FRAMMENTI DI STORIE - ABABO - Accademia Belle Arti Bologna
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FRAMMENTI DI STORIE Fattori Irene ABABO
IMPASSIBILE
Ci sono tanti animali, alcuni sono VIVI, altri sono statue. Quelli vivi irriverentemente mi girano attorno. Tanti corvi si pavoneggiano ondeggiando nel prato. Una mosca continua a posarsi sulla mia mano mentre disegno, che fastidio.
Una grande tigre di pietra lotta con un serpente. Sotto di loro una capra morta Un ragazzo si ferma a guardarli, sembra impassibile. Il mercato intorno
ma i suoni e le voci ovunque. - Non c’è niente! - - A volte ricordo le facce, ma non le situazioni - - Sergioooo - - Prego signori prego - - Prenotato l’altare dalle 9.15 alle 9.30 -
E S T O INN
IMMOBILE
INVISIBILE
COMUNQUE I GATTI BALLANOstoria di una quarantena
Non toccarti la faccia,
stai ad un metro di distanza dalle persone.
Siamo tutti chiusi nelle nostre case, nelle nostre scatole, ognu- no al suo posto. Ci sono scatole grandi e scatole piccole, ma tutti soffochiamo allo stesso modo.
In sottofondo: la lavatrice, la gatta che scava la sabbia, qualcuno che lava i piatti e le porte che sbattono per il vento.
Non si era mai giocato così tanto a carte come in questi giorni, mio padre vince sempre, mio fratello mai, ma ci divertiamo tanto. Sembra tutto così normale.
In lontananza la cava di marmo fa esplodere una mina e la terra trema.
Giro sulla sedia e dalla finestra un raggio di luce rossa mi acceca, un’altra giornata sta finendo, ormai le lacrime sono secche, aride, ho sete.
Siamo tutti chiusi nelle nostre scatole e dobbiamo scegliere
di non uscire.
Due anni fa mio nonno mi ha detto che se avevo bisogno avrei dovu- to guardare il cielo. Ricordo l’ultima volta che siamo stati liberi, in pochi per strada, ma tutti accompagnati da un peso grumoso, un presagio. Ci si guardava con diffidenza e allo stesso tempo bisogno, bisogno di condividere questa sensazione estranea. Dovevo tornare a Bologna, giù avevo molte cose in sospeso, ma mio padre mi ha impedito di partire, non capivo ancora, volevo solo recuperare dei materiali, sono rimasta a casa.
È iniziato che era freddo e le giornate erano corte, la stufa era il cuore della casa, all’inizio delle prime lezioni online iniziavo alla mattina con il buio e finivo la sera con il buio, il senso di clausura era totale. Poi, piano piano, il vento ha soffiato via i brividi e il sole si è fatto spazio senza tanti complimenti.
Ho visto comparire le gemme sulle piante del mio giardino, le nigelle che mia mamma aveva piantato lo scorso anno hanno sparso i loro semi nel campo sotto casa, sono scappate, al loro posto la lavanda invece si è espansa. Da lontano i suoi fiori sembrano grandi bombi pelosi dalle ali violette. Sono seduta sul muretto che delimita il giardi- no e vicino a me c’è il grande cespuglio d’erica che mi solletica i piedi, in superficie è secco, ma sotto palpita lilla.
Mi viene in mente il grande giardino di mia nonna, è cambiato negli anni, ma quando ero piccola era un luogo tutto da scoprire, pieno di posti segreti per giocare a nascondino e alberi da frutto. Ricordo ancora l’inconfondibile profumo di mele che c’era in cantina dove venivano conservate una volta raccolte. Fuori c’era un grande prato e in fondo troneggiava fiero un grande castagno, alla sua destra, at- torcigliate tra loro, vivevano 2 o 3 viti di uva fangua dal sapore dolce inconfondibile.
