Esperienza Parola di Vita adolescenti Marzo 2022 - Focolari ...
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Il momento presente Del film tv su Chiara Lubich L’amore vince tutto mi aveva colpito soprattutto come lei, a causa della guerra, aveva
imparato a vivere in pienezza il tempo presente, l’unico realmente suo. Viceversa, il mio modo di vivere era diventato una corsa continua; impaziente con i figli quando dovevo attenderli per accompagnarli a scuola, lo ero anche con mia moglie quando perdeva tempo a prepararsi prima di uscire. Ed ecco – imprevedibile e disturbatore dei miei ritmi – arrivare il Covid-19! Per giorni ero stato nervoso e agitato, mentre vedevo mia moglie approfittare delle limitazioni dovute alla pandemia per fare ciò che non era riuscita a fare in tempi normali, come riprendere contatti con amiche e compagni di università . Insomma, sembrava felice. Una ulteriore spinta l’ho avuta dal parroco, che in una riunione via Internet ha proposto di sfruttare questo tempo come un’occasione per “fermarsi” con se ́ stessi e vivere le azioni della vita, anche se ripetitive, come se fossero un capolavoro da compiere (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022) Il positivo del cambiamento Mentre passo in rassegna la vita di un intero anno segnato dall’imprevisto della pandemia, ho l’impressione di assistere a un film d’azione che ha ci scombussolato un po’ tutti, genitori e figli. Dover cambiare programmi e ritmo di vita è stato spesso duro, faticoso, ma e ̀ anche vero che ha portato una ventata di novitànella nostra famiglia. Ci siamo accorti, infatti, di nuove possibilità di rapportarci fra noi, di bisogni ai quali prima non facevamo caso.
Se con i figli la fede s’era rivelata un tabù (meglio evitare di parlarne!), eccoci ora davanti alle nostre fragilità , a paure di dimensioni planetarie, a interrogativi prima sopiti… Il vero cambiamento peròe ̀ iniziato quando ci siamo chiesti il senso di quello che stava accadendo. Abituati ad avere risposte ad ogni domanda, stavolta rimanevamo interdetti davanti al mistero, all’ignoto. In breve, ci siamo trovati più solidali non solo fra noi in famiglia ma abbiamo allargato lo sguardo sugli altri, oltre la nostra cerchia ristretta. Ci siamo ritrovati a considerare l’umanitàcome una sola famiglia (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022) Esperienza Parola di Vita ragazzi Febbraio 2022
Febbraio 2022 1 file(s) 523 KB Scarica Un artista e la pandemia In quanto musicista, questo periodo di pandemia risultava particolarmente disastroso per la mia attività artistica. L’annullamento degli spettacoli e l’insicurezza del domani erano diventati l’unico argomento di cui discutere in famiglia. Mia moglie invece, donna di grande fede, si rivelava in questa situazione più forte di me, al punto che più volte mi sono sentito come il suo quinto “figlio”. Su questa base, anche i nostri discorsi hanno cominciato a prendere un tono più aperto alla speranza; affrontare un futuro pieno di incognite non mi e ̀ s e m b r a t o p i ù u n a mostruosità da cui fuggire, ma una reale opportunità . Quando poi mi e ̀ stato offerto di occuparmi in un supermercato, più che la novità del tipo di lavoro mi ha colpito subito la diversa qualitàdei rapporti. Ero stato un uomo applaudito, ammirato, ora ero uno qualunque, come gli altri. Che dire? E ̀ cresciuta la mia fede, un tempo quasi appendice ad una vita di successo. Anche il rapporto con i figli e ̀ cambiato. Insomma la tragedia che ci ha colpiti e ̀ diventata occasione per un nuovo inizio (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022)
