Guida breve al Giardino e al Palazzo Rospigliosi-Pallavicini
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Guida breve al Giardino e al Palazzo Rospigliosi-Pallavicini Veduta aerea di Palazzo Rospigliosi in una foto del 1950 a cura di Nunzio Primavera NOTE SULLE ORIGINI DEL GIARDINO SEGRETO DI MONTECAVALLO La vasta area dove si trova Palazzo Pallavicini-Rospigliosi ha avuto come proprietario dal 1610 al 1616 il cardinale Scipione Borghese Caffarelli, "cardinal nepote" di Paolo V Borghese (1605-1622). In quest'area il grande cardinale, famoso per la sua indefessa attività di accaparratore di opere d'arte e di patrimoni per la sua famiglia, oltre che di costruttore di palazzi, aveva voluto realizzare il suo "giardino di Montecavallo", proprio nei pressi del magnifico palazzo pontificio del Quirinale, per il quale suo zio Paolo V aveva dedicato grandi sforzi. Passione breve e costosissima per Scipione Borghese che vende dopo solo sette anni a Giovanni Angelo Altemps l'area del giardino e dei numerosi edifici presenti. Non si può parlare ancora, all'epoca, del grande palazzo che vediamo oggi e che nel suo assetto unitario ingloba diversi edifici, alcuni precedenti, altri voluti dal cardinale Borghese e altri che si devono ai successivi proprietari Altemps, Bentivoglio, Lante, Mazzarino e Pallavicini-Rospigliosi. Scipione Borghese abbandonerà il suo bel "giardino secreto" per il palazzo di Ripetta (il "Clavicembalo") e per la vigna al Pincio, dove oggi è
il museo Borghese. A queste fabbriche dedicherà sforzi notevoli, da vero amante dell'arte qual era. I risultati ne fanno ancora oggi, con il palazzo Borghese a Ripetta, la villa Borghese con il palazzo sede della Galleria Borghese e tutti gli edifici costruiti nell'area della "vigna", un patrimonio monumentale tra i più interessanti al mondo. Ma sia pure nei pochi anni in cui detiene la proprietà dell'area del Giardino di Montecavallo, Scipione Borghese è l'artefice soprattutto di due opere d'arte tra le più significative del bolognese Guido Reni: l'Aurora con il carro di Apollo (dipinta al contrario affinché si specchi sul pavimento e consenta, quindi, di ammirare l'Aurora dal verso giusto senza sforzo alcuno per i nobili ospiti) e il Pergolato realizzato assieme al fiammingo Paolo Brill. L'Aurora Pallavicini, una glorificazione di Scipione Borghese stesso nella figura di Apollo trionfante, è considerata una sorta di emblema di questo momento storico. Il Pergolato, popolato di animali e piante e da coppie di deliziosi puttini frammezzate dai fiori, era il cuore del giardino segreto del grande cardinale, autentico signore di Roma. Glorificava anch’esso Scipione, secondo la simbologia rinascimentale attribuita a fiori e piante e nella lotta tra eros e antieros espressa nelle vele nel combattimento tra gli angioletti, che trovano la sublimazione nella pace, soltanto sotto i due simboli araldici dei Borghese: il fiore tagete e l’aquila. Sono di mano di Guido Reni proprio gli angioletti sulle vele, ciascuna delle quali è stata realizzata in una sola giornata di lavoro e direttamente senza cartoni preparatori in quanto il pittore aveva fretta di partire per Bologna dove lo attendevano altre committenze. Alla mano di Paul Brill e dei suoi collaboratori si deve il pergolato con la fitta trama di tralci d’uva e animali esotici, molti dei quali per il vecchio continente rappresentavano una autentica novità all’epoca in cui furono dipinti in quanto giunti dalle Americhe da poco, come il tacchino e i pappagalli amazzonici. Anche in questo caso la collocazione degli animali rispecchia il concetto di contrapposizione tra bene e male in quanto gli animali positivi sono quelli raffigurati nella parte interna della loggia e quelli negativi in quella esterna. Prima ancora dell'acquisizione dell'area da parte del cardinale Scipione Borghese, la zona era occupata da notevoli resti di età classica relativi alle terme di Costantino che lo stesso cardinale, purtroppo distrusse con estrema disinvoltura per realizzare il suo “hortus conclusus”. 2
