Il calcio tra fascismo e Resistenza. La storia di Bruno Neri, da mediano a combattente antifascista.

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Il calcio tra fascismo e Resistenza. La storia di Bruno Neri, da mediano a combattente antifascista.
Il calcio tra fascismo e Resistenza. La storia di Bruno Neri, da
mediano a combattente antifascista.
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Simone Campanozzi

Testo esperto

Sappiamo quanto lo sport in generale, compreso il calcio, abbia contribuito al successo dell’immagine del fascismo
durante gli anni ’20 e ’30, attraverso l’accorta politica propagandistica del regime, il pieno controllo degli organi della
Figc, del Coni, delle federazioni sportive, dei principali giornali sportivi quali la Gazzetta e il Corriere dello Sport. Gli
stadi in particolare divennero veri e propri “teatri di massa”, dove si radunavano folle oceaniche cui poteva
facilmente rivolgersi la propaganda del regime, che si esprimeva anche attraverso gesti simbolici come l’imposizione
dell’obbligo del saluto romano prima dell’inizio delle partite. Ma lo sport ha combattuto anche la sua Resistenza e
per averne delle prove occorre ricercare le fonti documentarie, anche attraverso la memorialistica, in grado di
sottrarre dall’oblio atleti che hanno onorato lo sport senza rinunciare alla propria dignità di uomini, che hanno saputo
compiere scelte coraggiose, pagandone fino in fondo le conseguenze.

Il primo episodio assai eloquente che vede protagonista il nostro calciatore è riassunto in una immagine fotografica.
Era il 10 settembre del 1931, a Firenze si inaugurava l’avveniristico stadio progettato dall’ingegnere Pier Luigi Nervi,
intitolato alla squadrista Giovanni Berta. In campo per una amichevole la squadra viola, in cui militava Bruno Neri,
contro il Montevarchi.
Come si può vedere nell’istantanea, riportata nei documenti proposti, Neri è l’unico tra i giocatori allineati sul campo
prima del fischio d’inizio a non fare il saluto fascista. Un bel coraggio, non c’è che dire.

Bruno Neri era passato due anni prima, per diecimila lire, dal Faenza (sua città natale) alla società gigliata del conte
Ridolfi, che aveva finanziato la costruzione dello stadio di Campo di Marte, oggi Artemio Franchi. A Firenze sarebbe
rimasto fino alla stagione 1935-36, collezionando circa duecento presenze e realizzando un solo gol. In maglia viola
le sue pregevoli doti da mediano furono apprezzate anche da Vittorio Pozzo che lo volle prima nella nazionale B e
poi lo fece esordire in quella maggiore il 25 ottobre del 1935, in uno scontro con la Svizzera, valido per la Coppa
Internazionale e vinto dagli azzurri per 4-2. Nonostante fosse un ottimo mediano di interdizione, Nerì collezionò solo
tre presenze in nazionale. Dopo la Fiorentina vestì per una sola stagione la casacca rossonera della Lucchese,
allenata dal grande tecnico ungherese Ernest Erbstein, con il quale vivrà in seguito due esaltanti stagioni nel Torino,
dove giocherà per complessivi tre campionati, fino al 1940, per poi far ritorno al suo Faenza. Andò molto peggio ad
Erbstein, che all’undicesima giornata del campionato 1938/1939, quando il suo Torino era primo in classifica davanti
ai campioni d’Italia dell’Ambrosiana (come era stata autarchicamente rinominata Internazionale), venne convocato
in questura: era il 18 dicembre 1938, e le vergognose leggi razziali fasciste imponevano ad un cittadino straniero di
origine ebraica l’abbandono del nostro Paese. Anche le sue figlie, pur battezzate, furono costrette a lasciare la
scuola, come migliaia di altri studenti ebrei. Due mesi più tardi stessa sorte toccherà ad un altro grande allenatore,
Árpád Weisz, che aveva guidato il Bologna alla vittoria di due scudetti consecutivi, tra il 1935 e il 1937. Due tecnici
che avevano riportato grandi risultati calcistici e che, come nel caso di Weisz, avevano inventato gli “schemi”,
rivoluzionando il modo di giocare in senso moderno, sparirono letteralmente senza che nessuno in Italia sentisse la
necessità di difenderli o, almeno, ricordarli. Quando poche settimane dopo l’allontanamento di Erbstein dal Torino,
Vittorio Pozzo, il commissario tecnico della Nazionale osservò che la squadra granata avrebbe dovuto lavorare
ancora molto per tornare al gioco brillante che le aveva dato il tecnico magiaro, non fece alcun riferimento al motivo
razziale che lo aveva costretto a lasciare la guida della squadra[1]. L’indifferenza, ancor più che l’antisemitismo, fu il
sentimento prevalente con cui la maggior parte degli italiani, purtroppo, assistette all’applicazione delle leggi
razziali.[2]

