Il peso delle parole: come la stampa racconta la Violenza - Violenza di genere: conoscerla, prevenirla, riconoscerla e contrastarla - Unime

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Il peso delle parole: come la stampa racconta la Violenza - Violenza di genere: conoscerla, prevenirla, riconoscerla e contrastarla - Unime
Violenza di genere:
conoscerla, prevenirla, riconoscerla e
contrastarla
Ciclo di seminari organizzato per l’anno 2019 dal Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche

               Il peso delle
               parole: come la stampa racconta la
               Violenza
                                                     Elisabetta Reale, giornalista
Il peso delle parole: come la stampa racconta la Violenza - Violenza di genere: conoscerla, prevenirla, riconoscerla e contrastarla - Unime
In Italia nel 2018 sono state uccise 69 donne, 7
milioni quelle che pur non avendo perso la vita
sono state picchiate, maltrattate o violentate.
Dal 2000 a oggi si è consumata una strage con
3100 vittime
Trovare le parole giuste per raccontare quanto
accade può fare la differenza e la responsabilità
dei media per la formazione, oltre che per
l’informazione dei cittadini, è enorme: ogni
singola parola, ogni singola immagine può dare la
voce a migliaia di donne o spegnerla.
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Il peso delle parole

Le parole possono aiutare le donne a liberarsi da una
 gabbia, denunciando violenze e sopraffazioni; possono
 contribuire a cambiare azioni e atteggiamenti delle
 nuove generazioni; possono cambiare lo sguardo degli
 uomini sulle donne.
Ma sbagliare il linguaggio può provocare danni
 gravissimi, contribuendo a rafforzare pregiudizi e
 stereotipi e causando un dolore supplementare e
 inutile alle vittime.
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La violenza di genere e i media
I media sono talvolta alla ricerca della notizia
 sensazionale che può significare dare la notizia in
 modo cruento alimentando nel lettore una visione
 stereotipata della violenza di genere
La descrizione della violenza sulle donne viene talvolta
 «farcita» da immagini che rimandano alla donna
 traditrice o di facili costumi. Si parla di «delitto
 passionale», «uomo geloso, deluso, depresso, drogato».
 Se è extracomunitario la vittima finisce anche per
 passare in secondo piano
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«L’ho uccisa perché l’amavo»

                    Loredana Lipperini e
                     Michela Murgia sono le
                     autrici del libro “L’ho uccisa
                     perché l’amavo. FALSO!”
                     edito da Laterza nella
                     collana Idòla.
                    Nel libro vengono esaminate
                     le parole con cui si parla
                     degli assassinii delle donne.
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Il ruolo dei giornalisti

Necessario sempre impegnarsi a riconoscere, riflettere,
 rispettare le differenze, a partire da un uso corretto del
 linguaggio.
Le parole non sono neutre
Nel raccontare il femminicidio non bisogna puntare
 sugli aspetti sensazionalistici, ricorrendo al paradigma
 follia, devianza, violenza.
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Manifesto di Venezia, 25 novembre 2017
Il "Manifesto delle giornaliste e dei giornalisti per il rispetto e la parità di
genere nell'Informazione", è stato presentato a Venezia il 25 novembre
2017 in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
MANIFESTO DELLE GIORNALISTE E DEI
GIORNALISTI PER IL RISPETTO E LA PARITA’ DI
 GENERE NELL’INFORMAZIONE CONTRO OGNI
  FORMA DI VIOLENZA E DISCRIMINAZIONE
     ATTRAVERSO PAROLE E IMMAGINI
Manifesto di Venezia

