Il fondo di solidarietà 2017: effetti e sostenibilità per i comuni italiani

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Il fondo di solidarietà 2017: effetti e sostenibilità per i comuni italiani
Luca Gandullia* Andrea Taddei**

Il fondo di solidarietà 2017: effetti e sostenibilità per i
 comuni italiani
 Abstract
 Il Fondo di Solidarietà Comunale ad oggi assolve al ruolo di strumento perequativo
 per il comparto comunale. In realtà la Legge n. 42/2009 Delega in materia di
 Federalismo fiscale disegnava un meccanismo diverso che le normative successive
 hanno disatteso. Tra queste vi sono la non istituzione del fondo per le infrastrutture e
 l’eliminazione della componente perequativa verticale che avrebbe dovuto
 equalizzare totalmente le discrepanze negative dai fabbisogni standard del singolo
 comune. La natura del Fondo di Solidarietà, infatti, è divenuta orizzontale,
 comportando un forte patto solidaristico tra Amministrazioni comunali contributrici e
 beneficiarie. Ciò risulta particolarmente vero in un Paese, come l’Italia, dove le
 differenze in termini di finanza comunale tra enti sono rilevanti. Il passaggio dalla
 perequazione basata sulla spesa storica a quella basata su fabbisogni standard e
 capacità fiscali, come previsto dalla Legge Delega, sconta la difficoltà nella stima di
 output per servizi la cui stessa natura non permette di ottenere sempre una
 misurazione efficace spesso per la qualità e/o disponibilità del dato. L’evidenza
 mostra come alcune tipologie di comuni siano maggiormente svantaggiate dall’attuale
 meccanismo; la simulazione al 2021, anno in cui vi sarà la definitiva messa a regime
 del sistema perequativo, mostra come in alcuni casi l’aumento dell’incidenza negativa
 della perequazione in rapporto alle entrate proprie di bilancio renderà non sostenibile
 il contributo al Fondo da parte di alcune Amministrazioni. Il paper partendo da un
 inquadramento teorico e metodologico della perequazione verticale e orizzontale,
 analizza la composizione e il funzionamento del Fondo di Solidarietà Comunale per il
 2017 ponendo particolare attenzione alla metodologia che sta dietro il calcolo dei
 fabbisogni standard e della capacità fiscale. Il punto di vista utilizzato integra la
 visione amministrativa comunale, considerando le ripercussioni che a livello di
 singolo comune una perequazione siffatta può determinare a livello finanziario e
 amministrativo. A tal fine, nelle proposte conclusive, si propone un meccanismo per
 rendere sostenibile a livello finanziario corrente il prelievo a titolo perequativo.

JEL Code: H71, H73, H77

Keywords: Perequazione fiscale, fabbisogni standard, capacità fiscale, federalismo fiscale

* Università degli Studi di Genova.
**Anci Toscana, Assessore al Bilancio del Comune di Empoli.
Il fondo di solidarietà 2017: effetti e sostenibilità per i comuni italiani
1. Introduzione
L’ultimo quinquennio ha comportato rilevanti cambiamenti nella finanza comunale, alcuni dei quali
strutturali e volti a cambiare nel profondo la gestione finanziaria degli enti. L’accresciuto rischio
della sostenibilità finanziaria dello Stato italiano ha portato ad una stagione di forte contenimento
della spesa pubblica che per gli enti comunali si è tradotta in tagli alla spesa corrente, parimenti, la
manovrabilità e le basi imponibili delle entrate del comparto sono state più volte variate, con
particolare riferimento all’imposizione immobiliare, con conseguente diminuzione nell’autonomia
finanziaria degli enti. Il recepimento del c.d. fiscal compact europeo ha poi portato alla definitiva
abrogazione del Patto di Stabilità Interno che da anni prevedeva la realizzazione di avanzi da parte
del comparto locale e il passaggio ai saldi come definiti dalla L. 243/2012. La sua provvidenziale
variazione ha istituito un unico saldo tra entrate finali e spese finali1 da conseguire in pareggio o in
avanzo quale nuovo livello di equilibrio da rispettare: il saldo finale di competenza. Questa
modifica si è resa necessaria e si è incardinata in una riforma ancor più grande e storicamente unica
per la finanza locale ovvero quella del passaggio ai nuovi principi contabili e alla competenza
finanziaria potenziata (anche detta contabilità armonizzata).
Quanto appena detto ingloba solo una parte del mutamento nel contesto normativo e finanziario dei
comuni, ma permette di capire come si sia definitivamente creato uno spartiacque con il passo
recente e di come si sia chiusa un’era della finanza comunale.
Se guardiamo al percorso a suo tempo delineato dalla Legge Delega in materia di Federalismo
Fiscale (L. 49/2009) che avrebbe dovuto portare all’attuazione di un effettivo e progressivo
decentramento delle risorse ai livelli di governo più prossimi al cittadino, si nota come molti siano
stati i rallentamenti e gli ostacoli incontrati. Tra le varie disposizioni contenute nella Legge vi è
quella della creazione di un sistema perequativo con lo scopo di superare la spesa storica e di far
convergere la spesa locale per servizi verso standard quantitativi e qualitativi, discernendo tra
funzioni fondamentali e non. Ad oggi il meccanismo perequativo in vigore risponde solo
parzialmente alle previsioni normative, peraltro modificate successivamente in parte. Viene meno la
parte di trasferimenti statali (finanziati con la fiscalità generale) volti a contemperare totalmente i
fabbisogni relativi alle funzioni fondamentali, non è istituito il fondo perequativo basato
sull’indicatore di dotazione infrastrutturale e non si considerano separatamente le due tipologie di
funzioni di spesa comunale.
Quello che ne consegue è un sistema a perequazione orizzontale e quindi a carico della fiscalità
locale che continua ad essere perfezionato e migliorato ma che, nel frattempo, crea degli effetti sui
bilanci comunali. In alcuni casi vi possono sono perequazioni positive non sufficienti a coprire i
fabbisogni delle spese fondamentali, in altri il prelievo negativo può comportare problematiche
nella sostenibilità finanziaria dell’ente. La sfida risiede nella creazione di un equilibrio tale che
questo “patto solidaristico” tra municipalità non si spezzi e si rifletta: da un lato in un accettato
dovere di contribuzione ad enti con minori capacità e dall’altro in un giusto sostegno alla parte di
spesa che deriva da variabili fuori dal controllo dell’Amministratore (elementi socio-demografici, di
localizzazione, ecc.) e che determinano particolari aggravi nell’erogazione di beni e servizi.
Il presente lavoro nella prima parte provvede ad un inquadramento teorico delle varie tipologie di
perequazione degli enti locali e comunali e approfondisce la perequazione orizzontale evidenziando
le tecniche volte alla stima dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali; nel capitolo successivo
affronta in maniera critica l’attuale costruzione e funzionamento del Fondo di Solidarietà Comunale
per il 2017, apportando, nell’ultimo capitolo, alcune riflessioni e proposte per la futura sostenibilità
del Fondo stesso.

