizzazione di una fattispecie normativa di comportamento non interamente
prescritto».
13 La prospettiva di introdurre una forma di referendum capace di configurare «anche il popolo come organo attivo per la formazione

legislativa» trovò in Costantino Mortati il suo principale sostenitore, cfr. Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione,
Seconda Sottocommissione, Resoconto sommario, seduta del 30 novembre 1946, p. 601. Sul punto, una certa inclinazione
favorevole alla introduzione, a livello regionale, del referendum su proposte di legge di iniziativa popolare è stata conservata
in dottrina anche in periodi più recenti: in proposito, si ricordi quanto osservato da B. CARAVITA DI TORITTO, I
referendum del 1993 tra crisi del sistema politico e suggestioni di riforma, in Giur. it., n. 6, 1993, p. 563, laddove l’Autore –
nell’esaminare il tema della soggezione al corpo elettorale, secondo l’esempio svizzero, della proposta di legge di iniziativa
popolare – si interroga poi sull’opportunità di «verificare se l’iniziativa legislativa popolare possa essere introdotta anche a livello
statale oppure se non sia invece da ritenersi più adeguata al livello regionale».

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Il punto di caduta dell’articolato dibattito14, alla fine, fu quello di ridurre all’essenziale, per quanto
possibile, la norma destinata a regolare l’istituto a livello regionale: ciò, essenzialmente, al fine di rimettere
a ciascuno statuto regionale più ampi margini di scelta sulla concreta disciplina del referendum avente ad
oggetto leggi o provvedimenti amministrativi della Regione15.
La constatazione che precede, in uno con la novella apportata all’art. 123 Cost. con legge costituzionale
n. 1/1999 – secondo cui, nel rispetto dei principi costituzionali, lo statuto determina la forma di governo ed
i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione –, ha orientato parte della
letteratura alla conclusione secondo cui le Regioni non sarebbero vincolate, nella disciplina referendaria,
a replicare i soli modelli previsti dalla Carta costituzionale per il referendum nazionale16.
Peraltro, a questa linea di pensiero sembra poter essere accostato anche il ragionamento della Corte
costituzionale laddove, in particolare, ebbe ad osservare che «la materia referendaria rientra espressamente, ai
sensi dell’art. 123 della Costituzione, tra i contenuti obbligatori dello statuto, cosicché si deve ritenere che alle Regioni è
consentito di articolare variamente la propria disciplina relativa alla tipologia dei referendum previsti in Costituzione, anche
innovando ad essi sotto diversi profili, proprio perché ogni Regione può liberamente prescegliere forme, modi e criteri della
partecipazione popolare ai processi di controllo democratico sugli atti regionali»17.

Nel corso della prima fase statutaria successiva all’effettiva comparsa delle istituzioni regionali,
l’orientamento prevalente fu invero rivolto, essenzialmente, a ricalcare la meccanica del referendum
abrogativo nazionale che solo da poco, peraltro, risultava “sdoganato” in conseguenza dell’approvazione
della legge n. 352/197018.

14  Dibattito, sul punto, peraltro assai articolato e complesso: la questione del referendum regionale occupò infatti buona
parte delle sedute dedicate a quello che, di lì a breve, sarebbe divenuto l’art. 123 della Costituzione. In particolare, i lavori
che condussero alla stesura dell’art. 123 Cost. si articolarono - tra la Seconda Sottocommissione e l’Assemblea plenaria
dell’Assemblea Costituente - lungo oltre venti sedute (dedicate, ovviamente, anche alla trattazione di altri argomenti) ed
il tema del referendum regionale fu diffusamente trattato in ben nove delle predette sedute.
15 «Nel ritenere che sia meglio lasciare agli Statuti regionali la determinazione dei casi in cui il referendum sarà applicato e del suo valore

(obbligatorio o consultivo)» concordò anche Tomaso Perassi, cfr. Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Seconda
Sottocommissione, Resoconto sommario, seduta del 30 novembre 1946, p. 697.
16 In questo senso, tra gli altri, cfr. V. ONIDA, Parere sulla legittimità di referendum propositivi sulle materie di cui all’art. 15 dello

