Idrogeno e celle a combustibile, una storia

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Idrogeno e celle a combustibile, una storia
                                 DOMENICO BASA

Nel ventunesimo secolo l’idrogeno potrebbe diventare una forma di energia di
importanza paragonabile a quella dell’elettricità. Questa è un’area di ricerca, a medio
e lungo termine, di estrema importanza. Comitato di consulenza per la scienza e la
tecnica del Presidente degli Stati Uniti, 1997.

LA PAROLA CHIAVE è ormai «idrogeno». Il futuro dell'energia, infatti, sembra
giocarsi attorno ad uno scenario che solo qualche anno fa appariva confinato ai
margini, al massimo oggetto di curiosità per scienziati creativi. Ma la solita questione
relativa all’esaurimento delle scorte di petrolio - sebbene troppe volte prevista e poi
allontanata nel tempo - e soprattutto l’insostenibilità di un modello energetico tutto
basato sui combustibili fossili continuano ad alimentare la ricerca di fonti alternative:
l’eolico, il fotovoltaico, l’idroelettrico. Tuttavia, sono l’idrogeno ed una delle sue
principali applicazioni - le fuel cell, o «celle a combustibile» - ad avere acquisito una
importanza primaria in termini di investimenti e studi.

Il combustibile per eccellenza: l’idrogeno
Ma perché interessa tanto questo gas incolore, inodore, insapore e leggerissimo?
Innanzitutto perché, sebbene non reperibile allo stato libero, è abbondante in natura.
L’idrogeno è, dicono gli astrofisici, l’elemento più comune dell’Universo, come ha
dimostrato il telescopio spaziale Hubble, che ne ha «catturato» immense quantità.
Inoltre, è una forma di energia di alta qualità, ecologica, versatile, universale. Il
«combustibile per eccellenza», aggiungono altri scienziati, il più pulito ed efficace
modo per immagazzinare ed utilizzare l’energia prodotta da fonti rinnovabili. Lo
sviluppo dell’idrogeno come vettore (cioè «trasportatore») energetico, addirittura,
sarebbe fondamentale per il successo del solare e delle altri fonti rinnovabili, come
vento, acqua e biomasse. Come alimentare un’auto con il sole, infatti, se non si trova
un sistema per conservare l’energia e renderla disponibile al momento giusto? Come
utilizzare la forza del vento quando il vento non c’è più? Se l’idrogeno non è una
fonte primaria di energia - proprio perché non esiste allo stato libero -, tuttavia può
essere prodotto in tantissimi modi: dall’acqua per elettrolisi, dalle biomasse per
gasificazione, oppure dai rifiuti con processi fotoelettrochimici, oppure ancora da
batteri ed alghe sfruttando particolari reazioni fotobiologiche. Immagazzinato come
gas e trasportato in condutture, o liquefatto e conservato in contenitori a bassissima
temperatura, copre più o meno tutte le applicazioni energetiche. Se bruciato nei
tradizionali motori a combustione interna, può produrre calore per riscaldamento
oppure essere un eccellente combustibile per automobili, barche, aeroplani e
propulsori spaziali. All’interno di sistemi noti come «celle a combustibile», invece,
ed attraverso l’elettrolisi dell'acqua (che separa i due atomi di ossigeno da quello di
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idrogeno), produce elettricità che può essere utilizzata per i trasporti come per gli
edifici

Nipotine della pila di Volta
Sono proprio le celle a catturare l’attenzione di esperti e profani. Anche se non si
tratta di una novità tecnologica. Tutt’altro. Fu William Robert Grove, un avvocato
inglese appassionato di scienza, infatti, ad inventarle nel lontano 1839. Sviluppo della
pila di Alessandro Volta ed, in particolare, di un procedimento realizzato già nel 1800
da due scienziati britannici, William Nicholson e George Carlisle, le celle (o pile, ma
il termine è meno corretto) a combustibile sono dispositivi dove molecole di ossigeno
ed idrogeno vengono spinte a legarsi senza combustione, ma con una reazione
continua che genera energia ed emette solo acqua e calore. La nuova pila, che utilizza
un elettrodo di platino immerso in acido nitrico ed un elettrodo di zinco immerso in
solfato di zinco, genera una corrente di 12 ampere, con una tensione fra i due elettrodi
di 1,8 volt. La cella di Grove ha un’efficienza maggiore delle pile precedenti, ma
l’elevato costo del platino ne impedirà la diffusione fino a quando, nel 1840, Robert
Bunsen sostituirà il carbone al platino. Per quanto l’invenzione di Grove ne sia
considerata il primo esempio, il terminato «celle a combustibile» viene coniato
successivamente. Da chi, è materia di dibattito. Secondo una prima versione, il merito
andrebbe ascritto al chimico e industriale inglese Ludwig Mond ed al suo assistente
Charles Langer, che avrebbero usato questo nome nel 1889 per descrivere i loro
tentativi (che ripercorrevano quelli di Grove) di produrre elettricità partendo da aria e
carbone gasificato. Un’altra fonte (meno attendibile), sostiene invece che è
l’americano William White Jacques, il primo a ricercare l’uso di acido fosforico nel
bagno elettrolitico, a parlare di fuel cells nel 1896. Di chiunque sia la paternità del
termine, comunque, le celle a combustibile vengono accantonate perché troppo
costose e sofisticate, considerate quasi alla stregua di una bizzarria
dell’elettrochimica. Finché …