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Il calcio tra fascismo e Resistenza. La storia di Bruno Neri, da mediano a combattente antifascista.
Ma torniamo al nostro calciatore faentino. Amante dell’arte e della poesia, Bruno Neri quando non era in campo si
dedicava a promuovere incontri culturali, oppure se ne andava con gli amici poeti per mostre e musei. Durante gli
anni in riva all’Arno frequentò lo storico caffè letterario delle Giubbe Rosse in piazza della Repubblica dove poteva
incontrare Mario Luzi, Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi, Eugenio Montale. Dopo l’armistizio del 1943 e mentre
disputava il campionato dell’Alta Italia col Faenza, Neri scelse la militanza antifascista arruolandosi nella Brigata
Ravenna con il nome di battaglia Berni.
Così riassume la sua adesione alla lotta partigiana lo storico Sergio Giuntini:

       Tramite il cugino Virgilio Neri, aderì all’«Organizzazione Resistenza Italiana» (ORI): un movimento
       che, sotto la spinta precipua dell’«azionista» Raimondo Craveri, si era costuito il 15 novembre 1943.
       In stretta connessione con l’OSS (Office of Strategic Service) americano e il Comitato di Liberazione
       Nazionale (CLN), l’ORI si poneva il compito di raccogliere informazioni e svolgere azioni di
       sabotaggio a favore dei resistenti e, in questo contesto, sorse per l’appunto il Battaglione
       «Ravenna», la formazione partigiana di Neri. Il «Ravenna» doveva posizionarsi e agire nella zona
       compresa tra il campo d’azione del gruppo comandato dal leggendario – anch’egli a suo tempo
       calciatore del Faenza – Silvio Corbari (Tradozio-Modigliana-San Valentino) e la trentaseiesima
       Brigata «Bianconcini» (Vallata della Sintria e Monte Faggiola); insomma assolvere a un ruolo
       strategico e combattente oltremodo significativo a ridosso della Linea Gotica. Del Battaglione
       «Ravenna» Neri, che per nome di battaglia assunse quello di «Berni», divenne il vicecapo
       lasciandone il comando al più militarmente esperto Vittorio Bellenghi («Nico»), un ex ufficiale del
       Regio esercito nato a Faenza il 7 marzo 1916. Due compagni inseparabili, accomunati anche nel
       sacrificio estremo. In particolare, il «Ravenna» si segnalò nel recupero di vari aviolanci alleati. Una
       prima volta, il 10 giugno 1944, sul Monte Castellaccio, quindi in un’analoga operazione il 23 giugno
       successivo e, infine, preparandosi per un lancio previsto tra il 16 e il 20 luglio ’44 sul Monte Lavane.
       Giusto in vista di quest’azione, il 10 luglio 1944, all’Eremo di Gamogna in prossimità di Marradi,
       perderà eroicamente la vita il partigiano-calciatore.