1 Per entrate finali di intendono i primi 5 capitoli delle entrate e i primi 3 capitoli delle spese secondo lo schema del
D.lgs.118/2011. Alle entrate e spese finali si aggiunge il Fondo Pluriennale Vincolato in entrate e spesa al netto delle quote
rinvenenti dall’indebitamento (fino al 2019), mentre dal 2020 l’FPV includerà solo risorse derivanti dalle entrate finali.

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2. Le tipologie di perequazione

Le ragioni del decentramento del processo decisionale sono state ampiamente discusse da molti
economisti e sono strettamente associate ai lavori antesignani di Tiebout (1956) e Oates (1972). Il
decentramento è stato spesso considerato come una soluzione per aumentare la capacità di risposta
della politica alle preferenze dei cittadini e per rafforzare la responsabilità del governo locale.
Uno Stato centrale unitario tende a porre in essere una programmazione dell’intervento pubblico
uniforme a livello nazionale, mentre i livelli di governo decentrati si ritengono maggiormente
capaci di rispondere alle preferenze e alle esigenze dei loro residenti. Inoltre, i vantaggi informativi
e una maggiore responsabilità politica possono consentire alle amministrazioni locali di fornire beni
e servizi pubblici ed addirittura una redistribuzione più mirata a un costo inferiore rispetto al
governo centrale. La maggior parte degli economisti ritiene che i benefici del decentramento non si
estendano nella stessa misura dal lato delle entrate del bilancio statale. Il potenziale rischio di
concorrenza fiscale tra i governi locali, di esportazione fiscale per quanto riguarda i non residenti e
una varietà di altre esternalità rafforza l'idea diffusa che l'autorità che esercita il prelievo fiscale
dovrebbe essere più centralizzata possibile in un sistema federale rispetto all’autorità che spende tali
risorse (Smart 2007). Il risultato è in genere un fiscal gap di tipo verticale tra le entrate e le spese a
livello centrale e locale, che deve essere colmato mediante trasferimenti. Anche quando il potere
impositivo è decentrato, vi è la possibilità che il gettito derivante da tale potestà sia distribuito in
modo iniquo tra le amministrazioni locali, creando problemi sia in termini di efficienza, sia in
termini di equità nelle politiche fiscali del governo centrale (Boadway e Flatters 1982). Allo stesso
tempo, la maggiore responsabilità associata al decentramento può essere garantita solo quando i
governi sub-nazionali hanno un adeguato livello di autonomia e discrezione nel manovrare le
proprie entrate (Martinez-Vazquez 2007). In assenza di un sistema di trasferimenti compensativi i
governi locali non sarebbero completamente in grado di fornire beni e servizi pubblici con la
limitata possibilità di manovra fiscale devoluta dal livello centrale. Le disparità territoriali nella
capacità di produrre servizi pubblici locali solitamente derivano da una disomogenea distribuzione
delle basi imponibili, delle risorse e delle capacità produttive ma possono derivare anche da diverse
condizioni in termini di localizzazione (ad es. le municipalità montane o municipalità localizzate in
aree depresse economicamente). Da questo punto di vista la perequazione può essere considerata
come uno strumento per facilitare il raggiungimento dei benefici di un efficace decentramento,
evitando i suoi effetti negativi. Quando i governi locali sono destinati a svolgere un ruolo di primo
piano nella fornitura di servizi sociali, è inevitabile che dipendano per parte del finanziamento della
spesa su trasferimenti fiscali centrali.
Volendo descrivere brevemente le principali tipologie di trasferimenti intergovernativi, si suole
distinguere in base ad alcune variabili: l’ammontare dei trasferimenti, la modalità di utilizzo e il
modo in cui vengono erogati.
Secondo il primo discrimine, si parla di trasferimenti discrezionali quando è il livello di governo
centrale che decide l’ammontare da trasferire ai livelli locali; si parla invece di trasferimenti
automatici quando le somme derivano da algoritmi di ripartizione predefiniti.
In relazione all’utilizzo si distingue tra trasferimenti condizionati o vincolati, i quali sono legati a
particolari tipologie di spesa e trasferimenti incondizionati, ovvero senza vincolo di destinazione. In
base all’ammontare stanziato, i trasferimenti si dividono in limitati (close-ended), qualora vi sia un
plafond massimo delle risorse, e illimitati (open-ended) dove il governo centrale si impegna a
fornire tutte le risorse necessarie alla copertura di determinate spese o differenziali rispetto a
grandezze medie o standard.
Infine, in base alla modalità di redistribuzione si hanno trasferimenti in somma fissa (lump-sum
grants o non-matching grants) e trasferimenti volti a cofinanziare percentualmente le risorse
dell’ente (matching grants).

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Infine vi sono i trasferimenti di tipo perequativo, ovvero quelli a eliminare o attenuare le disparità
nei livelli di governo locali. In generale, la perequazione risponde a esigenze di equità orizzontale,
per cui cittadini in condizioni uguali devono essere trattati in modo uguale. Perequare significa, per
l’appunto, ripartire equamente, eliminare o ridurre le più forti disuguaglianze.

Esistono, in particolare, due modelli di perequazione in base a quale soggetto finanzia il fondo
perequativo da ripartire poi tra gli enti locali in deficit di risorse:
 • La perequazione verticale: il fondo perequativo è finanziato dallo Stato centrale con imposte
 nazionali per un importo pari alla somma di tutti gli squilibri finanziari negativi degli enti
 locali, che riceveranno in seguito il trasferimento perequativo spettante (Rizzi, 2013).
 • la perequazione orizzontale: a differenza del caso precedente, il fondo di perequazione è
 alimentato dagli enti locali con eccesso di risorse, ossia con squilibrio finanziario positivo e
 aventi per questo un trasferimento negativo. Il fondo così istituito, deve essere pari alla
 somma di tutti gli squilibri finanziari negativi degli enti locali, i quali riceveranno un
 trasferimento perequativo positivo.

