Il lobbying tra governo e parlamento. Le costanti e i cambiamenti

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Il lobbying tra
                 governo e parlamento.
                              Le costanti
Liborio
Mattina               e i cambiamenti*

                           Lobbying e democrazia

Nonostante la sua importanza il lobbying ha sofferto nel nostro paese
di una reputazione negativa perché si è inizialmente diffuso nelle
democrazie anglo-americane, culturalmente lontane dalla tradizione
dell’Europa continentale che considera i partiti come i soli e legittimi
rappresentanti degli interessi collettivi. Per contro, i rappresentanti
dei gruppi – che attraverso il lobbying promuovono interessi setto-
riali – sono stati associati a condotte illecite e al malaffare.
    Nel caso italiano il discredito nei confronti del lobbying è stato
anche alimentato dal fatto che, durante la cosiddetta prima repubbli-
ca, i partiti politici hanno controllato la maggior parte degli accessi
alle sedi decisionali, costringendo gli interessi al passaggio obbligato
attraverso il filtro partitico. Il lobbying c’era, esteso virtualmente a
tutti gli ambiti e livelli del sistema istituzionale, ma mascherato ed
ufficialmente deprecato.
    Nell’Italia contemporanea permangono ancora ampie riserve nei
confronti del lobbying. Ma è anche cresciuta la consapevolezza che
il lobbying è un modo di rappresentare e promuovere interessi na-
turalmente associato al regime democratico. Le istituzioni pubbliche

   * Ringrazio Vincenzo Aprile, Pier Paolo Baretta, Fabio Bistoncini, Paolo Nuvoli,
   Pier Luigi Petrillo, Tiziano Treu, Claudio Velardi, Fabio Ventoruzzo per le preziose
   osservazioni esposte in occasione di interviste e seminari svoltisi a Roma tra il feb-
   braio 2010 e il maggio 2013, e utilizzate ora per la prima volta in questo saggio. La
   responsabilità dei contenuti è esclusivamente mia.

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Il lobbying tra governo e parlamento. Le costanti e i cambiamenti

assolvono infatti funzioni estese per rispondere alle domande di una
società civile complessa ed esigente. I molteplici compiti assolti dalle
istituzioni democratiche dilatano e specializzano le funzioni dello Stato
e danno vita ad una rete di apparati politici ed amministrativi che per
funzionare hanno bisogno di informazioni e collaborazione da parte
degli interessi organizzati. L’apertura delle istituzioni democratiche
agli interessi promuove la formazione di un sistema politico che, in li-
nea con la tradizione pluralista, favorisce il negoziato sempre e dovun-
que. E perciò, mentre legittimano se stesse, le istituzioni democratiche
legittimano anche l’attività degli interessi che concorrono, attraverso
il lobbying, alla elaborazione di decisioni vincolanti per la collettività.
    Non bisogna, comunque, dimenticare che l’apertura delle istitu-
zioni pluraliste alle richieste degli interessi organizzati ha acquistato
una certa legittimazione anche grazie al fatto che le nostre demo-
crazie sono state a lungo sostenute da un generoso Stato sociale. La
fase storica attuale appare invece caratterizzata da una significativa
riduzione nella distribuzione delle risorse generate dallo sviluppo
economico e dal commercio internazionale. Ne è derivato un males-
sere crescente tra vaste aree della popolazione e una critica diffusa
al funzionamento delle nostre democrazie che naturalmente investe
anche le attività di lobbying, proprio quando queste stavano comin-
ciando ad accreditarsi anche nei paesi europei.
    La ricognizione che più avanti presentiamo offre un quadro
apparentemente consolidato del funzionamento del lobbying nel
nostro paese. Ma le trasformazioni in corso nelle forme della par-
tecipazione e della rappresentanza rendono possibile una reazione
di rigetto nell’opinione pubblica e tra i cittadini anche nei confronti
del lobbying. Peraltro, il lobbying – come vedremo nell’ultimo
paragrafo – sta anche diventando più selettivo in conseguenza del
difficile periodo attuale, e quindi meno difendibile sul piano della
sua legittimazione democratica.

       Il lobbying nel sottosistema governo-parlamento

   Le attività di lobbying investono tutti i livelli del sistema istitu-
zionale nazionale e di quello sovranazionale imperniato, in Europa,
sulle istituzioni dell’Unione europea (L. Mattina, I gruppi di interesse,
Il Mulino, Bologna 2010).