Nel 1946 il consiglio comunale di Faenza gli intitolò lo stadio, ma negli anni la memoria del calciatore-partigiano non
è andata perduta. Così recita la lapide, dedicatagli nel 1955 dalla sua città natale, Faenza:

       Bruno Neri comandante partigiano caduto in combattimento a Gamogna
       il 10 luglio 1944, dopo aver primeggiato come atleta nelle sportive
       competizioni rivelò nell’azione clandestina prima, nella guerra guerreggiata poi,
       magnifiche virtù di combattente e di grande esempio e monito per le future generazioni

Di seguito, un’indicazione di documenti, canzoni, spettacoli teatrali che ricordano il comandante Berni e che
possono essere utili per un percorso laboratoriale su calcio e Resistenza.

    Massimo Novelli “Il calciatore partigiano” (Graphon, 2002)
    la band-rock Totozingaro Contromugno ha dedicato a Bruno Neri il brano “L’ultimo tackle”,
    un testo di Lisandro Michelini ha ispirato il lavoro teatrale di Beppe Turletti che poi è stato portato in scena
    dalla compagnia Faber di Chivasso per la regia di Aldo Pasquero e Giuseppe Morrone.

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Il calcio tra fascismo e Resistenza. La storia di Bruno Neri, da mediano a combattente antifascista.
La famosa canzone di Ligabue, “Vita da mediano”, può essere utile per lavorare con gli studenti
    sull’importanza del gioco collettivo nel calcio, della funzione necessaria di ciascun giocatore, compresi i
    mediani, in una società che inneggia solo i campioni, i “palloni d’oro”. E per trasposizione, si potrebbe
    ragionare sull’importanza dei cosiddetti “gregari” in generale, nello sport come nelle bande partigiane,
    pensiamo solo all’importantissimo ruolo delle staffette.

Bibliografia e sitografia

 1. Canella – S. Giuntini (a cura di), Sport e fascismo, Franco Angeli, Milano 2009
 2. Giuntini, Sport e Resistenza, Sedizioni, 2014

Massimo Novelli Il calciatore partigiano, Graphon, 2002.

Paul Dietschy “Lo sport fascista nell’Europa degli anni Trenta”, Pagina Uno, rivista di critica del mondo
contemporaneo, n.43 giugno-settembre 2015, disponibile sul sito
http://www.rivistapaginauno.it/Paginauno43pdfsito.pdf (l’articolo riporta l’incontro-dibattito tenuto da Dietschy al
Liceo Candiani Bausch di Busto Arsizio).

Emanuele Santi http://www.left.it/2015/04/26/comandante-bruno-neri-presente/

Spettacolo http://www.faberteater.com/bruno_neri.htm

Testo per gli studenti

Sappiamo quanto lo sport in generale, compreso il calcio, abbia contribuito al successo dell’immagine del fascismo
durante gli anni ’20 e ’30, attraverso l’accorta politica propagandistica del regime, il pieno controllo degli organi della
Figc, del Coni, delle federazioni sportive, dei principali giornali sportivi quali la Gazzetta e il Corriere dello Sport. Gli
stadi in particolare divennero veri e propri “teatri di massa”, dove si radunavano folle oceaniche cui poteva
facilmente rivolgersi la propaganda del regime, che si esprimeva anche attraverso gesti simbolici come l’imposizione
dell’obbligo del saluto romano prima dell’inizio delle partite. Ma lo sport ha combattuto anche la sua Resistenza,
come dimostra la vicenda del calciatore Bruno Neri.

Il primo episodio assai eloquente che lo vede protagonista è riassunto in una immagine fotografica. Era il 10
settembre del 1931, a Firenze si inaugurava l’avveniristico stadio progettato dall’ingegnere Pier Luigi Nervi, intitolato
alla squadrista Giovanni Berta. In campo per una amichevole la squadra viola, in cui militava Bruno Neri, contro il
Montevarchi. Come si può vedere nell’istantanea, riportata nei documenti proposti, Neri è l’unico tra i giocatori
allineati sul campo prima del fischio d’inizio a non fare il saluto fascista. Un bel coraggio, non c’è che dire, in anni in
cui il consenso al fascismo era molto alto e qualsiasi forma di insubordinazione al regime era punita con la galera o
il confino. Inoltre, quando non era in campo, Bruno Neri si dedicava a promuovere incontri culturali, oppure se ne
andava con gli amici poeti per mostre e musei. Durante gli anni in riva all’Arno frequentò lo storico caffè letterario
delle Giubbe Rosse in piazza della Repubblica, dove poteva incontrare scrittori e poeti quali Mario Luzi, Eugenio
Montale, Dino Campana.