Era questa un'area di notevole interesse per gli uomini di cultura dell'epoca. Non è difficile immaginare Michelangelo Buonarroti a passeggio con Vittoria Colonna d’Avalos in volontario e vedovile esilio a pochi passi, nel convento domenicano annesso a san Silvestro al Quirinale e non lontano dal confinante palazzo Colonna. Numerosi i fabbricati di rilievo che oggi non ci sono più: un Ginnasio greco, le case del Platina e di Pomponio Leto. Proprio sui ruderi delle Terme costantiniane si trovavano gli Eremiti di San Girolamo con la Chiesa di San Salvatore "de cornutis" demolita per far posto al giardino. Vi erano anche numerose ville del patriziato romano, scomparse completamente. Paolo V, lo zio pontefice di Scipione, durante tutto il pontificato, aveva dato un nuovo assetto a tutto il colle del Quirinale, a partire dal palazzo pontificio che Gregorio XIII aveva voluto come sede estiva dei papi, operando per riqualificarlo e farlo divenire quasi un secondo Vaticano e per dargli maggior fasto e solennità. In questa scia si innesta l'impresa di Scipione Borghese. Da una parte il palazzo ufficiale della rappresentanza pontificia del potere e dall'altra il giardino, inteso come luogo di delizie più profane che sacre, ma anche per la rappresentanza in occasioni ufficiali, come la visita del primo ambasciatore dall’Oriente il cui ritratto troneggia a Palazzo Barberini. Scipione acquisisce, pezzo per pezzo, a partire dal 1610, l'area delle terme di Costantino. Ma da tempo si era dato da fare per avere i permessi per portarvi, da largo di Santa Susanna, l'Acqua Felice dell'acquedotto di Sisto V. Il primo pezzo, dopo corteggiamento assiduo che durava da anni, era stato quello relativo al giardino e al Casino Biondo, lo acquista da Fabio Biondo Patriarca di Gerusalemme, maggiordomo del Papa e prefetto dei palazzi apostolici. Il "casino Biondo", che, nel palazzo, è quello dove si trova il bellissimo pergolato di Guido Reni, è l'area più antica dell'edificio e forse la più bella. Da notare le stelle degli Aldobrandini nelle antiche colonne nella parte esterna della loggia che fanno pensare che questo edificio in precedenza doveva essere stato parte della vicina Villa di questa famiglia che forse si estendeva fino alla sommità del Quirinale. Dopo questo acquisto, il dono da parte dello zio papa di una parte del palazzo Ferrero che si trovava nell'area che sta tra l'attuale Corte Costituzionale e vicolo del Mazzarino. Quindi nel 1611 altre piccole proprietà tra cui un torrione, alcune casette e, per 11 mila scudi a carico della Camera apostolica, la casa delle Zitelle del Rifugio, suore che furono 3
d'ufficio spostate a via della Dataria. La chiesa di San Gerolamo viene spregiudicatamente demolita con la scusa di allargare la strada verso il palazzo apostolico. Agli Eremitani che la gestivano viene concessa la chiesa dei santi Vincenzo e Anastasio a Trevi. Dopo tante disinvolte spoliazioni, il cardinal Scipione tributa alle suore Zitelle del Rifugio una donazione (ridicola rispetto a quanto aveva ottenuto) di mille scudi per farle più sollecitamente sloggiare verso via della Dataria. Un'altra zona acquistata fu quella di proprietà di un tale Tranquillo Ceci, relativa all'area verso il vicolo del Mazzarino. Quindi il Torrione dei Piccolomini e quello dei Colonna. Nel 1612 completata l'acquisizione dell'area necessaria per il giardino inizia l'opera di abbattimenti a cominciare dai due torrioni per realizzare i primi edifici a filo con il casino dell'Aurora. Abbattimenti spregiudicati di opere certamente importanti, quali il notevole complesso termale di Costantino, che ha avuto bisogno nel 1614 dell'approvazione pontificia con un Breve di autorizzazione. Non aveva ancora completata l'acquisizione delle varie aree che già Scipione Borghese diede il via alle principali opere pittoriche. E comincia