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   Nel nostro paese il lobbying si manifesta in modo rilevante nel
sottosistema governo-parlamento all’interno del quale, in un rap-
porto che è insieme collaborativo e competitivo, le due istituzioni
danno corso alla produzione legislativa, con il parlamento che può
rallentare il processo legislativo ed emendare le leggi proposte dal
governo, ma non stravolgerle.
   Gli attori privati promotori del lobbying si possono distinguere
in quattro principali categorie:
   1) la prima è costituita dalle grandi associazioni rappresentanti
       gli interessi economici di vasti settori della società (Confindu-
       stria, Confcommercio, Coldiretti, Abi, sindacati ecc.);
   2) la seconda è data dagli uffici di relazioni istituzionali apposi-
       tamente creati da interessi che, per le loro dimensioni ed espo-
       sizione pubblica (associazioni di categoria, grandi aziende,
       società finanziarie), ritengono necessario creare una struttura
       interna permanente (in-house lobbying) dedicata a coltivare
       rapporti continui con i decisori pubblici;
   3) la terza comprende le società di consulenza indipendenti
       specializzate nel lobbying a contratto (contract lobbying), cioè
       le società private che mettono a disposizione le proprie com-
       petenze (expertise) e i contatti istituzionali per monitorare il
       processo legislativo e promuovere una causa che sta a cuore
       ai loro clienti;
   4) nella quarta rientra il lobbying individuale che comprende
       un’ampia categoria di persone in quanto può essere effettuato
       da avvocati, ex parlamentari con diritto – acquisito de facto – di
       accesso illimitato alle sedi istituzionali, giornalisti parlamenta-
       ri in servizio e in pensione, collaboratori degli uomini politici
       (i cosiddetti portaborse), ed altri.
   Tradizionalmente è il governo che avvia il processo legislativo e
che riesce, grazie alla sua maggioranza parlamentare, a far appro-
vare la maggiore quantità di provvedimenti legislativi. Questa è
una tendenza consolidata nelle democrazie avanzate e l’Italia non
fa eccezione. Si potrebbe, dunque, supporre l’esistenza di un’inten-
sa attività di lobbying già nella fase di elaborazione del dispositivo
legislativo. Ciò in realtà non accade perché gli attori privati possono
incontrare notevoli difficoltà ad intervenire nella fase iniziale del
processo legislativo durante la quale l’esecutivo, coadiuvato dalle
proprie burocrazie, mantiene una iniziativa autonoma. I governi,

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del resto, come pure i parlamenti, non operano mai come semplici
recettori delle richieste dei rappresentanti dei gruppi di interesse (v.
infra). Perciò il lobbying può avere successo se non entra in rotta di
collisione con le preferenze intense dei governi e delle maggioran-
ze parlamentari. Del resto, sarebbe azzardato da parte dei lobbisti
tentare di proporre al governo un disegno di legge sapendo quanto
lunghi ed imprevedibili sono i tempi perché un’iniziativa del genere
arrivi in porto.
   Esistono, comunque, alcune significative eccezioni. Infatti, a monte
del processo legislativo alcuni grandi gruppi economici e finanziari
(le società petrolifere, le società concessionarie delle autostrade, i
gestori del sistema ferroviario, le associazioni bancarie ecc.), rap-
presentati dai loro uffici di relazioni istituzionali, possono riuscire a
scrivere insieme alle burocrazie coadiuvanti i governi il testo iniziale
del dispositivo di legge grazie alla loro posizione di monopolio o
oligopolio in settori che offrono alla collettività importanti servizi
pubblici. Tali interessi solitamente si pre-
sentano direttamente al governo, come
fa, per esempio, l’Eni che conta molte
decine di funzionari impegnati a tempo          I   concessionari autostra-
                                                    dali hanno offerto contri-
pieno nell’attività di lobbying, a cui si buti finanziari equanimemen-
aggiungono le persone attive nella rete di te a tutti i partiti dei maggiori
relazioni istituzionali articolata sul piano schieramenti politici
territoriale che l’Eni ha costruito perché
le regioni hanno competenza su materie rilevanti per il colosso
energetico; prima tra tutte quella della estrazione degli idrocarburi.
   I grandi gruppi economici stabiliscono rapporti diretti con il go-
verno e i ministeri assumendo lo status di insiders. Per coltivare il loro
rapporto privilegiato con i governanti i grandi gruppi sostengono le
campagne elettorali degli uomini politici che possono risultare deci-
sivi all’accoglimento loro richieste. Conformemente a tale strategia,
la Federacciai ha, per esempio, finanziato, da una legislatura all’altra,
ministri e viceministri titolari del dicastero delle attività produttive,
indipendentemente dalla loro appartenenza partitica. Inoltre, per
evitare di puntare sul cavallo sbagliato, altri interessi come, per esem-
pio, i concessionari autostradali, hanno offerto contributi finanziari
equanimemente a tutti i partiti dei maggiori schieramenti politici per
mettere al riparo da rischi imprevedibili i loro bilanci che dipendono
dalle tariffe fissate dal governo di turno. In un altro caso, un impor-