Papà a casa da noi Quando la salute di papà e ̀ peggiorata, è stato necessario accoglierlo da noi. Per mio marito e per i nostri figli era la soluzione più ovvia. Le mie sorelle comunque facevano la loro parte per agevolarci le cose. Volevamo ricambiare tutto l’amore che lui aveva sempre avuto per noi figli. Per non disorientarlo abbiamo trasferito a casa nostra il suo letto, la sua poltrona, i suoi quadri; abbiamo perfino applicato lo stesso linoleum nella sua nuova stanza affinche ́ non si rendesse conto del trasloco. Per tutto ciò abbiamo anche ricevuto critiche da qualcuno secondo il quale la presenza del papà ammalato avrebbe potuto avere conseguenze negative per la famiglia. Io invece replicavo: «Certo si tratta di dare tanto, ma ciò che si riceve e ̀ incalcolabile». Tante persone, venendo a trovarci, hanno capito che lui, nonostante le condizioni nelle quali si trovava, occupava un posto importante nella nostra famiglia. Dopo la morte di papà , una signora incontrata per strada mi ha detto: «Vorrei ringraziarla per ciò che ho visto e sentito: questo e ̀ cristianesimo» (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022)
Stefania ce l’ha fatta! Si avvicinava il Natale. Stefania mi chiese se l’avrei potuta aiutare a incartare per bene i regalini per tanti bimbi di cui si sentiva “zia” ed io accettai volentieri. Il giorno fissato squillò il telefono. Era Stefania che, desolata, mi avvisava che non sarebbe venuta, aveva un gran mal di gola e andava a letto. Trascorsi alcuni giorni mi arrivò un messaggio: “Mi stanno portando in ospedale”. Tentai di rispondere e richiamare, ma non ricevevo risposta, perciò, attraverso un cugino, riuscii a sapere che Stefania era ricoverata all’ospedale del capoluogo, nel reparto Covid. Seguirono giorni di silenzio, poi arrivò un mail con la sua foto: Stefania non poteva parlare né muoversi, era con il respiratore e le servivano diverse cose. Mio marito Aldo, era turbato: “Non andrai in casa sua…c’e il virus, e poi in ospedale? Ma sai cosa rischi? Prendi almeno i guanti …e come farai a raggiungere la città e guidare? Non portarmi a casa il Covid”. Lo rincuorai, anche se io pure avevo un po’ di timore; ma Stefania viveva sola, ed ora era Gesù abbandonato e aveva bisogno di tutto, non potevo lasciarla; l’amore non deve temere nulla. Andai a recuperare le chiavi del suo appartamento, presi alcuni indumenti e con coraggio mi misi alla guida: faticavo, avevo dolori alle gambe, ma nel silenzio andavo avanti e mi sentivo pronta a tutto. Ogni giorno le inviavo messaggi gioiosi, facevo acquisti di cose intime e igieniche, e cercavo di raggiungerla per non privarla dell’indispensabile. Alcune sue amiche mi consegnavano pensieri: era un’occasione per costruire un rapporto amichevole con persone sconosciute. Dopo vari giorni Stefania iniziò ad alzarsi, a mangiare, e desiderava un pezzo di pane speciale. Un’amica voleva portarglielo, perciò mi chiese come doveva fare; le descrissi il percorso e alcune regole come il Green Pass, ma qui
crollarono le speranze: non l’aveva, come pure tutte le altre amiche. Chiara si mise in contatto con me e preparò il pane che Stefania gradiva, poi io l’avrei portato. L’appuntamento era alla stazione e fu una bella conoscenza, lei giovane ed io anziana; mi chiese se fossi una zia o una cugina di Stefania. No -rispondo – non sono una parente. – E perché allora va? – Io la conosco da quando è nata, ed ora sono una nonna e le voglio bene. Aprimmo così il nostro cuore ad un piccolo dialogo . E’ stato un far nascere Gesù tra noi e ci salutammo con un sorriso. Dopo alcuni giorni mi giunge un messaggio “Oggi pomeriggio torno a casa! Grazie Carletta!” . Che gioia! Corro a casa sua, appendo nell’atrio dei palloncini colorati e sul tavolo lascio un pensiero di Natale con dei disegni e un dolce, mentre con lo sguardo osservo i vari regali per i “nipotini” ancora sparsi ovunque per la casa, che la “zia” con il tempo avrebbe consegnato; perché ogni giorno è Natale. Chiudo la porta, consegno le chiavi alla vicina di casa e assieme condividiamo questa felicità: Stefania ce l’ha fatta. Carla Esperienza Parola di Vita ragazzi Gennaio 2022
