Guida breve al Giardino e al Palazzo Rospigliosi-Pallavicini

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Guida breve al Giardino
           e al Palazzo Rospigliosi-Pallavicini

                       Veduta aerea di Palazzo Rospigliosi in una foto del 1950

                                                                            a cura di Nunzio Primavera

NOTE SULLE ORIGINI
DEL GIARDINO SEGRETO DI MONTECAVALLO

      La vasta area dove si trova Palazzo Pallavicini-Rospigliosi ha avuto
come proprietario dal 1610 al 1616 il cardinale Scipione Borghese
Caffarelli, "cardinal nepote" di Paolo V Borghese (1605-1622).
      In quest'area il grande cardinale, famoso per la sua indefessa attività
di accaparratore di opere d'arte e di patrimoni per la sua famiglia, oltre che
di costruttore di palazzi, aveva voluto realizzare il suo "giardino di
Montecavallo", proprio nei pressi del magnifico palazzo pontificio del
Quirinale, per il quale suo zio Paolo V aveva dedicato grandi sforzi.
      Passione breve e costosissima per Scipione Borghese che vende dopo
solo sette anni a Giovanni Angelo Altemps l'area del giardino e dei
numerosi edifici presenti. Non si può parlare ancora, all'epoca, del grande
palazzo che vediamo oggi e che nel suo assetto unitario ingloba diversi
edifici, alcuni precedenti, altri voluti dal cardinale Borghese e altri che si
devono ai successivi proprietari Altemps, Bentivoglio, Lante, Mazzarino e
Pallavicini-Rospigliosi.
      Scipione Borghese abbandonerà il suo bel "giardino secreto" per il
palazzo di Ripetta (il "Clavicembalo") e per la vigna al Pincio, dove oggi è
il museo Borghese. A queste fabbriche dedicherà sforzi notevoli, da vero
amante dell'arte qual era. I risultati ne fanno ancora oggi, con il palazzo
Borghese a Ripetta, la villa Borghese con il palazzo sede della Galleria
Borghese e tutti gli edifici costruiti nell'area della "vigna", un patrimonio
monumentale tra i più interessanti al mondo.
      Ma sia pure nei pochi anni in cui detiene la proprietà dell'area del
Giardino di Montecavallo, Scipione Borghese è l'artefice soprattutto di due
opere d'arte tra le più significative del bolognese Guido Reni: l'Aurora con
il carro di Apollo (dipinta al contrario affinché si specchi sul pavimento e
consenta, quindi, di ammirare l'Aurora dal verso giusto senza sforzo
alcuno per i nobili ospiti) e il Pergolato realizzato assieme al fiammingo
Paolo Brill.
      L'Aurora Pallavicini, una glorificazione di Scipione Borghese stesso
nella figura di Apollo trionfante, è considerata una sorta di emblema di
questo momento storico.
      Il Pergolato, popolato di animali e piante e da coppie di deliziosi
puttini frammezzate dai fiori, era il cuore del giardino segreto del grande
cardinale, autentico signore di Roma. Glorificava anch’esso Scipione,
secondo la simbologia rinascimentale attribuita a fiori e piante e nella lotta
tra eros e antieros espressa nelle vele nel combattimento tra gli angioletti,
che trovano la sublimazione nella pace, soltanto sotto i due simboli araldici
dei Borghese: il fiore tagete e l’aquila. Sono di mano di Guido Reni
proprio gli angioletti sulle vele, ciascuna delle quali è stata realizzata in
una sola giornata di lavoro e direttamente senza cartoni preparatori in
quanto il pittore aveva fretta di partire per Bologna dove lo attendevano
altre committenze. Alla mano di Paul Brill e dei suoi collaboratori si deve
il pergolato con la fitta trama di tralci d’uva e animali esotici, molti dei
quali per il vecchio continente rappresentavano una autentica novità
all’epoca in cui furono dipinti in quanto giunti dalle Americhe da poco,
come il tacchino e i pappagalli amazzonici. Anche in questo caso la
collocazione degli animali rispecchia il concetto di contrapposizione tra
bene e male in quanto gli animali positivi sono quelli raffigurati nella parte
interna della loggia e quelli negativi in quella esterna.
      Prima ancora dell'acquisizione dell'area da parte del cardinale
Scipione Borghese, la zona era occupata da notevoli resti di età classica
relativi alle terme di Costantino che lo stesso cardinale, purtroppo distrusse
con estrema disinvoltura per realizzare il suo “hortus conclusus”.