Ma la decisiva svolta antifascista sarà quella messa in atto dopo l’8settembre 1943, quando si formarono le prime
bande partigiane. Tramite il cugino Virgilio Neri, aderì all’«Organizzazione Resistenza Italiana» , un movimento che
si era costituito il 15 novembre 1943 e che si poneva il compito di raccogliere informazioni e svolgere azioni di
sabotaggio a favore dei resistenti nella zona a ridosso della Linea Gotica. In questo contesto, sorse il Battaglione
«Ravenna», la formazione partigiana di cui Neri, che per nome di battaglia assunse quello di «Berni», divenne il
vicecapo lasciandone il comando al più militarmente esperto Vittorio Bellenghi («Nico»), un ex ufficiale del Regio
esercito nato a Faenza il 7 marzo 1916. Due compagni inseparabili, accomunati anche nel sacrificio estremo. In
                                                                                                                         3/9
particolare, il «Ravenna» si segnalò nel recupero di vari aviolanci alleati[3] Una prima volta, il 10 giugno 1944, sul
Monte Castellaccio, quindi in un’analoga operazione il 23 giugno successivo e, infine, preparandosi per un lancio
previsto tra il 16 e il 20 luglio ’44 sul Monte Lavane. Giusto in vista di quest’azione, il 10 luglio 1944, all’Eremo di
Gamogna in prossimità di Marradi, perderà eroicamente la vita il partigiano Berni.

DOSSIER

Documento 1

Dalle Terme di Caracalla allo stadio Littoriale di Bologna

“L’idea di costruire un grande stadio a Bologna mi venne visitando le Terme di Caracalla e dalla convinzione
profonda, radicata in me da molti anni, che lo sport sia il migliore dei mezzi per dare alla nostra gioventù una sana
educazione morale e nazionale oltre che fisica. E’ quindi il Littoriale non un circo atto solo a spettacoli, ma un centro
di vitalità, una scuola, una palestra. Necessità di vita del complesso organismo obbligano a farlo servire, nei giorni
festivi, da teatro per i grandi spettacoli; ma la miglior vita al Littoriale si svolge nei giorni feriali, poiché la sua vera
funzione, quella per la quale è stato costruito, è l’ospitalità larga e completa, l’offerta di tutti i mezzi necessari ai
giovani che vogliono e debbono crescere alla scuola virile del Fascismo. Così, più spesso che per assistere a grandi
partite, io sono al Littoriale per vedere i ragazzi delle scuole di Bologna che a migliaia già si alternano sul prato
verde nelle loro sane e proficue esercitazioni, per seguire gli allenamenti nell’atletica, nel nuoto, nella scherma, nel
calcio, in tutti gli sport insomma, dei neofiti, i quali stanno già avviandosi a costruire anche a Bologna una delle
falangi dalle quali non solo balzeranno i campioni destinati ai trionfi nelle Olimpiadi, ma anche i forti soldati temprati
a tutte le battaglie della vita nazionale”

(Leandro Arpinati racconta la nascita dello stadio Littoriale di Bologna, ora “Stadio Renato Dall’Ara”,
inaugurato il 31 ottobre 1926, in Lo sport fascista, 1928, fascicolo 1)