Avventure nello spazio …
A resuscitare la pila di Grove dall’oblio ci pensa la Nasa, l’ente spaziale statunitense.
La ricerca, ovviamente, era continuata, anche se sotto traccia. L’impulso maggiore
arriva dall'ingegnere Francis T. Bacon (discendente del famoso omonimo filosofo del
settecento) che inizia le sue sperimentazioni alla Cambridge University a partire dal
1932. Ma è solo ventisette anni più tardi, nel 1959, che Bacon - selezionando
l’impiego di un elettrolita alcalino, di idrogeno e ossigeno come reagenti e via via
sviluppando un impianto funzionante a temperature vicine ai 200 gradi - perfeziona la
sua cella raggiungendo una potenza pari a 5 kilowatt. La cella prende il nome di
«Bacon cell» e viene usata per alimentare una saldatrice e poi un trattore. Sono
proprio le celle a combustibile realizzate da Bacon a fornire la base per il successivo
sviluppo operato dagli ingegneri della Nasa. Agli albori dell’avventura spaziale,

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infatti, si cercava di risolvere il rebus di come produrre energia e stivare acqua
potabile per i bisogni degli astronauti. L’uso di energia nucleare appariva rischioso
mentre le comuni batterie oppure i pannelli fotovoltaici rappresentavano una
soluzione troppo ingombrante per i veicoli spaziali. Sono proprio l’alta efficienza e la
possibilità di svincolarsi dalla dipendenza dalla luce solare, oltre alla vantaggiosa
capacità di produrre acqua potabile, a rendere vincenti le celle a combustibile. Anche
in relazione alla lunghezza notevole ma non eccessiva delle missioni (sette-
quattordici giorni). Così, dal 1960 la General Electric produce celle prima per per le
missioni Gemini e Apollo e poi per generare elettricità ed acqua a bordo degli
Shuttle.

Impieghi futuri …
Dopo il successo delle missioni spaziali, le aspettative sono cresciute e tutto il mondo
industriale sta sviluppando questa tecnologia così promettente. Sono passati ormai
dieci anni, infatti, da quando il primo bus alimentato da celle a combustibile ha
iniziato a circolare. Ed è del 1997 il primo prototipo automobilistico sviluppato da
Daimler Benz (oggi Daimler Chrysler) e Toyota. Nel 1998, poi, l’Islanda annuncia un
ambizioso piano per riconvertire a idrogeno tutta la sua economia, in collaborazione -
tra le altre aziende - con la Ballard Power System, pioniere mondiale delle celle a
combustibile. Negli anni più recenti, i progetti per lo sviluppo dell’idrogeno e delle
tecnologie connesse si sono moltiplicati e diverse applicazioni stanno per
abbandonare i laboratori e scendere per strada (oppure entrare nelle nostre case). Se a
beneficiarne saranno la nostra salute, e quella del pianeta, solo il tempo potrà dirlo.

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Un progetto per liberare gli Usa dal petrolio
                      PETER SCHWARTZ e DOUG RANDALL

QUARANT’ANNI FA, l’America ha dovuto affrontare un’enorme minaccia per la
sua sicurezza. L’Unione Sovietica, nel 1957, aveva lanciato il primo satellite
artificiale. E il 12 aprile 1961 l’astronauta russo Yuri Gagarin, a bordo del Vostok 1,
era stato il primo uomo ad andare nello spazio. Il presidente Kennedy capì allora che
la possibilità o meno di esplorare l’universo avrebbe potuto fare la differenza tra una
nazione che sapeva difendersi ed una, al contrario, in completa balia dei propri
nemici. In un discorso al Congresso del maggio 1961, egli presentò quindi il
programma Apollo, un piano decennale di investimenti federali che avrebbe
permesso agli Stati Uniti «di mandare un uomo sulla Luna, e di farlo tornare a casa
sano e salvo». Kennedy annunciò gli obiettivi, il Congresso reperì i fondi necessari,
ingegneri e scienziati studiarono le fasi del lancio, e - detto fatto - otto anni dopo Neil
Armstrong posò piede sulla superficie del nostro satellite.
Oggi l’America deve affrontare una minaccia altrettanto terribile: la dipendenza dal
petrolio straniero. Proprio come Kennedy rispose all’affermazione di superiorità
spaziale sovietica con un’iniziativa estremamente audace, così ora il presidente Bush
deve reagire allo strapotere petrolifero estero facendo del raggiungimento
dell’indipendenza energetica una priorità politica. In realtà egli si è già un po’
interessato alla questione promuovendo, nel suo discorso di gennaio sullo Stato
dell’Unione, le celle a combustibile. Ma il finanziamento di 1,2 miliardi di dollari da
lui proposto in quell’occasione è un’inezia rispetto alla somma di cui ci sarebbe
effettivamente bisogno. Solo un programma stile Apollo volto a sostituire totalmente
l’utilizzo degli idrocarburi con quello dell’idrogeno potrebbe liberare gli Stati Uniti
dalla loro fame di oro nero, facendone in tutto e per tutto dei leader mondiali.

Un progetto mirato
In passato, la dipendenza americana dal petrolio era in primo luogo un problema
ecologico. Gli idrocarburi sporcano: inquinano l’aria e l’acqua, modificano gli
equilibri climatici, danneggiano la biodiversità e deturpano i panorami costieri. Da
questo punto di vista, la questione può anche assumere una veste politica, perché si
tratta di contrapporre la salvaguardia della tutela ambientale al semplice interesse
economico. Ma dopo la tragedia dell’11 settembre, tutto è cambiato. Nelle macerie
del World Trade Center è rimasto sepolto anche il mito di un’America capace di
sostenere i terribili contraccolpi delle politiche petrolifere internazionali. La fame
occidentale di greggio ha avuto conseguenze drammatiche: crisi economiche come
quella degli anni Settanta, operazioni militari come la Tempesta nel Deserto, rapporti
di tensione con alleati meno avidi di energia e, da ultima, la minaccia del terrorismo
sulla soglia di casa.

