Il neonato tra natura e cultura - Libreria Universo
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1 Il neonato tra natura e cultura di Maria D’Alessio 1.1 La natura o la cultura del neonato? La psicologia applicata all’età evolutiva ha sviluppato non solo teorie, ma costruito modelli ed esperimenti rivelatori di capacità e compe- tenze dei neonati attivi sin dalla nascita nei processi cognitivi e nei costrutti e modalità organizzative del pensiero e della mente. Una conquista non estranea alla ricerca empirica è stata l’ammis- sione che il paradigma sperimentale non basti a spiegare lo sviluppo infantile né ad offrire da solo la spiegazione del comportamento umano. Lo studio del bambino è stato riportato da Bronfenbrenner (1979) nelle situazioni naturali. L’approccio ecologico ha sottolineato ancora una volta quanto al- cune scomode variabili possano essere responsabili del comportamen- to umano. Conviene perciò ricordare che: – l’ambiente, storicamente dato, “il cosiddetto contesto” contiene il soggetto prima e dopo qualunque esperimento; lì il soggetto agisce e apprende e sceglie i comportamenti; – il soggetto non è mai immutabile anzi è percorso da forti cambia- menti anche di segno diverso, che si susseguono per tutta la vita; – le credenze dei genitori sono parte integrante dell’ecologia dello sviluppo. Per conoscere l’infanzia dobbiamo andare oltre il bambino speri- mentale rinchiuso in situazioni improbabili come i successivi proble- mi di aritmetica che tormenteranno l’età scolare. Si narra sempre, in- fatti, di mamme che vanno a fare la spesa e comprano frazioni para- dossali di cibo o di vasche da bagno che si riempiono e si svuotano solo in condizioni di calcolo raffinato. Dobbiamo capire che il bambino ricostruito dalla psicoanalisi non 13
IL NEONATO è tutto il bambino, né il bambino puntigliosamente osservato può ri- solvere l’interrogativo della complessità del comportamento. Anche sommando i pezzetti di un comportamento, rimarrà un residuo che farà variare le risposte individuali. Tutti i bambini che possiamo produrre: – quello dentro di noi, vero, inseguito dagli psicoanalisti; – quello fuori di noi, reale, descritto dai setting empirici; – quello di tutti i giorni accanto a noi, della nostra esperienza; – quello qualche volta contro di noi che non capiamo e ci fa di- sperare; tutti questi saranno sempre solo una parte del bambino nella sto- ria, nel contesto, nella famiglia. In questo caso non funziona, purtroppo, la conoscenza per so- vrapposizione o per confronto. Non possiamo sommare il cosiddetto bambino vero al bambino reale e utilizzare i punti di contatto per farne una verità storica. Le cause che sembrano aver aiutato il nostro secolo a focalizzare l’attenzione sul bambino piccolo sono state varie: la prima, in ordine storico, è stata la teoria di Freud che ha sottolineato come la pri- missima infanzia sia il luogo fondamentale e privilegiato per lo svi- luppo emotivo della persona. La sua idea ha fatto rivolgere gli occhi di studiosi e ricercatori su di un’epoca fino ad allora ritenuta irrilevante. Piaget poco dopo ha costruito metodi, tecniche di osservazione nonché una teoria fondamentale dello sviluppo cognitivo, lavorando con bambini piccolissimi. Egli ha dimostrato che comportamenti in- fantili, prima ritenuti insignificanti, erano governati da ragioni e cono- scenze sottostanti. L’etologia infine, che solo nell’accezione rozza aveva potuto far credere che il comportamento animale potesse spiegare anche quello umano, ha contribuito a chiarire che l’apprendimento umano ha mo- dalità e complessità sue proprie. Di qui il nuovo impulso a studiare con tecniche raffinate il com- portamento di piccolissimi lattanti per scoprire l’evoluzione di azioni come il sorriso, lo sguardo ecc. In tutto il volume saranno messe in evidenza sia le elaborazioni teoriche sul neonato, con le condizioni sperimentali in cui sono state verificate, sia le caratteristiche dei processi mentali che accompagna- no i comportamenti osservati così come sono deducibili dai contesti naturali ed artificiali. Molte ricerche nel campo storico, sociologico e psicopedagogico propongono una prospettiva di studio del bambino strettamente lega- 14
1. IL NEONATO TRA NATURA E CULTURA ta alla società in cui vive. Esse fanno notare che l’infanzia, le idee, i giudizi, le rappresentazioni e i modi di vita del bambino hanno cono- sciuto sorti diverse nei secoli passati. Le idee più favorevoli, le leggi più protettive sono degli inizi del nostro secolo. Ma già si parla di scomparsa dell’infanzia come catego- ria sociale, di crisi di quegli stessi valori che l’hanno creata. Perciò è molto interessante studiare le rappresentazioni sociali che sono alla base della comunicazione adulto-bambino. Si tratta di pro- cessi simbolici che, strettamente legati all’esperienza quotidiana, giu- stificano le nostre azioni. È un procedimento apparentemente di iner- zia ma profondamente radicato nel contesto storico e sociale. In questa sede accenneremo brevemente ad un ultimo aspetto che si riferisce alla psicologia dell’adulto che alleva il bambino. Il ruolo cioè che le credenze, le idee del genitore hanno sull’orientamento