Il mormorio dei fantasmi: Aldo Moro, Romano Prodi e una seduta spiritica

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Il mormorio dei fantasmi: Aldo Moro, Romano Prodi e una seduta spiritica
Il mormorio dei fantasmi: Aldo Moro,
Romano Prodi e una seduta spiritica

La seduta spiritica, scritto da Antonio Iovane e appena pubblicato da Minimum Fax, è il primo libro
dedicato alla ricostruzione di un preciso passaggio del sequestro Moro, quello della seduta
spiritica di domenica 2 aprile 1978. È il momento in cui c’è un cambio d’inquadratura e la
geografia del sequestro si sposta di colpo sull’Appennino emiliano, in località Zappolino.

L’episodio sembra ricalcare il canovaccio di un racconto gotico: la casa di campagna, una giornata di
pioggia, un gruppo di amici, la seduta spiritica. I partecipanti sono dodici e tra di loro figura il futuro
Presidente del Consiglio Romano Prodi, all’epoca trentanovenne professore di economia e politica
industriale. La seduta va avanti per ore e il piattino, muovendosi, compone (anche) la parola «g-r-a-
d-o-l-i». In questa scena, descritta più volte di fronte alla commissione parlamentare d’inchiesta, le
contraddizioni irrisolte del caso Moro toccano un punto di eccezionale densità. Iovane prova
a raccontare da capo, si fa aiutare da Leonardo Sciascia e dal suo L’affaire Moro, elabora ipotesi e
inscena dialoghi, come in un documentario che si serve qua e là della fiction, ma non è semplice, per
il lettore, tenere a mente l’intreccio, l’accavallamento di prospettive e le disparate provenienze dei
personaggi coinvolti. Si resta increduli e sconcertati.
Il mormorio dei fantasmi: Aldo Moro, Romano Prodi e una seduta spiritica
Alla seduta spiritica non crede nessuno. Gero Grassi, pugliese come Moro, deputato PD di
provenienza morotea e membro della commissione bicamerale d’inchiesta sul rapimento e la morte
di Moro, ci va giù duro: pensa che chi ha sostenuto la versione della seduta spiritica dovrebbe essere
imputato per falsa testimonianza. Mi viene spontaneo riferire un episodio personale. Metà anni
Novanta. Ho circa vent’anni. Una sera d’estate mi trovo nella veranda di un amico, di fronte a un
piccolo orto e a delle piantine di pomodoro. Siamo una decina di persone intorno a un lungo tavolo di
marmo sotto una luce al neon. Un paio di questi vecchi amici millantano di possedere qualche
qualità da medium. Decidiamo di fare una seduta spiritica. Prendiamo un foglio, lo apriamo,
disegniamo tanti piccoli cerchi con le lettere dell’alfabeto, poi due cerchi a parte con scritto un «SI»
e un «NO», quindi tiriamo fuori una moneta da cento lire, e in un clima informale, i due amici, a
turno, con un fare navigato e colloquiale che mi sorprende, cominciano a chiedere se c’è qualche
spirito intorno, che magari ha un paio di minuti da perdere e desidera comunicare con noi. Teniamo
le dita sopra alla moneta. Aspettiamo. A un certo punto le cento lire cominciano ad animarsi.
Sono movimenti rapidi e imprevedibili, zigzag anarchici. Ci sembra evidente che nessuno sta
forzando. Siamo noi costretti a inseguire con le dita la monetina. Prima si muove senza logica da una
lettera all’altra, poi comincia a mettere insieme qualche parola e frase di senso compiuto, ma
su questo ultimo punto oggi non giurerei, è passato troppo tempo e la memoria non mi è d’aiuto.
Ricordo però perfettamente la velocità, le serpentine e l’incontrollabilità dei movimenti delle cento
lire sul foglio. La moneta sembrava camminare come se avesse avuto tante minuscole zampette.