Efficienza ed equità perequativa

La perequazione fiscale si pone l’obiettivo di ridurre le disparità fiscali tra giurisdizioni dello stesso
livello intese come differenziazioni nella capacità di disporre di entrate per soddisfare le esigenze di
spesa dei propri residenti. Dato che non si assiste nei Paesi decentrati a livello amministrativo e
fiscale ad un perfetto equilibrio tra devoluzione di responsabilità dal livello centrale a quello locale
e assegnazione di una sufficiente capacità impositiva e visto che le necessità di spesa e le risorse dei
vari enti sul territorio non hanno i medesimi livelli, la perequazione è diventata un topic sempre più
importante non solo nelle realtà federali. Vi sono sostanzialmente due principali tipologie di
trasferimenti perequativi: verticale e orizzontale. Il sistema è di tipo verticale quando l’intervento
viene condotto dal governo centrale e finanziato con risorse erariali. È orizzontale quando, di fatto,
si verifica tra amministrazioni locali attraverso trasferimenti monetari da enti ad elevata capacità
contributiva a enti con bassa capacità.
Per comprendere meglio le caratteristiche e gli effetti della perequazione sugli enti devono essere
primariamente analizzati gli aspetti attinenti all’efficienza e all’equità. Sotto il primo profilo,
l’argomentazione principale riguarda la mobilità delle persone: da un lato la perequazione può
condurre a una bassa mobilità del lavoro, producendo inefficienza; allo stesso tempo, però,
l’inefficienza in alcuni casi può anche essere conseguente all’assenza o a un non adeguato flusso
perequativo che potrebbe condurre a una mobilità lavorativa non sufficiente. Courchene (1970) ha
evidenziato come in Canada le politiche perequative dirette e indirette abbiano portato a una
riduzione nella mobilità dei lavoratori nelle Province Atlantiche al di sotto di quanto ottimale per il
Paese.
Boadway e Flatters (1982) sostengono che la perequazione porti a un miglioramento dell’efficienza.
Il modello da cui partono è quello dove sono presenti una giurisdizione ricca ad alta occupazione e
bassa tassazione la quale assicura al Governo centrale una parte sostanziale del proprio gettito e
alcune giurisdizioni con bassa capacità fiscale alta tassazione e disoccupazione. L’unico modo che i
residenti di queste giurisdizioni hanno di beneficiare di minori imposte personali e una maggiore
spesa per beni e servizi è quello di spostarsi nella giurisdizione più ricca. Di conseguenza, la
quantità di lavoratori che migra verso la giurisdizione ricca crescerà fino a determinare un alto
aumento della domanda di lavoro, con alcuni lavoratori disposti ad accettare salari più bassi di
quanto avrebbero potuto guadagnare altrove. In altre parole, una fornitura di servizi pubblici locali
non sufficiente, un’elevata tassazione, e bassi redditi porterà il lavoratore a trasferirsi. Nella
giurisdizione più ricca, però, potrebbe crearsi un’accentuazione della differenza tra residenti e nuovi
arrivati, aggravando gli squilibri sociali o, in termini più economici, causare costi di congestione

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della zona di destinazione. In questo contesto, un flusso perequativo, sia esso verticale o orizzontale
verso le giurisdizioni più povere può, ad esempio, contribuire a migliorare la fornitura di beni e
servizi o alleviare la pressione fiscale al fine di diminuire la pressione migratoria. Tale visione è
condivisa da molti economisti poiché il trasferimento riflette non solo caratteristiche di equità, ma
permettono una migliore funzione allocativa quando il costo della perequazione è inferiore a quello
della congestione e dei costi sociali nelle giurisdizioni locali oggetto di migrazione. L’effetto
positivo del trasferimento si ottiene a condizione che non vi siano vincoli nella destinazione dello
stesso.
Un ulteriore aspetto riconducibile all’efficienza della perequazione dei livelli locali di governo
riguarda la concorrenza fiscale. Questo fenomeno è per certi aspetti fisiologico della
liberalizzazione degli scambi e della mobilità dei fattori produttivi entro un’area economica
integrata e specialmente nei sistemi federali. Gli enti entrano in competizione per procurarsi
vantaggi, come ad esempio accrescere il livello di benessere dei propri residenti e per perseguire
tale fine possono, se consentito dalla legislazione, utilizzare anche la politica tributaria. In
particolare, gli enti possono avere un incentivo a scegliere in modo strategico e non cooperativo le
proprie variabili fiscali, come le aliquote o le basi imponibili su alcuni redditi dotati di elevata
mobilità nello spazio (Grazzini e Petretto, 2004). Le strategie fiscali poste in essere da parte degli
enti producono così delle esternalità fiscali; viene a realizzarsi un’interdipendenza dovuta al fatto
che il livello di benessere dei residenti di un ente è influenzato dalle scelte di politica fiscale degli
altri e viceversa. Da queste interdipendenze può, ad esempio, risultare una generalizzata riduzione
del livello delle aliquote di imposta sui fattori produttivi più mobili, in quanto ciascun ente può
avere un incentivo a ridurre le proprie aliquote di imposta allo scopo di attrarre, all’interno dei
propri confini, maggiori basi imponibili sulle quali tali aliquote insistono. L’effetto è più forte
quanto più l’ente detiene la potestà di decidere il proprio livello impositivo per una parte rilevante
del proprio gettito. Le giurisdizioni più ricche riescono a finanziare la propria spesa e l’eventuale
contribuzione allo schema perequativo mantenendo una pressione fiscale più bassa delle
giurisdizioni più povere. Quest’ultime per arrivare a fornire il medesimo livello di beni e servizi
devono aggiungere a un notevole sforzo fiscale anche i trasferimenti. Quanto più i trasferimenti
perequativi sono bassi, tanto più sarà probabile assistere a fenomeni di concorrenza fiscale.
Questo tipo di fenomeno può avere effetti sul benessere complessivo dei residenti dell’intera area, e
spesso, a tali forme di competizione sono attribuite inefficienze che si manifestano dal lato del
bilancio, cioè in relazione al livello e alla composizione della spesa pubblica. Tuttavia, la letteratura
economica ha sottolineato come alla concorrenza fiscale possano essere associati anche aspetti
positivi, come, ad esempio, la possibilità di porre in essere una disciplina che incentiva il controllo
della spesa e limita le distorsioni associate a una pressione fiscale troppo elevata.
Per quanto riguarda l'equità, l'obiettivo centrale di un trasferimento perequativo è quello di
consentire agli enti decentrati con differenti capacità di aumentare le entrate per fornire livelli
comparabili di servizi a livelli comparabili di proprie tasse. La capacità fiscale di tali giurisdizioni
dipende sia dalle basi imponibili a loro disposizione e dalla distribuzione territoriale di queste basi.
Poiché nessun Paese è completamente uniforme lungo il proprio territorio da un punto di vista
economico e fiscale, si avranno diverse giurisdizioni con diverse capacità fiscali, alcune delle quali
non in grado di fornire lo stesso livello di servizi pubblici alle stesse aliquote fiscali di altre
giurisdizioni. Dal momento che un ente “povero”, ovvero con una più piccola base imponibile (pro
capite) riuscirà a raccogliere meno entrate per un certo livello di imposta rispetto a un ente “ricco”,
due individui identici che vivono in queste due giurisdizioni locali diverse non riceveranno lo stesso
livello di servizi pubblici a parità di imposte pagate. In alternativa, per ottenere lo stesso livello di
servizi, l’ente “povero” sarà costretto ad inasprire la propria pressione fiscale (Vaillancourt e Bird,
2010).
Il dibattito scientifico internazionale riguardo all’equità dei trasferimenti perequativi ha due visioni
contrapposte. Vi è una corrente che si oppone alla perequazione destinata agli enti, in quanto se i
residenti di un’Amministrazione sono poveri e non riescono a finanziare sufficienti beni e servizi