Statuto speciale della Regione autonoma Valle D’Aosta, reperibile in Federalismi.it, n. 15 del 2007, p. 4; V. DE SANTIS, Il
referendum approvativo nel nuovo Statuto della Regione Campania, in Federalismi.it, n. 10/2009, p. 4 e Id., La partecipazione
democratica nell'ordinamento delle Regioni, Torino, 2013, pp. 128 e ss. D’altronde, a questa conclusione sembra condurre
anche il fatto che l’ipotesi secondo cui gli statuti regionali dovessero regolare la materia referendaria «in relazione ed in
armonia con le norme generali stabilite sul referendum» - pur presa in considerazione nel corso dei lavori dell’Assemblea
Costituente e che, nella sostanza, avrebbe finito per introdurre un generale rinvio alla disciplina del referendum sulle leggi
dello Stato – venne meno anche in ragione del consenso, assai meno ampio, intorno alle forme ed ai limiti di quest’ultimo,
cfr. Assemblea Costituente, resoconto stenografico, seduta del 17 luglio 1947, p. 5869.
17 Così, Corte cost., sent. n. 372 del 2004.
18 Sul punto, Cfr. M. GORLANI, Il referendum propositivo e l’iniziativa legislativa popolare: l’esempio nord-americano e la prospettiva

delle Regioni italiane, in Le Regioni, n. 3/2008, pp. 471 e ss.

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Prima di assistere alla comparsa negli statuti di forme di referendum regionale a contenuto propositivo (o,
come si vedrà, per limitatissimi casi, munito di effetti legislativi) occorrerà invece attendere oltre
trent’anni19.
Le prime regioni coinvolte dalla introduzione di questo nuovo strumento sono state le cinque a statuto
speciale: ed infatti, per effetto di quanto disposto con legge costituzionale n. 2 del 2001, tutte le predette
cinque regioni prevedono oggi nei rispettivi statuti - con lievi variazioni dovute alle specifiche peculiarità
di ciascuno di essi - oltre al referendum abrogativo e consultivo, anche il referendum ‘propositivo’20.
Tanto constatato, occorre tuttavia evidenziare come, in sede di attuazione delle predette disposizioni
statutarie, non sempre si sia giunti all’introduzione di forme referendarie propriamente e direttamente
legislative21.
A quest’ultimo approdo è invero giunta la Regione della Valle d’Aosta che, con l. r. n. 5 del 2006, ha
disciplinato l’istituto prevedendo, tra l’altro, che «qualora il risultato del referendum propositivo sia favorevole, la
proposta di legge è approvata ed il Presidente della Regione, entro dieci giorni dal ricevimento del verbale dell'Ufficio elettorale
regionale (…) provvede alla promulgazione della legge e alla sua pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione»22.
Di tenore similare è poi la legge n. 11/2005 della Provincia Autonoma di Bolzano, il cui art. 15, comma
5, dispone che «qualora il risultato del referendum sia favorevole all'emanazione della legge, il Presidente della Provincia
promulga la stessa»23.

19 Sulle più recenti vicende dell’istituto referendario nell’esperienza regionale analisi più estese sono reperibili, tra gli altri,
in S. TROILO, Fra tradizione e innovazione: la partecipazione popolare tramite consultazioni e referendum consultivi, a livello regionale
e locale, in Federalismi.it, n. 11/2016; M. OLIVETTI, I referendum e gli altri istituti di democrazia partecipativa nei nuovi statuti delle
regioni ordinarie italiane, in Studi in onore di Vincenzo Atripaldi, I, Napoli, 2010, pp. 719 e ss.; F. BIONDI, Il referendum negli
statuti regionali tra innovazione e continuità, in E. Rossi (a cura di), Le fonti del diritto nei nuovi statuti regionali, Padova, 2007, pp.
303 e ss.
20 In conseguenza delle modifiche statutarie introdotte dalla l. cost. n. 2/2001, l’art. 13-bis dello Statuto della Regione