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Quando George W. Bush è arrivato a Washington, le sue origini texane ne facevano
un leader particolarmente interessato alle transazioni petrolifere. Dopo gli attentati
alle due Torri, è diventato il presidente della sicurezza nazionale: il suo sogno di
salvare gli Stati Uniti da qualsiasi pericolo ha oscurato le sue attitudini
imprenditoriali. Non ha capito fino in fondo che, se usasse la sua influenza per
promuovere l’idrogeno, molto probabilmente, più che indispettire le grandi
corporation, darebbe nuova linfa a un settore ormai moribondo e, allo stesso tempo, si
conquisterebbe il consenso degli ambientalisti, che finora si sono sentiti abbandonati
dalla Casa Bianca.
Secondo la logica, ci sono due modi per ridurre la dipendenza americana dal petrolio
straniero: aumentare la produzione in patria o far diminuire la domanda. Al di fuori di
queste due alternative, il paese resterebbe schiavo dei produttori d’oltreoceano.
Pensate allo sfortunato progetto di trivellazione dell’Arctic National Wildlife Refuge.
A cause di varie controversie ed esitazioni politiche, la produttività di quell’area, pur
incrementando le risorse nazionali, probabilmente non riuscirà a compensare i cali di
rendimento degli altri bacini petroliferi del paese. Per quanto riguarda la riduzione
della domanda, le misure disponibili sono poche e inefficaci. Le automobili che si
vedono per strada sono in media vecchie di nove anni, quindi i progressi energetici di
oggi di certo non si vedranno domani. Oltretutto, il dinamismo dell’economia
americana dipende dall’energia, perché sviluppo e consumi sono indissolubilmente
legati.
C’è un solo modo per liberare gli Stati Uniti dall’influenza nefasta del petrolio, ed è
quello di trovare una fonte di energia alternativa, disponibile da subito a livello
nazionale. Esaminando le varie possibilità - carbone, gas naturali, vento, acqua, sole,
nucleare - ce n’è solo una che potrebbe affermarsi entro dieci anni come valida
alternativa: l’idrogeno. Questo elemento chimico immagazzina l’energia meglio delle
comuni batterie, brucia nelle celle a combustibile due volte meglio della benzina in
un motore a scoppio (con un dispendio energetico inferiore a quello necessario per
produrlo) e lascia come residuo solo acqua. È abbondante, è pulito, e - questo è il
fattore critico - può far camminare le macchine. Come nel caso del primo uomo nello
spazio, nel 1961, quella più idonea è una soluzione certificata e semplice,
un’innovazione tecnologica già pronta per essere utilizzata. E di questo dobbiamo
ringraziare proprio il programma Apollo, che ha incentivato la progettazione delle
prime celle a combustibile.
Molti considerano inevitabile il passaggio da un’economia basata sui combustibili
fossili ad una fondata sull’idrogeno. Ma una prospettiva del genere presuppone delle
tendenze di mercato che solo ora cominciano a delinearsi. Attualmente, un impianto a
celle a combustibile costa cento volte di più del vecchio motore a scoppio, e per
ridurre i prezzi sarà necessario un duro lavoro da parte dei settori Ricerca &
Sviluppo. Oltretutto, dall’ipotesi delle macchine a idrogeno nasce un circolo vizioso:
in che modo potrà diffondersi in tutto il paese un’infrastruttura di distributori ad hoc,
quando questi veicoli ancora non esistono e ci metteranno decenni per raggiungere
una massa critica? Perfino i più ottimisti al riguardo prevedono un’adozione su larga

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scala di queste automobili non prima di altri trenta, se non cinquant’anni. Un’attesa
decisamente troppo lunga.
Sperare in un programma decennale alla Kennedy può sembrare assurdo, ma è
esattamente lo stimolo che ci vuole per scuotere gli Stati Uniti dall’indolenza
dimostrata in materia di energia. Dieci anni sono un periodo sufficiente per compiere
dei progressi significativi, ma allo stesso tempo abbastanza breve da consentire alla
maggior parte degli americani di oggi di vedere con i loro occhi i frutti dell’iniziativa.
La nota positiva è che i problemi tecnici riguardano gli ingegneri e non gli scienziati.
Questo significa che il denaro può risolverli. Quanti soldi ci vogliono? All’incirca la
stessa cifra che è servita a mandare un uomo sulla Luna: cento miliardi dei dollari
attuali. Con un investimento del genere, entro dieci anni la nazione potrebbe spostare
l’ago della bilancia, dai produttori di petrolio stranieri ai consumatori americani.
Entro il 2013, un terzo delle macchine vendute potrebbe avere un’alimentazione a
idrogeno, il quindici per cento delle stazioni di servizio del paese potrebbero
distribuirlo, e gli Stati Uniti potrebbero ricavare da fonti domestiche più della metà
del quantitativo energetico necessario: un significativo passo verso l’indipendenza.
Manca solo l’impegno. Sarebbe facile - troppo facile - sperperare cento miliardi di
dollari. Per questo motivo la Casa Bianca ha bisogno di un piano. La strategia ideale
dovrebbe appoggiarsi alle infrastrutture già esistenti e spingere la popolazione al
consumo di idrogeno, rimuovendo contemporaneamente gli ostacoli che essa
potrebbe incontrare facendolo. Gli obiettivi fondamentali sono cinque:

   1.   risolvere il problema del serbatoio per l’idrogeno;
   2.   incentivare la produzione di massa di veicoli a celle di combustibile;
   3.   predisporre la rete di distributori del paese al rifornimento di idrogeno;
   4.   incrementare la produzione di idrogeno;
   5.   progettare una campagna di pubblica promozione dell’economia dell’idrogeno.