Restituisco qui questa memoria personale, non per sconfessare Gero Grasso e gli increduli, ma
perché, leggendo La seduta spiritica, mi sono sorpreso nel vedere il mio ricordo aderire
perfettamente alla descrizione dei movimenti del piattino offerta da Alberto Clò, uno dei
partecipanti alla seduta. Iovane la riporta nel libro: «Traiettorie repentine, rapidi cambi di fronte,
erraticità». Stando alla mia esperienza, è una descrizione verosimile. Di più: riconosco nel tono e
nelle parole di Clò, riascoltate su YouTube, il mio quieto stupore di un tempo, quello di uno scettico
che all’improvviso assiste a un fenomeno più bizzarro che perturbante, senz’altro reale e
difficilmente spiegabile, eppure manifestatosi di fronte ai miei occhi in un modo piano e tranquillo,
perfino banale, come se la monetina mi avesse detto quella sera d’estate: «Lo vedi? È una cosa
normale, non paranormale, può succedere, e non c’è nulla di preoccupante in questo mio fare avanti
e indietro e andare a destra o a sinistra, come una macchinina telecomandata nella stanza di un
bambino, è così, accetta questo mediocre mistero».

Comunque, nella casa di campagna a Zappolino il piattino si sposta sulle lettere «g-r-a-d-o-l-i».
Secondo quanto scritto in un libro senza dubbio romanzesco ma colto e avvincente, Il misterioso
intermediario (di Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca, uscito nel 2003 negli Struzzi Einaudi), si
sarebbe perfino potuto leggere quel «Gradoli» spezzando il sintagma: GRADO-LI, laddove LI è il
numero latino che sta per «51», il che indicherebbe il grado più alto nella gerarchia massonica
conosciuta. Neppure i due autori de Il misterioso intermediario sembrano credere alla suggestione:
si lasciano prendere la mano dal côté esoterico, ci ricamano, partono dalla Parigi degli anni Dieci, da
Stravinskij e Djagilev, e io, come lettore, gradisco, ci sguazzo. Se infatti intorno al caso Moro si sono
scatenate tante speculazioni, è perché la vicenda, per la quantità ed eterogeneità di profili e poteri
coinvolti, per i tanti lati oscuri, per lo scontro tra grandi correnti della storia che nella sciagura viene
a compimento, per il lascito drammatico delle lettere di Moro e per la dismisura tragica dell’epilogo,
sembra stimolare più la mitopoiesi e l’affabulazione che non il freddo esercizio della ricostruzione
storica: è un vortice che nella sua bellezza risucchia e fa perdere la ragione e non si vorrebbe che
restare in mezzo a quegli eventi e continuare a capovolgerli e squadrarli, da un lato e dal lato
opposto, e poi ricominciare.

Del resto, anche questo La seduta spiritica è come un episodio spin-off, estratto da quella immensa
piattaforma e fucina di narrazioni seriali che è il caso Moro. Andando su YouTube a leggere i
commenti sotto il video con la deposizione di Alberto Clò in commissione, si trovano le parole
di una tale che dice a sua volta: «Facevo parte di un gruppo esoterico che ricevette un informale
invito a collaborare alle indagini sul sequestro Moro per il tramite dello scrittore Stanislao Nievo,
studioso del paranormale […] Da quella seduta emerse un lungo messaggio scritto […] In questa
risposta non c’era solo l’indicazione precisa del luogo: VIA GRADOLI, non Gradoli, ma anche altre
allusioni compromettenti sulle responsabilità. Quei fogli scomparvero nel 1985 insieme ad altri sulla
morte di Papa Luciani unitamente all’assassinio della medium del nostro gruppo che li custodiva»;
così come, camminando in questi giorni a Milano nei pressi della Fondazione Feltrinelli, mi è
capitato di notare sopra a una cassetta a due ante dell’ENEL un manifestino disegnato a mano, dove
i nomi di due fondatori delle Brigate Rosse, Renato Curcio e Margherita Cagol, si stagliavano in
mezzo a un vero e proprio labirinto di lettere piccole e piccolissime, quasi microgrammi walseriani,
parole miniate e nomi di luoghi, date, sostantivi ammassati l’uno contro l’altro, senza un verbo a
collegarli e senza poter ricavare uno straccio di senso, insomma un’opera minuziosissima e il frutto
di un delirio.
Gli ex brigatisti hanno ragione quando se la prendono e rivendicano la linearità della propria
vicenda, nata non da un complotto ma dal movimento operaio e dal conflitto tra capitale e lavoro.
Accettano la sconfitta, ma rifiutano di vedere la propria storia divorata dalla fiction… il
ragionamento non fa una piega, eppure… per tornare al libro di Iovane e farla breve, ma proprio
brevissima: la parola «Gradoli» corrisponde al nome di una strada dove al civico 96 si trova
un importante covo delle Br, ma il covo verrà scoperto solo a causa di un’infiltrazione d’acqua
provocata dal telefono di una doccia, aperto e tenuto in verticale da una scopa, mentre polizia e
carabinieri si erano in precedenza diretti da tutt’altra parte, lontano da Roma, nel paese di Gradoli.

