Ettore Schmitz alias Italo Svevo: la doppia personalità di un autore triestino
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2 Ettore Schmitz alias Italo Svevo: la doppia personalità di un autore triestino Isabel Vanackere Deve esserci nel mio cervello qualche ruota che non sa cessare di fare quei romanzi che nessuno volle leggere e si ribella e si gira vertiginosamente te presente e te assente.1 Italo Svevo (pseudonimo di Ettore Schmitz) nasce a Trieste nel 1861. I suoi interessi letterari si concretano nella pubblicazione di due romanzi, Una vita (1892) e Senilità (1898). Mentre il primo libro suscita ancora un larvato interesse, il secondo viene completamente ignorato, e Svevo decide di abbandonare la letteratura. In realtà non sarà un abbandono definitivo: nel 1901, ad esempio, scrive la commedia Un marito. Nel 1920 comincia a scrivere il suo capolavoro, La coscienza di Zeno, che uscirà nel 1923 e avrà vasta eco per l’impegno di Joyce e per le reazioni positive di due intellettuali francesi, Valéry Larbaud e Benjamin Crémieux, oltre che di Eugenio Montale, il quale recensisce il libro sulla rivista “L’Esame”. Ma Svevo non potrà godere a lungo questo successo letterario: nel 1928 muore in un incidente automobilistico. In questo articolo cercheremo di ricostruire a grandi linee il misterioso itinerario esistenziale dell’industriale triestino Ettore Schmitz, l’uomo che si è sdoppiato nella 'personalità letteraria' dello scrittore Italo Svevo, rimasta a lungo poco conosciuta e pressoché segreta. 1. Ettore Schmitz 1.1. Il commerciante Ettore Schmitz Ettore Schmitz nasce a Trieste nel 1861. A dodici anni, il giovane Ettore lascia la città natale per il collegio di Segnitz presso Würzburg, insieme ai fratelli Adolfo ed Elio, soprattutto per imparare il tedesco. Il progetto del padre Francesco Schmitz è di fare dei figli esperti uomini d’affari. Nei giorni di Segnitz, Ettore scopre la letteratura tedesca. Nel 1878, dopo la fine degli studi, torna a Trieste, dove comincia a frequentare l’Istituto superiore commerciale “Pasquale Revoltella”. Si tratta di studi tecnico-professionali atti a completare e a perfezionare la formazione commerciale della scuola secondaria. Nel frattempo, Ettore comincia ad appassionarsi alla letteratura italiana. Riguardo agli studi alla scuola commerciale Revoltella Ettore dirà più tardi che Furono due anni di lavoro intenso che intanto servirono a chiarire ad Italo il suo proprio animo e a fargli intendere ch’egli per il commercio non era nato.2 1Epistolario, a cura di B. Maier, Milano, Dall’Oglio, 1966, p. 196. 2Profilo autobiografico è stato pubblicato nel volume Italo Svevo “Opera omnia” Racconti, saggi, pagine sparse, a cura di B. Maier, Dall’Oglio, 1968, p. 800.
3 Il tracollo economico del padre Francesco costringe Ettore ad interrompere gli studi e ad impiegarsi in una banca. Soffre quindi personalmente delle difficoltà economiche del padre. Il lavoro alla banca non piace troppo all’aspirante scrittore. A pochi giorni dall’inizio Ettore annota che “i lavori sono molto poco di testa”. La monotonia della vita alla banca viene descritta accuratamente nel suo primo romanzo Una vita. Dopo il lavoro, Ettore si reca alla Biblioteca Civica di Trieste dove trascorre lunghe ore leggendo e studiando Freud, Darwin, Nietzsche, Schopenhauer, Balzac, Flaubert e Zola tra gli altri. Nel 1896 sposa Livia Veneziani, la figlia di un ricco industriale e commerciante di vernici sottomarini. Nel 1899 lascia la banca per entrare nella ditta industriale del suocero. Il sogno di Francesco Schmitz si è realizzato: il figlio Ettore è diventato commerciante! 1.2. Il borghese Ettore Schmitz Da un punto di vista sociale ed economico, Ettore Schmitz appartiene alla borghesia triestina, ma non si è mai sentito a suo agio nel mondo borghese. Per prendere alquanto le distanze dai borghesi e dal loro sistema di valori, Ettore ha sempre cercato di frequentare gli intellettuali e gli artisti residenti a Trieste. In questo articolo non è possibile soffermarci a lungo sulle amicizie tra Schmitz e gli intellettuali ed artisti triestini, e ci limitiamo pertanto alla sola figura del pittore Umberto Veruda. L’incontro tra Schmitz e Veruda avviene nel 1886 nell’ambiente del “Circolo artistico”3. Il pittore diviene il massimo confidente di Ettore Schmitz. Veruda viene considerato il “capo spavaldo della bohème triestina”4. Il suo atteggiamento “scapigliato” di rivolta e di provocazione è l’esteriorizzazione di