Perseguendo contemporaneamente tutti e cinque questi obiettivi, il governo potrebbe
creare un ciclo automatico di domanda e offerta, in grado di svilupparsi nel prossimo
decennio e di soppiantare del tutto il mercato energetico attuale in quelli successivi.
Invece di aspettare che un’infrastruttura dell’idrogeno nasca dal nulla, l’America
dovrebbe iniziare subito a consolidare il nuovo modello, convertendo le vecchie
aziende votate al credo dell’oro nero. Una volta avviato il meccanismo, ci sarà tutto il
tempo per creare un’architettura idrogeno-centrica più pulita e più efficiente.

La questione del serbatoio
LA CELLA A COMBUSTIBILE, una batteria con un vano sostituibile di
immagazzinamento dell’energia, non è una novità. L’idea di base c’era già alla metà
dell’Ottocento, e il primo prototipo con membrana scambia-protoni - il genere più
adatto a essere impiegato nelle automobili - è stato costruito dalla General Electric
all’inizio degli anni Sessanta. Al contrario del motore a scoppio, in cui il gas esplode
e muove i pistoni, un motore a celle a combustibile strappa elettroni all’idrogeno e
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sfrutta la corrente risultante per alimentare il veicolo. Poi combina i restanti ioni
idrogeno (protoni) con l’ossigeno, formando acqua come unico residuo. Un motore
elettrico ibrido invece è un’altra cosa ancora: un motore a benzina che alimenta una
batteria.
Nel 1993, la Ballare Power Systems, azienda canadese produttrice di celle a
combustibile, iniziò ad usare la nuova tecnologia negli autobus, gli unici in grado di
sostenere l’ingombro eccessivo dei motori ad idrogeno e dei serbatoi di prima
generazione. Da allora le apparecchiature sono diventate più piccole, ma riuscire a
contenere materiale sufficiente per coprire distanze di poco inferiori agli ottocento
chilometri - la media che i consumatori di solito si aspettano - rimane una sfida dura.
Per ovviare a questo inconveniente, l’amministrazione Bush dovrebbe spendere
quindici miliardi di dollari. Il problema principale è decidere se trasportare il
combustibile allo stato liquido, solido o gassoso, perché ognuna di queste alternative
ha dei pro e dei contro. Finché non verrà stabilito uno standard, il mercato non potrà
passare alla produzione di massa oppure alla messa a punto di una rete capillare di
distribuzione.
L’ipotesi più semplice è quella dell’idrogeno gassoso. Il problema è che ci vuole
molto spazio, quindi il gas dovrebbe venire compresso e in questo caso ci vorrebbe
un serbatoio capace di sopportare una pressione estremamente elevata. Per percorrere
ottocento chilometri, si tratterebbe di una pressione cinquanta volte superiore a quella
che agisce sui cilindri del comune motore a scoppio, senza contare che dovrebbe
essere prevista una tolleranza almeno doppia, per evitare con certezza l’eventualità di
un’esplosione in caso di incidente. Per trovare materiali abbastanza resistenti, ma allo
stesso tempo leggeri ed economici in vista della produzione di massa, ci vorrebbero
anni e anni di ulteriori ricerche. Ma anche l’idrogeno liquido ha dei pro e dei contro.
Esercita molta meno pressione sul serbatoio, ma dovrebbe essere raffreddato alla
pompa fino ad una temperatura di - 423 gradi Fahrenheit e mantenuto tale durante il
trasporto. Questo richiederebbe un significativo dispendio di energia ed isolare il
vano-combustibile ne moltiplicherebbe l’ingombro. Per di più, anche nel migliore dei
casi, quotidianamente circa il quatto per cento del liquido evaporerebbe, creando una
pressione che sarebbe possibile eliminare solo rilasciando il vapore. Risultato: una
macchina lasciata due settimane nel parcheggio di un aereoporto perderebbe metà del
suo carburante. Gli scienziati devono ancora trovare un modo per aggirare l’ostacolo.
A lungo termine, l’ipotesi più promettente è quella di riempire il serbatoio di un
materiale solido che assorba idrogeno come una spugna a fasi alterne per poi
rilasciarlo durante la guida. Al momento, le alternative possibili sono l’idruro di litio,
il boroidruro di sodio ed una serie di nuovi materiali nanotech ultraporosi. Al
contrario dell’idrogeno gassoso, queste sostanze possono immagazzinare un enorme
quantitativo energetico in uno spazio ristretto di una forma qualsiasi. Ed, al contrario
dell’idrogeno liquido, si possono conservare a temperatura ambiente. D’altro canto,
per inserire l’idrogeno in un mezzo solido c’è bisogno di energia, ed in alcuni casi di
temperature molto elevate per farlo riespellere, per cui ci sarebbe bisogno di una
straordinaria efficienza. Oltretutto, per riempire il serbatoio potrebbe volerci molto
più tempo che per pompare la benzina. Ma i soldi del governo potrebbero colmare il
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divario, portando dagli esperimenti attuali ad una soluzione effettivamente
praticabile.