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Era questa un'area di notevole interesse per gli uomini di cultura
dell'epoca. Non è difficile immaginare Michelangelo Buonarroti a
passeggio con Vittoria Colonna d’Avalos in volontario e vedovile esilio a
pochi passi, nel convento domenicano annesso a san Silvestro al Quirinale
e non lontano dal confinante palazzo Colonna. Numerosi i fabbricati di
rilievo che oggi non ci sono più: un Ginnasio greco, le case del Platina e di
Pomponio Leto. Proprio sui ruderi delle Terme costantiniane si trovavano
gli Eremiti di San Girolamo con la Chiesa di San Salvatore "de cornutis"
demolita per far posto al giardino. Vi erano anche numerose ville del
patriziato romano, scomparse completamente.
      Paolo V, lo zio pontefice di Scipione, durante tutto il pontificato,
aveva dato un nuovo assetto a tutto il colle del Quirinale, a partire dal
palazzo pontificio che Gregorio XIII aveva voluto come sede estiva dei
papi, operando per riqualificarlo e farlo divenire quasi un secondo
Vaticano e per dargli maggior fasto e solennità. In questa scia si innesta
l'impresa di Scipione Borghese.
      Da una parte il palazzo ufficiale della rappresentanza pontificia del
potere e dall'altra il giardino, inteso come luogo di delizie più profane che
sacre, ma anche per la rappresentanza in occasioni ufficiali, come la visita
del primo ambasciatore dall’Oriente il cui ritratto troneggia a Palazzo
Barberini.
      Scipione acquisisce, pezzo per pezzo, a partire dal 1610, l'area delle
terme di Costantino. Ma da tempo si era dato da fare per avere i permessi
per portarvi, da largo di Santa Susanna, l'Acqua Felice dell'acquedotto di
Sisto V. Il primo pezzo, dopo corteggiamento assiduo che durava da anni,
era stato quello relativo al giardino e al Casino Biondo, lo acquista da
Fabio Biondo Patriarca di Gerusalemme, maggiordomo del Papa e prefetto
dei palazzi apostolici. Il "casino Biondo", che, nel palazzo, è quello dove si
trova il bellissimo pergolato di Guido Reni, è l'area più antica dell'edificio
e forse la più bella. Da notare le stelle degli Aldobrandini nelle antiche
colonne nella parte esterna della loggia che fanno pensare che questo
edificio in precedenza doveva essere stato parte della vicina Villa di questa
famiglia che forse si estendeva fino alla sommità del Quirinale.
      Dopo questo acquisto, il dono da parte dello zio papa di una parte del
palazzo Ferrero che si trovava nell'area che sta tra l'attuale Corte
Costituzionale e vicolo del Mazzarino. Quindi nel 1611 altre piccole
proprietà tra cui un torrione, alcune casette e, per 11 mila scudi a carico
della Camera apostolica, la casa delle Zitelle del Rifugio, suore che furono

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d'ufficio spostate a via della Dataria. La chiesa di San Gerolamo viene
spregiudicatamente demolita con la scusa di allargare la strada verso il
palazzo apostolico. Agli Eremitani che la gestivano viene concessa la
chiesa dei santi Vincenzo e Anastasio a Trevi.
      Dopo tante disinvolte spoliazioni, il cardinal Scipione tributa alle
suore Zitelle del Rifugio una donazione (ridicola rispetto a quanto aveva
ottenuto) di mille scudi per farle più sollecitamente sloggiare verso via
della Dataria. Un'altra zona acquistata fu quella di proprietà di un tale
Tranquillo Ceci, relativa all'area verso il vicolo del Mazzarino. Quindi il
Torrione dei Piccolomini e quello dei Colonna. Nel 1612 completata
l'acquisizione dell'area necessaria per il giardino inizia l'opera di
abbattimenti a cominciare dai due torrioni per realizzare i primi edifici a
filo con il casino dell'Aurora.
      Abbattimenti spregiudicati di opere certamente importanti, quali il
notevole complesso termale di Costantino, che ha avuto bisogno nel 1614
dell'approvazione pontificia con un Breve di autorizzazione.
      Non aveva ancora completata l'acquisizione delle varie aree che già
Scipione Borghese diede il via alle principali opere pittoriche. E comincia
proprio con il casino del Patriarca Biondo dove nel 1611 è realizzato da
Guido Reni e Paolo Brill il pergolato nella loggia (originariamente a
cinque archi, poi a tre), che fungeva da passaggio tra il giardino segreto e il
palazzo principale, del tutto recuperato nel nuovo edificio borghesiano, sia
pure con modifiche notevoli.
      Poche tracce ci sono del complesso arboreo che costituiva il giardino
e che non doveva essere roba da poco. Oltre al Casino Biondo, altri quattro
erano i padiglioni, di piccola entità. Nella parte di giardino che scendeva
verso la Suburra (più o meno dove ora è la Banca d'Italia) fu realizzato il
Casino Psiche, con scene tratte dalle Metamorfosi di Apuleio (distrutto
dopo il 1870 per realizzare via Nazionale).
      Nel 1611 fu costruita anche la loggia delle muse e il teatro d'acqua
con le statue del Po e del Tevere. Sempre nel 1611 viene iniziato il lavoro
per la parte del giardino verso la piazza di Montecavallo con il Casino
dell'Aurora concluso alla fine del 1612, solo nel 1614 Guido Reni concluse
la sua opera pittorica più famosa, in ritardo perché si attendeva lo sfratto
delle Zitelle del Rifugio e la demolizione della Chiesa di san Gerolamo per
avere la piena disponibilità dell'area.
      Contemporaneamente a queste opere Scipione Borghese inizia a
interessarsi maggiormente delle fabbriche nella vigna al Pincio e presso il