proprio con il casino del Patriarca Biondo dove nel 1611 è realizzato da Guido Reni e Paolo Brill il pergolato nella loggia (originariamente a cinque archi, poi a tre), che fungeva da passaggio tra il giardino segreto e il palazzo principale, del tutto recuperato nel nuovo edificio borghesiano, sia pure con modifiche notevoli. Poche tracce ci sono del complesso arboreo che costituiva il giardino e che non doveva essere roba da poco. Oltre al Casino Biondo, altri quattro erano i padiglioni, di piccola entità. Nella parte di giardino che scendeva verso la Suburra (più o meno dove ora è la Banca d'Italia) fu realizzato il Casino Psiche, con scene tratte dalle Metamorfosi di Apuleio (distrutto dopo il 1870 per realizzare via Nazionale). Nel 1611 fu costruita anche la loggia delle muse e il teatro d'acqua con le statue del Po e del Tevere. Sempre nel 1611 viene iniziato il lavoro per la parte del giardino verso la piazza di Montecavallo con il Casino dell'Aurora concluso alla fine del 1612, solo nel 1614 Guido Reni concluse la sua opera pittorica più famosa, in ritardo perché si attendeva lo sfratto delle Zitelle del Rifugio e la demolizione della Chiesa di san Gerolamo per avere la piena disponibilità dell'area. Contemporaneamente a queste opere Scipione Borghese inizia a interessarsi maggiormente delle fabbriche nella vigna al Pincio e presso il 4
porto di Ripetta, rispetto a quelle sul Quirinale. Una volta realizzato su Montecavallo il magnifico giardino e le logge mancava solo un palazzo per il quale si iniziarono a gettare le fondamenta per opera del Vasanzio e, forse, del Maderno. Un palazzo che però viene costruito con un impegno senza dubbio più modesto da parte di Scipione Borghese attento ad altre fabbriche, come detto. Nel 1616, l'8 maggio, avviene la vendita al duca Giovanni Angelo Altemps per 115 mila scudi. Nelle valutazioni: 200 scudi l'Aurora di Reni, 520 le pitture di Tassi e Gentileschi, 247 quelle del Tempesta e 300 quelle del Cigoli nel casino delle Muse; la somma vertiginosa di 700 scudi per la Pergola. Viene descritto il giardino segreto: il 'palazzino di ritiramento' (il casino Biondo), la 'loggia da cenare' (il casino di Psiche), la 'loggia dell'Aurora' con due stanzoni per banchetti e con la peschiera per le barche, 'il fontanone con il teatro d'acqua' e la 'loggia delle muse'. Molto poco si dice del palazzo, proprio perché appena terminato passa di mano senza quelle rifiniture che erano state invece dedicate dal Borghese ad altri edifici. Uno dei motivi per cui si è dovuto disfare del giardino di Montecavallo è stata, senza dubbio, la costosissima manutenzione. Lo stesso Altemps lo tiene per soli tre anni e lo rivende nel 1619 per 55 mila scudi al bolognese Enzio Bentivoglio, che lo dà al suo parente cardinal Guido, nunzio apostolico in Francia presso la corte di Luigi XIII. A questo periodo risalgono le opere di Giovanni Mannozzi da san Giovanni: i tre ratti di Europa, di Anfitrite e di Persefone e i fregi con paesi di Filippo D'Angelo e Pietro Paolo Bonzi al piano terra della parte Rospigliosi del Palazzo e altre tre opere sempre di Giovanni da San Giovanni nella parte Pallavicini: un Incendio di Troia, la Morte di Cleopatra e l'Allegoria della Notte. Intorno al 1633 i Bentivoglio vendono ai Lante che a loro volta vendono nel 1641 al cardinale Giulio Mazzarino. Nel 1704 Filippo Mancini duca di Nevers, nipote di Mazzarino, vende ai Pallavicini Rospigliosi. Da ricordare che non lontano va ad abitare la sorella di Filippo, Maria Mancini, primo grande e mai dimenticato amore del Re Sole Luigi XIV; forzatamente sacrificata dal grande zio, primo ministro di Francia, alla ragion di Stato e mandata in sposa a 15 anni al Gran Connestabile Lorenzo Onofrio Colonna, nonostante il regale desiderio. Il giardino segreto che doveva avere visto chissà quante volte l’inconsolabile Maria Mancini a passeggio con il 5