 frutto di un’elaborazione che ha coinvolto Cpo Usigrai,
  l’associazione GiULiA e il sindacato veneto. Il segnale di una
  maggiore attenzione è stato anche il recepimento del Manifesto
  da parte del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, il 31
  dicembre del 2016, che ha fatto proprie e condiviso le Linee
  Guida della Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ
  Guidelines for Reporting on Violence against Women), un
  documento ispirato alla Dichiarazione dell’Onu sull’eliminazione
  della violenza contro le donne del 1993.
Sistematica, trasversale, specifica, culturalmente
radicata, un fenomeno endemico: i dati lo
confermano in ogni Paese, Italia compresa.
La violenza di genere è una violazione dei diritti
umani tra le più diffuse al mondo: lo dichiara la
Convenzione di Istanbul, approvata dal Comitato
dei Ministri del Consiglio d'Europa nel 2011 e
recepita dall’Italia nel 2013, che condanna «ogni
forma di violenza sulle donne e la violenza
domestica» e riconosce come il raggiungimento
dell’uguaglianza sia un elemento chiave per
prevenire la violenza.
La violenza di genere non è un problema delle
donne e non solo alle donne spetta occuparsene,
discuterne, trovare soluzioni. Un paese minato da
una continua e persistente violazione dei diritti
umani non può considerarsi “civile”.
Impegno comune deve essere eliminare ogni radice
culturale fonte di disparità, stereotipi e pregiudizi
che, direttamente e indirettamente, producono
un’asimmetria di genere nel godimento dei diritti
reali.
La Convenzione di Istanbul, insiste sulla prevenzione e
sull’educazione. Chiarisce quanto l’elemento culturale sia
fondamentale e assegna all’informazione un ruolo
specifico richiamandola alle proprie responsabilità
(art.17). E in particolare recita: «Le parti incoraggiano il
settore privato, il settore delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione e i mass media,
nel rispetto della loro indipendenza e libertà di
espressione, a partecipare all’elaborazione e all’attuazione
di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di
autoregolazione per prevenire la violenza contro le donne
e rafforzare il rispetto della loro dignità».
Il diritto di cronaca non può trasformarsi in un abuso.
“Ogni giornalista è tenuto al “rispetto della verità
sostanziale dei fatti”. Non deve cadere in morbose
descrizioni o indulgere in dettagli superflui, violando
norme deontologiche e trasformando l’informazione in
sensazionalismo.
Noi, giornaliste e giornalisti firmatari del Manifesto, ci
impegniamo per una informazione attenta, corretta e
consapevole del fenomeno della violenza di genere e
delle sue implicazioni culturali, sociali, giuridiche. La
descrizione della realtà nel suo complesso, al di fuori di
stereotipi e pregiudizi, è il primo passo per un profondo
cambiamento culturale della società e per il
raggiungimento di una reale parità.
«Sua maestà sofferente», di Gaetano Pesce, Milano
È il modo giusto di parlare di violenza sulle donne?
L’impegno dei giornalisti e delle
giornaliste
1. inserire nella formazione deontologica obbligatoria quella sul
linguaggio appropriato anche nei casi di violenza sulle donne e i
minori;
2. adottare un comportamento professionale consapevole per
evitare stereotipi di genere e assicurare massima attenzione alla
terminologia, ai contenuti e alle immagini divulgate;
3. adottare un linguaggio declinato al femminile per i ruoli
professionali e le cariche istituzionali ricoperti dalle donne e
riconoscerle nella loro dimensione professionale, sociale, culturale;
4. attuare la “par condicio di genere” nei talk show e nei
programmi di informazione, ampliando quanto già
raccomandato dall’Agcom;
5. utilizzare il termine specifico “femminicidio” per i delitti
compiuti sulle donne in quanto donne e superare la
vecchia cultura della “sottovalutazione della violenza”:
fisica, psicologica, economica, giuridica, culturale;
6. sottrarsi a ogni tipo di strumentalizzazione per evitare
che ci siano “violenze di serie A e di serie B” in relazione a
chi subisce e a chi esercita la violenza;
7. illuminare tutti i casi di violenza, anche i più trascurati
come quelli nei confronti di prostitute e transessuali,
utilizzando il corretto linguaggio di genere;
8. mettere in risalto le storie positive di donne che hanno
avuto il coraggio di sottrarsi alla violenza e dare la parola
anche a chi opera a loro sostegno;
9. evitare ogni forma di sfruttamento a fini “commerciali”
(più copie, più clic, maggiori ascolti) della violenza sulle le
donne;
10. nel più generale obbligo di un uso corretto e consapevole del
linguaggio, evitare:
a) espressioni che anche involontariamente risultino irrispettose,
denigratorie, lesive o svalutative dell’identità e della dignità
femminili;
b) termini fuorvianti come “amore” “raptus” “follia” “gelosia”
“passione” accostati a crimini dettati dalla volontà di possesso e
annientamento;
c) l’uso di immagini e segni stereotipati o che riducano la donna a
mero richiamo sessuale” o “oggetto del desiderio”;
d) di suggerire attenuanti e giustificazioni all’omicida, anche
involontariamente, motivando la violenza con “perdita del lavoro”,
“difficoltà economiche”, “depressione”, “tradimento” e così via.
d) di raccontare il femminicidio sempre dal punto di vista del
colpevole, partendo invece da chi subisce la violenza, nel rispetto
della sua persona
Protocollo Interistituzionale per la
prevenzione e il contrasto della violenza di
genere nella Provincia di Messina
 Il 26 novembre alla Prefettura di Messina, per celebrare la ricorrenza del 25
  novembre 2018 “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le
  donne”, ha avuto luogola sottoscrizione del “Protocollo Interistituzionale per la
  prevenzione e il contrasto della violenza di genere nella Provincia di Messina”.