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porto di Ripetta, rispetto a quelle sul Quirinale. Una volta realizzato su
Montecavallo il magnifico giardino e le logge mancava solo un palazzo
per il quale si iniziarono a gettare le fondamenta per opera del Vasanzio e,
forse, del Maderno. Un palazzo che però viene costruito con un impegno
senza dubbio più modesto da parte di Scipione Borghese attento ad altre
fabbriche, come detto.
      Nel 1616, l'8 maggio, avviene la vendita al duca Giovanni Angelo
Altemps per 115 mila scudi. Nelle valutazioni: 200 scudi l'Aurora di Reni,
520 le pitture di Tassi e Gentileschi, 247 quelle del Tempesta e 300 quelle
del Cigoli nel casino delle Muse; la somma vertiginosa di 700 scudi per
la Pergola. Viene descritto il giardino segreto: il 'palazzino di ritiramento'
(il casino Biondo), la 'loggia da cenare' (il casino di Psiche), la 'loggia
dell'Aurora' con due stanzoni per banchetti e con la peschiera per le
barche, 'il fontanone con il teatro d'acqua' e la 'loggia delle muse'. Molto
poco si dice del palazzo, proprio perché appena terminato passa di mano
senza quelle rifiniture che erano state invece dedicate dal Borghese ad altri
edifici.
      Uno dei motivi per cui si è dovuto disfare del giardino di
Montecavallo è stata, senza dubbio, la costosissima manutenzione. Lo
stesso Altemps lo tiene per soli tre anni e lo rivende nel 1619 per 55 mila
scudi al bolognese Enzio Bentivoglio, che lo dà al suo parente cardinal
Guido, nunzio apostolico in Francia presso la corte di Luigi XIII.
      A questo periodo risalgono le opere di Giovanni Mannozzi da san
Giovanni: i tre ratti di Europa, di Anfitrite e di Persefone e i fregi con paesi
di Filippo D'Angelo e Pietro Paolo Bonzi al piano terra della parte
Rospigliosi del Palazzo e altre tre opere sempre di Giovanni da San
Giovanni nella parte Pallavicini: un Incendio di Troia, la Morte di
Cleopatra e l'Allegoria della Notte.
      Intorno al 1633 i Bentivoglio vendono ai Lante che a loro volta
vendono nel 1641 al cardinale Giulio Mazzarino.
      Nel 1704 Filippo Mancini duca di Nevers, nipote di Mazzarino,
vende ai Pallavicini Rospigliosi. Da ricordare che non lontano va ad
abitare la sorella di Filippo, Maria Mancini, primo grande e mai
dimenticato amore del Re Sole Luigi XIV; forzatamente sacrificata dal
grande zio, primo ministro di Francia, alla ragion di Stato e mandata in
sposa a 15 anni al Gran Connestabile Lorenzo Onofrio Colonna,
nonostante il regale desiderio. Il giardino segreto che doveva avere visto
chissà quante volte l’inconsolabile Maria Mancini a passeggio con il

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fratello Filippo, noto libertino, scompare quasi del tutto dopo il 1870 con
l’inconcepibile e assurdo sventramento avvenuto per i lavori di
realizzazione di via Nazionale.
      I Pallavicini possiedono ancora il secondo piano del palazzo, il
Casino dell'Aurora e parte del giardino superstite. La parte Rospigliosi del
palazzo è sede della Coldiretti.