dello sviluppo del figlio e sul suo effettivo comportamento. In questo ambito non contano solo i modelli culturali condivisi, le rappresentazioni, gli stereotipi che gli adulti hanno sui bambini, con- tano anche i particolari modelli (working model) operativi e attributi- vi con cui essi affrontano il proprio figlio. La psicologia del genitore o di colui che si prende cura del bam- bino si riferisce a tutte le conoscenze che egli possiede, ad esempio relativamente alla natura e ai bisogni di un neonato, agli scopi e alle tecniche dell’allevamento. Le concezioni anche implicite di cosa un bambino è o non è in- fluenzano gli atteggiamenti pedagogici degli adulti, i loro limiti di tol- leranza riguardo alle condotte infantili, nonché la legislazione relativa alla promozione e protezione dell’infanzia. Il neonato e poi il bambino non sono “oggetti” di conoscenza semplici la cui padronanza è ostacolata solo dalla complessità dell’ap- proccio che deve ricorrere a metodologie e a strumenti sofisticati. Come Durkheim (1898) prima e vari studiosi poi fino a Moscovici (1961) hanno messo in evidenza, le rappresentazioni sociali condivise sono valide integrazioni delle esperienze personali. Così in vari campi complessi (negri, donne, infanzia ecc.) le rap- presentazioni sociali sono forme di conoscenza sociale formatesi sulla base di un’esperienza indiretta, per tradizione orale che si organizza- no in schemi per interpretare la realtà quotidiana. Le rappresentazioni sociali sono realtà condivise, “universi con- sensuali” che permettono di rendere conto della coerenza di atteggia- menti e comportamenti all’interno di determinati gruppi sociali. Il bambino, anche piccolissimo, cresce acquisendo informazioni 15
IL NEONATO ed elaborando competenza non solo sul mondo oggettuale che lo cir- conda ma anche sul mondo sociale in cui è immerso. Egli viene a contatto prestissimo con credenze e rappresentazioni, modelli di pensiero, universi consensuali che consentono di compren- dere in modo intuitivo ed empatico gli atteggiamenti, i ruoli e i com- portamenti del gruppo sociale nel quale vive. Il neonato cresce nella relazione privilegiata con colui che si pren- de cura di lui (il care-giver) che da umano adulto non fa che proporre modelli, rappresentazioni, schemi e costrutti di pensiero. Le rappresentazioni collettive sono molte e costituiscono la base dell’assunzione dell’identità: realtà costituite e quasi invarianti, bloc- chi di pensiero che influenzano la visione del mondo. La differenza tra Durkheim e Moscovici è sulla dinamicità o meno di questi blocchi di pensiero, di queste rappresentazioni. Naturalmente lo psicologo sociale è più attento alla possibilità di cambiamento, di dinamismo interno delle attribuzioni, credenze ed opinioni influenzate come sono dal linguaggio, dalle scoperte scientifiche e dai mutamenti cultu- rali. Si tratta di cambiamenti lenti che possono essere colti solo su di uno sfondo storicamente molto ampio. La dinamicità e immutabilità delle rappresentazioni è tema fon- dante della psicologia sociale. In questa sede ci interessa far notare che quanto più si sottolinea la natura interattiva della relazione adul- to-bambino e quanto più si anticipa l’efficacia dello scambio tra i due, tanto più si deve accettare che il neonato si sviluppi in un ambi- to di conoscenza sociale che pur nella necessità delle rappresentazioni nulla toglie alla possibilità delle azioni personali. Piaget commentò ampiamente negli anni cinquanta le rappresen- tazioni sociali come processi mentali di conoscenza. Il suo metodo dell’intervista clinica semi-strutturata è stato molte volte applicato al modo in cui cambiano le concettualizzazioni infantili sugli aspetti di- versi delle realtà sociali. Se il bambino molto piccolo entra, attraverso chi si occupa di lui, in un mondo di comprensione cognitiva sociale, la sua costruzione risulta sociale e culturale anche nella testa degli adulti che lo accol- gono. Perciò molto spazio va dedicato all’infanzia come prodotto cultu- rale che cambia o può cambiare, ad esempio, di durata a seconda dei mutamenti culturali. Non solo è biologicamente giustificata una lunga infanzia delle specie più complesse ma lo psichismo adulto può mo- dulare, attraverso le rappresentazioni sociali condizionate da modelli sociali, economici, tecnologici ecc., il processo della storicizzazione dell’infanzia. 16
1. IL NEONATO TRA NATURA E CULTURA 1.2 La rappresentazione pregiudiziata dell’infanzia Sin dal 1700 le concezioni più popolari relative ai neonati si orga- nizzarono intorno a quattro ipotesi tutte strettamente connesse al modo poi di trattarlo e allevarlo. – La prima concezione, molto diffusa, che ancora oggi sottende al- cuni comportamenti di socializzazione infantile, è legata alla tradizio- ne cristiana per cui il bambino nasce con il peccato originale e di lì una serie di cerimonie sono tese ad esprimere la sua subordinazione, la vigilanza dell’adulto nell’allontanare il pericolo, lo scarso “valore” del neonato non battezzato. – La seconda concezione si può definire ambientalista. Il bambino nasce neutro, come un foglio bianco: una tabula rasa che sarà pla- smata dall’esperienza