un profondo disagio interiore. L’anticonformista Veruda detesta il mondo borghese della sua città natale. Per Ettore Schmitz, anche lui insofferente dei valori culturali e morali della borghesia, Veruda rappresenta l’ideale di libertà e di dedizione alla vita artistica. A differenza di Schmitz, il pittore non ha paura di opporsi apertamente alla borghesia triestina. L’amicizia tra Schmitz e Veruda diventa meno intensa dopo il matrimonio di Ettore. Con il matrimonio, l’istituzione borghese per eccellenza, viene sancita l'entrata 'ufficiale' di Schmitz nella famiglia Veneziani, una famiglia che, agli occhi di Veruda, costituisce “l’emblema di perbenismo borghese”5. Veruda si rende conto che il matrimonio e l’ingresso nella ditta Veneziani significano per l'amico Ettore la rinuncia alla letteratura: in effetti, Veruda sa molto bene che Ettore ha lasciato la banca non per dedicarsi pienamente alla letteratura ma per entrare nella ditta del suocero, e sa anche che ai Veneziani non piace troppo la vocazione letteraria di Ettore. Sembra pertanto che con il matrimonio sia cominciata una nuova fase nella vita di Ettore Schmitz: ha rinunciato alla letteratura per dedicarsi pienamente agli affari. 2. Italo Svevo 2.1. La vocazione letteraria di Ettore Schmitz Abbiamo già precisato che nel 1878, dopo aver compiuto gli studi in Germania, Ettore 3Il “Circolo artistico” era stato fondato tre anni prima da Riccardo Zampieri ed era un centro della vita artistica e intellettuale nella Trieste di fine secolo. 4Livia Veneziani Svevo, Vita di mio marito (stesura di Lina Galli), con altri inediti di Italo Svevo, nuova edizione a cura di Anita Pittoni, Trieste, Edizioni dello Zibaldone, 1958, p. 12. 5Enrico Ghidetti, Italo Svevo. La coscienza di un borghese triestino, Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 100.
4 Schmitz torna a Trieste. E’ in questo periodo che la sua vocazione letteraria diventa molto forte. I primi e incerti tentativi letterari vengono sottoposti al giudizio del fratello Elio. Si tratta soprattutto di abbozzi di commedie o drammi. Non deve stupire che per Svevo “diventare scrittore” volesse dire “diventare scrittore di teatro”. L’entusiasmo per il teatro accomunava per altro tutta la giovane generazione triestina dell’epoca. La presenza di ben cinque teatri aperti al pubblico faceva di Trieste “una delle ‘piazze’ teatrali italiane più frequentate dalle compagnie e più raffinate per quanto riguarda i gusti del pubblico”6. Anche Ettore è appassionato di teatro. Non potendo diventare attore a causa della sua difettosa pronuncia della erre, si propone di diventare commediografo. Nel 1880 Ettore inizia a scrivere la commedia Ariosto governatore, opera che non terminerà mai. In totale, Ettore scriverà 13 commedie, nessuna delle quali verrà pubblicata né rappresentata durante la sua vita. L’autore triestino è entrato nella storia della letteratura italiana e europea per via dei suoi tre romanzi: Una vita (1892), Senilità (1898) e La coscienza di Zeno (1923). Schmitz incontra difficoltà considerevoli a convincere gli editori e i critici delle sue capacità letterarie. Nel 1892 Una vita esce presso il piccolo editore triestino Vram, in mille esemplari e a spese dell’autore, dopo che l’editore Treves ha rifiutato il manoscritto. Il libro incontra una pressoché totale indifferenza. Nel 1898 appare a puntate sull’”Indipendente” il suo secondo romanzo Senilità; nello stesso anno l’opera esce in volume presso l’editore Vram. Il libro viene di nuovo stampato a spese dell’autore, il che indica che l’editore non ha molta fiducia in Svevo. Da parte della critica il nuovo libro di Svevo incontra un'altra volta il grande silenzio, e anche il pubblico rimane sostanzialmente indifferente. La delusione non può essere maggiore. L'autore si sente frustrato e incompreso. Livia ricorda l’atteggiamento di Ettore durante i giorni successivi alla pubblicazione: “Non capisco questa incomprensione. Vuol dire che la gente non intende. E’ inutile che io scriva e che io pubblichi”. Svevo rimane però convinto del valore dei suoi scritti. Nel Profilo autobiografico afferma: I suoi amici possono testificare ch’egli mai ammise che i suoi romanzi valessero poco. Sapeva chiaramente dei loro difetti ma non si decideva d’attribuire a questi il loro insuccesso. Era però vano un suo sforzo ulteriore.7 Dopo venticinque anni di silenzio, esce La coscienza di Zeno presso l’editore Cappelli, di nuovo a spese dell’autore. La critica locale