Sicilia prevede ora che «con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti l'Assemblea regionale sono disciplinati l'àmbito e le
modalità del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo». Il nuovo art. 15 della Regione Valle d’Aosta prevede, invece,
che «in armonia con la Costituzione e i princìpi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con l'osservanza di quanto disposto dal presente
Titolo, la legge regionale, approvata con la maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, determina (…) l'esercizio del diritto di iniziativa
popolare delle leggi regionali e del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo. (..)»: di analogo tenore sono anche l’art. 15
dello Statuto della Regione Sardegna e l’art. 12 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia. Con riferimento allo
Statuto della Regione Trentino Alto Adige, il nuovo art. 47 prevede invece che «in armonia con la Costituzione e i princìpi
dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con il rispetto degli obblighi internazionali e con l'osservanza di quanto disposto dal presente
Capo, la legge provinciale, approvata dal Consiglio provinciale con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, determina (…) l'esercizio
del diritto di iniziativa popolare delle leggi provinciali e del referendum provinciale abrogativo, propositivo e consultivo».
21 Il ché, peraltro, appare più coerente con la lettera della disposizione laddove prevede, appunto, l’introduzione del

referendum propositivo e non anche di quello legislativo.
22 Così dispone l’art. 14, comma 2, l.r. Valle d’Aosta n. 19/2003 come modificato dall’art. 3 della l.r. n. 5/2006. In

dottrina, cfr. R. LOUVIN, Riforme elettorali in Valle d’Aosta: il referendum propositivo apre la via verso nuovi scenari, in
Federalismi.it, n. 14/2007.
23 Ed inoltre, sempre a mente della disposizione richiamata, nel caso di referendum su progetti concorrenti «il Presidente

della Provincia promulga il progetto che ha ottenuto la maggioranza dei voti validi favorevoli, sempre che il numero dei voti a favore di tale
progetto sia superiore al numero dei voti a favore del rigetto di tutti i progetti di legge concorrenti».

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Oltre ai due casi cui si è fatto breve cenno non sembra tuttavia possibile reperire ulteriori soluzioni munite
di analoghe caratteristiche.
Nel caso della Regione Friuli-Venezia Giulia, è stata infatti adottata una forma referendaria propositiva
ad efficacia non immediatamente normativa: in particolare, in base a quanto previsto dall’art. 23, comma
quarto, l. r. n. 5/2003, «entro sessanta giorni dalla proclamazione dei risultati del referendum propositivo, se l'esito è
favorevole, il Consiglio regionale è tenuto a esaminare la proposta di legge sottoposta a referendum».
Anche nel caso della Provincia Autonoma di Trento, il referendum propositivo è carente di effetti normativi
immediati. Ed infatti, in base all’art. 16 della l. p. n. 3/2003, «qualora il referendum abbia esito positivo la Giunta
provinciale o il Consiglio provinciale, secondo la rispettiva competenza, adottano, entro tre mesi, le iniziative e i provvedimenti
per l'attuazione dei risultati del referendum».
La Regione Sicilia ha invece disciplinato, con l. r. n. 1/2004, solamente il referendum abrogativo e quello
consultivo: quest’ultimo, in particolare, è previsto solo al fine di «conoscere l'opinione della popolazione regionale
circa i principi, gli indirizzi o gli orientamenti relativi ai progetti di legge regionali»24 e l’iniziativa referendaria è
riconosciuta solo in capo ai deputati regionali ed alla Giunta regionale25.
Per quanto riguarda la Regione Sardegna, il referendum propositivo aveva ricevuto propria disciplina con
legge regionale statutaria n. 1/2008.
L’art. 4, comma 4 della predetta legge disponeva infatti che, in caso di esito favorevole del referendum, «il
Consiglio regionale è tenuto a deliberare entro sei mesi. Decorso tale termine, il Presidente del Consiglio iscrive in ogni caso
la proposta all’ordine del giorno dell’Assemblea, che la esamina nella prima seduta».
Anche nella Regione Sardegna, dunque, il referendum propositivo avrebbe finito per assumere funzione
essenzialmente “endoprocedimentale” e non immediatamente normativa.
Peraltro, come noto, la Corte costituzionale ha annullato, in sede di conflitto di attribuzioni tra poteri
dello Stato, la promulgazione della legge statutaria di cui si è detto: ciò, in particolare, a causa del mancato
raggiungimento del quorum referendario necessario per la sua promulgazione26.