nel contesto. – La terza concezione, biologica, anch’essa molto comune fino ai nostri giorni, si riferisce al carattere infantile come determinato ge- neticamente. – La quarta concezione è quella utopistica, ideale. Il bambino nasce buono ed è rovinato dalle sue esperienze in società. L’idea è quella del buon selvaggio, del bambino innocente. Per quanto però quest’ultima sia stata spesso invocata, nei fatti gli adulti si sono sempre comportati secondo un modello di fiducia nella possibilità di plasmare il bambino, salvo invocare l’irriducibilità del carattere per quegli aspetti su cui la loro educazione falliva. Le concezioni degli adulti sullo sviluppo sono comunque molto approssimative. Fino al XVIII secolo, e tuttora nel linguaggio comune, il termine “bambino” o “ragazzo” è stato usato più o meno indiffe- rentemente per soggetti fino ai 15 anni, sempre però sottolineandone uno status o di manchevolezza della parola, della maturità fisica o psi- cologica o addirittura dello stato civile-celibe. Quello che qui interessa sottolineare è come il sistema di creden- ze e valori, che l’adulto possiede, si frapponga tra lui e il bambino sin dai primi giorni di vita, quasi una lente il cui fuoco risulti continua- mente sfasato rispetto alla realtà. Né le conoscenze scientifiche, le informazioni sul bambino relati- ve a come egli effettivamente sia possono da sole riuscire a spostare la lente o comunque a migliorare la visione stessa. La rappresentazione sociale dell’infanzia si presenta come un si- stema articolato con una funzione di regolazione sociale e si forma mano a mano che noi stessi cresciamo, prima e indipendentemente dalle effettive esperienze con un neonato. 17
IL NEONATO La costruzione dello stile di vita è un processo solidale con la cre- scita stessa, articolato e complesso, come un albero a ramificazioni mano a mano più sottili, livelli successivi di ciò che si è accettato o respinto. Vari autori ormai propongono di considerare, nello sviluppo del pensiero infantile, il ruolo che esercitano le strategie di insegnamento e comunque le credenze dei genitori. Ci si interroga sull’influenza relativa dei modelli educativi dei ge- nitori sul funzionamento cognitivo dei figli, sulle loro competenze e rappresentazioni, sul ruolo che all’interno della strategia dell’adulto, abbiano le concezioni particolari relative alla capacità cognitiva, socia- le e affettiva del bambino. In quest’ottica rivestono un particolare interesse i lavori di Ponzo (1958) De Grada (1971) e D’Alessio (1971-87) sulla rappresentazione dell’adulto, a proposito dello sviluppo infantile. L’insieme delle ricer- che svolte in questi anni ha condotto a ritenere che il bambino, no- nostante il gran parlare che se ne fa, sia comunque vissuto da parte dell’adulto come una credenza abbastanza legata alla vecchia rappre- sentazione dell’infanzia come incompiutezza. Neonato come polo ne- gativo dell’adulto, polo positivo. I contributi teorici che hanno sostenuto queste teorie nei secoli passati sono stati numerosi. Sul piano psicologico ciò comporta idee semplificate, scarsamente differenziate rispetto alle caratteristiche delle varie età, accanto a una generale percezione di irrilevanza del bambino, in quanto tale, per il cui allevamento, pochi consigli e molto buon senso sono abbastanza. L’adulto presenta un atteggiamento di “egocentrismo ingenuo” che, più che contraddire la realtà del bambino, semplicemente la ignora. Egli, in quanto educatore, si trova in una situazione ideale per ap- plicare le sue idee senza per questo verificarne la bontà. Ha a sua disposizione una notevole gamma di razionalizzazioni del suo com- portamento che possono giustificare anche qualunque insuccesso. Se una strategia educativa non ottiene gli effetti dovuti si potrà invocare la natura, il temperamento, l’ambiente, le cattive abitudini di altri, prima di sottoporre a verifica il proprio atteggiamento e le cre- denze che lo sottendono. Così la restrizione dell’esperienza, la negazione dei bisogni, l’anti- cipo forzato dello sviluppo, sembrano tutte strategie educative ottime per lo sviluppo infantile e comunque gli educatori si dichiarano d’ac- cordo nell’usarle per il superiore interesse del neonato e del bambi- no. 18
1. IL NEONATO TRA NATURA E CULTURA Ecco alcuni esempi di affermazioni largamente condivise dagli adulti intervistati in occasione di molte ricerche empiriche. – È meglio evitare di discutere fra noi troppo minutamente sui singoli bambini: conviene solo conoscere e applicare dei buoni principi educa- tivi. – I figli devono innanzitutto imparare a ubbidire ai genitori, poi po- tranno chiedere i motivi della proibizione o dell’obbligo in causa. – Nessuno nega che i bambini debbano avere una certa libertà di pa- rola, ma purtroppo è necessario insegnare loro a tacere. – Se vogliamo che i bambini crescano dobbiamo a ogni età divertirli con i giochi e gli interessi dell’età successiva. – Ogni vero educatore guarda sempre al futuro più che al passato e forse più che al presente. – Bisogna togliere presto ai bambini il loro naturale egoismo. – Non è il lattante che conta ma l’adulto che diverrà. – Figli piccoli guai piccoli, figli grandi guai grandi. – È importante tener conto dell’individualità di ogni neonato, però fin dai primi giorni di vita è necessario abituarlo a mangiare a orari fissi. Questi items tratti dalle scale di dogmatismo verso il bambino e il lattante (Ponzo, De Grada, 1971; D’Alessio, 1977) sono un esempio delle credenze, dei modelli di lavoro a cui gli adulti ricorrono quando agiscono con bambini molto piccoli. 