accoglie il libro con espressioni di lode, ma quella nazionale non si accorge della grande novità de La coscienza di Zeno. La fame gli giunge prima dalla Francia e solo in seguito dall’Italia. Nel 1924, lo scrittore irlandese James Joyce, che stimava molto Senilità e La coscienza di Zeno, accenna ambedue i romanzi agli scrittori francesi Benjamin Crémieux e Valéry Larbaud, i quali reagiscono in modo particolarmente entusiasta. Su consiglio del triestino Bobi Bazlen, Svevo ha inviato i suoi tre romanzi al poeta Eugenio Montale, e sarà in effetti Eugenio Montale a pubblicare nella rivista “L’esame” il celebre Omaggio a Italo Svevo: è l’inizio dell'affermazione di Svevo in Italia. Lo scrittore muore nel 1928, e ha dunque ancora potuto godere per pochi anni il successo cui aveva aspirato per tutta la vita. 2.2. Gli pseudonimi di Ettore Schmitz Ettore Schmitz ha adoperato più di uno pseudonimo, in totale ben quattro: il primo fu Erode, il secondo G. Shakespeare, il terzo E. Samigli e il quarto Italo Svevo. L'ultimo è lo 6Ruggero Rimini, La morte nel salotto. Guida al teatro d’Italo Svevo, Firenze, Vallecchi, 1974, p. III. 7Profilo autobiografico, cit., p. 806.
5 pseudonimo più importante, dato che gli altri sono stati utilizzati soltanto una volta o per un periodo limitato. Nel 1892, con la pubblicazione di Una vita, vede la luce anche un nuovo pseudonimo, cioè Italo Svevo. L’autore ha detto ironicamente all’amico Giulio Piazza di aver adottato tale pseudonimo perché gli faceva pena “nel nome Schmitz quella povera i fracassata da tante consonanti”8. E’ chiaro che sta scherzando. Nel Profilo autobiografico, Svevo è più serio a proposito delle ragioni per cui ha scelto il nom de plume Italo Svevo: Per comprendere la ragione di uno pseudonimo che sembra voler affratellare la razza italiana e quella germanica, bisogna aver in mente la funzione che da quasi due secoli va compiendo Trieste alla Porta Orientale d’Italia: funzione di crogiolo assimilatore degli elementi eterogenei che il commercio e anche la dominazione straniera attirarono nella vecchia città latina. Il nonno d’Italo Svevo era stato un funzionario imperiale a Treviso, dove sposò un’italiana. Il padre suo, perciò, essendo vissuto a Trieste, si considerò italiano, e sposò un’italiana da cui ebbe quattro figliole e quattro maschi. Al suo pseudonimo “Italo Svevo” fu indotto non dal suo lontano antenato tedesco, ma dal suo prolungato soggiorno in Germania nell’adolescenza.9 L’autore respinge dunque gli antecedenti tedeschi degli Schmitz come ragione dello pseudonimo. Il termine “Svevo” rimanda al periodo trascorso in Germania e alla filosofia di Schopenhauer (l’autore preferito di Svevo). 2.3. Il gioco dello pseudonimo Io mi ricordo che pochi anni or sono un uomo d’affari interruppe le trattative serie in cui eravamo impegnati per domandarmi: “E’ vero che voi siete l’autore di due romanzi?”. Arrossii come sa arrossire un autore in quelle circostanze e, visto che l’affare mi premeva, dissi: “No! No! E’ un mio fratello”. Ma quel signore, non so perché, volle conoscere l’autore dei due romanzi e si rivolse a mio fratello. Il quale poi non fu molto lusingato dell’attribuzione ch’evidentemente scemava la sua rispettabilità professionale.10 E’ chiaro che Schmitz, adoperando lo pseudonimo Italo Svevo, si maschera; è una maschera che può agevolmente deporre quando le circostanze lo esigono. Nel brano riportato è il commerciante Ettore Schmitz che depone la maschera di scrittore. In un’altra occasione, fa cancellare il nome Italo Svevo dalla Guida cittadina. Il rinnegamento dello scrittore Italo Svevo da parte di Ettore Schmitz avviene soprattutto negli anni dell'insuccesso letterario (dopo la pubblicazione di Una vita e Senilità). Il procedimento inverso, il rinnegamento di Ettore Schmitz da parte di Italo Svevo, è più frequente. Con il suo nom de plume Svevo intende “suggellare il passato remoto e prossimo di Ettore Schmitz impiegato della Unionbank [sic], figlio di un incauto commerciante rovinato”11. Inoltre, appartenendo lui stesso alla borghesia triestina, ha bisogno di uno pseudonimo per vendicarsi di questo mondo borghese. 2.4. Il mito dell’eroica rinuncia alla letteratura 8Vita di mio marito, cit., p. 239. 9Profilo autobiografico, cit., p. 799. 10Il Soggiorno londinese è stato pubblicato nel volume Italo Svevo “Opera Omnia” Racconti, saggi, pagine sparse, a cura di B. Maier, Milano, Dall’Oglio, 1968, pp. 693-694. 11Enrico Ghidetti, op. cit., p. 113.