Documento 2

Un mediano è obbligato a correre a perdifiato, a conquistare palloni, cerniera tra la difesa e l’attacco: un mediano
deve coprire il suo terzino, ma deve essere pronto a rilanciare l’azione, a far partire l’ala. Deve tenere la testa alta.
Essere vigile. Pronto. Forse per questo Bruno Neri fuori dal campo si dedicava alla poesia, agli incontri culturali con
scrittori, poeti, attori. Per cercare l’ispirazione da mettere poi in campo. La sua vita, trascorsa lungo le sponde di
quattro fiumi: il Lamone, l’Arno, il Serchio, il Po, porta lui, calciatore, ad incontrare i sentieri della poesia di Dino
Campana, Montale, Pavese. Ma la partita più importante deve ancora venire. Una volta lasciata la maglia di
mediano percorre i sentieri aspri della montagna della Toscana romagnola, per affrontare l’avversario più difficile,
l’invasore nazista, per l’ultima, infinita, partita.

(Faber Teater, compagnia teatrale che ha messo in scena lo spettacolo “Bruno Neri Calciatore partigiano,
disponibile su http://www.faberteater.com/bruno_neri.htm).

Documento 3

Comandante partigiano, nome di battaglia Berni

«Interrogammo la popolazione del luogo e da un colono che disse di essersi trovato presente al fatto apprendemmo
quanto segue: Vittorio Bellenghi e Bruno Neri si dirigevano verso Gamogna, quando nei pressi del cimitero della
parrocchia suddetta, nel luogo dove il sentiero che vi conduce forma una svolta che impedisce di vedere la strada
che divide Gamogna dalla valle, s’imbattevano in un gruppo di una quindicina di tedeschi che salivano il monte.
Vittorio e Bruno, imbracciato il mitraglione, imponevano ai tedeschi di allontanarsi: questi, fatti pochi passi indietro,

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trovano riparo dietro a un terrapieno situato sul lato destro della strada ed aprono immediatamente il fuoco. Il
testimone dice che Bruno e Vittoriosi gettarono a terra e risposero con le loro armi ma ebbe l’impressione che
fossero stati colpiti fin dai primi spari. Il combattimento non durò a lungo e, data la breve distanza ed il posto
scoperto dei nostri, fu impossibile una lunga difesa. Ricorda solo di aver visto che uno di essi, forse Bruno Neri,
colpito alla testa, si rivoltava su se stesso, sparava ancora due colpi e rimaneva immobile. Bellenghi e Neri si erano
allontanati dal nostro reparto per accertarsi personal mente della possibilità di farci attraversare la strada che i
tedeschi stavano costruendo da Marradi a San Benedetto in Alpe, per poterci recare a Monte Lavane per
recuperare un aviolancio».

(da una relazione stesa da Vincenzo Lega, Commissario di Stato Maggiore del battaglione «Ravenna», cit. in Sergio
Giuntini, Sport e Resistenza, in Patria indipendente, 23 giugno 2002, pag.30-31

http://www.anpi.it/media/uploads/patria/2002/6/30-31%20.%20Giuntini.pdf )

Documento 4

Bruno Neri e le maglie della Nazionale in uso fra 1934 e 1938 con i simboli di Casa Savoia e il fascio littorio

                     Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3049678

    Maglia della Nazionale di calcio di colore nera
    Maglia della Nazionale di calcio di colore blu

                    Immagine tratta da https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2014/04/24/bruno-neri-il-calciatore-partigiano

10 settembre 1931 allo stadio “Berta” di Firenze, squadra della Fiorentina, Bruno Neri è l’unico calciatore a non
alzare il braccio nel saluto fascista.