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tante gruppo immobiliare romano ha preferito puntare soprattutto
su un cavallo della propria scuderia, finanziando per un periodo
prolungato il leader politico che aveva sposato la figlia del capo del
gruppo immobiliare («L’Espresso», Chi paga i partiti, 1 febbraio 2007).
    In passato, il lobbying a monte del processo legislativo traeva van-
taggio dall’esistenza di una burocrazia ministeriale poco attrezzata
e subalterna, che però ora sembra sia migliorata nelle competenze
e nello spirito di corpo (G. Capano, R. Lizzi e A. Pritoni, Gruppi di
interesse e politiche pubbliche nell’Italia della transizione. Oltre il clien-
telismo e il collateralismo, in «Rivista Italiana di politiche pubbliche»,
n. 3, 2014). Il lavoro delle burocrazie ministeriali è, inoltre, alleviato,
nell’attività di controllo sull’operato dei grandi gruppi economici,
dalle Autorità indipendenti preposte a vigilare sulle imprese nei set-
tori delle telecomunicazioni, dell’energia, del risparmio, delle attività
borsistiche. Per altro, alcune Autorità (Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni-Agcom, Autorità di Regolazione dei Trasporti-Art),
non si limitano alla vigilanza, ma svolgono anche compiti di rego-
lazione tant’è che le loro delibere possono avere sugli affari delle
aziende un impatto anche maggiore di quello derivante da una legge
dello Stato. Tra i funzionari delle Autorità sembra, tuttavia, diffuso il
fenomeno della revolving door. Cioè molti di essi, dopo aver matura-
to esperienza dentro l’Autorità, vengono assunti dai grandi gruppi
economici, sui quali in precedenza svolgevano attività di vigilanza,
ed impegnati quali lobbisti a prevenire le disposizioni limitative o
le penali nelle quali potrebbero incorrere. La revolving door sembra
invece assente tra i funzionari parlamentari che vantano uno status
elevato ed il prestigio della professione da difendere (Intervista 26
febbraio 2010).

                      Il lobbying parlamentare

   Gli interessi che non riescono ad intervenire a monte del processo
legislativo possono cercare di entrare in gioco al momento della ste-
sura dei decreti attuativi. I dispositivi legislativi sono spesso confusi
e di conseguenza bisognosi di una attenta lettura. Perciò un obiettivo
ambito dai lobbisti è l’esame congiunto con i burocrati ministeriali degli
articoli che rendono operativa la legge, per cercare di arrivare alla in-
terpretazione più favorevole al loro cliente (Intervista 17 febbraio 2012).

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   È il parlamento, in ogni caso, l’arena principale di intervento dei
lobbisti, perché offre opportunità di accesso anche agli attori di rile-
vanza economica minore e ai tanti interessi rappresentanti il lavoro
dipendente ed autonomo, le istituzioni del welfare, il mondo delle
professioni, gli interessi territoriali. Ciò non significa che i grandi
interessi economici, i quali hanno più facile accesso ai ministeri e al
governo, disertino il parlamento. La caccia all’emendamento in sede
parlamentare è un’attività che vede impegnati anche i grandi gruppi
i quali, attraverso i loro uffici di relazioni istituzionali o le società di
consulenza, si attivano, spesso con successo, «per chiedere cambia-
menti a norme che possono sempre essere migliorate» (L. Mattina,
La mobilitazione degli interessi e le liberalizzazioni ‘emendate’ del governo
Monti, in A. Di Virgilio e C. M. Radaelli, a cura di, Politica in Italia,
Bologna, Il Mulino, 2013).
   In Italia, i lobbisti attivi in parlamento concentrano la loro attività
soprattutto sulle commissioni parlamentari permanenti della Ca-
mera dei deputati e del Senato, che dispongono di poteri legislativi
sconosciuti alla maggior parte delle democrazie parlamentari, ma
possono legiferare, come ricorda Vincent Della Sala, solo su temi
che (secondo l’articolo 92 dei regolamenti della Camera) «non ab-
biano particolare rilevanza per l’ordine generale» (The Permanent
Committees of the Italian Chamber of Deputies: Parliament at Work?, in
«Legislative Studies Quarterly», vol. 18, n. 2, 1993). In ragione di tali
prerogative, le Commissioni parlamentari si sono rivelate il luogo
ideale per il recepimento delle istanze avanzate da tanti interessi
minuti. Anche perché il background formativo e professionale dei
deputati e i senatori facenti parte di alcune Commissioni li rende
sensibili alle richieste particolaristiche che vengono loro indirizzate.
Per esempio, alla Camera la commissione Lavoro pubblico e privato
raccoglie quasi tutti gli ex sindacalisti eletti nelle elezioni del 2013
mentre nella commissione Cultura, scienza ed istruzione prevalgo-
no i laureati ed insegnanti in materie letterarie e il 79 per cento dei
componenti della commissione Giustizia è costituito da avvocati,
laureati in giurisprudenza e magistrati (dati ottobre 2016).
   Dentro le commissioni, che alla Camera possono comprendere
anche 50 componenti, si votano centinaia di emendamenti nel corso
di diverse ore, mentre la maggior parte dei parlamentari ignora il
merito dell’emendamento votato, limitandosi a votare a favore o
contro in base all’indicazione dei capogruppo. Il numero dei par-