1.3 Gli stereotipi d’età L’atteggiamento adulto oscilla tra la semplificazione della realtà infan- tile e delle conoscenze relative ai bambini e la fuga psicologica dal bambino piccolo fino a rappresentarsi con esattezza solo le compe- tenze dei soggetti di sei anni. Questa età è vista come l’età perno intorno a cui si organizzano le previsioni di comportamento delle età precedenti e seguenti (FIG. 1.1). Il pregiudizio che sottende queste previsioni le caratterizza in modo più complesso di un semplice “stiracchiamento” dell’unica idea di bambino posseduta dall’adulto. Infatti, mentre le previsioni degli adulti dei comportamenti e delle capacità cognitive infantili risultano esatte a cinque-sei anni, hanno un andamento estremamente accentuato di sottovalutazione per le età anteriori e invece di sopravvalutazione per le età successive. L’idea di bambino normale a cui l’adulto fa riferimento è di un 19
IL NEONATO FIGUR A 1.1 Previsione da parte degli adulti delle competenze infantili +2 +1 –2 –3 –4 5 6 7 8 0 –1 –2 Sull’ordinata sono riportate le deviazioni sistematiche in mesi ed anni rispetto al reale comportamento dei bambini posto sull’ascissa. piccolo incapace fino ai cinque anni e di uno scolaro capacissimo dopo i sei. Se noi domandiamo a degli adulti di prevedere i comportamenti e le abilità di un bambino dai due ai cinque anni egli, attingendo alla sua rappresentazione sociale condivisa dell’infanzia, sottovaluta enor- memente le capacità del bambino medio-normale. Il fenomeno opposto si verifica dopo i sei anni. Ma quando lo stesso “adulto ingenuo” fa l’esperienza, con il pro- prio figlio, delle capacità del bambino piccolo, come accomoderà la credenza sul bambino in generale con i fatti che ha sotto gli occhi? Se ha davanti il suo bambino che fa cose che lui non si attende, come si regola l’adulto? Se le nostre idee sull’infanzia fossero errate solo per normale ignoranza dei fatti, non ci resterebbe che modificare l’idea, la rap- presentazione sbagliata. Ma è accaduto così quando, nei secoli passa- ti, gli adulti hanno verificato, ed era inevitabile, la competenza delle femmine? Modifichiamo forse i nostri pregiudizi sui meridionali o al- tri solo avendo fatto un’esperienza che contraddice la nostra idea? 20
1. IL NEONATO TRA NATURA E CULTURA Quando le idee che abbiamo sono su base ideologica, questa mo- dificazione non avviene. Accettiamo che 2 + 2 fa 4 se ce lo dimo- strano, ma abbiamo resistito per secoli a introdurre le donne nel mondo del lavoro o di alcuni lavori anche se non c’erano prove che non fossero capaci. In questi casi, quando c’è una rappresentazione culturale condivi- sa, per uscire dalla contraddizione tra essa e una situazione specifica che la contraddice si sceglie la strada dell’eccezione. Per l’adulto che vede il proprio figlio anticipare un comportamento attribuito ad età successive, la soluzione è che il figlio, ebbene... è eccezionale, molto, molto più intelligente degli altri. Pierino si troverà a essere molto apprezzato dai genitori prima dei sei anni ed eccessivamente stimolato a fare sempre di più dopo. Questa concezione ha ovviamente effetto sul periodo neonatale, tenuto conto che esso si colloca all’inizio di una tendenza di sottova- lutazione sistematica del bambino piccolo. Le rappresentazioni delle competenze del bambino piccolo e del neonato oscillano tra il modello sociale di incapacità, di piccolo ani- male, grazioso cucciolotto e riconoscimento della competenza, abilità e intelligenza particolare del proprio figlio quando ne facciamo espe- rienza. Tutti hanno ben presente i racconti mirabolanti dei neo-genitori sui propri figli. Essi, semplicemente, quando paragonano il piccolo che hanno in casa all’idea che hanno in testa... colmano la disparità imboccando la strada dell’eccezionalità del figlio rispetto alla norma. Le loro affermazioni però saranno decodificate da chi le ascolta e si regola secondo lo stereotipo di sottovalutazione come... semplici esagerazioni materne. Così l’effetto, pur stravolto, che il bambino aveva avuto sulla rappresentazione dei genitori verrà assorbito senza modificare le credenze generali degli adulti. L’esperienza fatta quali altri effetti avrà sulle idee dei genitori? Nessuno. Infatti, superando il periodo del contatto diretto con il bambino piccolo, lo stesso adulto esperto ritornerà a condividere il modello sociale di sottovalutazione. E il proprio figlio? Superati i sei anni, il bambino che prima era sembrato così in an- ticipo rispetto all’idea di bambino normale ora, paragonato a un idea- le di ipervalutazione, avrà il suo da fare per non essere rimproverato o ritenuto incapace, non all’altezza, che non si impegna ecc. Con la scuola elementare il bambino affronterà la valutazione de- gli insegnanti nei confronti di tanti altri infanti tutti ritenuti molto competenti dai loro genitori che si attendono il più brillante avvenire. Ci sarà posto però solo per un primo della classe. Gli altri scolari 21