24  A norma dell’art. 25 della l.r. n. 1/2004, «1. L'Assemblea regionale può deliberare, a maggioranza assoluta dei suoi componenti,
l'indizione di referendum consultivi a norma dell'articolo 13-bis dello Statuto, tendenti a conoscere l'opinione della popolazione regionale circa
i principi, gli indirizzi o gli orientamenti relativi ai progetti di legge regionali. 2. Possono formare oggetto di referendum solo le proposte
regolarmente presentate, secondo le norme del Regolamento interno dell'Assemblea regionale».
25 L’art. 26 della l.r. n. 1/2004, dispone infatti che «1. La richiesta di referendum consultivo per gli atti di cui all'articolo 25 può

essere presentata esclusivamente dai deputati regionali e dalla Giunta regionale. 2. La richiesta di referendum consultivo contiene: a) una
relazione illustrativa, che esplicita le intenzioni dei richiedenti e le motivazioni del quesito referendario; b) il quesito referendario, formulato a
norma dei commi 4, 5 e 6 dell'articolo 3, in quanto compatibili. 3. La presentazione all'Assemblea regionale della proposta di referendum
consultivo sospende il procedimento di esame e di approvazione dei progetti di legge cui la proposta si riferisce. L'Assemblea delibera sulla
proposta di referendum entro quindici giorni dalla iscrizione della proposta stessa all'ordine del giorno».
26 Il mancato raggiungimento del quorum referendario richiesto ai fini della promulgazione della legge statutaria sarda ha

determinato la pronuncia di annullamento da parte dalla Corte cost., con sent. n. 149/2009, dell’atto di promulgazione
adottato dal Presidente della Regione.

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Volgendo l’attenzione alle regioni a statuto ordinario, il referendum propositivo (o, come si vedrà,
‘approvativo’) ha fatto la propria comparsa, solo ancor più di recente, nei soli statuti delle Regioni Lazio,
Campania e Basilicata27.
Nel caso della Regione Lazio, il referendum propositivo, introdotto nel nuovo Statuto approvato con legge
regionale statutaria n. 1/2004, trova disciplina nell’art. 62.
In parte anticipando, per così dire, l’impostazione di massima perseguita dalla proposta di revisione
costituzionale oggi all’esame del Senato, la predetta norma statutaria consente agli elettori di presentare
una proposta di legge regionale da sottoporre a referendum propositivo popolare: nel caso in cui il Consiglio
regionale non deliberi l’approvazione della proposta di legge entro un anno dalla dichiarazione di
ammissibilità della relativa richiesta, il Presidente della Regione è chiamato ad indire, con proprio decreto,
il referendum popolare propositivo.
Tuttavia, nel modello adottato dalla Regione del Lazio, gli effetti del referendum propositivo sono tutt’altro
che immediatamente legislativi: ed infatti, dalla approvazione referendaria della proposta di legge sorge
solo l’obbligo, in capo al Consiglio regionale, di esaminare la proposta28.
Anche in questo caso, si ha dunque a che fare con un istituto a valenza “endoprocedimentale”; peraltro,
come evidenziato in dottrina29, il disposto statutario lascia aperta l’eventualità che la proposta di legge

27 Nelle altre regioni a Statuto ordinario si è prevalentemente sperimentata la formula del                   referendum consultivo, finalizzato
ad acquisire gli orientamenti delle comunità regionali su specifiche questioni e non munito di effetti immediatamente
normativi. Sono questi i casi, ad esempio, della Regione dell’Umbria, dove l’istituto trova disciplina nell’art. 23 dello
Statuto e su cui si veda quanto osservato da A. VALASTRO, Gli istituti e le garanzie della partecipazione nello Statuto e nelle
politiche, in M. Volpi – F. Clementi (a cura di), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Umbria, Torino, 2016, pp. 100
e ss. o della regione Veneto, che disciplina il referendum consultivo all’art. 27 dello Statuto regionale per il quale si rinvia
a quanto osservato da G. FERRI, Gli istituti di partecipazione popolare, in P. Cavaleri – E. Gianfrancesco (a cura di),
Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Veneto, Torino, 2013, pp. 399 e ss.
28 L’art. 62 dello Statuto della Regione Lazio, nel dettaglio, dispone che «1. I soggetti titolari del potere di promuovere il referendum