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lamentari attivi e veramente competenti – oltre al presidente della
commissione ai capigruppo e ai relatori – supera raramente le dita
                              di una mano. Questi parlamentari im-
                              pegnano spesso grandi energie per dare

M  anca un registro dei vita a provvedimenti legislativi coerenti,
   lobbisti                   magari raccogliendo ed omogeneizzando
                              gli emendamenti proposti dagli altri colle-
ghi. Ad essi si rivolgono i lobbisti che, quando riescono ad ottenere
un appuntamento, ricevono un tesserino provvisorio che consente
l’ingresso a Montecitorio o a Palazzo Madama. In mancanza di un
registro dei lobbisti, per assenza di legislazione in materia, che riporti
quali interessi il lobbista rappresenta e quali parlamentari si accinge
ad incontrare, in parlamento accedono tante persone che nei fatti
svolgono attività di lobbying. I collaboratori dei singoli parlamentari
(i cosiddetti portaborse), gli ex parlamentari, certi (veri o finti) gior-
nalisti parlamentari a cui vanno aggiunti 71 giornalisti parlamentari
in pensione (dato del 2015), sono alcuni dei palesi concorrenti dei
lobbisti professionisti. Tutti insieme ambiscono a stabilire contatti
con i parlamentari attivi nelle commissioni permanenti. Raramente
i parlamentari scelti quali interlocutori privilegiati vengono indivi-
duati dai lobbisti in base ad affinità ideologiche con i portatori degli
interessi da essi rappresentati. Le affinità ideologiche ormai contano
poco. È più probabile, comunque, che i rappresentanti degli interessi
si rivolgano ai parlamentari appartenenti ai partiti facenti parte della
maggioranza governativa perché tale scelta offre maggiori oppor-
tunità di influenzare l’esito del processo decisionale. D’altra parte,
quando una loro richiesta viene bocciata, o ignorata, i lobbisti pos-
sono rivolgersi ai parlamentari dei partiti di opposizione, sperando
di trovare una disponibilità almeno da quella parte. Insomma, come
dice il responsabile di una importante società di consulenza, «ci si ri-
volge a chi può dare meglio una mano» (Intervista, 17 febbraio 2012).
    I parlamentari disposti a esaminare le richieste di emendamento
sono incentivati a farlo dalla possibilità di promuovere provvedi-
menti che avvantaggerebbero la circoscrizione nella quale sono stati
eletti; oppure perché intendono coltivare buoni rapporti con grandi
aziende che potrebbero investire sul territorio da essi rappresenta-
to; o anche perché, semplicemente, fanno un favore ad un collega
parlamentare che ha chiesto di presentare l’emendamento. Né va
considerato residuale o secondario il fatto che il parlamentare può

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farsi carico dell’emendamento perché ritiene che la sua approvazione
tornerebbe utile all’interesse generale del paese.
   Le commissioni permanenti sono dunque i luoghi di accesso pre-
feriti, ma i lobbisti talvolta si attivano anche nei confronti dell’Aula.
Ciò accade quando diventa possibile un cambiamento nel dispositivo
legislativo preparato in commissione perché la materia esaminata ha
acquistato una particolare salienza politica, magari drammatizzata
dall’intervento dei media che allertano l’opinione pubblica (Semi-
nario 7-12-2012).
   Scarsa è, infine, l’importanza che i lobbisti danno alle audizioni
parlamentari alle quali tuttavia, se invitati, partecipano perché la
partecipazione aiuta ad accreditarli. Comunque, i presidenti delle
commissioni permanenti invitano solitamente le stesse organizzazio-
ni, dando per scontato che esse abbiano titolo effettivo a rappresen-
tare il mondo del lavoro, della produzione, della finanza, dei servizi.
Un funzionario parlamentare che ha lavorato per cinque anni nella
Commissione attività produttive della Camera non ricorda che sia
stato fatto anche una sola volta un controllo sulla rappresentatività
delle organizzazioni invitate (Intervista 31-5-2013). Va anche tenuto
conto del fatto che le audizioni, in tempi difficili, quando si legifera
poco per mancanza di risorse (v. infra), rischiano di diventare l’atti-
vità principale delle commissioni.