6 Tra la pubblicazione di Senilità e quella de La coscienza di Zeno c’è un periodo di venticinque anni (dal 1898 al 1923) in cui il mondo triestino non sente più niente dello scrittore Italo Svevo. Nel 1899 Ettore entra nella ditta industriale del suocero per diventare un uomo d’affari, e nello stesso periodo decide di rinunciare alla letteratura. Italo Svevo decide di astenersi dalla letteratura. Rientra nell’ombra e cede il passo al borghese responsabilmente preoccupato della famiglia e del lavoro, ma non esclude la possibilità di realizzare il suo sogno letterario nel futuro. Solo che adesso è troppo preoccupato come industriale. Si tratta di un tentativo di giustificarsi per aver aspettato venticinque anni prima di pubblicare un nuovo libro. Crea il mito dell’eroica rinuncia. Nel Profilo autobiografico leggiamo: Scrivere dell’altro era difficile perché allora per poter corrispondere un po’ meglio ai proprii impegni lo Svevo occupava tre impieghi [...]. Derivava la necessità della rinunzia. Il silenzio che aveva accolto l’opera sua era troppo eloquente. La serietà della vita incombeva su lui. Fu un proposito ferreo. Gli fu più facile di tenerlo perché in quel torno di tempo entrò a far parte della direzione di un’industriale alla quale era necessario dedicare innumerevoli ore ogni giorno.12 Italo Svevo sceglie dunque il silenzio perché Ettore Schmitz possa dedicarsi pienamente agli affari. Esprime la volontà di diventare un buon industriale e un buon commerciante. Ma si rende conto che “di pratico non ha che gli scopi”. E’ un sognatore, un 'filosofo' per cui il “demone letterario” costituisce un ostacolo all’integrazione familiare e sociale indispensabile per l’equilibrio psicologico della persona. Nel Profilo autobiografico afferma: In complesso finí con l’avere una vita più felice di quanto avesse temuto. In gran parte si vide esonerato dal tedioso lavoro d’ufficio e visse coi suoi operai in fabbrica. [...] Restavano certamente delle ore libere e lo Svevo racconta volentieri che non poteva dedicarsi al piacere di scrivere, perché bastava una sola riga per renderlo meno adatto al lavoro pratico cui giornalmente doveva attendere. Subentrava subito la distrazione e la cattiva disposizione.13 Svevo vuol farci credere che sa vivere senza la letteratura e che ha una vita abbastanza felice, ma ci sta ingannando. Abbiamo già accennato alla vocazione letteraria di Italo Svevo. Spesso l’autore ne parla in termini di “malattia”. La “febbre” che lo condanna a scrivere è il sintomo di una “malattia”, “la malattia letteraria”. Si tratta di una vocazione irrinunciabile. Nel dicembre del 1902, Svevo annota nel suo diario: Io, a quest’ora e definitivamente ho eliminato dalla mia vita quella ridicola e dannosa cosa che si chiama letteratura. Io voglio soltanto attraverso a queste pagine arrivare a capirmi meglio. L’abitudine mia e di tutti gli impotenti di non saper pensare che con la penna alla mano (come se il pensiero non fosse più utile e necessario al momento dell’azione) mi obbliga a questo sacrificio. Dunque ancora una volta, grezzo e rigido strumento, la penna m’aiuterà ad arrivare al fondo tanto complesso del mio essere.14 In questo brano indebolisce già il suo proposito di non scrivere più. E’ solo sulla carta che riesce a essere se stesso. Per capire se stesso ha bisogno della penna e per essere capito si deve travestire da Italo Svevo. Considera l’atto letterario come luogo di conoscenza. Svevo usa dire: “Scrivere a questo mondo bisogna, pubblicare non occorre”. Questa piccola frase è 12Profilo autobiografico, cit., p. 805. 13Ibid. 14Pagine di diario e sparse, in Italo Svevo “Opera omnia” Racconti, saggi, pagine sparse, a cura di B. Maier, Milano, Dall’Oglio, 1968, p. 818.