Parentesi: il libro dedica più di un passaggio a uno strano fenomeno, un autoinganno della memoria;
infatti, molti protagonisti di questa storia, compreso il giudice Giovanni Pellegrino, sono convinti di
aver visto le immagini del servizio giornalistico che documentò il rastrellamento del paese di Gradoli
da parte delle forze dell’ordine; ebbene, dice Iovane, quelle immagini non esistono, eppure in
molti le ricordano. Ecco, io sono tra quelli che ricordano di averle viste, non all’epoca, ma
riproposte più tardi.

Sembra un caso di errore nella matrice in un romanzo di fantascienza. Le stranezze non finiscono
qui. Ce n’è una piccola piccola, per esempio, e la riporto, facendola di nuovo breve, brevissima: nei
55 giorni del sequestro Moro qualcuno spedì in via Gradoli 96 una cartolina, firmata «saluti B.R.».
La cartolina arrivò in via Gradoli 96, ma l’indirizzo a cui era stata spedita era, in realtà, una lontana
via dei Gladioli, e naturalmente viene facile interpretare il fatto come una oscura allusione a Gladio,
cioè alla struttura militare segreta di cui Moro parlò nei suoi interrogatori con le BR. La cartolina è
giusto una pagliuzza. Che cosa pensare, invece, del fatto che sia l’appartamento affittato alle BR, sia
altri appartamenti in uso ai neofascisti NAR nella medesima via Gradoli, erano di proprietà
riconducibili ai nostri servizi segreti? E del fatto che in via Gradoli 96 l’ex presidente della
Regione Lazio, Piero Marrazzo, incontrava una prostituta transessuale, Natalie, circostanza che, una
volta scoperta e diffusa con modalità poco chiare, scatenò la stampa più becera e perbenista e
provocò uno scandalo che costò molti guai a Natalie e al politico la poltrona e la carriera?

Infine: si pensò che Prodi e il gruppo di amici inventarono la storia della seduta spiritica in modo da
passare un’informazione preziosa alla polizia e al tempo stesso proteggere la propria fonte,
forse uno studente dell’Autonomia Operaia bolognese o un professore universitario a Cosenza con un
grado di separazione dai sequestratori di Moro.

Secondo Iovane, pure il fatto che quella domenica a Zappolino piovesse potrebbe essere una bugia,
avendo controllato il notiziario meteo dell’epoca. E allora Prodi e gli amici cucinarono una storiella,
iniziarono loro stessi a usare un po’ di letteratura nell’impasto del caso Moro, e nel farlo furono
influenzati da certi cliché e strutture del racconto gotico: la casa di campagna, una giornata di
pioggia, un gruppo di amici, la seduta spiritica. Insomma, ciascuno di noi è sempre parlato da
qualcos’altro, porta in sé un passato che mormora, e anche questa è una prova sul conto
dell’esistenza dei fantasmi.

Immagine di copertina: Photographs from a séance with Eva Carrière (1913)
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