Lo stimolo alla produzione di massa delle nuove automobili
UNA VOLTA RISOLTO il problema dell’immagazzinamento, i produttori di
automobili dovrebbero essere più incentivati alla produzione di massa delle macchine
a celle a combustibile. A Detroit ci si sta già muovendo in questa direzione. Finora la
Daimler Chrysler, la Ford e la General Motors hanno speso circa due miliardi di
dollari nella progettazione di questi veicoli (automobili, autobus, fuoristrada), ed i
primi prodotti dovrebbero essere messi in vendita quest’anno. Il presidente della
Ford, William Clay Ford Jr., ha recentemente dichiarato che le celle a combustibile
«metteranno finalmente un punto al regno secolare del motore a scoppio».
Per essere certi che il passaggio da un regime all’altro non richieda altri cent’anni,
però, l’amministrazione Bush dovrà stanziare dieci miliardi di dollari per permettere
alle aziende di produrre celle ad idrogeno velocemente ed economicamente, o da sole
(come la General Motors) o stipulando contratti con produttori di cellule approvati
dal governo. I finanziamenti dovrebbero essere vincolati all’adesione delle società ad
un rigoroso programma di introduzione dei nuovi veicoli nel mercato (coordinato,
ovviamente, con un piano di installazione di appositi distributori). Una parte del
progetto dovrebbe per forza di cose riferirsi alle iniziative promozionali. Detroit si
troverà ad affrontare lo scoglio dei consumatori, e dovrà sfruttare al massimo la sua
divisione marketing per convincere la gente che le macchine ad idrogeno non solo
sono convenienti, ma anche desiderabili. Non è un sogno. Della Prius della Toyota, la
prima automobile a motore ibrido gas-elettrico, dal suo debutto nel 1997 sono stati
venduti più di centomila esemplari, e questa è la dimostrazione che il pubblico è
pronto ad accogliere un mezzo di trasporto totalmente nuovo.

La conversione dell’infrastruttura esistente
OVVIAMENTE, nessuno tirerà fuori dal garage una macchina ad idrogeno senza
essere sicuro di poter trovare del combustibile quando e dove gli farà comodo. Ecco
perché l’amministrazione Bush deve puntare all’infrastruttura oltre che alla
produzione dei veicoli. Così come le aziende automobilistiche, anche i produttori di
petrolio hanno fatto dei passi avanti in direzione di uno snellimento del settore. Negli
ultimi quindici anni, grandi corporation come la Shell e la Exxon hanno rinunciato al
proprio strapotere a favore di una dozzina di imprese statali dislocate in paesi come il
Venezuela, il Brasile e la Norvegia, preferendo concentrarsi sul valore aggiunto della
propria offerta, trasformando il greggio in benzina per poi distribuirlo e venderlo
attraverso le stazioni di servizio. Queste aziende sanno bene che potrebbero avere un
ruolo altrettanto significativo anche in un’economia dell’idrogeno. Ecco perché la
Shell e la Bp hanno investito centinaia di milioni di dollari nelle tecnologie di
produzione e immagazzinamento di questo nuovo combustibile, e la Bp, ex British

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Petroleum (“Petrolio Inglese”), si è rinominata Beyond Petroleum (“Oltre il
petrolio”).
Le grandi società petrolifere hanno già iniziato ad estrarre idrogeno dalla benzina a
scopo industriale in nove raffinerie statunitensi. Con un minimo appoggio, questi
impianti potrebbero diventare l’embrione di una futura rete di distribuzione del nuovo
combustibile. La conversione delle stazioni di rifornimento costerà miliardi di dollari,
ma la spesa verrà ripartita su un periodo di parecchi decenni. Adattare al nuovo
schema operativo gruppi circoscritti di punti di distribuzione situati in prossimità di
raffinerie d’idrogeno e di centri abitati la cui popolazione utilizzi veicoli con questo
tipo di alimentazione, costerà relativamente poco. All’inizio le compagnie petrolifere
potrebbero provvedere al trasporto dell’idrogeno dagli impianti di produzione alle
stazioni di servizio. Con la progressiva diffusione delle automobili a celle a
combustibile, i punti di rifornimento non serviti dalle raffinerie potrebbero installare
dei trasformatori per estrarre idrogeno dalla benzina o dall’acqua tramite elettricità.
A lungo termine, le stazioni convertite potrebbero garantire la maggior parte del
quantitativo di combustibile necessario, o grazie all’aiuto degli impianti su larga scala
o attraverso apparecchiature di più ampia diffusione. Il governo dovrebbe stanziare
dieci miliardi di dollari per creare degli incentivi (per esempio dei sistemi di prestiti
ad interessi zero) per stimolare le compagnie petrolifere a contribuire alla costruzione
della nuova infrastruttura energetica nazionale. Si potrebbe anche garantire loro dai
cinque ai dieci anni di monopolio. La diffusione dell’alimentazione ad idrogeno
potrebbe anche presentare dei vantaggi per le società di trasporto disposte a
collaudare i nuovi veicoli. La FedEx e la Ups hanno già in programma, per i prossimi
cinque anni, di adottare mezzi a celle a combustibile. L’amministrazione Bush
dovrebbe sfruttare questa sinergia tra pionieri dell’idrogeno ed interesse nazionale,
offrendo agevolazioni fiscali per dieci miliardi di dollari alle aziende che accettino di
utilizzare macchine alimentate dal nuovo combustibile. Inoltre, nelle regioni servite
da un impianto di raffineria, bisognerebbe stanziare altri cinque miliardi di dollari per
garantire la nuova dotazione energetica alle volanti della polizia, alle ambulanze, ai
camion della raccolta rifiuti ed a tutti i veicoli municipali in genere. Un altro settore
da non trascurare è anche quello militare, visto che il sessanta per cento dei suoi
budget logistici è destinato al trasporto del carburante.
L’esigenza di una conversione delle infrastrutture che accompagni la diffusione dei
nuovi veicoli richiama alla mente un’altra iniziativa stile Apollo: il National Defense
Highway Act di Eisenhower. Durante la seconda Guerra mondiale, Ike, allora
ufficiale, aveva faticato a spostare le truppe nel territorio statunitense, rendendosi
conto di come le autostrade tedesche costituissero per la Germania un vantaggio
militare. Una volta diventato presidente, stanziò trecento miliardi di dollari, ottenuti
attraverso l’istituzione di una tassa sul gas, per la costruzione di un’analoga
infrastruttura anche in America. L’enorme successo di quel progetto ha dimostrato
come l’interesse della sicurezza nazionale possa incentivare l’attuazione di
programmi federali su larga scala.