 L’importante iniziativa segue l’iter della istituzione della "Conferenza Provinciale
  Permanente per il contrasto alla violenza sulle donne" indetta lo scorso 8 marzo 2018
  dal Prefetto di Messina, dott.ssa Maria Carmela Librizzi, per fare rete e mettere
  insieme le tante realtà del mondo istituzionale e della società civile con un obiettivo
  comune, individuare congiuntamente priorità ed aree di intervento per mettere a
  sistema le potenzialità di tutti i soggetti a vario titolo impegnati nel delicato settore a
  supporto delle vittime di violenza, con particolare riguardo alla prevenzione e al
  contrasto della violenza di genere su donne e minori.
La firma del Protocollo Interistituzionale
per la prevenzione e il contrasto della
violenza di genere nella Provincia di
Messina
 Facendo riferimento alla “cabina di regia” della Prefettura sono stati costituiti
   dei "tavoli tematici" per l'approfondimento e il confronto dei diversi aspetti
   del complesso fenomeno:

 "Gruppo tecnico di lavoro - Violenza Assistita", composto da rappresentanti
  di: ASP n. 5 (Capofila) -CeDAV Onlus - Questura - Arma Carabinieri - Tribunale
  di Messina - Procura Repubblica c/o Tribunale per i Minorenni - Policlinico
  Universitario - Ospedali Riuniti Papardo-Piemonte - Ordine dei Medici.

 "Gruppo tecnico di lavoro - Integrazione e reinserimento socio-lavorativo",
  composto da rappresentanti di: Servizi Sociali del Comune di Messina
  (Capofila) - CIRS Onlus - Centro per l'Impiego - ASP n. 5 - Distretto socio
  sanitario Messina D26 - Ordine degli Avvocati.

 "Gruppo tecnico di lavoro - Metodologie per conoscenza fenomeno e
  pubblicizzazione risorse esistenti", composto da rappresentanti di: Città
  Metropolitana (Capofila) - CeDAV Onlus - Servizi sociali del Comune di
  Messina - Questura - Arma dei Carabinieri - Università degli Studi di Messina -
  Ufficio Scolastico Provinciale - Ordine dei Giornalisti.
Il decalogo delle parole e degli stereotipi
sbagliati quando si parla di violenza sulle
donne
 Raptus: nessun femminicidio avviene mai all’improvviso, è sempre l’esito di un’escalation
  di violenza che non è stata intercettata o fermata in tempo

 Follia: usare questa parola è un modo per regalare un alibi emotivo al carnefice e fa
  pensare che chi compie questi delitti sia una persona con disturbi psichici.