abrogativo di cui all'articolo 61 possono presentare al Presidente del Consiglio regionale, con le modalità previste dallo stesso articolo e
dall'articolo 37, comma 4, una proposta di legge regionale da sottoporre a referendum propositivo popolare. 2. Qualora il Consiglio regionale
non abbia deliberato in ordine alla proposta di legge da sottoporre al referendum propositivo entro un anno dalla dichiarazione di ammissibilità
della relativa richiesta, il Presidente della Regione, con proprio decreto, indice il referendum propositivo popolare sulla proposta stessa. 3.
L'esito del referendum è favorevole se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto ed è stata raggiunta la maggioranza
dei voti validamente espressi. 4. Entro sessanta giorni dalla proclamazione dei risultati del referendum propositivo, se l'esito è favorevole, il
Consiglio è tenuto ad esaminare la proposta di legge sottoposta al referendum stesso. 5. La proposta di legge oggetto di referendum propositivo
non decade alla fine della legislatura e, in tale caso, i termini di cui ai commi 2 e 4 decorrono nuovamente dalla data di insediamento del
nuovo Consiglio». Inoltre, l’art 63, recante disposizioni comuni ai referendum abrogativi e propositivi, dispone che «1. I
referendum abrogativi e propositivi di leggi regionali non sono ammessi in relazione alle leggi concernenti le modifiche allo Statuto, alle leggi di
bilancio e finanziarie, alle leggi tributarie nonché a quelle che danno attuazione a intese con altre Regioni ovvero ad accordi con Stati o a
intese con enti territoriali interni ad alti Stati. 2. Le richieste di referendum devono avere oggetti omogenei e unitari. 3. La legge regionale
stabilisce le modalità di attuazione dei referendum e può limitare il numero delle richieste da presentare in ciascun anno. 4. La Regione
prevede forme di assistenza da parte delle proprie strutture nei confronti dei promotori dei referendum». Previsioni similari sono contenute
nello Statuto della Regione Piemonte (art. 83) e della Regione Calabria (art. 12): in entrambi i casi il referendum – definito
consultivo dai predetti Statuti – ha natura meramente endoprocedimentale in quanto impone al Consiglio regionale l’esame
di un disegno di legge avente ad oggetto il contenuto del referendum consultivo.
29 Cfr. M. LUCIANI, Gli istituti di partecipazione popolare negli statuti regionali, in www.issirfa.cnr.it, laddove l’Autore osserva

che «lo statuto consente il ricorso alla votazione referendaria solo nel caso in cui il Consiglio regionale sia rimasto inerte, mentre nulla dispone

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popolare venga fatta oggetto di deliberazione previa introduzione, da parte del Consiglio regionale, anche
di modificazioni in ipotesi significative o, comunque, non limitate ad interventi di mero drafting
normativo30.
Unici esempi di referendum legislativo ad efficacia immediatamente normativa, tra le regioni a statuto
ordinario, sono quelli forniti dallo Statuto della Regione Campania31 e, con i limiti e le precisazioni di cui
si dirà, da quello della Regione Basilicata32: è solo in questi due casi - nei quali l’istituto è definito come
‘referendum approvativo’ - che si incontrano infatti le normative più vicine, per impostazione logica e
disciplina degli effetti, a quella oggetto della revisione costituzionale all’esame del Senato della Repubblica.
Invero, nel caso della normativa statutaria lucana, l’iter referendario prenderebbe avvio solo laddove il
legislatore regionale non provveda a deliberare, nel termine di novanta giorni, una legge che «recepisca i
principi e i contenuti essenziali della proposta di legge».
Sicché, non sembra che si possa parlare di una radicale deprivazione, in capo all’Assemblea
rappresentativa, delle prerogative legislative sue proprie; piuttosto, in questo caso, la proposta di iniziativa
popolare finirebbe per descrivere una trama di principi e contenuti essenziali nell’ambito della quale
continuerebbe a sopravvivere, comunque, un ampio margine di discrezionalità legislativa in capo al
Consiglio regionale.