                Lobbying nella seconda repubblica

    Dalla seconda metà degli anni novanta del secolo scorso la platea
degli attori attivi nel lobbying tra governo e parlamento si è arricchita
della presenza di diverse società di consulenza (contract lobbying) che
hanno dato un’impronta innovativa all’offerta di intermediazione
degli interessi. Le società di consulenza erano poco più di trenta nel
2009. Dalle informazioni disponibili (su 18 di esse) è stato possibile
rilevare che erano per lo più di media-piccola grandezza (solo 4 di-
chiaravano un fatturato annuo pari o superiore al milione di euro) con
una clientela abituale costituita da grandi aziende o associazioni di
categoria, mentre raramente si avvalevano dei loro servizi i gruppi di
interesse pubblico (associazioni ambientaliste, dei consumatori ecc.).
Inoltre, quasi tutte offrivano ai loro clienti – quando richieste – anche
i servizi di crisis management e di comunicazione politica (M. Lorenzi,

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Società di consulenza per le relazioni istituzionali in Italia fra domanda ed
offerta: una prima indagine conoscitiva, in «Rivista italiana di politiche
pubbliche», n. 1, 2014).
    Le società di consulenza si sono affermate grazie a professiona-
lità combinata alla conoscenza dall’interno di uomini e meccanismi
della macchina politico-istituzionale. Senza le opportune conoscenze
non sarebbe stato possibile avviare un’attività che deve misurarsi
quotidianamente con l’impermeabilità degli apparati politico-am-
ministrativi e la farraginosità del processo legislativo. Infatti, i pro-
motori delle società di consulenza hanno solitamente maturato una
precedente esperienza dentro gli apparati governativi o parlamentari
come collaboratori di ministri o di leader politici, come giornalisti
parlamentari, come operatori in agenzie di lobbying già accreditate
presso le istituzioni pubbliche. Tale esperienza li ha messi in condi-
zione di conoscere bene i tempi e gli spazi del processo legislativo,
che studiano attraverso la mappatura del processo decisionale, senza
dimenticare di monitorare il contesto politico-istituzionale. In tal
modo, le società di consulenza individuano meglio dei lobbisti indivi-
duali gli interlocutori giusti con i quali stabilire un contatto evitando
di cercare il ministro quando può essere sufficiente contattare il suo
capo di gabinetto; o preferendo al colloquio con il presidente della
commissione parlamentare il contatto con il parlamentare che si
occupa della materia di interesse per i loro clienti.
    Può essere utile soffermarsi sulle condizioni che hanno favorito la
formazione delle società di consulenza perché tale esame consente di
segnalare i mutamenti avvenuti, negli ultimi vent’anni, nel numero
degli interessi in cerca di rappresentanza, nelle modalità di accesso
al processo legislativo, nelle dinamiche competitive tra i rappresen-
tanti degli interessi, nel dibattito in corso sul tema della trasparenza
nell’attività di lobbying.
    Come è noto, nel periodo 1990-2000 venne effettuato dai governi
dell’epoca un vasto programma di privatizzazioni delle imprese a
partecipazione statale, facenti capo all’Iri e all’Eni (energia, banche,
siderurgia, telecomunicazioni, trasporti, settore alimentare), su solleci-
tazione dell’Ue e per far fronte alla crisi della finanza pubblica. Le pri-
vatizzazioni crearono nuovi attori (singole imprese, consorzi di aziende,
ecc.) che hanno incrementato la domanda di rappresentanza nel sistema
della intermediazione degli interessi; ed hanno di conseguenza creato
un’opportunità favorevole alla nascita delle società di consulenza.

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    Un’opportunità ulteriore è derivata, nel corso della lunga crisi
politica degli anni novanta del XX secolo, dalla destrutturazione del
sistema partitico della prima repubblica, a cui seguì la nascita di nuovi
partiti con incerto avvenire ed un elevato turnover del ceto parlamen-
tare. Ne derivò il collasso del controllo partitico degli accessi alle sedi
istituzionali che era stato una delle cause non secondarie dell’aumento
delle pratiche collusive e corruttive nei rapporti tra attori privati, partiti
politici e pubblica amministrazione.
    La fine dei partiti gatekeeper degli accessi agli attori istituzionali e
alle burocrazie pubbliche ha creato condizioni favorevoli ad un rap-
porto tra interessi ed istituzioni sviluppato saltando la mediazione
partitica, e basato sulla qualità delle infor-
mazioni fornite dai portatori di interesse a
sostegno delle loro richieste (F. Bistoncini,
Vent’anni da sporco lobbista, Milano, Guerini     L    ’opportunità derivan-
                                                       te dal cambiamento po-
e associati, 2011). Ovviamente, il nuovo litico degli anni novanta è
contesto politico non ha spazzato del tutto stata colta dalle società di
via mentalità e prassi radicate. Ma l’oppor- consulenza
tunità derivante dal cambiamento politico
degli anni novanta è stata colta dalle società di consulenza che hanno
proposto ai loro clienti e ai decisori pubblici un approccio neutrale al
processo legislativo, disgiunto dalla ricerca di scorciatoie partitiche.
    L’ingresso delle società di consulenza nel processo legislativo ha
accentuato la competizione tra le associazioni che offrono interme-
diazione. Nel caso specifico è stata la Confindustria a soffrire più
direttamente la concorrenza delle società di consulenza perché esse
sono state le più pronte ad approfittare delle difficoltà della maggiore
organizzazione imprenditoriale manifestatesi all’inizio degli anni
novanta del secolo scorso.
    La Confindustria è sempre stata in realtà attraversata da tensioni
interne – tra grandi e piccole aziende, tra manifatturieri ed impren-
ditori del terziario, tra esportatori ed industriali domestici. Ma le
tensioni si sono accentuate a seguito della privatizzazione delle
aziende del gruppo Iri del 1994 e della loro successiva adesione alla
Confindustria. In particolare è divenuta presto difficile la convivenza
tra le aziende del settore petrolchimico – che ora finanziano in modo
significativo il sistema associativo della Confindustria – e le imprese
manifatturiere che soffrono l’alto costo dell’energia.
    Insomma, l’incremento del numero delle imprese aderenti alla