LA FAMIGLIA, IL PALAZZO
E LA COLLEZIONE ROSPIGLIOSI-PALLAVICINI

      La famiglia Pallavicini era una delle prime di Genova e faceva parte
del Libro d'Oro della nobiltà ligure fin dal 1400. Uno degli esponenti,
Nicolò, tra i suoi 22 figli ne ha tre che iniziano il ramo romano della
famiglia nel 1600: Lazzaro, Stefano e Carlo.
      Lazzaro (1602-1680) giunse ai più alti gradi della gerarchia
ecclesiastica e fu eletto cardinale da papa Clemente IX Rospigliosi, di
origine pistoiese. Si impegna molto per la sua famiglia e fa sposare sua
nipote Maria Camilla, unica erede del fratello Stefano, con Giovan Battista
Rospigliosi, nipote di Clemente IX.
      Ha inizio così la storia di una grande famiglia con origini ligure e
toscana che, nei due rami Pallavicini e Rospigliosi, per divenire
autenticamente romana, è strettamente legata alla storia del palazzo di
Montecavallo.
      Preoccupazione del Cardinale Lazzaro Pallavicini è proprio quella di
elevare il più possibile il ramo romano della famiglia. I pistoiesi
Rospigliosi avevano anche loro desiderio di crescere in prestigio per cui si
trovano ben d'accordo con le mire del porporato che, come prima
iniziativa, si adopera con complicate operazioni per mantenere vivo il
cognome Pallavicini. Viene stabilito infatti, per il presente e il futuro, che
se i Rospigliosi vengono ad avere un solo figlio maschio questo deve
portare anche il cognome Pallavicini, (un doppio cognome, insomma), con
relativo titolo e beni legati al nome, fino alla nascita di un secondo figlio
maschio che deve dare inizio al nuovo ramo dei Pallavicini di Roma. Nel
caso in cui i Rospigliosi hanno una sola erede femmina questa deve legare
il cognome e i beni dei Pallavicini al futuro marito e ai suoi discendenti.

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Contemporaneamente, Lazzaro si impegna ad accrescere un notevole
patrimonio di opere d'arte e a conquistare una residenza dignitosa per i
suoi eredi.
      In un primo momento (1674), prima del palazzo sul Quirinale,
acquista un palazzo dalla famiglia Barberini nella zona del Monte di Pietà,
dalle parti di Campo de’ Fiori, che però, riaprendo la questione della
residenza, viene restituito ai Barberini da Nicolò secondogenito di Maria
Camilla Pallavicini e Giovan Battista Rospigliosi che nel 1694, come
stabilito dalla regola, aveva assunto il cognome Pallavicini.
      Nel 1704 i Rospigliosi-Pallavicini acquistano il Palazzo sul Quirinale
sistemando le collezioni d'arte così come oggi sono ancora collocate. Un
palazzo che doveva essere sembrato all'altezza di una famiglia in ascesa,
con un immenso giardino che si estendeva in tre ripiani verso la via dei
Serpenti e la Chiesa di Sant'Agata dei Goti, in direzione dell’attuale Banca
d’Italia e verso la Suburra.
      Dopo il periodo, breve ma intenso, in cui Scipione Borghese
Caffarelli aveva arricchito le logge dell'Aurora, delle Muse e di Psiche, il
Teatro d'acqua e il Casino Biondo con le opere che abbiamo detto di Guido
Reni, Paolo Brill e altri, solo il cardinale Guido Bentivoglio, tra quelli che
hanno avuto la proprietà del palazzo si interessa ad arricchirlo con
interessanti opere d'arte che abbiamo già indicato di Giovanni da san
Giovanni sia al piano terra che al piano nobile, del Gobbo dei Carracci e
Filippo d'Angelo. Non molto fecero i Bentivoglio per arricchire il Palazzo
dal punto di vista architettonico. Poi la vendita ai Lante e quindi al
cardinale Giulio Mazzarino prima del 1642. E' comunque il primo ministro
del Re Sole, con i suoi eredi, a estendere il palazzo verso sud ovest
inglobando anche la loggia del pergolato nel palazzo.
      Nel 1704 i Pallavicini acquistando il palazzo dai Mancini, eredi del
cardinale Mazzarino, lo ampliano verso sud e fanno costruire le scuderie
con il palazzo dei famigli nel giardino principale. Avviene quasi subito la
divisione del palazzo nelle due quote equivalenti Pallavicini e Rospigliosi
che vige tuttora. Ai primi il piano nobile, il casino dell'Aurora e quello
delle Muse. Ai secondi il piano terra con il casino Biondo, il secondo
piano (allora incompiuto) e il casino dei famigli.
      Le collezioni artistiche seguono la sorte dei due rami della famiglia.
      Inizia però una storia artistica di grande rilievo con un patrimonio
rilevante rimasto pressoché integro nei due rami e arricchito per la
munificenza di personaggi come San Carlo Borromeo che fa doni di opere