IL NEONATO dovranno affrontare il divario tra le attese dei genitori e degli inse- gnanti e le loro competenze ancora una volta diverse. Ovviamente per l’adulto che non fa esperienza diretta, oppure ne fa pochissima, non ci sarà nessun cambiamento della credenza. 1.4 Le capacità del neonato Gli errori di valutazione non si attenuano intorno al neonato. Come per la valutazione del bambino, se si chiede ad adulti inesperti o che hanno figli di età maggiore ai cinque anni di descrivere le compe- tenze di un neonato (D’Alessio, 1988) troveremo che c’è una sottova- lutazione sistematica e significativa delle sue competenze. Anche l’udito, che, sotto gli occhi di tutti, è buono sin dalla na- scita viene ritenuto una competenza a carattere evolutivo. Il 50% dei soggetti intervistati, studenti universitari, ritiene che il neonato co- minci a sentire durante le prime settimane, il resto entro i sei mesi. Le prime cinque settimane sono la soglia minima per cominciare a vedere, né ci si aspetta che il lattante possa interessarsi alle forme e riconoscere un oggetto prima di compiere l’anno. L’attività cognitiva, il pensare, non comincerà prima dei sei mesi; così, se le competenze astratte o spaziali non sono ancora sviluppate, è abbastanza inutile parlare al neonato prima dei cinque mesi ed è poco probabile, nelle credenze di questi adulti, aspettarsi che egli imiti i gesti. La rappresentazione del neonato molto piccolo segue al suo interno il modello che abbiamo visto in funzione con il bambino piccolo. Le competenze più astratte sono associate agli errori maggiori di sottovalutazione. Le abilità motorie del bambino nel primo anno di vita sono valutate abbastanza correttamente (ad esempio l’età in cui il bambino comincia a camminare) o addirittura sopravvalutate se sono utili agli adulti. Ad esempio il controllo degli sfinteri, per cui è indi- spensabile la maturazione cerebrale che si realizza alla fine del secon- do anno di vita, è anticipato quanto più è possibile. Non ci sono li- miti alla buona volontà dei genitori che si attendono il controllo... al più presto. Non sono infrequenti casi di bambini, che a stento stanno seduti, messi sui vasini per ore in attesa che l’evento si compia e si ripeta fino a creare la salutare abitudine del controllo. Sebbene il bambino piccolo anche di 1 anno sia così “incapace”, gli adulti intervistati ritengono che sia opportuno fargli vedere la tele- visione: alcuni a cominciare dai sei mesi, gli altri, comunque, entro i diciotto mesi di vita. 22
1. IL NEONATO TRA NATURA E CULTURA Queste idee si modificano nella situazione di effettiva interazione con il proprio neonato, sebbene l’esperienza abbia sempre una fun- zione correttrice a posteriori del comportamento adulto, che rimane prevalentemente ispirato alle credenze precedentemente assunte. Il neonato è un potente simbolo per l’adulto e le sue capacità si fanno strada nell’interazione con l’adulto stesso e per quanto sia de- stinatario di attese, previsioni e ruoli di segno spesso contrario, egli è al centro dell’attenzione. Potremmo esemplificare il suo arrivo come quello di un amante che riteniamo colpevole (incapace) e che mano a mano fornirà le prove della sua innocenza ( = capacità e competenza) sebbene noi fossimo pronti ad amarlo anche da reo (incapace). Così le prove, per quanto numerose, non riescono a cambiare il quadro generale di riferimento dell’educatore. Come non basta avere incontrato alcune donne che guidano bene per cambiare il pregiudizio maschile, così per cambiare le idee di un genitore non basta il suo neonato-competente. 1.5 Lo stereotipo estetico: il nostro brutto lattante La rappresentazione stereotipata del bambino stimolò nel 1977 il gruppo di ricercatori romani capeggiati da Ponzo (Panier-Bagat, D’A- lessio) a indagare anche altri aspetti della relazione adulto-neonato. Lo spunto fu offerto da un lavoro di Huckstedt (1965) sulla pre- ferenza estetica del prototipo infantile. L’ipotesi dell’autore era, se- condo il modello etologico di Lorenz, che le caratteristiche infantili che vengono preferite dagli adulti, come la testa con un grande svi- luppo della parte encefalica, corrispondano al prototipo infantile; co- stituiscono cioè un insieme di segnali atti a suscitare la protezione e la tenerezza. L’accentuazione della testa e delle guance costituirebbe una sorta di sovrastimolazione per gli adulti. Il nostro studio si innestava su quello di Huckstedt ampliandone l’interpretazione dei risultati secondo l’ipotesi che la gradevolezza estetica del neonato, dichiarata tanto spesso da amici e parenti dei piccoli appena nati, rappresenti solo lo strato più superficiale della rappresentazione costituita da un effettivo sentimento di ambiguità e pregiudizio degli adulti. A soggetti, genitori e non, fu chiesto di esprimere un parere sui profili encefalizzati e normali di neonati di pochi mesi (FIG. 1.2). I risultati danno in ordine il seguente indice di gradevolezza: – I il prototipo del lattante con capelli; – II il lattante vero con capelli; 23