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Confindustria ha aumentato la complessità organizzativa della
maggiore associazione imprenditoriale e favorito l’insorgenza di
conflitti interni. Ne è derivato un maggiore impegno dell’apparato
confindustriale nel promuovere difficili mediazioni che rallentano la
formulazione delle posizioni ufficiali da negoziare con il governo e il
parlamento. Le difficoltà sono derivate anche dal fatto che è saltato
il monopolio della conoscenza sui problemi del mondo dell’impre-
sa e sulle normative relative, che in passato la Confindustria aveva
accreditato a proprio merito. Le informazioni sono ora divenute più
facilmente accessibili ad una platea più vasta di attori. L’insieme di
questi fattori ha reso evidente ad aziende ed associazioni di categoria
che una struttura di rappresentanza «leggera», come quella offerta
dalle società di consulenza, può essere più efficace nel rappresentare
gli interessi imprenditoriali con le controparti, perché può coniugare
expertise e rapidità all’insegna del motto «veloce è meglio di grande»
(Seminario 7 febbraio 2012).
    Segnaliamo, infine, che le società di consulenza, fin dal loro
ingresso nel processo legislativo, hanno chiesto l’istituzione di un
registro degli operatori ammessi alle aule parlamentari e ai corridoi
dei ministeri. In realtà, la richiesta dell’approvazione di una legge
istitutiva di un registro dei lobbisti è stata formulata da più parti
(legislatori, studiosi, gruppi di interesse pubblico, ecc.) nel corso
degli ultimi vent’anni ma non è mai riuscita ad arrivare in porto per
diverse ragioni (si vedano i contributi sull’argomento contenuti in
questo numero di «Paradoxa»). Qui ci limitiamo a segnalare che le
grandi associazioni (Confindustria, Confcommercio, Abi, Coldiretti,
i sindacati confederali), come pure le grandi aziende partecipate da
capitale statale (Eni, Enel, Finmeccanica) si sono mostrate tiepide
o apertamente contrarie all’istituzione del registro anche perché
esse vantano – attraverso il loro uffici di relazioni istituzionali – un
accesso collaudato ed immediato ai decisori pubblici. Diversamen-
te, le società di consulenza devono di volta in volta accreditarsi e
giustificare la legittimità della loro richiesta ad essere ascoltate. Cioè
devono superare difficoltà sconosciute agli insiders che preferiscono
mantenere il vantaggio acquisito e tenere a distanza i newcomers. Né
un registro dei lobbisti è gradito ai numerosi lobbisti individuali che
frequentano Montecitorio e Palazzo Madama, perché la regolamen-
tazione degli accessi evidenzierebbe che molti di loro non hanno
titolo a svolgere quell’attività. Insomma, l’ingresso delle società di

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consulenza nel processo legislativo ha riproposto l’attualità del tema
della trasparenza, della quale trarrebbero esse stesse vantaggio. Ma
ne trarrebbe vantaggio, più in generale, tutto il processo democratico.