per quanto concerne l’ipotesi di un’approvazione della proposta di iniziativa popolare, ma con modificazioni (eventualmente assai significative).
Questa lacuna lascia dubbiosi quanto alla possibilità di qualificare l’istituto ora descritto come una forma di “vera” popular initiative».
30 Peraltro, come osserva F. PASTORE, Il referendum negli Statuti ad autonomia ordinaria “di seconda generazione”, in

Federalismi.it, n. 2/2009, pp. 15-16, la scelta operata dallo Statuto della Regione Lazio appare poco pregevole «rispetto al
rigore del procedimento, che - a parte il restrittivo riconoscimento del potere di richiedere la consultazione solo in capo ai soggetti abilitati a
richiedere il referendum abrogativo - prevede per l’approvazione sia un quorum strutturale (per la validità della consultazione è richiesta la
partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto), sia un quorum funzionale (per l’approvazione è richiesta la maggioranza dei
voti validamente espressi)».
31 Approvato con legge regionale statutaria n. 6/2009, l’art. 15 del nuovo Statuto della Regione Campania dispone che

«1. Cinquantamila elettori possono presentare una proposta di legge o di regolamento della Regione affinché sia sottoposta per l’approvazione
al referendum popolare. La proposta non può essere presentata nei sei mesi antecedenti alla scadenza del Consiglio regionale e nei sei mesi
successivi alla convocazione dei comizi elettorali per la formazione dei nuovi organi regionali. 2. La proposta è previamente presentata al
Consiglio o alla Giunta. Qualora nel termine di sei mesi dalla presentazione la proposta non sia approvata, o sia approvata ma con modifiche
sostanziali, essa è sottoposta al voto popolare. 3. La proposta è approvata se alla votazione referendaria partecipa la maggioranza degli aventi
diritto e sia raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. 4. Il referendum approvativo non è ammesso per le leggi di bilancio,
tributarie, finanziarie, di governo del territorio, di tutela ambientale e sullo stato giuridico dei consiglieri regionali, per le leggi relative ai
rapporti internazionali e con l’Unione europea nonché sullo Statuto e sulle leggi di revisione statutaria. 5. La legge regionale disciplina le
modalità di proposizione e svolgimento del referendum approvativo». Sul punto, un approfondimento relativo alle innovazioni
prodotte dalla approvazione dello Statuto della Regione Campania è offerto da V. DE SANTIS, op. ult. cit., 2009.
32 La legge statutaria n. 1/2016, recante il nuovo Statuto della Regione Basilicata, prevede all’art. 20 che «1. Una proposta

di legge popolare redatta in articoli, corredata di una relazione, può essere sottoposta a referendum approvativo. 2. Per la richiesta, la
partecipazione, i limiti, la validità, il procedimento e gli effetti del referendum approvativo, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni
previste per il referendum abrogativo. 3. La proposta di legge prima di essere sottoposta a referendum è presentata dal Presidente della Giunta
al Consiglio regionale che la esamina. Se, nel termine di novanta giorni, la proposta di legge non è approvata dal Consiglio, o se il Consiglio
non approva una legge che recepisca i principi e i contenuti essenziali della proposta di legge, il Presidente indice il referendum approvativo. 4.
La proposta di legge per la quale è stato richiesto il referendum approvativo non decade con la fine della legislatura. In tal caso il termine di
cui al comma precedente decorre nuovamente dalla data della prima riunione del Consiglio. 5. La legge validamente approvata dal corpo
elettorale è promulgata dal Presidente della Giunta».