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pubblici come invece avviene negli enti più ricchi, dovrebbero essere loro stessi e non l’ente a
beneficiare di trasferimenti di denaro sotto forma di sussidi lavorativi o finanziamento di iniziative
di specializzazione e formazione lavorativa, ecc. dal livello centrale di governo.
Coloro che sostengono la perequazione vedono come inaccettabile un’elevata differenza tra il
carico fiscale degli enti. Limiti massimi nella pressione fiscale e standard di beni e servizi minimi
non dovrebbero essere superati. La perequazione serve proprio a non superare certe soglie.
Il decentramento, quindi, fallisce nel senso di trattare in modo uguale situazioni in modo uguale
(Boadway, 2001). L’equità orizzontale il cui assunto di base è che due persone che sono uguali, ma
vivono in diverse zone dello stesso Paese dovrebbero considerarsi “uguali” anche se vivono in
regioni diverse è un concetto che ancor oggi non è pienamente accettato da tutti o per lo meno non
quanto il principio di equità verticale2. Un concetto più raffinato ed esteso dell’equità orizzontale è
quello, invece, del beneficio fiscale netto (net fiscal benefit) ovvero la differenza tra le imposte
pagate e i servizi pubblici ricevuti (Boadway, 2001). Questo approccio permette non solo di
considerare differenze nelle basi imponibili o nelle aliquote ma di porre in considerazione tali
aspetti con i servizi pubblici erogati nei diversi enti in base alle preferenze degli elettori.
L’equità fiscale può quindi essere raggiunta quando il beneficio fiscale netto è identico per le
giurisdizioni: se un ente A impone aliquote superiori all’ente B ma contestualmente offre un elevato
livello di servizi allora il beneficio fiscale netto può risultare uguale per contribuenti con medesime
caratteristiche in entrambe le giurisdizioni considerate.

La perequazione dei fabbisogni e la perequazione delle risorse nei trasferimenti orizzontali

Nel dibattito su quale debba essere la finalità e la struttura dei trasferimenti perequativi si suole
distinguere tra flussi che vanno a perequare la spesa o i fabbisogni e la capacità fiscale dell’ente. La
combinazione di queste due finalità porta ad una terza possibilità ovvero quella di diminuire o
estinguere il gap tra fabbisogni e capacità fiscale. Nessuna di queste modalità necessariamente si
rivolge a tipologie di trasferimenti prettamente verticali od orizzontali: in molti casi studio
presentati nei lavori di Shah (1996), Ahmad (1997) o di Färber e Otter (2003), ad esempio, la
perequazione basata sui fabbisogni di spesa viene svolta attraverso trasferimenti verticali dallo Stato
centrale agli enti locali; in altri casi come in Australia e Danimarca, invece, tali finalità sono
perseguite con trasferimenti orizzontali.
Le strategie perequative divergono molto da Paese a Paese e non è possibile individuare un’univoca
chiave di lettura nell’utilizzo dei trasferimenti verticali e orizzontali.
In un Paese federale come la Svizzera il sistema perequativo, recentemente riformato nel 2008,
prevede primariamente una perequazione verticale che va a sostenere le risorse dei Cantoni
finanziariamente più deboli con una generalizzata attenzione alle caratteristiche socio-demografiche
o geo topografiche che creano aggravi maggiori rispetto ad altri Cantoni. A questa si accompagna
un meccanismo orizzontale limitatamente alla perequazione delle risorse dei Cantoni più deboli che
per Legge non può essere al di sotto dei 2/3 e non sopra i 4/5 della perequazione verticale delle
risorse.
L’evidenza in uno Stato unitario come il Regno Unito, invece, mostra come la creazione di un
modello di spesa standard rientri in uno schema di perequazione verticale (Else 2003). Viceversa la
Danimarca, altro Stato unitario, usa uno schema perequativo orizzontale per i fabbisogni di spesa
che è basato sulla differenza tra la spesa media pro capite e la spesa effettiva dei propri governo
locali. I criteri dei fabbisogni sono definiti in modo centrale e non hanno correlazione con la spesa
storica degli enti locali; inoltre tali trasferimenti sono erogati in somma fissa (non-matching) (Mau
Pedersen, 2003).