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L’incremento della produzione di idrogeno
DA DOVE RICAVEREMO L’IDROGENO? Paradossalmente, anche se l’idrogeno è
l’elemento più abbondante in natura, raramente si presenta in forma pura. Dev’essere
estratto da sostanze che lo contengono, per esempio dai combustibili fossili o
dall’acqua. Il problema è che questo processo di estrazione richiede un certo
dispendio energetico. Al momento, il metodo più economico è la riconversione del
vapore, un sistema in cui alcuni gas naturali reagiscono chimicamente con del vapore,
producendo idrogeno e anidride carbonica (un gas serra). Forse quindi sarebbe
preferibile usare risorse senza carbonio: energia solare, eolica oppure idrica, in grado
per elettrolisi di scomporre l’acqua in idrogeno e ossigeno. L’idrogeno in questo
modo risulterebbe utile nell’affermazione delle rinnovabili, fungendo da sistema di
immagazzinamento dei limitati quantitativi di energia prodotti da tali fonti,
soprattutto dall’eolico che si presta particolarmente ad un utilizzo di questo genere.
Iniziative di sviluppo a lungo termine di questo tipo richiederebbero un investimento
iniziale di dieci miliardi di dollari.
Questo incentiva per ora il ricorso ad una fonte di energia pulita, efficiente e per
molti versi trascurata: il nucleare. I generatori di questo tipo sono una forma di
tecnologia da sfruttare almeno quanto le celle a combustibile. Al contario dei reattori
del passato, quelli moderni, modulari ed a letto di ghiaia, come quello di Koeberg, in
Sudafrica, non si surriscaldano al punto da rischiare la fusione. La struttura di
Koeberg utilizza delle piccole sfere di uranio rivestite di grafite invece delle
bacchette di plutonio, ed il raffreddamento avviene tramite elio e non tramite acqua.
Il nuovo sistema è talmente efficace da costuire una valida alternativa al carbone ed
al petrolio. Tuttavia, anche il settore del nucleare, per poter arrecare dei vantaggi alla
rivoluzione dell’idrogeno, ha urgente bisogno di ulteriori ricerche sulle modalità di
produzione come sullo smaltimento delle scorie, il che richiederebbe un
finanziamento di altri dieci miliardi di dollari.
L’opzione del nucleare potrebbe servire da tappabuchi, permettendo all’America di
raggiungere comunque un’indipendenza energetica, in attesa che i settori dell’eolico,
del solare e dell’idrico maturino a sufficienza. Posti di fronte alla scelta tra i
combustibili fossili ed i reattori nucleari come fonte di alimentazione della nuova
economia dell’idrogeno, perfino i militanti di Greepeace dovrebbero optare per gli
impianti del secondo tipo, che rappresentano il male minore. Del resto, tutte le forme
di investimento prevedono una forte spesa, quindi forse sarebbe meglio ridurre la rosa
delle alternative e far confluire il denaro in quella che è davvero la discriminante
fondamentale del passaggio dal petrolio all’idrogeno: l’infrastruttura elettrica. Entro
dieci anni, i fondi dovrebbero poter essere indirizzati all’installazione delle
connessioni tra pompe di idrogeno e stazioni di alimentazione.