fratello Filippo, noto libertino, scompare quasi del tutto dopo il 1870 con l’inconcepibile e assurdo sventramento avvenuto per i lavori di realizzazione di via Nazionale. I Pallavicini possiedono ancora il secondo piano del palazzo, il Casino dell'Aurora e parte del giardino superstite. La parte Rospigliosi del palazzo è sede della Coldiretti. LA FAMIGLIA, IL PALAZZO E LA COLLEZIONE ROSPIGLIOSI-PALLAVICINI La famiglia Pallavicini era una delle prime di Genova e faceva parte del Libro d'Oro della nobiltà ligure fin dal 1400. Uno degli esponenti, Nicolò, tra i suoi 22 figli ne ha tre che iniziano il ramo romano della famiglia nel 1600: Lazzaro, Stefano e Carlo. Lazzaro (1602-1680) giunse ai più alti gradi della gerarchia ecclesiastica e fu eletto cardinale da papa Clemente IX Rospigliosi, di origine pistoiese. Si impegna molto per la sua famiglia e fa sposare sua nipote Maria Camilla, unica erede del fratello Stefano, con Giovan Battista Rospigliosi, nipote di Clemente IX. Ha inizio così la storia di una grande famiglia con origini ligure e toscana che, nei due rami Pallavicini e Rospigliosi, per divenire autenticamente romana, è strettamente legata alla storia del palazzo di Montecavallo. Preoccupazione del Cardinale Lazzaro Pallavicini è proprio quella di elevare il più possibile il ramo romano della famiglia. I pistoiesi Rospigliosi avevano anche loro desiderio di crescere in prestigio per cui si trovano ben d'accordo con le mire del porporato che, come prima iniziativa, si adopera con complicate operazioni per mantenere vivo il cognome Pallavicini. Viene stabilito infatti, per il presente e il futuro, che se i Rospigliosi vengono ad avere un solo figlio maschio questo deve portare anche il cognome Pallavicini, (un doppio cognome, insomma), con relativo titolo e beni legati al nome, fino alla nascita di un secondo figlio maschio che deve dare inizio al nuovo ramo dei Pallavicini di Roma. Nel caso in cui i Rospigliosi hanno una sola erede femmina questa deve legare il cognome e i beni dei Pallavicini al futuro marito e ai suoi discendenti. 6
Contemporaneamente, Lazzaro si impegna ad accrescere un notevole patrimonio di opere d'arte e a conquistare una residenza dignitosa per i suoi eredi. In un primo momento (1674), prima del palazzo sul Quirinale, acquista un palazzo dalla famiglia Barberini nella zona del Monte di Pietà, dalle parti di Campo de’ Fiori, che però, riaprendo la questione della residenza, viene restituito ai Barberini da Nicolò secondogenito di Maria Camilla Pallavicini e Giovan Battista Rospigliosi che nel 1694, come stabilito dalla regola, aveva assunto il cognome Pallavicini. Nel 1704 i Rospigliosi-Pallavicini acquistano il Palazzo sul Quirinale sistemando le collezioni d'arte così come oggi sono ancora collocate. Un palazzo che doveva essere sembrato all'altezza di una famiglia in ascesa, con un immenso giardino che si estendeva in tre ripiani verso la via dei Serpenti e la Chiesa di Sant'Agata dei Goti, in direzione dell’attuale Banca d’Italia e verso la Suburra. Dopo il periodo, breve ma intenso, in cui Scipione Borghese Caffarelli aveva arricchito le logge dell'Aurora, delle Muse e di Psiche, il Teatro d'acqua e il Casino Biondo con le opere che abbiamo detto di Guido Reni, Paolo Brill e altri, solo il cardinale Guido Bentivoglio, tra quelli che hanno avuto la proprietà del palazzo si interessa ad arricchirlo con interessanti opere d'arte che abbiamo già indicato di Giovanni da san Giovanni sia al piano terra che al piano nobile, del Gobbo dei Carracci e Filippo d'Angelo. Non molto fecero i Bentivoglio per arricchire il Palazzo dal punto di vista architettonico. Poi la vendita ai Lante e quindi al cardinale Giulio Mazzarino prima del 1642. E' comunque il primo ministro del Re Sole, con i suoi eredi, a estendere il palazzo verso sud ovest inglobando anche la loggia del pergolato nel palazzo. Nel 1704 i Pallavicini acquistando il palazzo dai Mancini, eredi del cardinale Mazzarino, lo ampliano verso sud e fanno costruire