2Il principio dell’equità verticale prevede che soggetti con diversa capacità contributiva
debbano essere tassati in modo diverso.
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Per quanto attiene la perequazione basata sul costo del servizio, vi è una certa comunanza nel
dibattito accademico nel considerarla non efficiente. Boadway (2004) considera la perequazione del
costo del servizio come una perdita di efficienza dato che i prezzi di beni e servizi pubblici sono già
di per sé distorti. In tale casistica la perequazione eliminerebbe l’incentivo di adattare la produzione
di beni e servizi in base al loro vero costo.
La ponderazione dei trasferimenti sul differenziale tra capacità fiscale e fabbisogni di spesa è la
tipologia di equalization design che negli anni più recenti ha avuto maggiore sviluppo e interesse.
Per Ladd (1994), tale ammontare può ben approssimare la parte di trasferimenti da devolvere ai
livelli subnazionali da parte dello Stato centrale, purché ciò avvenga attraverso trasferimenti
necessariamente verticali (Shah 1996; Tannenwald 1999). Tra i Paesi che adottano questa
metodologia vi è l’Australia. La determinazione dell’ammontare del fondo perequativo è riservata
al Governo centrale che lo stanzia in base a considerazioni macroeconomiche. La redistribuzione
delle risorse federali avviene attraverso un sistema che valuta sia i fabbisogni che le capacità fiscali
anche se Shah (1996) giudica tale metotologia “somewhat crude, imprecise and subjective. […] (It)
could only work if an atmosphere of exceptionally high degree of compromise, cooperation and
accommodation prevailed among the governments involved.”. Anche in questo caso i trasferimenti
sono di natura verticale e sono più alti ove il gap tra fabbisogni e capacità fiscale è maggiore.
Nella discussione tra economisti su quale tipologia di disparità debba essere maggiormente
considerata e quali siano le conseguenze della perequazione in termini di efficienza, incentivi,
neutralità allocativa ed equità, non vi è alcuna evidenza che provi che la perequazione dei
fabbisogni di spesa o dei costi dei servizi debba essere orizzontale. Al contrario, la tendenza della
recente teoria economica sembra preferire trasferimenti di tipo verticale quali mezzo più idoneo di
perequazione dei fabbisogni rispetto alla solidarietà orizzontale (Garcia-Milà e McGuire, 2004).
È innegabile che affinché una perequazione orizzontale funzioni si necessita di un compromesso
solidaristico e politico importante, il quale richiede molta coesione tra i territori. Nell’opinione
pubblica vi è una certa accettazione del fatto che comunità più ricche possono devolvere parte delle
proprie risorse verso giurisdizioni con capacità fiscali ridotte. Risulta più ostico accettare per i
cittadini che siano le differenze tra i fabbisogni di spesa o i costi dei servizi a venire perequate. In
questo caso la perequazione orizzontale farebbe sì che i beneficiari di servizi in una giurisdizione
con bassi costi pro capite dovrebbero accettare un incremento nel costo dei propri servizi al fine di
sovvenzionarne altri in altre giurisdizioni dove hanno un alto costo. Ciò comporterebbe una
distorsione dell’effettivo ammontare della tassazione locale per i servizi pubblici e causare
inefficienza allocativa.
Strettamente legato a questo punto è la modalità di finanziamento di tale perequazione: il fatto che
vi sia, a parità di prelievo, un aumento del costo del servizio nella giurisdizione per trasferire risorse
alle giurisdizioni dove il servizio costa di più comporta un’inefficienza in quanto i cittadini
dovrebbero pagare per quanto ricevono in termine di servizi. Con tale solidarietà vengono a crearsi
falsi segnali di prezzo. Quanto detto è ancor più vero nel caso della tassazione, la quale si basa sul
principio della commutatività o, nel caso dei rifiuti, sul principio del “chi inquina paga” (polluter
pays principle).
Vi è poi la questione dirimente della natura delle differenze di costo che scaturiscono da un ente
all’altro, vale a dire se queste discrepanze siano dovute a differenze nella qualità o nel livello dei
servizi pubblici locali, a inefficienze, o a cause esterne. In caso di differenze nel livello o nella
qualità dei servizi, la soluzione deve essere trovata nella determinazione del livello "adeguato" o
"standard" del servizio. Se le cause sono delle inefficienze, la soluzione deve risiedere in
un’ottimizzazione nella gestione che dipende dall’ente erogatore. Solo se le differenze di costo sono
il risultato di circostanze esterne la perequazione può avere una giustificazione sostenibile. In
questo caso, tuttavia, l’attenuazione della differenza dovrebbe essere verticale, perché solo un più
alto livello di governo è in grado di fornire finanziamenti che siano più neutri possibile dal punto di
vista allocativo.

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Il Grafico 2.1 cerca di riassumere il principio solidaristico e la scelta del livello di perequazione
ponendo in luce i differenti effetti che possono derivare dalle diverse configurazioni dei
trasferimenti. Sull’asse delle ordinate vi sono le risorse pro capite degli enti prima e dopo la
perequazione orizzontale/verticale, dove il valore 1 rappresenta il livello medio. Sull’asse delle
ascisse, gli enti Locali sono distribuiti da quello finanziariamente più debole a quello
finanziariamente più forte in termini di capacità fiscale pro capite. Il valore 100 rappresenta la
capacità fiscale media. La retta è il punto di partenza pre perequazione, dove l’ente
finanziariamente più debole ottiene solo il 40% delle entrate pro capite medie che corrisponde al
punto D, l’ente più forte ottiene un valore ben più alto rispetto alle entrate pro capite medie con il
punto G. La retta dopo la perequazione diventa . Maggiore è la pendenza della retta ,
maggiori sono le differenze nelle capacità fiscali degli enti: la perequazione serve proprio a
diminuire la pendenza e ad avvicinarsi alla retta che rappresenta il livello in cui la
perequazione annulla le disuguaglianze. Il triangolo ̂ , invece, rappresenta la quantità di risorse
 ̂ rappresenta il
che vengono trasferite agli enti più deboli ai fini perequativi, mentre il triangolo 
contributo alla perequazione degli enti con capacità fiscale superiore alla media. Nel caso
rappresentato, l’ente più debole con capacità fiscale pari al 30% della media aumenta le sue entrate
grazie al trasferimento dal 40% al 55% portandosi al punto C. Parimenti, l’ente forte contraddistinto
da una capacità fiscale del 125% rispetto alla media, perde parte delle sue risorse che passano dal
115% al 110% della media.
Si desume con facilità l’importanza della definizione della pendenza o, in altri termini, del target
perequativo. In tale decisione la componente politica si pone necessariamente a fianco di quella
tecnica al fine di trovare un punto di equilibrio nella creazione di un livello sufficiente di solidarietà
che al tempo stesso non crei disincentivi. Ciò deriva dalla considerazione per la quale finché il
coefficiente di perequazione che determina la pendenza è minore di zero, allora solo una parte della
differenza nella capacità fiscale degli enti deboli sarebbe perequata e solo una parte del surplus
degli enti forti sarebbe concessa; con il coefficiente uguale a 1 si avrebbe la totale perequazione che
andrebbe a creare un disincentivo disastroso per la tassazione locale.
Qualora non si riesca a giungere ad un soddisfacente livello di perequazione a causa delle ampie
diversità delle risorse sul territorio, la componente verticale di un ipotetico intervento del Governo
 ̂ al fine di raggiungere livelli perequativi più alti.
Statale potrebbe intervenire sul triangolo 
In Germania e in Svizzera è stato posto per legge un limite al target perequativo dell’85%, ciò
significa che a ogni giurisdizione (Land o Cantone) la perequazione deve far sì che il gettito fiscale
standardizzato raggiunga per lo meno l’85% della media nazionale. L’esempio grafico dimostra
proprio questa casistica, dove un trasferimento verticale assicura il raggiungimento dell’85%
coprendo il triangolo più scuro ̂ . Ne risulta che gli enti fino al 90% della capacità fiscale pro
capite rispetto alla media sarebbero portati fino a tale livello di risorse.

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Grafico 2.1
Schema di sintesi del processo perequativo

Fonte: Elaborazioni su Dafflon e Vaillancourt (2003).