La campagna di promozione

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UNA SITUAZIONE come quella attuale, caratterizzata dal costante aggravarsi del
debito statale e dal ristagno dell’economia, potrebbe sembrare un momento non
molto adatto per decidere di investire tutti questi soldi. Siamo onesti: anche rivestita
dell’aurea della sicurezza nazionale, l’ipotesi di una spesa da cento miliardi di dollari
non è facile da digerire. Ecco perché l’impegno dell’amministrazione Bush nel
promuovere l’economia dell’idrogeno dovrà essere ancora più vigoroso di quello con
cui essa ha invitato il paese alla guerra contro l’Iraq. Dal punto di vista finanziario,
non si tratta di un caso disperato. Cento miliardi di dollari corrispondono a meno di
un quarto dell’investimento annuale previsto dal governo federale per i prossimi
cinque anni nel settore della difesa. Aumentare di cinque centesimi a gallone
l’importo della tassa sui consumi di gasolio - una cifra peraltro inferiore alle
oscillazioni stagionali del prezzo del combustibile - potrebbe coprire buona parte
della spesa. Per quanto riguarda il resto, invece, ci si potrebbe affidare a delle
“obbligazioni H”, che garantirebbero ai cittadini la possibilità di prendere parte alla
causa e nello stesso tempo proporrebbero i consueti vantaggi connessi ad ogni valido
investimento. Come testimonial potrebbero essere utilizzati dei personaggi famosi, le
obbligazioni si potrebbero vendere attraverso i boyscout, ed il pagamento potrebbe
avvenire tramite detrazioni dalla busta paga. Una tattica che si è rivelata
particolarmente utile, allora come “tassa per la libertà”, durante le Guerre mondiali.
Per convincere il Congresso ci vorrà tutta l’abilità di cui l’amministrazione sarà
capace, anche se alcuni stati stanno già contribuendo al programma con crediti
d’imposta, finanziamenti alla ricerca ed altre iniziative volte a creare posti di lavoro
nel settore della produzione delle celle a combustibile. «Abbiamo intenzione di
collaborare con il governo e le industrie federali per fare della California un leader
dell’idrogeno», dichiara Alan Lloyd, presidente dell’Air Resources Board, succursale
dell’Epa in uno stato in cui sulla maggior parte delle macchine fa bella mostra di sé
l’adesivo con la scritta “Salviamo la Terra” (a Los Angeles il primo veicolo Honda a
celle a combustibile è stato acquistato già lo scorso dicembre). Le regioni che
incoraggeranno lo sviluppo delle società dell’idrogeno verranno premiate con
agevolazioni fiscali nella vendita del combustibile all’Europa ed all’Asia.
Ancor prima di convincere il Congresso, però, il presidente dovrà riuscire a
conquistarsi il favore delle industrie petrolifere e dei fabbricanti di automobili. In fin
dei conti, l’idrogeno costituisce una minaccia per loro, ma l’infrastruttura distributiva
e le capacità necessarie a diffondere la nuova energia nel mercato sono nelle loro
mani. La prospettiva degli imminenti e massicci investimenti federali agevolerebbe il
tutto: al momento il problema principale per queste industrie è quello del calo dei
profitti e del contemporaneo aumento dei costi. Il denaro potrebbe dar loro molto più
che una semplice consolazione. Potrebbe servire da utile indicazione riguardo alla
strada da seguire in futuro, trasformando gli ostacoli che si frappongono
all’affermazione dell’idrogeno in presupposti per il suo trionfo.
Le compagnie petrolifere e le società automobilistiche sono già consapevoli della
necessità di svincolare i propri modelli di business dal greggio. Secondo la maggior
parte dei dati più recenti, la crescita del settore petrolifero mondiale si è praticamente
arrestata. Grazie alle nuove scoperte, le riserve del pianeta sono aumentate del 56 per
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cento tra il 1980 e il 1990, ma solo dell’1,4 per cento tra il 1990 e il 2000. Alcuni
geologi ritengono che la produzione di oro nero arriverà al declino totale entro il
2006, altri posticipano i termini al 2040. Per di più, è ormai chiaro che il consumo di
petrolio è almeno in parte responsabile del riscaldamento globale, il che alimenta
sempre più la richiesta di forme di energia alternative. Non dovrebbe volerci molto a
convincere le industrie automobilistiche e petrolifere del fatto che la soluzione ideale
è quella di adattarsi all’idrogeno al più presto con l’aiuto degli investimenti federali,
invece di essere costretti a farlo dopo e senza alcun sostegno economico esterno.
Nei prossimi dieci anni, il mercato più importante sarà, ovviamente, quello
statunitense. L’amministrazione dovrà stanziare venticinque miliardi di dollari per
convincere gli americani a comprare macchine a celle a combustibile e dunque a
sposare definitivamente la tecnologia dell’idrogeno. Questo budget servirebbe a
garantire duemila dollari di sconto all’acquisto di ogni veicolo, nonché altre
agevolazioni come i parcheggi preferenziali, le autostrade senza pedaggio,
l’immatricolazione gratuita. E almeno un miliardo di dollari l’anno – l’equivalente
dell’investimento pubblicitario della Nike nel 2001 - dovrebbe essere destinato alle
campagne di informazione, ai manifesti, alle conferenze, ai concorsi, ed a tutti gli
altri mezzi di promozione in grado di veicolare il messaggio che raggiungere
l’indipendenza energetica attraverso l’idrogeno è un dovere di ogni cittadino. È lecito
chiedersi se un’iniziativa governativa, per quanto decisiva in termini di sicurezza
nazionale, possa riuscire a determinare una trasformazione così radicale. Altri
programmi federali del genere non hanno lasciato traccia: i tentativi passati di
sponsorizzazione dell’idrogeno stesso - dopo le crisi petrolifere del 1973, 1978 e
1980, per esempio - non hanno ottenuto alcun riscontro.
Ma quegli insuccessi erano legati principalmente al fatto che gli Stati Uniti
continuavano ad avere accesso al petrolio a prezzi relativamente bassi. L’autonomia
energetica cominciò a diventare una priorità quando l’Opec alzò le tariffe dai tre ai
dodici dollari per barile tra il 1973 e il 1975, ma appena la crisi passò ed i costi
calarono di nuovo, il trend ebbe subito fine. Risultato: anche la disponibilità politica a
prendere decisioni forti in campo energetico svanì. Oggi il pericolo per la sicurezza
nazionale impedisce alle istituzioni di rimanere inerti: meglio fare ora delle scelte
difficili che costringere i nostri figli, un domani, a combattere per il petrolio.
Oltretutto, le iniziative passate erano ostacolate anche dall’arretratezza delle
tecnologie di allora, mentre adesso le celle a combustibile sono arrivate a un livello di
evoluzione in cui l’idrogeno è ormai un’alternativa assolutamente valida al petrolio.
La Coleman recentemente ha lanciato sul mercato il primo prodotto commerciale che
utilizza questo tipo di alimentazione: un generatore di corrente d’emergenza, per uso
domestico. Gli autobus ad idrogeno già circolano a Toronto e Chicago, e presto
saranno in funzione anche a Londra, Madrid ed Amburgo. Dal canto suo, l’Islanda ha
intrapreso un ambizioso programma di conversione dei suoi trasporti pubblici e del
suo sistema di pescherecci alla nuova energia. Il segnale più incoraggiante è da
riscontrare negli investimenti delle compagnie petrolifere ed automobilistiche, per
non parlare del crescente interesse in ambito finanziario.