 Amore malato: questa espressione è un ossimoro, l’amore è il contrario della violenza, che
  non può mai essere descritta come l’esito di una passione amorosa.

 Descrivere come era vestita la vittima: lascia passare l’idea che ci sia una giustificazione
  possibile per gli atti violenti, umiliando la donna e la sua libertà di scelta.

 Descrivere in dettaglio le ferite subite: è un atteggiamento morboso e voyeuristico che
  provoca soltanto dolore nella vittima, senza aggiungere nulla a ciò che l’opinione pubblica
  può conoscere dei fatti.
 Era un bravo ragazzo (un padre premuroso, un uomo buono etc): è come
  sminuire la versione dei fatti della vittima, come dubitare che sia possibile
  quanto è successo.

 Se l’è cercata: significa colpevolizzare la donna e dare un perché a gesti che non
  possono essere in alcun modo giustificati.

 Lei lo tradiva: è un dettaglio privato che crea un alibi che colpevolizza la donna.

 Perché’ lei non lo ha lasciato? Andarsene per le donne non è mai semplice e i
  motivi possono andare dal ricatto economico, alla presenza dei figli, alla paura
  di essere giudicate dall’esterno.

 Dare più spazio ai delitti che coinvolgono stranieri: distorce dalla realtà che
  vede come autori delle violenze, mariti, compagni, o familiari stretti in oltre il
  70% dei casi.
Un esempio
sito del Corriere della Sera del 7 aprile
L’85 per cento delle giornaliste dichiara di aver
subito molestie sessuali almeno una volta nel corso
della vita professionale. Oltre il 66 per cento negli
ultimi 5 anni.
Il 42 per cento è stata vittima di una qualche forma di
 molestia nell’ultimo anno tra il 14 gennaio – 25 marzo
 2019 Sono solo alcuni dei dati emersi dalla prima
 indagine sulle molestie sessuali nel mondo dei media
 condotta dalla Commissione Pari Opportunità della
 Fnsi in collaborazione con Casagit, Inpgi, Usigrai,
 Ordine dei giornalisti e Agcom e con la consulenza
 della statistica Linda Laura Sabbadini resi noti ad inizio
 del mese di aprile.
Nell’indagine sono state coinvolte le giornaliste
dipendenti che lavorano nei quotidiani, nelle tv e nelle
agenzie di stampa (esclusi i periodici). Alla rilevazione,
condotta in maniera da garantire l’assoluta riservatezza
delle giornaliste coinvolte, hanno risposto 1132 donne,
pari al 42% del campione. Gli episodi di molestie hanno
riguardano persone di tutte le età. Battute a sfondo
sessuale, insulti e svalutazione sono la più diffusa forma
di molestia. Metà delle intervistate ha subito almeno una
volta nella vita pressioni, avances o è stata seguita o
controllata. In un caso su tre le giornaliste hanno
dichiarato di aver subito ricatti sessuali.
Ricatti sessuali sul lavoro: 35,4% nel corso della vita, 5,3% ultimi 5
anni,1,3% ultimo anno.
Molestie fisiche sessuali 34,9% nel corso della vita, 13,7% negli
ultimi 5 anni, 5,9% nell’ultimo anno.
Gesti osceni / telefonate oscene/ commenti sessuali sui social, via
email e sms: 26,6%, nel corso della vita, 15,9% negli ultimi 5 anni,
8,8% nell’ultimo anno.
Minacce di violenza sessuale, di altri tipi di violenza, di condividere
video o immagini intime , 13,2% nel corso della vita, 7% egli ultimi
5 anni, nell’ultimo anno 2,6%
Violenza sessuale o tentata violenza sessuale: nel corso della vita
8,5% , negli ultimi 5 anni 1%, nell’ultimo anno 0,2%
Indirizzi utili

https://giulia.globalist.it/
http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=71298
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