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di grande valore alla nipote Giustina, sposa di Camillo Rospigliosi, figlio
di Maria Camilla; la famiglia Colonna agli inizi dell'800, la cui erede
Margherita Gioemi Colonna va sposa a Giulio Cesare Rospigliosi
Pallavicini portando un terzo dei beni della illustre casata che si estingueva
con le sue due sorelle nella linea diretta (un'altra delle due quote Colonna
viene recuperata in seguito da Giulio Cesare per riunirlo ai beni della
moglie Margherita e dividerlo equamente nelle solite due quote Pallavicini
e Rospigliosi).
       Lungo tutto il 1700 e parte dell'800 è stato tutto un susseguirsi di
accrescimenti delle gallerie e di problemi per la stabilizzazione della
discendenza Pallavicini-Rospigliosi. Sono stati, appunto, Giulio Cesare
Rospigliosi-Pallavicini e Margherita Colonna a rimettere in moto la
divisione delle due famiglie com'era nelle intenzioni del loro antenato
illustre cardinale Lazzaro Pallavicini. Il primogenito Clemente Rospigliosi
e il secondo Francesco Pallavicini restaurarono i due cognomi e il possesso
delle due proprietà nell'attuale situazione di fatto.

LA “QUADRERIA” ROSPIGLIOSI

      Le collezioni artistiche, come dicevamo, subiscono identica sorte con
divisione netta tra i due rami e la collocazione che si può ritrovare ancora
oggi nell'ordine originario.
      Inizia però una storia artistica di grande rilievo con un patrimonio
rilevante arricchito per la munificenza di personaggi come il cardinale
Giulio Rospigliosi, poi papa Clemente IX, che già nella prima metà del
'600 aveva iniziato a raccogliere opere d'arte; la famiglia Colonna agli inizi
dell'800, la cui erede Margherita Gioemi Colonna va sposa a Giulio Cesare
Rospigliosi Pallavicini portando un terzo dei beni della illustre casata che
si estingueva con le sue due sorelle nella linea diretta (un'altra delle due
quote Colonna viene recuperata in seguito da Giulio Cesare per riunirla ai
beni della moglie Margherita e dividerla equamente nelle solite due quote
Pallavicini e Rospigliosi).
      Lungo tutto il 1700 e parte dell'800 è stato tutto un susseguirsi di
accrescimenti delle due collezioni e di problemi per la stabilizzazione della
discendenza Pallavicini-Rospigliosi.
      La Collezione Rospigliosi accresciutasi per oltre due secoli
contemporaneamente con la collezione Pallavicini, è senza dubbio una