le scuderie con il palazzo dei famigli nel giardino principale. Avviene quasi subito la divisione del palazzo nelle due quote equivalenti Pallavicini e Rospigliosi che vige tuttora. Ai primi il piano nobile, il casino dell'Aurora e quello delle Muse. Ai secondi il piano terra con il casino Biondo, il secondo piano (allora incompiuto) e il casino dei famigli. Le collezioni artistiche seguono la sorte dei due rami della famiglia. Inizia però una storia artistica di grande rilievo con un patrimonio rilevante rimasto pressoché integro nei due rami e arricchito per la munificenza di personaggi come San Carlo Borromeo che fa doni di opere 7
di grande valore alla nipote Giustina, sposa di Camillo Rospigliosi, figlio di Maria Camilla; la famiglia Colonna agli inizi dell'800, la cui erede Margherita Gioemi Colonna va sposa a Giulio Cesare Rospigliosi Pallavicini portando un terzo dei beni della illustre casata che si estingueva con le sue due sorelle nella linea diretta (un'altra delle due quote Colonna viene recuperata in seguito da Giulio Cesare per riunirlo ai beni della moglie Margherita e dividerlo equamente nelle solite due quote Pallavicini e Rospigliosi). Lungo tutto il 1700 e parte dell'800 è stato tutto un susseguirsi di accrescimenti delle gallerie e di problemi per la stabilizzazione della discendenza Pallavicini-Rospigliosi. Sono stati, appunto, Giulio Cesare Rospigliosi-Pallavicini e Margherita Colonna a rimettere in moto la divisione delle due famiglie com'era nelle intenzioni del loro antenato illustre cardinale Lazzaro Pallavicini. Il primogenito Clemente Rospigliosi e il secondo Francesco Pallavicini restaurarono i due cognomi e il possesso delle due proprietà nell'attuale situazione di fatto. LA “QUADRERIA” ROSPIGLIOSI Le collezioni artistiche, come dicevamo, subiscono identica sorte con divisione netta tra i due rami e la collocazione che si può ritrovare ancora oggi nell'ordine originario. Inizia però una storia artistica di grande rilievo con un patrimonio rilevante arricchito per la munificenza di personaggi come il cardinale Giulio Rospigliosi, poi papa Clemente IX, che già nella prima metà del '600 aveva iniziato a raccogliere opere d'arte; la famiglia Colonna agli inizi dell'800, la cui erede Margherita Gioemi Colonna va sposa a Giulio Cesare Rospigliosi Pallavicini portando un terzo dei beni della illustre casata che si estingueva con le sue due sorelle nella linea diretta (un'altra delle due quote Colonna viene recuperata in seguito da Giulio Cesare per riunirla ai beni della moglie Margherita e dividerla equamente nelle solite due quote Pallavicini e Rospigliosi). Lungo tutto il 1700 e parte dell'800 è stato tutto un susseguirsi di accrescimenti delle due collezioni e di problemi per la stabilizzazione della discendenza Pallavicini-Rospigliosi. La Collezione Rospigliosi accresciutasi per oltre due secoli contemporaneamente con la collezione Pallavicini, è senza dubbio una 8
delle collezioni romane più illustri e meno note, anche per gli storici dell'arte che non hanno mai avuto l'opportunità di conoscerla, e quindi studiarla, tutta insieme. Ignorata del tutto dal pubblico che non ha mai potuto visitarla. La collezione nasce nel decennio 1630-43 da Giulio Rospigliosi, intimo della cerchia dei cardinali Barberini, nipoti di Urbano VIII, amico dei Medici, autentico uomo d'arte, librettista ufficiale delle rappresentazioni teatrali che segnavano le più importanti occasioni mondane, diplomatiche, o tristi del Seicento. Mecenate che pose sotto la sua protezione artisti come Poussin e Claude Lorrain, Giacinto e Ludovico Gimignani, Mattia Preti giovane. Eminente uomo di stato, Cardinale segretario di Stato, nunzio in Spagna e papa, per due soli anni fino al 1669. La Collezione si compone di 123 dipinti e di dieci sculture antiche, i sopravvissuti della collezione (che nel Settecento, con la collezione Pallavicini, è arrivata a circa 700 opere). Solo 21 dipinti, il fior