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Immagine tratta da
                                http://www.magliarossonera.it/193334_albumond.htm
                                                         l

Vittoria ai mondiali del 1934

                                                Immagine tratta da
                                  http://www.magliarossonera.it/193738_albumond
                                                       .html

Vittoria ai mondiali del 1938

Documento 5

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Prima di tutto, la politica sportiva del regime significa la fine della società civile dello sport, ossia dello sport come è
stato concepito dall’inizio del Novecento sul modello inglese: un’armata di volontari, di persone che si riuniscono in
associazioni e non chiedono nulla allo Stato, volendo essere indipendenti. In secondo luogo, con la prima politica
sportiva statale il regime fascista

dà l’avvio all’entrata dello Stato nello sport. Terzo punto, questa politica significa anche un cambiamento del
concetto di internazionalismo sportivo, nato con de Coubertin e l’organizzazione dei primi Giochi olimpici dell’era
moderna nel 1896 ad Atene. Fino a quel momento l’internazionalismo sportivo ha come scopo la fratellanza tra i
popoli, la pace – anche se

c’è un aspetto meno idilliaco, che è l’idea di voler costruire una gerarchia tra i popoli –; il fascismo lo trasforma in
ambizione di vittoria, vincere è tutto, e in più mescola i simboli nazionali con quelli dell’ideologia fascista.

(Paul Dietschy, Lo sport fascista nell’Europa degli anni Trenta. Modello, sfida, mezzo di controllo e cultura del
consumo, Paginauno, n.43 – giugno/settembre 2015, pp. 30-31)

Documento 6

“Assai maggiore fu il battage fascista in occasione della Coppa del Mondo del 1938. Tanto più che tra il pubblico
delle partite erano numerosi i fuoriusciti politici italiani, che a Marsiglia, in occasione dell’incontro che ci oppose alla
Norvegia, attuarono una clamorosa protesta contro il regime, mentre nell’opinione pubblica transalpina era ancora
vivo il risentimento per le dichiarazioni antifrancesi pronunciate da Mussolini il 14 maggio 1938. Fu allora che la
presenza della squadra italiana in terra d’oltralpe assunse una accentuata valenza politica eche la vittoria finale
della Coppa fu esaltata, al di là del merito sportivo, come espressione di una superiorità non solo morale, ma anche
etnica degli italiani, alla vigilia del Manifesto della razza”

Spiegazione dei materiali per lo studio di caso

I testi sono stati selezionati da fonti giornalistiche d’epoca, da volumi specialistici e da articoli pubblicati e disponibili
on line.

Il documento 1 propone uno scritto di Leandro Arpinati in cui il leader del fascismo bolognese e massima autorità
calcistica in quanto presidente della Fgci all’epoca in cui scrive riconnette l’architettura dello stadio Littoriale alla
romanità, motivo che ritorna nelle parole e nei simboli del fascismo applicati al calcio. Il testo evidenzia la doppia
natura della struttura, teatro attivo e passivo di sport, sottolineandone la vocazione “circense” e spettacolare
accanto alla dimensione dell’educazione fisica della gioventù, che si riflette anche nella distinzione fra “campioni” e
“soldati”. E’ il testo in cui si conferma che il fascismo non privilegiava il calcio tra gli sport, ma ne assecondava il
successo popolare cercando di appropriarsene.

Il documento 2 è tratto dal lavoro su Bruno Neri della compagnia Faber Teater che, come si può leggere sul loro
sito, affianca all’attività artistica e a quella organizzativa, l’attività pedagogica. La compagnia teatrale, nata nel 1995
a Chivasso, ha tra l’altro allestito spettacoli dedicati alla figura di Giacomo Matteotti e alle bambine della città-ghetto
di Terezin.

Il documento 3 propone un breve ritratto delle ultime ore del partigiano “Berni”, tratto dalla ricostruzione dello
storico Sergio Giuntini.

Il documento 4 presenta alcuni simboli del fascismo imposti al calcio. Le maglie della Nazionale hanno come primo
colore l’azzurro di Casa Savoia e come secondo colore il nero del fascismo; si fregiano della croce sabauda
sormontata dalla corona ma anche del fascio littorio. Prima di ogni partita è obbligatorio il saluto romano, raffigurato
anche nei manifesti e nei francobolli commemorativi degli eventi calcistici, come il campionato mondiale del 1934.
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L’investimento propagandistico del regime riguarda tutti gli strumenti di comunicazione di messaggi sportivi legati al
calcio; si noti nel francobollo delle poste coloniali anche il riferimento all’architettura classica e la presenza del fascio
littorio.