7 importantissima perché ci rivela che non dobbiamo prendere alla lettera i venticinque anni di silenzio. Scrivere non è la stessa cosa che pubblicare. Negli anni del cosiddetto “silenzio” e rifiuto della letteratura, Svevo continua a occuparsi di letteratura. Scrive ad esempio alcune commedie, e moltissime pagine della Coscienza, pur non essendo materialmente composte in questo periodo, hanno la loro periodo di 'incubazione' proprio negli anni della cosiddetta rinuncia. Non ci sarà quasi un anno della vita di Svevo in cui manchi un sostanziale impegno creativo di scrittore. La rinuncia alla letteratura è un mito escogitato a posteriori negli anni della fama: Svevo insiste sulla rinuncia per fare del suo come-back un “miracolo di Lazzaro”. 3. La non coincidenza tra Schmitz e Svevo Egli per i suoi rappresentanti, per i suoi clienti, per la Trieste dei traffici e della navigazione, fu per tutta la vita il signor Schmitz, commerciante ben quotato, con una solida posizione, conti correnti aperti in banca, e ottime referenze. Questa era la apparenza, o - diciamo così, - la scorza. Sotto sotto, un altro uomo esisteva in lui; aveva altre preoccupazioni che quelle dei contratti e delle forniture, faceva altre notazioni che quelle dei prezzi e dei cambi, nutriva ambizioni ben diverse - e più alte - di quelle del traffico e del lucro. Sotto il commerciante accorto, c’era un analista raffinato del cuore umano, un vivisezionista inesorabile di sentimenti proprii ed altrui, un osservatore potentissimo della mediocrità della vita, delle piccole cause ridicole che governano gli uomini e le loro azioni. Sotto Ettore c’era Italo Svevo Sono parole di Giovanni Ansaldo che pubblica anonimo su “Il lavoro” di Genova del 18 settembre 1928 un necrologio dello scrittore. Svevo era dunque un uomo dalla personalità doppia. E’ uno scrittore che fa l’industriale. Svevo è cosciente dell’incompatibilità tra il suo essere scrittore e la sua vita borghese. Le due personalità non possono coesistere. L’una prenderà il sopravvento sull’altra. Nel momento in cui entra nella ditta dei suoceri sarà il commerciante Ettore Schmitz a esorcizzare lo scrittore Italo Svevo. Il letterato viene sepolto sotto le spoglie dell’industriale. Ma è più importante il procedimento inverso, il rinnegamento di Ettore Schmitz da parte dello scrittore. Italo Svevo non è un semplice nom de plume ma un preciso personaggio pubblico. Il Profilo autobiografico costituisce la sua biografia. Serve a divulgare una certa immagine di Svevo presso il grande pubblico, immagine non sempre conforme alla verità. E’ vero che questa biografia ufficiale è stata curata da Cesari, ma è anche vero che Svevo ha apportato delle modifiche. Vengono eliminati i riferimenti agli insuccessi dei primi due romanzi, e viene limitato il ruolo promozionale di Joyce nei confronti della narrativa sveviana. Nella creazione di “Italo Svevo”, Ettore Schmitz proietta l’immagine di quello scrittore di successo che avrebbe voluto essere ma che non è stato. Fa del suo pseudonimo letterario un alter ego diverso da lui, ma con lui identificato da tutti. E’ lo scrittore Italo Svevo che sta preparando una vendetta. Usa la penna per proteggere e reintegrare la sua personalità minacciata. E’ il secondo motivo per cui ha creato un nom de plume. Svevo prende di mira se stesso come borghese e fortunato uomo d’affari. Attraverso i suoi personaggi Svevo fa la propria autocritica. Fa un processo all’io borghese e gli darà il colpo di grazia nel suo terzo romanzo. Ettore Schmitz è la vittima de La coscienza di Zeno.
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