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In definitiva, per quanto concerne le Regioni a statuto ordinario, è solo nel caso dello Statuto campano
che la vicenda referendaria finisce per assumere i contorni dell’atto propriamente legislativo: con ciò
rappresentando l’esempio più fedele all’impostazione ipotizzata nel disegno di legge costituzionale in
discussione presso il Senato.
Ed infatti, in base a quanto previsto dall’art. 15 dello Statuto della Regione Campania, una proposta di
legge di iniziativa popolare è sottoposta al voto referendario qualora non sia approvata (o sia approvata
con modifiche sostanziali) nel termine di sei mesi dalla sua presentazione. La proposta – sul punto poi
conclude la norma – risulterà approvata laddove alla votazione referendaria abbia partecipato la
maggioranza degli aventi diritto e sia stata raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

La breve ricognizione sin qui condotta autorizza ad anticipare alcune prime conclusioni.
Malgrado la nuova “stagione statutaria” originata dalla legge costituzionale n. 1/1999 sia approdata, nella
maggior parte dei casi, all’introduzione di elementi di indubbia innovazione anche sul versante degli
istituti referendari (rispetto ai quali i primi statuti, al contrario, avevano conservato assai più prudenti
cautele)33 non sembra che il referendum legislativo abbia “fatto breccia” e destato un generalizzato interesse
tra le Regioni italiane.
Se si eccettuano infatti le discipline introdotte in Campania e Valle d’Aosta, oltreché nella Provincia
Autonoma di Bolzano, il referendum popolare non ha assunto, nella generalità dei casi, valenza di una
deliberazione abilitata ad introdurre nuove norme con forza direttamente precettiva: nella gran
maggioranza dei casi in cui vi è menzione e disciplina del referendum propositivo o ‘approvativo’, a
quest’ultimo risulta infatti attribuito, per lo più, il valore e la consistenza di un atto meramente
“endoprocedimentale” non idoneo, di per sé, ad incidere o deprivare le assemblee rappresentative delle
rispettive prerogative legislative.

3. Profili essenziali di diritto comparato
L’ipotesi di una riforma assai incisiva quale quella di cui si discute impone senz’altro di rivolgere
l’attenzione anche oltre confine: in particolare, si rende opportuno esplorare quei materiali comparatistici

33  Cfr. P. CARETTI - U. DE SIERVO, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 2008, p. 141, dove si osserva che,
ripercorrendo l’esperienza «dei primi statuti regionali del 1971 non è difficile constatare come anche a livello regionale si sia guardato a
questo istituto con notevole prudenza, se non diffidenza. Un atteggiamento che si è tradotto in primo luogo, nella previsione di una limitatissima
tipologia di referendum: nella maggioranza dei casi non si è andati al di là del solo referendum abrogativo (il cui esercizio incontra limitazioni
più ampie di quelle ricavabili dall’art. 75 Cost.) e solo in pochi casi si parlava anche di referendum consultivi». Così anche M. GORLANI,
op. cit., p. 471, secondo il quale, tra l’altro, all’epoca difettava «una qualche consuetudine applicativa, perché si osasse sperimentare
forme più innovative, come il referendum propositivo di derivazione nordamericana; e, d’altra parte, la stagione della partecipazione muoveva,
all’epoca, i suoi primi passi nel nostro ordinamento, tanto da far ritenere sufficiente, come inizio, il modello abrogativo».

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dai quali possano emergere esperienze e soluzioni munite di una qualche affinità con l’istituto di cui oggi
si progetta l’introduzione nel nostro ordinamento.
Invero, come si vedrà, l’esame del disegno di legge in discussione - e, in generale, l’ipotesi di un referendum
avente ad oggetto una proposta di legge statuale di iniziativa popolare - disvela come il predetto istituto,
nelle forme con cui viene proposto, appaia come un unicum nel panorama delle costituzioni statuali34.
Nel corso dei lavori preparatori e delle discussioni parlamentari, gli esempi di riferimento utilizzati (invero
non molti) evidenziano, difatti, differenze assai significative rispetto all’impostazione che caratterizza la
proposta all’esame del Senato35.
Ancora, da quanto consta dall’esame degli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione Europea, non
emergono modelli in qualche modo affini alla struttura ipotizzata nel disegno di legge in discussione.
Al più, vaghe similitudini sembrano reperirsi nell’ordinamento costituzionale francese dove è stato di
recente introdotto36, nell’art. 11 della Costituzione, un modello di referendum avente ad oggetto proposte
di legge che, entro determinati limiti di materia, risultino altresì avviate su iniziativa “popolare-
parlamentare”37.