Con la coda dell’occhio vedo una macchia celeste in lontananza, met- rialzo e vedo che anche la mia gatta lo ha visto, ora si rincorrono sul to a fuoco, è un ramarro, è vicino alla lavandula, mi fissa, abbasso prato, ma lui è più veloce. un attimo lo sguardo per leggere un messaggio che mi è arrivato, lo
Torno al giardino di mia nonna, davanti al castagno c’erano e ci sono ancora una Il vero tesoro, però, si nascondeva dietro al castagno, dove c’era una timida pian- decina di piante di kiwi, da piccoli ci sfidavamo a mangiarli con la buccia. Alla sua tina di lamponi, così piccola che trovare i suoi frutti vellutati e palpitanti era un sinistra invece, nascoste come gemme tra i rovi stavano le more, tante more, passa- raro privilegio. vamo i pomeriggi a sporcarci la bocca di porpora selezionando quelle più mature, di un nero lucido.
Ricordo bene quei sapori e quelle sensazioni, me li tengo stretti con gelosia, così come quelli di quando andavamo a camminare in mon- tagna, ai capricci di me e mio fratello si alternava la caccia alle bacche di rosa canina che avevano un sapore acidino e tanti semi pelosi che sputavamo come mitragliatrici. Altra preda erano i fiori della falsa ortica e del trifoglio da cui avevamo imparato, come le api, a suc- chiare il polline.
Qualcosa mi sfiora la schiena, è Olly, la gatta, che mi si struscia addosso, a volte fa la ruffiana.
Il mio pensiero segue quei sentieri che abbiamo percorso fino alla cima del cima con il fiatone c’era solo il cielo, che ti avvolgeva, ti inghiottiva, a volte Monte Baldo,di Cima d’Asta, del Carega e altri, quando si arrivava sulla stordendoti, tanto da caderci dentro.
Mi alzo per rientrare in casa. Olly mi guarda da lontano, gli occhi verdi sbarrati, mi avvicino piano per rubarle una carezza e le prometto di non interromperla nella sua caccia, si struscia allora sulla mia mano per poi saltellare via, a volte quando rincorre le farfalle sembra che balli.
Ci sono tante scolopendre in questi giorni che girano per casa, dicono che compaiono quando sta per cambiare il tempo, ma fuori il sole non accenna a voler esser spodestato. Mio papà sta montando una cassa in legno per fare un piccolo orto e sopra di noi volano due falchetti. Le notizie di oggi sui contagi sembrano incoraggianti, manca poco al 4 maggio, ma ancora non sappiamo cosa potremo o non potremo fare. Non riesco a pensare e non voglio, oggi gli uccelli cantano senza riserve e ad accompagnarli fieri ci sono i grilli le cavallette, in sottofondo il ronzio delle api che assediano i pic- colo acero vicino l’ingresso, sono così buffe coperte di polline. Ad interrompere per un secondo il concerto, un aereo divide in due il cielo.
Oggi il vento si è alzato, rabbioso, i cumulonembi presidiano il cielo, le scolopendre avevano ragione, dovevamo solo esser pazienti.
Petricore è una parola strana, ma mi piace, in greco vuol dire pietra essudata e descrive quello strano odore di pioggia che rimane sulla terra. Ora la tempesta è passata e l’aria è pregna di vapore, ora possiamo uscire, il peggio sembra passato. Tra due settimane ritornerò a Bologna per riappropriar- mi dei miei spazi, ne ho bisogno.
Dopo tanto tempo oggi sono andata in centro Vicenza, la Basilica Palladiana è sempre bella, è silente. Il marmo bianco si alterna alle volte e alle aperture tra colonne come un ritornello, il tetto azzurrino di rame si sfuma con il cielo. Se si va dentro e si guarda in alto si può vedere il suo scheletro in legno che la sostiene. Lei è ancora qui e anche noi.
Le vie della città si stanno ripopolando. Bisogna disinfettarsi le mani per entrare in ogni luogo, ma invece di sentirle pulite le sento sempre più sporche e appiccicose. Sopra di me le rondini volano e gridano, sembra tutto come prima, o forse no.
“FRAMMENTI DI STORIE” Storia e illustrazioni di Fattori Irene Corso di Illustrazione per l’editoria docente Stefano Ricci Anno accademico 2019/2020 Accademia di Belle Arti di Bologna ABABO
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