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delle collezioni romane più illustri e meno note, anche per gli storici
dell'arte che non hanno mai avuto l'opportunità di conoscerla, e quindi
studiarla, tutta insieme. Ignorata del tutto dal pubblico che non ha mai
potuto visitarla.
        La collezione nasce nel decennio 1630-43 da Giulio Rospigliosi,
intimo della cerchia dei cardinali Barberini, nipoti di Urbano VIII, amico
dei Medici,           autentico uomo d'arte, librettista ufficiale delle
rappresentazioni teatrali che segnavano le più importanti occasioni
mondane, diplomatiche, o tristi del Seicento. Mecenate che pose sotto la
sua protezione artisti come Poussin e Claude Lorrain, Giacinto e Ludovico
Gimignani, Mattia Preti giovane. Eminente uomo di stato, Cardinale
segretario di Stato, nunzio in Spagna e papa, per due soli anni fino al 1669.
        La Collezione si compone di 123 dipinti e di dieci sculture antiche, i
sopravvissuti della collezione (che nel Settecento, con la collezione
Pallavicini, è arrivata a circa 700 opere). Solo 21 dipinti, il fior fiore della
collezione, sono stati esposti nel 2000. Le 123 opere (87 dipinti con
autore; 36 anonimi; dieci sculture: due rilievi, sette busti, un puttino su
delfino) che costituiscono 'La collezione                   Rospigliosi' sono
interessantissime e sono sopravvissute alla dispersione delle due vendite
all'asta del 1931-32 per turare il dissesto economico della famiglia.
        Tra gli autori principali della collezione Luca Giordano, Van Dyck e
Guercino. L'opera di Luca Giordano è un dipinto inedito di 200 per 255 cm
con 'La fuga di Elena', ''primissima produzione'' di meta' Seicento. Il van
Dyck autografo (non una copia come si riteneva) è una 'Santa Rosalia' di
160 per 170 cm. Il Guercino sconosciuto (i Guercino della Rospigliosi
sono otto, fra originali, copie e imitatori) è 'San Francesco in preghiera'.
L’altro Guercino importante e dalla prorompente bellezza è la 'Flora' dal
seno scoperto, uno ''splendido autografo'' del 1642, che è l’autentico
testimonial della collezione. E' un dipinto anche di grandi dimensioni (203
per 234 cm), uno dei più belli in assoluto del pittore di Cento nel quale il
fratello, Paolo Antonio, è intervenuto nei fiori e nella ghirlanda. Il restauro
del 1997 ha liberato il paesaggio sulla sinistra, il tocco leggero sull'albero,
il ''cielo trascolorante di bagliori e nuvole rosate''.
        Dalla bottega del Guercino è uscito il dipinto con la 'Fruttivendola
con bambino', ''di grande interesse come tela a più mani''.
        Di Mattia Preti (col fratello Gregorio) c'è un giovanile 'Cristo e
Pilato', dal taglio insolito (131 per 295 cm), dai toni del ''blu e del grigio
argenteo, accesi da squillanti punti di luce sui visi e sul gruppo del Cristo''.

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Il restauro ha salvato 'L'ebrezza di Noè', opera della bottega di
Andrea Sacchi (215 per 286 cm) che aveva subito manomissioni pesanti.
      Fra i dipinti a soggetto religioso spiccano nella collezione una 'Fuga
in Egitto' di Giuseppe Chiari (dai colori limpidi e squillanti con la scenetta
di San Giuseppe che spinge l'asino che non ne vuole sapere di avanzare);
la 'Sacra Famiglia', un piccolo olio su rame firmato da Sebastiano Conca.
Fra quelli a soggetto storico, 'Ester sviene davanti ad Assuero', l' ''opera più
bella'' di Ludovico Gimignani in cui il recente restauro ha scoperto sotto il
manto del re la figura di un paggio che poi Gimignani ha del tutto
cancellata. È evidente in questa opera la lezione appresa a Venezia da
Paolo Veronese autore dello stesso soggetto che si trova alla Galleria degli
Uffizi a Firenze. Interessante l’ambientazione scenografica sfarzosa
propria della pittura veneta del 6-700.
      Fra i soggetti mitologici un altro dipinto della collezione fino a poco
tempo fa sconosciuto è 'Cefalo e Procri', che potrebbe essere del fiorentino
Simone Pignoni.
      Tre i ritratti di eccezionale valore artistico. Un cardinale Fabroni di
Benedetto Luti; 'Ragazzo con levriero' in cui il protagonista è il bellissimo
cane, opera a quattro mani di Ludovico Gimignani e del fiammingo David
de Coninck, ''animalista''; 'Vincenzo Rospigliosi' di Ferdinand Voet, dalla
parrucca montata come una panna e con le velature sottilissime di colore,
lo sguardo diretto e ironico; eccezionale anche la cornice in tartaruga.
      Fra i dipinti di genere notevoli i paesaggi di fiamminghi: l'Aventino,
il Colosseo di Johann van Bloemen detto l'Orizzonte; il paesaggio costiero
con nubi e luci di Paul Brill.
      Importanti le nature morte: due di Abraham Brueghel III (la seconda
è di bottega), ma soprattutto 'Natura morta con mele, melograne, uva e un
uomo'. L'autore dovrebbe essere il Maestro del Metropolitan (anche qui
non più l'attribuzione precedente): ''Il suo colore tutto a spessore, ma al
tempo stesso libero e sgranato'' fa pensare agli impressionisti. Uno dei
dipinti più belli della collezione. Chiudono la serie dei 'generi' due
battaglie di Jacques Courtois, ''battaglista'' fra i più apprezzati del Seicento.

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