34 Di questo stesso avviso A. MORRONE, L’iniziativa popolare propositiva: per una democrazia plebiscitaria contro la democrazia
rappresentativa? in Federalismi.it, n. 23/2018, p. 5, secondo il quale «si tratta di un unicum nel diritto comparato: non esistono in
altre costituzioni statali iniziative popolari indirette e propositive, che introducono leggi ordinarie, a livello di ordinamento nazionale o federale.
Non è comparabile l’istituto francese del referendum approvativo di iniziative parlamentari, introdotto in costituzione con la revisione del
2008, dato che prevede l’iniziativa parlamentare e la successiva “adesione” del corpo elettorale (peraltro con un numero di sottoscrizioni molto
elevato: il 10% dell’elettorato, pari a oltre 4,5 milioni di cittadini). Non è un riferimento neppure l’esperienza giuridica della Svizzera, che
non conosce questo istituto a livello federale, ma solo a livello regionale: a livello federale, infatti, l’iniziativa popolare riguarda determinate
proposte di revisione costituzionale e non riguarda mai leggi federali (riservate agli organi rappresentativi)».
35 Si veda, a questo proposito, la sintesi reperibile in Iniziativa legislativa popolare e referendum. Note sul disegno di legge approvato

dalla Camera dei deputati A.S. n. 1089, Dossier n. 72/2 del Servizio Studi del Senato della Repubblica.
36 La revisione è stata introdotta ad opera della Loi constitutionnelle n. 2008-724 du 23 juillet 2008 de modernisation des institutions

de la Ve République. L’istituto è divenuto concretamente operante solo con l’entrata in vigore, il 1 gennaio 2015, della Loi
organique n. 2013-1114 e della Loi n. 2013-1116, attuative dell’art. 11 della Costituzione ed entrambe approvate il 6
dicembre 2013. Peraltro, l’area di operatività della partecipazione referendaria era già stata estesa, in Francia, ad opera
della Loi constitutionnelle n°2003-276 du 28 mars 2003. Con la predetta riforma fu introdotto l’art. 72-1 della Costituzione
a mente del quale «les projets de délibération ou d'acte relevant de la compétence d'une collectivité territoriale peuvent, à son initiative, être
soumis, par la voie du référendum, à la décision des électeurs de cette collectivité». La previsione di cui da ultimo è comunque relativa
a fattispecie ben differente rispetto a quella posta in comparazione in questa sede: l’istituto referendario di cui all’art. 72-
1 della Costituzione francese può infatti avere ad oggetto solo proposte di deliberazione di enti territoriali privi di
attribuzioni legislative.
37 Il novellato articolo 11 della Costituzione francese dispone che «Le Président de la République, sur proposition du

Gouvernement pendant la durée des sessions ou sur proposition conjointe des deux assemblées, publiées au Journal officiel, peut soumettre au
référendum tout projet de loi portant sur l'organisation des pouvoirs publics, sur des réformes relatives à la politique économique, sociale ou
environnementale de la nation et aux services publics qui y concourent, ou tendant à autoriser la ratification d'un traité qui, sans être contraire
à la Constitution, aurait des incidences sur le fonctionnement des institutions. Lorsque le référendum est organisé sur proposition du
Gouvernement, celui-ci fait, devant chaque assemblée, une déclaration qui est suivie d'un débat. Un référendum portant sur un objet mentionné
au premier alinéa peut être organisé à l'initiative d'un cinquième des membres du Parlement, soutenue par un dixième des électeurs inscrits
sur les listes électorales. Cette initiative prend la forme d'une proposition de loi et ne peut avoir pour objet l'abrogation d'une disposition
législative promulguée depuis moins d'un an». Sul ‘référendum d'initiative partagée’ cfr., di recente, M. LAURENCE, La question du
référendum, Parigi, 2019; F. MÉLIN-SOUCRAMANIEN – P. PACTET, Droit consitutionnel, Parigi, 2000. La letteratura
d’Oltralpe non è stata sempre concorde circa la concreta utilità dell’istituto in questione: perplessità sono state sollevate,

148                                                       federalismi.it - ISSN 1826-3534                                             |n. 5/2020
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