IL NEONATO FIGUR A 1.2 “Le teste dei neonati” Neonato vero Neonato prototipico con capelli con capelli Neonato vero Neonato prototipico senza capelli senza capelli Fonte: tratte da “Ricerche nel dogmatismo educativo”, n. 3, Bulzoni, Roma 1977. – III il prototipo del lattante senza capelli; – IV il lattante vero senza capelli. Il lattante vero che, nella maggior parte dei casi, è anche senza capelli riceve la valutazione estetica più bassa. La preferenza estetica è accompagnata da un giudizio di verità sempre a favore del prototipo rispetto al neonato, cosicché anche quando, ad esempio, nel caso del confronto del neonato vero con ca- pelli con il neonato vero senza capelli, il primo viene giudicato più bello perché i capelli lo rendono più gradevole, il giudizio seguente è di falsità e perciò globalmente negato. È come se l’adulto dicesse: il neonato è brutto e se in qualche caso sembra bello di sicuro non è vero. Siamo di fronte ad una rappresentazione che si esprime attraverso la svalutazione estetica e il rifiuto del neonato. 24
1. IL NEONATO TRA NATURA E CULTURA Anche in questo caso l’esperienza non si dimostra una variabile importante. L’esperienza, per essere efficace e fare accettare il neona- to, deve essere ripetuta molte volte o essere il risultato dell’abbina- mento personale-professionale, come nel caso delle ostetriche. Stiamo parlando di esperienza precedente richiamata attraverso valutazioni ed opinioni e non di esperienza in atto. In quest’ultimo caso c’è una sorta di verità di fatto per cui gli adulti che in quel mo- mento hanno un bambino o lattante davanti sbagliano significativa- mente meno di tutti gli altri. Salvo dimenticare rapidamente tutto ap- pena il loro figlio non avrà più quella età. In conclusione, il neonato sembra rappresentare una situazione- stimolo discrepante rispetto alle strutture percettive gradite. Forse la descrizione del neonato di Mark Twain, già citato da Ponzo, è più vera di quanto il suo modo paradossale di proporla faccia pensare. Ecco come l’autore descrive i sentimenti dell’adulto Adamo alla vista del primo neonato, suo figlio: [...] Non è un pesce. Quando non è soddisfatto emette strani, diabolici ru- mori, una specie di guè guè. Non è uno di noi perché non cammina; non è un uccello perché non vola; non è un serpente perché non striscia [...]. Niente mi ha mai sconcertato prima [...]. Provo pietà per il piccolo essere rumoroso, [...] se si potesse addomesticarlo [...]. 1.6 Natura e cultura nell’allevamento Il tema del ruolo biologico e culturale dell’allevamento della prole è stato negli ultimi anni investigato con strumenti e in situazioni abba- stanza ben definite. Certo non è possibile controllare o quantificare se la mancanza di una sufficiente base biologica del maschio possa poi determinare il loro classico atteggiamento di non investimento e di difficoltà a occu- parsi dei bambini. Già nel 1974 Maccoby e Jacklin nelle loro interviste chiedevano quale estensione dovesse o potesse assumere il coinvolgimento nell’al- levamento dei bambini per i giovani e gli uomini, e se vi fossero par- ticolari determinanti biologiche che, nella cura dei figli, potessero de- terminare preferenze “naturali” per un sesso o per l’altro. Questi problemi, insieme ad altre variabili sociali, sono certamen- te più facilmente studiabili delle influenze biologiche sul comporta- mento. La ricerca più recente si è indirizzata a indagare il comportamen- 25
IL NEONATO to reale e l’evoluzione di questo comportamento nei bambini, nei gio- vani e negli adulti. Le teorie in passato non avevano dubbi che ci fosse l’istinto mater- no, oltre al ruolo biologico della donna, a sostenere la necessità della relazione madre-figlio. Watson già aveva messo in evidenza il ruolo del contesto sociale, dell’apprendimento nella regolazione del comporta- mento materno con il bambino. Le osservazioni empiriche più recenti hanno descritto sempre più accuratamente le risposte del bambino ver- so l’adulto (maschio o femmina) e quelle dell’adulto verso il neonato. Lorenz (1943), come abbiamo visto, ha sottolineato il ruolo di una serie di caratteristiche fisiche come responsabili del comporta- mento umano verso il neonato: teste grandi, guance rotonde, arti pic- coli rispetto alla testa ecc. Proprio seguendo la sua ipotesi molti autori hanno studiato le reazioni di bambini, maschi e femmine, e di adulti, maschi e femmi- ne, a disegni, diapositive o videoregistrazioni di neonati, piccoli ani- mali ecc. in atteggiamenti allegri o tristi. Berman nel 1980 raccolse tutta la letteratura disponibile per verificare le direzioni dei risultati. Le ricerche condotte dal 1960 in poi con soggetti bambini, adole- scenti e adulti, che usavano come stimolo disegni di neonati o video- registrazioni con piccoli che piangevano o sorridevano ecc., controlla- vano le reazioni dei soggetti a livello della dilatazione delle pupille, dell’accelerazione del battito cardiaco, della conducibilità della pelle, della pressione sistolica e diastolica ecc. Per quanto i risultati si presentino frastagliati, tenuto conto che le ricerche si sono svolte in laboratori diversi con soggetti sottoposti a stimoli diversi ecc., tuttavia è chiaro che non indicano una base fisio- logica diversa a seconda del sesso, nelle reazioni di adulti e bambini alla vista di neonati. Un altro parametro che è stato molto studiato, a proposito delle reazioni degli adulti o dei bambini nei confronti dei neonati, si riferi- sce ai giudizi di preferenza o alle descrizioni utilizzate nei confronti di disegni o diapositive di neonati, bambini e piccoli animali. In questo caso le femmine mostrano, rispetto ai maschi, maggiori preferenze verso i piccoli, e danno giudizi di maggiore simpatia, atti- vità e potenza. 