                      Lobbying in tempi difficili

   Negli anni novanta del secolo scorso, i mutamenti che portarono
alla nascita della cosiddetta seconda repubblica – sistema elettorale
misto, bipolarizzazione, alternanza al governo – non ebbero conse-
guenze dirette sul lobbying che continuò ad indirizzarsi prevalen-
temente sul parlamento. Le commissioni parlamentari e, in misura
minore, l’Aula continuarono ad offrire opportunità favorevoli alle
richieste settoriali degli interessi. Ciò parrebbe dimostrato dal fatto
che nel decennio 1996-2006, durante la XIII e XIV legislatura, la Ca-
mera dei deputati, esaminò quasi 100 mila emendamenti, la maggior
parte dei quali venne approvata con maggioranze trasversali (G.
Capano e R. Vignati, Casting Light on the Black Hole of the Amendatory
Process in Italy, in «South European Society and Politics», vol. 13, n.
1, 2008), in particolare all’interno delle Commissioni parlamentari.
La collaborazione collusiva tra maggioranza ed opposizione rinnovò
una prassi che, come è noto, aveva caratterizzato il funzionamento
di questi organi parlamentari durante la prima repubblica ed aveva
aiutato i lobbisti a mantenere vantaggiose relazioni con parlamentari
disponibili a promuovere le loro richieste.
   Il quadro dei rapporti tra gruppi e decisori pubblici nel processo
legislativo è però cambiato nei primi quindici anni del nuovo mil-
lennio. Innanzitutto si è registrato un ulteriore ampliamento (la cui
entità esatta è tuttavia impossibile misurare) della platea degli attori
che fanno attività di lobbying. Le poche e meritorie ricerche che di-
sponiamo sull’argomento, pubblicate nel numero speciale dedicato ai
gruppi di interesse dalla Rivista italiana di Politiche Pubbliche (3, 2014)
segnalano che i settori del credito e delle assicurazioni, dell’agricol-
tura, della sanità e dei trasporti, il sistema pensionistico, il sistema
educativo, sono stati investiti dal vento del cambiamento che ha
favorito la articolazione degli interessi attivi nel processo legislativo.
   Non meno importante è stato il cambiamento nella modalità di
fare lobbying, che é avvenuto per impulso di fattori esterni alla dina-
mica del sottosistema governo-parlamento e si è manifestato con uno

                      paradox a · Ottobre/Dicembre 2016                    [ 55 ]
Liborio Mattina

     spostamento più a monte dell’attività di lobbying: sul governo e le
     burocrazie coadiuvanti – in particolare sul Ministero dell’Economia
     e delle Finanze – e meno sul parlamento. In particolare, sono stati la
     logica finanziaria emergenziale e gli indirizzi vincolanti in materia
     di politica economica dettati dall’Ue a indurre i governi «dell’emer-
     genza» a centralizzare prerogative e risorse nelle mani dell’esecutivo
                                  (G. Capano, R. Lizzi, A. Pritoni, Gruppi di

N
                                  interesse e politiche pubbliche nell’Italia della
       el corso della XV e transizione, 2014), con la conseguenza di
       XVI legislatura si è neutralizzare in larga misura la capacità
ridimensionata la capacità di intervento «correttivo» del parlamento.
del parlamento di parteci- L’attivismo del governo non è, del resto,
pare al processo legislativo come si è detto in precedenza, una novità
                                  perché è noto che quando si rende neces-
     sario decidere (o non decidere) su issues di grande rilevanza per la
     collettività, i governanti possono tirare le briglie e operare superando
     resistenze burocratiche e sollecitazioni settoriali.
         Nella fattispecie, diversi indicatori mostrano che nel corso della
     XV e XVI legislatura (2006-2013) si è ridimensionata la capacità del
     parlamento di partecipare al processo legislativo e di condizionar-
     ne gli esiti. È stato, infatti, dimostrato che si sono ridotti i tempi di
     approvazione delle leggi e la quantità della produzione legislativa,
     mentre è aumentata la capacità del governo di determinare l’agenda
     parlamentare e di far approvare senza modifiche provvedimenti di
     legge di origine governativa (F. Marangoni e F. Tronconi, La rappre-
     sentanza degli interessi in Parlamento, in «Rivista Italiana di Politiche
     Pubbliche», n. 3, 2014). Inoltre, è diminuita in misura significativa
     – tra la XIII e la XVI legislatura – la percentuale di leggi approvate
     in commissione e in aula tanto da ridurre, in certi periodi, il lavoro
     dei parlamentari a due giorni lavorativi e indurre in un’occasione il
     presidente della Camera a dichiarare sconsolatamente «a meno che
     il governo non presenti qualche decreto c'è il rischio di una paralisi
     dell'attività legislativa della Camera!» (Camere paralizzate. In un anno
     10 leggi, Il Corriere della Sera, 26 ottobre 2010).
         Il restringimento dei margini di iniziativa del parlamento ha
     indotto i portatori di interesse a volgere lo sguardo ancora più fre-
     quentemente che in passato a Palazzo Chigi e ai Ministeri (G. Capano,
     R. Lizzi e A. Pritoni, Gruppi di interesse e politiche pubbliche nell’Italia
     della transizione, 2014). La torsione verso il governo e le burocrazie