fiore della collezione, sono stati esposti nel 2000. Le 123 opere (87 dipinti con autore; 36 anonimi; dieci sculture: due rilievi, sette busti, un puttino su delfino) che costituiscono 'La collezione Rospigliosi' sono interessantissime e sono sopravvissute alla dispersione delle due vendite all'asta del 1931-32 per turare il dissesto economico della famiglia. Tra gli autori principali della collezione Luca Giordano, Van Dyck e Guercino. L'opera di Luca Giordano è un dipinto inedito di 200 per 255 cm con 'La fuga di Elena', ''primissima produzione'' di meta' Seicento. Il van Dyck autografo (non una copia come si riteneva) è una 'Santa Rosalia' di 160 per 170 cm. Il Guercino sconosciuto (i Guercino della Rospigliosi sono otto, fra originali, copie e imitatori) è 'San Francesco in preghiera'. L’altro Guercino importante e dalla prorompente bellezza è la 'Flora' dal seno scoperto, uno ''splendido autografo'' del 1642, che è l’autentico testimonial della collezione. E' un dipinto anche di grandi dimensioni (203 per 234 cm), uno dei più belli in assoluto del pittore di Cento nel quale il fratello, Paolo Antonio, è intervenuto nei fiori e nella ghirlanda. Il restauro del 1997 ha liberato il paesaggio sulla sinistra, il tocco leggero sull'albero, il ''cielo trascolorante di bagliori e nuvole rosate''. Dalla bottega del Guercino è uscito il dipinto con la 'Fruttivendola con bambino', ''di grande interesse come tela a più mani''. Di Mattia Preti (col fratello Gregorio) c'è un giovanile 'Cristo e Pilato', dal taglio insolito (131 per 295 cm), dai toni del ''blu e del grigio argenteo, accesi da squillanti punti di luce sui visi e sul gruppo del Cristo''. 9
Il restauro ha salvato 'L'ebrezza di Noè', opera della bottega di Andrea Sacchi (215 per 286 cm) che aveva subito manomissioni pesanti. Fra i dipinti a soggetto religioso spiccano nella collezione una 'Fuga in Egitto' di Giuseppe Chiari (dai colori limpidi e squillanti con la scenetta di San Giuseppe che spinge l'asino che non ne vuole sapere di avanzare); la 'Sacra Famiglia', un piccolo olio su rame firmato da Sebastiano Conca. Fra quelli a soggetto storico, 'Ester sviene davanti ad Assuero', l' ''opera più bella'' di Ludovico Gimignani in cui il recente restauro ha scoperto sotto il manto del re la figura di un paggio che poi Gimignani ha del tutto cancellata. È evidente in questa opera la lezione appresa a Venezia da Paolo Veronese autore dello stesso soggetto che si trova alla Galleria degli Uffizi a Firenze. Interessante l’ambientazione scenografica sfarzosa propria della pittura veneta del 6-700. Fra i soggetti mitologici un altro dipinto della collezione fino a poco tempo fa sconosciuto è 'Cefalo e Procri', che potrebbe essere del fiorentino Simone Pignoni. Tre i ritratti di eccezionale valore artistico. Un cardinale Fabroni di Benedetto Luti; 'Ragazzo con levriero' in cui il protagonista è il bellissimo cane, opera a quattro mani di Ludovico Gimignani e del fiammingo David de Coninck, ''animalista''; 'Vincenzo Rospigliosi' di Ferdinand Voet, dalla parrucca montata come una panna e con le velature sottilissime di colore, lo sguardo diretto e ironico; eccezionale anche la cornice in tartaruga. Fra i dipinti di genere notevoli i paesaggi di fiamminghi: l'Aventino, il Colosseo di Johann van Bloemen detto l'Orizzonte; il paesaggio costiero con nubi e luci di Paul Brill. Importanti le nature morte: due di Abraham Brueghel III (la seconda è di bottega), ma soprattutto 'Natura morta con mele, melograne, uva e un uomo'. L'autore dovrebbe essere il Maestro del Metropolitan (anche qui non più l'attribuzione precedente): ''Il suo colore tutto a spessore, ma al tempo stesso libero e sgranato'' fa pensare agli impressionisti. Uno dei dipinti più belli della collezione. Chiudono la serie dei 'generi' due battaglie di Jacques Courtois, ''battaglista'' fra i più apprezzati del Seicento. ♦♦♦♦♦ 10
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