1.7 Osservazioni del comportamento Le situazioni stimolo si riferiscono all’osservazione delle modalità comportamentali di adulti e adolescenti nei confronti di bambini e neonati veri. 26
1. IL NEONATO TRA NATURA E CULTURA Complessivamente le differenze nei comportamenti non sono mol- te e comunque poco correlate alla variabile sesso. Piuttosto, le osser- vazioni evidenziano il ruolo di altre variabili situazionali che possono influenzare il comportamento; ad esempio la quantità di espressioni verbali rivolte ai neonati sembra dipendere più che dal sesso del per- sonale ospedaliero dal tempo che essi trascorrono nel nido. Così le differenze di comportamenti tra la madre e il padre, tenu- to conto del diverso tempo che essi trascorrono con il neonato, sono congruenti con la mancanza di differenze tra gli adulti che non sono genitori. I bambini maschi e femmine manifestano differenze sessuali solo dopo che viene detto loro di assumere il ruolo di chi si prende cura del bambino. I risultati dei giudizi e delle valutazioni di simpatia, gradevolezza ecc. possono essere ritenuti, più che genuine reazioni soggettive, delle autentiche interpretazioni di ruolo. Le femmine risponderebbero in effetti come esse sanno e suppongono la società si aspetti da loro. Quando infatti è stato osservato il comportamento di soggetti ma- schi e femmine in situazioni private o di fronte a disegni di piccoli non umani non sono state rilevate differenze di sorta. A proposito del ruolo sessuale nell’allevamento della prole dob- biamo concludere che esso non si presenta come un semplice unitario fenomeno biologico, ma piuttosto come un comportamento comples- so influenzato da componenti fisiologiche, caratteristiche sociali del contesto e personali del soggetto. Le differenze sessuali in questo caso variano appunto in funzione di queste variabili. La reazione al neonato può essere considerata una parte del complesso dei comportamenti di genere e ruolo che variano tra e all’interno delle culture. Sono state evidenziate e documentate differenze significative rela- tive alla quantità e qualità di interazione tra madre e bambino e ma- dre padre e bambino. Inoltre sembrerebbe che il genitore tenda ad interagire di più con il figlio del suo stesso sesso. Il comportamento sociale fa registrare molte differenze legate al sesso dei soggetti sia adulti che neonati. Infine il comportamento, con il neonato o con il bambino molto piccolo, può essere spiegato meglio osservando come agiscono i sog- getti molto giovani. Le attese di molti erano, ovviamente, che i sog- getti maschi, per le differenze sessuali, ormonali e temperamentali, avrebbero manifestato comportamenti e reazioni diverse dalle femmi- ne della stessa età. 1. Le ricerche passate avevano evidenziato che le bambine di tre 27
IL NEONATO anni o poco più hanno spesso comportamenti e interazioni più positi- ve con le loro sorelline di sei mesi, dei maschi di tre con i loro fra- tellini piccoli. Melson aveva approfondito questo aspetto con bambini dai tre agli otto anni. La sua indagine è stata molto ampia e si è ri- volta a indagare l’ammontare relativo delle conoscenze sui neonati: di che cosa hanno bisogno, chi si prende cura di loro, come si fa ecc. L’autore è stato innanzitutto sorpreso dalla grande quantità di cono- scenze che i bambini, anche molto piccoli, dimostravano di possedere sui neonati. I maschi in vari casi risultavano significativamente più in- formati delle femmine e infine la variabile più importante era l’espe- rienza fatta con un fratellino piccolo. 2. Su alcuni comportamenti del tipo “insegnare” qualcosa a un bam- bino molto piccolo, nessun autore ha trovato differenza tra maschi e femmine. 3. Le differenze trovate, in ogni caso, crescono velocemente e con l’età dei soggetti. E ciò ci rimanda al problema iniziale: mano a mano che il bambi- no anche molto piccolo percepisce il suo ruolo sessuale egli si com- porterà in modo congruente a ciò che ritiene sia il modello. Così le femmine si mostreranno sempre più attratte dai neonati che i loro coetanei maschi. Ovviamente queste differenze si stabilizzeranno nell’adolescenza. Gli adulti maschi migliorano la loro simpatia per il neonato durante il periodo di gravidanza delle mogli, e infine i nonni superano tutti, bambini, adolescenti e adulti, nel preferire i neonati o nel comportar- si affettuosamente con loro. In conclusione gli atteggiamenti verso i neonati sembrano cambia- re con l’età cosicché la relazione adulto-neonato è certamente specie- specifica e non sesso-specifica. 1.8 Conclusione Lo stereotipo estetico verso il neonato, le credenze erronee circa le sue competenze, la mancata base biologica nella tipizzazione sessuale della risposta e la capacità infantile a interagire con i piccoli sono tut- ti elementi che sottolineano il ruolo culturale nell’allevamento del neonato. La maggior parte delle società ha scelto di privatizzare l’in- fanzia, riservando i compiti di allevamento alla famiglia e, per quanto riguarda il neonato, elevando la madre a naturale responsabile della futura salute mentale e fisica del bambino. Anche molte teorie e contributi scientifici sono stati mano a mano 28