Il finanziamento della perequazione

Sia che la perequazione provenga dal livello centrale, sia che operi secondo un compromesso
solidaristico tra enti dello stesso di livello di governo, deve avere uno schema di finanziamento ben
delineato. Le domande basilari da porsi in merito a come debbano essere finanziati i trasferimenti
sono: quale fonte o fonti di entrata debbano essere utilizzate e secondo quale procedura e schema
decisionale.
Un primo approccio può essere quello di finanziare la perequazione attraverso una parte generica
delle entrate definita annualmente delle giurisdizioni locali coinvolte nel meccanismo perequativo.
Questa flessibilità nella determinazione dell’ammontare e della sua natura ha tre punti di debolezza:
il primo riguarda l’incertezza da parte della giurisdizione ricevente di poter usufruire delle
medesime risorse da un anno all’altro, rendendo peraltro molto difficile la pianificazione finanziaria
dell’ente; il secondo elemento di debolezza attiene al processo decisionale prettamente politico e
all’instabilità che esso comporta; infine l’ammontare annuale di perequazione sarà oggetto di un
probabile continuo tentativo delle giurisdizioni contribuenti più ricche di abbassare il livello di
stanziamento.
Una differente visione dell’alimentazione del meccanismo perequativo è quella che vede iscritta in
fonti normative primarie o costituzionali la modalità con cui una tipologia di entrata, o meglio un
insieme di entrate, è usata a livello centrale (trasferimenti verticali) o locale (trasferimenti
orizzontali) per lo scopo della perequazione. I punti di forza di tale approccio risiedono: nell’evitare
l’annuale dibattito su quale sia il giusto ammontare di perequazione da redistribuire; nello
scongiurare importanti variazioni nell’ammontare se vi è una sufficiente diversificazione delle fonti

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di entrata atte a finanziare la perequazione e se queste sono state scelte per la loro elasticità ai cicli
economici. Per contro, lo scegliere una sola o poche specifiche fonti di entrata dalle quali prelevare
una parte di gettito, assoggetta lo schema perequativo a fluttuazioni direttamente collegate
all’andamento economico del Paese.
Un terzo e ultimo approccio è invece quello che prevede che il fondo perequativo sia alimentato dal
gettito di diverse fonti di entrata e che tali disposizioni siano definite per legge o nella Costituzione.
L’elemento caratterizzante è quello di prevedere un “ammortamento” dei periodi di congiuntura
negativa prevedendo che negli anni di crescita e di espansione economica (più gettito) venga
lasciata al fondo una parte di risorse per rendere meno grave in termini di incidenza il prelievo di
risorse negli anni di congiuntura economica negativa o di recessione.
Guardando complessivamente ai tre diversi approcci, emerge come per il primo non sia auspicabile
prevedere una perequazione orizzontale, in quanto all’interno di una negoziazione per definire
l’ammontare e le modalità perequative c’è la necessità dell’intervento dello Stato centrale al fine di
raccordare posizioni necessariamente contrapposte tra ente contribuente ed ente beneficiario.
Per quanto riguarda il secondo e il terzo punto la perequazione orizzontale potrebbe ben adattarsi,
ma il livello centrale è richiesto per poter disporre di una potestà legislativa sufficiente per inserire
uno schema di perequazione tra enti in Costituzione o in norme nazionali. Risulta però
fondamentale la partecipazione degli enti locali al processo di creazione dell’impianto perequativo.
In merito al terzo approccio si rileva l’interessante caratteristica di stabilizzazione macroeconomica,
ma è estremamente difficile ipotizzare che le giurisdizioni più ricche possano prevedere un
maggiore prelievo in periodi di espansione economica per creare una riserva da utilizzare nei
periodi di rallentamento economico.

La definizione di fabbisogni e costi

Concentrando l’analisi sugli schemi di perequazione orizzontale risulta imprescindibile analizzare
le due più importanti determinanti su cui questo tipo di trasferimenti si basa, ovvero i fabbisogni
standard e le capacità fiscali. Questi due elementi hanno l’arduo compito di declinare quei livelli
standardizzati per le varie fonti di entrata e le varie funzioni di spesa che saranno le colonne portanti
di tutto il meccanismo di trasferimenti orizzontali.
I fabbisogni di spesa rappresentano una misura dell’ammontare minimo di spesa necessario a un
ente per fornire beni e servizi per i quali è responsabile. All’interno di uno stesso Paese i fabbisogni
tra livelli locali di governo possono variare molto per due principali ragioni.
La prima perché alcune giurisdizioni possono erogare un range più vasto di beni e servizi rispetto
ad altre. In molti paesi, l'attribuzione di funzioni amministrative ai governi locali dipende dalla
dimensione della giurisdizione. In generale, ai governi locali più grandi è assegnata una gamma più
ampia di servizi pubblici, con le città centrali delle aree metropolitane alle quali spesso viene
derogato il maggior numero di funzioni. Negli Stati Uniti, la funzione della sicurezza pubblica in
aree rurali e suburbane è spesso competenza dei governi regionali, mentre la sicurezza pubblica è
solitamente una funzione di competenza municipale nelle giurisdizioni più grandi. In quasi tutti i
Paesi, alcuni servizi pubblici sono sotto la responsabilità dei governi locali come, ad esempio, la
raccolta dei rifiuti urbani, la manutenzione stradale, la pulizia delle strade, le biblioteche, le
strutture ricreative ecc.. La competenza di altre e più costose funzioni come l'istruzione primaria e
secondaria o la sicurezza pubblica, variano da Paese a Paese, con competenze che riguardano in
alcuni casi i governi locali, in altri il livello provinciale o regionale o anche il livello nazionale (o
federale).
La seconda, e più importante, motivazione di differenziazione dei fabbisogni di spesa all’interno di
uno stesso Stato riguarda i fattori che non sono direttamente controllabili dall’azione amministrativa
dei vari livelli di governo. Per comprendere meglio quest’ affermazione è necessario distinguere il
costo del servizio dalla spesa per il servizio. Come evidenziato da Shah (2012), nella letteratura

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economica le differenze nei fabbisogni di spesa vengono indistintamente imputati a differenze nei
“costi” dei servizi. I bisogni, imputabili a fattori economici, ambientali, demografici, determinano la
domanda di servizi pubblici; i costi che invece derivano dalle caratteristiche proprie della funzione
di produzione del servizio e per parte ai prezzi dei fattori, generano invece l’offerta del servizio
stesso. Infatti, il livello di spesa di un certo ente per un dato servizio dipende da molti fattori: un
alto livello di spesa potrebbe riflettere la volontà amministrativa e politica di erogare un livello di
servizio più alto in termini qualitativi e/o quantitativi ai propri cittadini. Un livello di spesa al di
sopra della media potrebbe però anche essere il risultato di inefficienze nella produzione e
erogazione di beni e servizi, dovuto alla pessima gestione amministrativa, corruzione o a soglie
dimensionali e produttive al di sotto delle quali l’erogazione del servizio risulta inefficiente.
Solo la parte di spesa necessaria per fornire un determinato livello di servizio pubblico che deriva
da fattori sul quale il governo locale non ha alcun controllo rientra nel costo della fornitura del
servizio. La sfida metodologica è quella di disaggregare i dati sulla spesa effettiva nella parte
attribuibile ai costi del servizio (a volte indicata come “cost disability”), alla quota attribuibile alle
preferenze locali o alle politiche riguardanti il livello della prestazione del servizio e alla parte
attribuibile a inefficienze.
Prima di qualsiasi calcolo finalizzato a definire il costo “standard” di un servizio pubblico,
concettualmente deve essere precisato il concetto di quale sia il giusto livello di servizio da erogare.
Una possibilità risiede nel considerare come standard il livello medio di servizio erogato nel Paese
dai governi locali. In altri casi, in particolar modo nei Paesi in via di sviluppo, si suole utilizzare
come standard un livello tale da essere considerato come “minimo”.
L’elemento fortemente condizionante di questa fondamentale scelta è senza dubbio la variabilità del
costo del medesimo servizio nelle varie zone di un Paese e le motivazioni che li determinano.
Fondamentalmente si possono individuare quattro ragioni principali di diversificazione:

 a) differenze nella quantità e nella composizione degli input necessari a produrre il bene o
 servizio pubblico;
 b) differenze nei prezzi dei fattori o degli input;
 c) differenze nelle caratteristiche fisiche e geografiche (fattori ambientali);
 d) differenze nella composizione socio-demografica dei residenti di ogni ente.