Il documento 5 propone un estratto da un recente articolo dello storico francese Paul Dietschy, specializzato nella
storia dello sport, in particolare del calcio (tra le sue pubblicazioni: Histoire du football, Paris, Éditions Perrin, 2010).
L’articolo è la trascrizione di un incontro-dibattito cui ha partecipato Dietschy, presso il Liceo Candiani Bausch di
Busto Arsizio il 15 febbraio 2015, quindi con un taglio preminentemente didattico-divulgativo.

Il documento 6 riporta un estratto da un saggio di Antonio Papa Football e littorio, in Maria Canella e Sergio
Giuntini (a cura di), Sport e fascismo, Milano, Franco Angeli, 2009

Attività didattica

 1. Contestualizzazione

– Ricava dal manuale gli eventi più importanti dall’avvento del fascismo alla Resistenza e costruisci una retta
cronologica. Affiancala ad un’altra retta, nella quale inserirai, al posto giusto, i documenti qui citati. Cerca i possibili
collegamenti fra eventi storici e documenti.

 2. Rapporto fra testo e documenti

– Sia nel testo sia in alcuni dei documenti proposti si evince l’importanza del calcio e dello sport in generale da parte
delle gerarchie fasciste: rintraccia nella documentazione gli elementi a sostegno di questa affermazione.

– Prova a descrivere, sulla base del testo e dei documenti, la figura di Bruno Neri.

 3. Lavoro sui documenti

– Partendo dall’affermazione in base a cui il fascismo si è appropriato del calcio e prendendo in considerazione i
materiali proposti, scrivi un breve paragrafo di illustrazione del rapporto fra il calcio e il regime fascista. Ci sono altri
documenti che hai trovato che forniscono informazioni su questo argomento?

– Nel documento 6 si fa riferimento ad un discorso pubblico che Mussolini tenne a Genova il 14 maggio 1938.
Approfondisci e cerca anche on line riferimenti ai contenuti di quel discorso.

 4. Integrazione del testo

– Nel documento 5 si dice che già nel periodo prefascista (caratterizzato dall’affermazione dei nazionalismi) le
olimpiadi venivano viste come uno strumento per costruire una gerarchia tra i popoli. Prova a spiegare se ai giorni
nostri le grandi manifestazioni sportive nelle varie discipline (dagli europei e mondiali di calcio alle olimpiadi) ti
sembrano ancora connotate da elementi simili.

– Nel documento 6 si fa riferimento all’imminenza della pubblicazione del Manifesto della Razza. Indica quando fu
pubblicato e spiega quali conseguenze pratiche ebbe sulla sorte della popolazione ebraica italiana.

Note

[1] Per la vicenda che riguarda Erbstein, Weisz, ma anche la toccante vicenda del calciatore Matthias Sindelar
nell’Austria annessa alla Germania hitleriana, si veda G. Cerutti, La svastica allo stadio, storie di persecuzioni e di
resistenza nel mondo del calcio sotto il nazismo”, A, rivista anarchica mensile, nn. 374,375,376,377 ottobre 20012-
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febbraio 2013.

[2] Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, ha scritto: “Vivevamo immersi nella zona grigia dell’indifferenza. L’ho
sofferta, l’indifferenza. Li ho visti, quelli che voltavano la faccia dall’altra parte. Anche oggi ci sono persone che
preferiscono non guardare”.

[3] Dopo l’8 settembre 1943, uno dei principali problemi dei partigiani erano i rifornimenti di armi e di
munizioni indispensabili per gli attacchi ai nazifascisti e per la difesa dai rastrellamenti che gli stessi nazifascisti
organizzavano periodicamente. Dalla primavera del 1944, gli Alleati rifornivano, tramite i servizi segreti
americani Oss(Office of strategic service) ed inglesi MI5 (Military Intelligence Service 5), le forze partigiane
mediante aviolanci.

ISSN 2283-6837
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