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Se il presidente Bush riuscirà ad attuare questo programma, oppure un’altra iniziativa
altrettanto audace, entro il 2013 tutte le maggiori società automobilistiche
commercializzeranno macchine ad idrogeno, e probabilmente nasceranno parecchie
nuove aziende che produrranno altri tipi di veicoli, come auto sportive e fuoristrada.
Le stazioni di servizio delle sei maggiori città del paese potrebbero distribuire
contemporaneamente idrogeno e benzina, ma molte altre potrebbero garantire solo il
nuovo carburante. Pensate, tra l’altro, a come l’economia dell’idrogeno cambierà la
geopolitica. L’Opec non sarà più un fattore determinante in politica estera. I rapporti
con i paesi produttori di petrolio saranno basati solo su interessi comuni. E l’America
sarà libera di promuovere la democrazia in paesi come la Nigeria, l’Arabia Saudita e
l’Iran. Le basi militari in Arabia, Kuwait e Qatar verranno smantellate, e le forze
navali dislocate nel Mediterraneo e nel Golfo Persico richiamate in patria.
Ma anche a quel punto, la transizione sarebbe tutt’altro che completa. Ci vorranno
decenni per eliminare dalle strade tutti i veicoli tradizionali, ed ancora di più prima
che l’idrogeno possa essere prodotto su larga scala utilizzando energia pulita. A lungo
termine, le stesse automobili a celle a combustibile potrebbero riuscire a produrre
autonomamente energia invece di consumarla soltanto. In pratica, i contatori elettrici
potrebbero in qualche caso funzionare all’inverso. Il futurista Amory Lovins
immagina, a questo proposito, un network in cui i consumatori possano ottenere
l’energia di cui hanno bisogno dalla fonte più vicina, che sia una stazione di
rifornimento oppure una station wagon parcheggiata. Un sistema del genere sarebbe
molto più efficiente e meno costoso. Questa energia più economica potrebbe essere
venduta in grandi quantità alle aziende per abbattere i costi, creando ulteriori
incentivi alla diffusione del nuovo combustibile.
A breve, la tecnologia statunitense delle celle a idrogeno offrirà enormi opportunità di
sviluppo a paesi come la Cina e l’India, che nei prossimi anni saranno i maggiori
consumatori al mondo di energia. Queste nazioni non hanno un’infrastruttura
petrolifera adeguata, quindi sarà più facile per loro adattarsi direttamente al nuovo
modello, battendo sul tempo l’Occidente sviluppato. Essendo più economico del
petrolio, il nuovo combustibile agevolerà i paesi poveri, riducendone i debiti ed
aumentando la sicurezza nazionale. Nella sfida attuale la posta in gioco è molto più
alta che nel caso dello Sputnik. L’indipendenza energetica, al contrario
dell’esplorazione spaziale, dipende direttamente dalla determinazione americana. I
disordini in Medioriente, il debito statale in costante aumento, la promessa
tecnologica che ha bisogno solo di un impulso economico: tutte queste condizioni
fanno di questo periodo il momento ideale per lanciare un programma stile Apollo
per la diffusione del nuovo modello economico. Il destino della repubblica dipende
da questo.

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Dieci anni di innovazione energetica
1995
La General Motors presenta un’automobile elettrica, la Impact (successivamente
perfezionata nella versione Ev1), al Greater Auto Show di Los Angeles.
La Ge lancia l’H System, una turbina di combustione che ha bisogno per funzionare
solo di gas naturali, vapore e tecnologie di recupero del calore.

1997
In Giappone, la Toyota presenta Prius, il primo motore ibrido gas-elettrico a
produzione di massa.

1999
Chicago spende otto milioni di dollari per installare dei pannelli solari nei vecchi siti
industriali per illuminare parchi ed edifici municipali.

2000
L’azienda sudafricana Eskom inizia a costruire il primo “reattore modulare a letto di
ghiaia”, un impianto nucleare più sicuro.

2001
La Clean Energy Systems progetta un impianto energetico che brucia gas naturali
rilasciando carbone ed anidride carbonica.

2002
L’Honda noleggia a Los Angeles la prima di cinque automobili a celle a
combustibile. La Fcx ha una potenza di ottanta cavalli, ma emette solo acqua.

L’Irlanda approva il progetto della maggiore centrale eolica in mare aperto del
mondo: duecento turbine disposte su un banco di sabbia lungo ventisette chilometri e
largo due.

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