Nel primo raggruppamento di differenze vengono ricondotte tutte quelle discrepanze che dipendono
in parte dalla tecnologia di base utilizzata per produrre il servizio: in base ad essa varia la necessità
e il peso di ogni input. Nel secondo caso le differenze scaturiscono dal fatto che il medesimo fattore
produttivo abbia un costo diverso all’interno dello stesso Paese. E’ il caso, ad esempio, del fattore
lavoro. Nei Paesi dove è lo Stato centrale a determinare i salari dei lavoratori degli enti locali, gli
stipendi riflettono sia le preferenze delle giurisdizioni locali in base al dipendente che vogliono
assumere (scelta dell’ente), sia le caratteristiche del mercato del lavoro (non controllabile dall’ente).
Solo quella parte di costo del lavoro non controllabile da parte dell’ente stesso dovrebbe essere
considerato come componente del costo del servizio pubblico. Attrarre personale qualificato con
posizioni di responsabilità o con maggiori retribuzioni (ad esempio la posizione organizzativa o le
posizioni dirigenziali ex art. 110 in Italia) è scelta dell’ente, per contro dover offrire le stesse
possibilità per attrarre personale in zone difficoltose da raggiungere o con maggiori problematiche è
parte del costo del servizio (elementi esterni all’ente).
Più semplici da definire sono le rimanenti due differenziazioni dovute alla localizzazione dell’ente e
alle caratteristiche socio-demografiche: alcuni servizi avranno costi maggiori se erogati in
montagna rispetto alla pianura o in zone periferiche rispetto a quelle urbane e via dicendo. Ciò
accade sia che l’erogazione dei servizi avvenga “a rete” (idrico, trasporto pubblico, gas,
telecomunicazioni ecc.) o “a punto” (scuole, asili, servizi demografici ecc.).
Le condizioni socio-demografiche ed in particolare quelle legate alla dimensione e alla densità in
termini di popolazione connaturano l’incidenza di un certo servizio su enti diversi: è il caso dei

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cosiddetti “U shaped average cost”. La “U” rappresenta la forma grafica che viene a crearsi
ponendo a confronto i costi pro capite di alcuni servizi per classe dimensionale dell’ente. Vi sono
alcune soglie sia produttive sia dimensionali per le quali produrre un bene o un servizio al di sotto
di una certa dimensione provoca inefficienza o, addirittura, difficoltà di sostenibilità finanziaria. Vi
è la necessità in alcuni casi che siano attivate economie di scala affinché vi sia continuità
nell’erogazione dei servizi. Ecco perché vi sono casi come quello dei servizi direttamente connessi
all’ente, come ad esempio il servizio demografico che incide molto negli enti più piccoli, in quanto
anche la minima dotazione di personale e di struttura è molto impattante in termini monetari; man
mano che la dimensione cresce l’incidenza va a diminuire per poi tornare a crescere per gli enti più
grandi. Quest’ultimo fenomeno è dato dalla crescente complessità che va a crearsi con il
superamento di certe soglie dimensionali. Un altro servizio simile è quello degli asili pubblici o
dell’istruzione.
L’evidenza empirica di alcuni Paesi mostra come la definizione di quali costi o caratteristiche
debbano essere prese in considerazione nelle formule di perequazione sia fondamentale e vari molto
da Stato a Stato. La chiave di una corretta definizione degli “standard” risiede nella precisa
identificazione, ove possibile, di quali siano i fattori che giocano un ruolo determinante nel costo
del servizio e determinarne quantitativamente l’importanza. Tutto questo processo ha però una forte
componente politica e di compromesso tra livelli di governo che in molti casi risulta determinante.

Metodologie di stima dei fabbisogni standard

Il delicato e complesso processo per addivenire alla definizione del livello “standard” di un servizio
può passare attraverso due diversi processi di stima: il Sistema rappresentativo della spesa
(Representative Expenditure Approach, RES) e il metodo del costo stimato con regressione
(Regression-based cost approach, RCA).
La prima metodologia, più semplice, è stata concepita in modo analogo alla RTS per le capacità
fiscali e consiste nella creazione di un modello che tenga conto di una molteplicità di fattori di
carico di tipo demografico, ambientale, socio-economico ecc.. Il metodo di calcolo è semplice,
trasparente, facilmente comprensibile e non necessita di grandi patrimoni informativi. Per contro la
sua semplicità non porta ad una stima che riesca a spiegare compiutamente le determinanti della
domanda e dell’offerta di servizi. Inoltre la scelta delle variabili di carico e il peso da assegnare a
ognuna nel modello rimane arbitraria e soggettiva da parte di chi utilizza tale metodologia.
La RCA è un modello più complesso in base al quale il fabbisogno standard di ogni ente è valutato
come valore atteso di una funzione di spesa o di costo, stimata utilizzando delle tecniche
econometriche. Con tale approccio le variabili da inserire nel modello di stima sono la risultante di
un modello teorico basato sull’interazione tra la domanda di servizio pubblico espressa dai cittadini
e l’offerta di servizio pubblico predisposta dal governo locale. Tra i fattori generalmente inclusi
rientrano i prezzi degli input utilizzati nel processo produttivo, una serie di variabili di contesto
relative all’offerta del servizio (ad esempio le caratteristiche morfologiche del territorio), nonché,
nella versione di funzione di costo, una misura della quantità del servizio offerto. Il peso con cui
ciascuna variabile agisce sulla determinazione del fabbisogno è determinato statisticamente e va a
determinare i fabbisogni di spesa attraverso la stima econometrica di un modello di domanda e di
offerta del bene o servizio pubblico. A seconda che si disponga o meno di un patrimonio
informativo preciso e definito si utilizzano due diversi tipi di funzione: se le variabili sono già
espressione dell’output dl servizio, solitamente si riesce a stimare direttamente una funzione di
costo; nel caso contrario, invece, di informazioni limitate allora si preferisce una funzione di spesa.
Di seguito saranno brevemente analizzate entrambe le metodologie.