      [ 56 ]                    paradox a · Anno X n. 4
Il lobbying tra governo e parlamento. Le costanti e i cambiamenti

ha aumentato le difficoltà di accesso per i portatori di interesse,
perché i maggiori vincoli esterni che hanno condizionato l’operato
dei governi negli ultimi anni, hanno reso il processo legislativo più
selettivo e al tempo stesso più povero di risorse.
   Un’ultima annotazione va fatta sugli interessi che, superato l’o-
stacolo dell’accesso, sono attivi nel processo legislativo. Le ricerche
più recenti segnalano che in alcuni settori di policy è avvenuta negli
ultimi anni una frammentazione degli interessi che, come abbiamo
anticipato in precedenza, ha provocato un aumento del numero
complessivo degli interessi impegnati nel lobbying. Questa novità
non va valutata come l’indicatore di un maggiore uguagliamento
delle opportunità di lobbying influente per tutti i gruppi attivi. Le
poche ricerche esplorative appena menzionate, indicano, infatti, che
– nonostante la frammentazione del numero dei gruppi – sono gli
interessi tradizionali che continuano a condizionare il funzionamento
del processo legislativo grazie anche al mantenimento di consolidati
rapporti privilegiati con le burocrazie pubbliche.

                               Conclusioni

    In questo articolo abbiamo descritto i tratti costanti del lobbying
all’interno del sottosistema governo-parlamento, indicando gli at-
tori protagonisti, l’attitudine dei lobbisti a cercare l’accesso in via
preferenziale verso il governo e le burocrazie coadiuvanti o verso il
parlamento, l’importanza dell’attività emendativa del parlamento,
lo sviluppo delle società di consulenza e i fattori che lo hanno reso
possibile, la maggiore selettività nell’accesso, la frammentazione
degli interessi nei policy fields che, però, non genera uguagliamento
di opportunità di lobbying influente per tutti i gruppi attivi. Quest’ul-
timo argomento merita una riflessione finale.
    La disparità di opportunità potrebbe avere un carattere transito-
rio, perché i newcomers devono ancora consolidare la loro presenza
nel processo legislativo. Più avanti, il miglioramento delle relazioni
informali con i decisori pubblici potrebbe consentire ai portatori di
interesse svantaggiati di superare le attuali disparità di opportunità.
Le diseguali opportunità potrebbero, però, non essere contingenti, e
derivare dalla difficoltà di modificare un sistema di relazioni basato

                      paradox a · Ottobre/Dicembre 2016                    [ 57 ]
Liborio Mattina

      sul mantenimento dello status quo che i gruppi tradizionalmente
      attivi nei policy fields, e le burocrazie amiche, vigilano perché non
                                     venga cambiato. Perciò, non è scontato

N
                                     che prima o poi tutti i gruppi attivi in un
       on è scontato che pri- determinato settore di policy possano con-
       ma o poi tutti i grup- correre con uguali opportunità di successo
pi attivi in un determinato a configurare gli esiti del processo deci-
settore di policy possano sionale relativo a una certa issue. Si pos-
concorrere con uguali op- sono tuttavia adottare delle soluzioni per
portunità di successo                ridurre gli svantaggi degli interessi meno
                                     influenti. Per quanto riguarda il lobbying
      si potrebbero varare provvedimenti analoghi a quelli contenuti nel
      Lobbying Disclosure Act del 1995 approvato dal Congresso statunitense
      che stabiliscano l’obbligatorietà della registrazione dei lobbisti che
      operano dentro il circuito legislativo e la pubblicità degli atti intra-
      presi dagli interessi attivi per promuovere le proprie preferenze; cioè
      documentare la quantità di denaro speso per finanziare il lobbying,
      indicare gli uffici governativi e parlamentari contattati, specificare la
      quantità di personale impiegato da ciascuna società di consulenza per
      la promozione di una determinata causa, presentare rapporti periodici
      alle autorità pubbliche sull’attività svolta. Con misure appropriate
      bisognerebbe, infine, scoraggiare il fenomeno delle revolving doors.
      L’insieme di tali provvedimenti potrebbe forse aiutare, come auspi-
      cato da Robert Dahl, tutti i gruppi sociali e gli interessi coinvolti in
      una determinata deliberazione a far sentire la propria voce durante il
      processo decisionale. Dahl cioè assume come dato caratterizzante le
      nostre democrazie il fatto che i processi decisionali possano e debba-
      no aprirsi a tutti i gruppi interessati a determinate decisioni. Ma tace
      sul fatto – che dà per scontato – che la voce di alcuni può essere più
      sonora e autorevole di quella di altri.
         Per concludere, appare evidente che i temi della trasparenza del
      lobbying e dell’uguagliamento delle opportunità nei processi deci-
      sionali meriterebbero un approfondimento per favorire l’emergere di
      buone proposte atte a migliorare la qualità della nostra democrazia.
      Tuttavia il dibattito su tali argomenti nel nostro paese è ancora allo sta-
      to embrionale, per non dire assente. È auspicabile che questo numero
      di «Paradoxa» possa almeno in qualche misura riportare l’attenzione
      di tutti gli stakeholders (comunità scientifica, legislatori, portatori di
      interesse) su un importante tema immeritatamente trascurato.

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