1. IL NEONATO TRA NATURA E CULTURA ricondotti nell’alveo di questo modello. Così la carenza di relazione con l’adulto è stata chiamata per anni carenza di cure materne; oppu- re l’opportunità della relazione, diventa la necessità e insostituibilità del rapporto con la madre per una costruzione soddisfacente del sé. Alcuni autori hanno proposto di valutare la relazione adulto-bam- bino come un sistema per cui tutti i rapporti tra conspecifici sono interazioni sociali e ciascun cambiamento comportamentale osservabi- le dentro tali interazioni assuma il carattere di un comportamento sociale. La relazione tra adulto e neonato, a causa delle disparità di abilità ed esperienza tra i due, comincia come un’interazione didattica dove uno è interessato a dare conoscenza e l’altro a riceverla. La relazione umana è una speciale tipicizzazione di interazione didattica a causa delle differenze comunicative dei due poli. Proprio l’assenza del lin- guaggio del neonato, ha fatto forse trascurare gli spunti, che pure la letteratura aveva fornito, per considerare il rapporto come basato su caratteristiche didattiche. Ad esempio le ricerche di Bruner (1968) avevano già messo in ri- salto l’istruzione come il carattere specie-specifico della cultura uma- na. Inoltre nello studio dei neonati Papousek propone di superare i termini apprendimento e capacità cognitiva individuati come sigle di due approcci, behaviorista e cognitivista, e di usare l’espressione ca- pacità integrative al fine di ridare unità a quello che in realtà è un unico processo funzionale. Nel parlare della relazione adulto-bambino, oltre che sottolineare la qualità didattica specie-specifica, bisognerebbe procedere allo stu- dio dell’interrelazione tra i processi affettivi, sociali e cognitivi. Ciò affinché possa emergere un neonato intorno a cui non sarà elaborata una teoria di presenza o carenza materna o di relazione privilegiata ma piuttosto saranno evocate tutte le possibili configurazioni didatti- che: attraverso i bambini, gli adulti e gli anziani. Bisogna ricordare, e sarà evidenziato in tutti i capitoli, che il neonato non è mai passivo. Anche se non sa parlare, non sa camminare ecc., rimane parte at- tiva del suo sviluppo. È fondamentale ricordarsene per aiutarlo a co- struire le migliori relazioni possibili con gli adulti e gli altri bambini, per offrirgli un ambiente stimolante fino al punto che... egli semplice- mente... mostra di gradire. Tra i neonati ci sono infatti differenze in- dividuali molto marcate nella risposta ad uno stimolo. Bisogna usare con cautela le sollecitazioni visive, sonore, tattili che ci vengono con- tinuamente proposte per... migliorare... anticipare... conquistare tra- guardi cognitivi. Molti studi hanno dimostrato che neonati sollecitati con oggetti, 29
IL NEONATO pupazzi ecc. piangevano e si dimostravano nervosi o addirittura pre- sentavano piccoli ritardi di sviluppo rispetto al gruppo di controllo non stimolato. E in ogni caso la fatica fatta a sovrastimolare poi nel tempo è inu- tile, perché le competenze faticosamente anticipate vengono acquisite da tutti i bambini nel corso dello sviluppo. È fondamentale mantene- re una relazione armoniosa tra l’esperienza nuova proposta e il livello di maturazione già raggiunto dal soggetto. Il modo più giusto per verificare che il neonato trae giovamento è il suo gradimento, la sua partecipazione. Sommario 1. Lo stereotipo d’età Si tratta dell’idea di infanzia che hanno gli adulti, contraddistinta da errori sistematici di sottovalutazione dalla nascita all’età prescolare e di sovravaluta- zione del bambino in età scolare. 2. L’infanzia: rappresentazione sociale Si può sostenere che sia una sorta di progetto culturale la cui costruzione è sotto i nostri occhi come “bambino incompiuto”: un costrutto intorno a cui si ammucchiano i segni di cambiamento e di conflitto: grandi dichiarazioni di dedizione accanto ad azioni di sfruttamento dirette o indirette; leggi pro- tettive fatte e successivamente eliminate, anticipo di responsabilità e confu- sioni di ruolo. Le tecnologie stesse giocano un ruolo importante nel distinguere e con- fondere la specificità dell’infanzia nella nostra cultura tecnologica. Riflessioni Domande concrete, analitiche, creative e pratiche 1. L’infanzia si conosce come natura o anche come cultura, perché? 2. La valutazione del bambino e del neonato è oggettiva, soggettiva o so- ciale? 3. L’esperienza cambia la percezione del neonato o del bambino? 4. Il neonato ci piace? 5. Quali adulti sbagliano di più nel valutare i bambini? 30
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