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Funzione di costo

Una funzione di costo è una relazione statistica tra la spesa per un determinato servizio pubblico, le
misure degli output e quella di altri fattori che hanno un impatto rilevante sul rapporto tra spesa e il
livello dei servizi pubblici.
Sostanzialmente le variabili esplicative che rappresentano l’output di un dato servizio sono
osservabili e ben definite: ciò permette di andare a definire un costo “standard” unitario che viene
poi moltiplicato per la quantità obiettivo o per il livello essenziale delle prestazioni che si vuole
raggiungere; altra possibilità è quella di moltiplicare il costo “standard” unitario per la quantità che
storicamente è stata offerta dall’ente. Nel primo caso basandosi su due livelli standardizzati di costo
e quantità, il risultato è indipendente dal livello dei servizi offerti; nel secondo caso vi è una netta
dipendenza dalle scelte allocative dell’ente poiché si basa sull’erogazione storica del servizio che è
stata svolta.
In termini formali, Reschovsky (2007) partendo da una funzione di produzione di un servizio
pubblico:

 = ( , ) [2.1]

dove è il livello erogato del servizio j nell’ente i; è il vettore degli input necessari per la
produzione di e è il vettore dei fattori ambientali esterni (di contesto) e quindi fuori dal
controllo dell’ente che influenzano la relazione tra input e output del servizio.

Per passare alla funzione di costo si deve stimare la relazione tra la spesa per il servizio j, ovvero
 , il vettore prima definito degli input necessari alla produzione del servizio e il vettore dei prezzi
degli input , oltre ad un ultimo vettore che comprende le caratteristiche non osservabili dell’ente
che influenzano la spesa per il servizio, ovvero :

 = ( , , ) [2.2]

risolvendo la [2.1] per e inserendo nella [2.2] si ottiene una funzione di costo dove è
l’errore:

 = ℎ( , , , , ) [2.3]

La formalizzazione conferma l’importanza di due elementi: la disponibilità di dati sull’output e,
soprattutto, la definizione del livello di servizio pubblico da erogare.
Trovare efficienti misurazioni dell’output è spesso difficile sia concettualmente che empiricamente
(vedi Färber e Otter 2003 per una discussione del problema in Europa). Le origini e le cause di costi
non sono facilmente identificabili; quando lo sono, non sempre esistono dati adeguati. In alcune
tipologie di servizi, ovvero quelli a domanda individuale come la raccolta dei rifiuti urbani,
l’istruzione, l’asilo nido, il trasporto scolastico, i dati sull’output sono disponibili e di una certa
varietà nel definire i singoli aspetti dell’erogazione. Per altri servizi come il trasporto pubblico
locale o i servizi sociali, tale operazione è difficoltosa e i dati di output non sempre riescono a
definire una situazione di virtuosità o meno in base al servizio fornito.

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Funzione di spesa

Come detto in precedenza, nel caso in cui i dati a disposizione o la natura del servizio non riescano
a giungere a una significativa stima della funzione di costo, si suole utilizzare una funzione di spesa
per identificare i fattori di costo e determinare i fabbisogni di spesa degli enti. Come avviene nella
funzione di costo, la variabile dipendente è la spesa pro capite di un particolare servizio o di un
gruppo di servizi pubblici. La funzione di spesa utilizza variabili di contesto (indipendenti dal
livello dei servizi resi come la popolazione) o di carico (collegati al livello dei servizi resi come il
numero di bambini frequentanti per gli asili) che rappresentano i driver di domanda al fine di
spiegare la spesa pro capite. Questi fattori hanno il compito di approssimare i bisogni dei cittadini di
una certa giurisdizione non avendo la possibilità di utilizzare variabili di output. Sebbene questa
tecnica sia più semplice e immediata e, soprattutto, non abbia bisogno di individuazione di livelli
quantitativi essenziali del servizio, non può fornire informazioni sull’efficienza dell’ente
nell’erogare il servizio analizzato. È evidente che altrimenti le considerazioni sull’efficienza
sarebbero ridotti a considerare più efficiente l’ente che spende meno.
Variando Reschovsky (2007) per la formalizzazione di una funzione di spesa tipo, abbiamo:

 = ( , , , ) [2.4]

dove è il vettore delle variabili esplicative che inseriscono nel modello le preferenze per il
servizio pubblico j ovvero le variabili di carico. Come nelle precedenti equazioni, è il vettore di
prezzi degli input, mentre è il vettore delle variabili di contesto; infine è un termine di errore
casuale.
La maggiore ed evidente difficoltà nella creazione di un’efficiente funzione di spesa risiede nella
scelta e nel reperimento delle variabili che hanno il compito di approssimare il costo del servizio
analizzato. Dal punto di vista dell’inserimento o meno di alcune variabili nel modello di spesa,
emerge anche un potenziale problema nel riuscire ad isolare variabili che esprimono preferenze da
parte dei cittadini nella fornitura del servizio d quelle riferibili invece alla domanda per il servizio
stesso. A titolo di esempio si pensi alla popolazione over 65: un’alta incidenza di tale fascia di
popolazione può determinare un costo più alto nella fornitura di alcuni servizi come sicuramente
avviene per la spesa sociale; parimenti il fatto che gli anziani abbiano preferenze molto diverse da
quelle della popolazione più giovane fa sì che questa variabile possa anche essere utilizzata come
un indicatore di domanda. Fortunatamente, nella maggior parte dei casi è possibile identificare
prevalentemente o esclusivamente le variabili come un fattore di costo come fattore di domanda
all’interno della funzione di spesa.
Un interessante esempio di utilizzo di questo approccio è stato svolto riguardo alla perequazione
provinciale in Canada. Il programma di perequazione finanziaria canadese è stato progettato per
equalizzare i divari fiscali senza considerare il lato della spesa, infatti il diritto al trasferimento
perequativo della singola provincia non si basa sull’effettivo gettito fiscale ma sul gettito presunto
derivante dall’applicazione dell’aliquota media nazionale alla propria base imponibile. Questo fa sì
che le giurisdizioni siano libere di scegliere i propri livelli di spesa e di tassazione senza incorrere in
penalizzazioni. Shah (1996) critica il sistema canadese e dimostra con l’approccio sopra descritto la
possibilità di includere nel calcolo i fabbisogni di spesa relativi. Il suo approccio, che si riferisce
alla metodologia RES (Representative Expenditure System), stima delle equazioni di spesa in forma
ridotta. L’iter che segue è quello di suddividere le spese provinciali e locali in otto macro
raggruppamenti: viabilità e trasporti, servizi sociali, sanità, servizi di polizia e legati all’ordine
pubblico, istruzione post-secondaria, l'istruzione elementare e secondaria, servizi amministrativi
generali, e altre spese. Successivamente Shah prosegue con la stima di equazioni di regressione
separate per ogni categoria di spesa sulla base dei dati annuali per ciascuna delle 10 province del

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