Esperienza Parola di Vita adolescenti
Gennaio 2022 1 file(s) 523 KB Scarica Come uscire dall’oppressione In poltrona, inerte, ero cosı̀giùdi morale che non rispondevo alle chiamate. Intanto i coinquilini del piano di sotto, come al solito, stavano litigando. Altre volte avevo cambiato stanza per non sentirli. Ma stavolta mi sentii spinta a fare qualcosa e ricordando che in quel- la famiglia c’era stato un anniversario, presi una bottiglia di vino ricevuta in regalo e in vestaglia com’ero andai a bussare da loro. Sorpresa, momenti di incertezza, poi mi invitarono a prendere un caffe ̀. Non ricordo cosa ci dicemmo, ma nella gran voglia di parlare che m’era venuta arrivammo alle risate. Di nuovo a casa, mi sentivo diversa: dov’era la tristezza? Mi sentivo “abitata” dal bene (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 6, novembre-dicembre 2021)
L’unico che non tradisce Incredibilmente, un amico di vecchia data aveva su di me e sulla mia famiglia espresso un giudizio causa di incomprensioni nel giro degli altri amici. Non mi davo pace, non ci dormivo la notte. Un giorno, durante la messa, venne letto il versetto di un salmo: «Sei tu, Signore, l’unico mio bene». Per giorni ci pensai e lentamente si fece strada in me una fede nuova in Dio, l’unico che non tradisce. Quella frase, che aveva avuto su di me l’effetto di un ritiro spirituale, mi aiuta in tanti situazioni. Si presenta qualche contrarietà ? «Sei tu, Signore, l’unico mio bene». Vorrei che questa scoperta passasse ai miei figli come legge della vita, come strada di libertà . (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 6, novembre-dicembre 2021) Durante un viaggio Un lungo viaggio in auto e ̀ l’occasione per parlare dei nostri f i g l i . C o n r a m m a r i c o p e r ò s c o p r i a m o d i a v e r e i d e e contrastanti, rimanendo ciascuno rigido sulle sue posizioni. Cambiamo discorso, ma qualsiasi argomento affrontiamo non ci troviamo d’accordo. Cosı̀ci rassegniamo a tacere. Nel silenzio pesante che s’e ̀ creato provo un acuto dolore: dopo anni di matrimonio mi sembra di trovarmi accanto uno sconosciuto. Poi mi attraversa la mente: «Tu vuoi imporre il tuo pensiero
perche ́ sei sicura di essere nel giusto, fingi di ascoltare tuo marito. Non ti sforzi per niente di capire le sue ragioni». Lo guardo di sfuggita e lo vedo assorto. Indovino in lui i mei stessi pensieri. Pian piano ricominciamo a parlare, riconosciamo ciascuno i propri limiti. Ascoltandoci a vicenda, il muro che si era creato fra di noi si sbriciola. Il nostro amore si alimenta e si rinnova nel rapporto personale con Dio e questo riempiràle lacune e i difetti. Quando riprendiamo gli argomenti che prima sembravano dividerci scaturiscono soluzioni impreviste che ci soddisfano entrambi (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 6, novembre-dicembre 2021) Immedesimarsi nella situazione degli altri La ragazza col peluche Lavoro in una comunità che accoglie ragazze straniere vittime di tratta. Un giorno mi viene segnalata una minorenne dell’Est europeo scappata di casa. Quando ho modo di contattarla, mi trovo davanti una diciassettenne dallo uno sguardo triste e impaurito, che abbraccia un piccolo
peluche. L’aiuto a sistemarsi; poi le offro da mangiare, ma lei rifiuta. Cerco di immedesimarmi più che posso nella sua situazione e, pensando di farle cosa gradita, le preparo una cioccolata e gliela porto in camera. Questo gesto scioglie subito il ghiaccio. Lei ha sempre quello sguardo triste quando iniziamo a parlare. Pian piano, in un italiano stentato, mi racconta la sua storia di povertà e di sofferenza. L’in- domani continuo ad andare a trovarla in camera sua. È sempre avvinghiata al suo peluche e insiste nel rifiutare il cibo. Le chiedo di seguirmi in cucina e mi accorgo che solo se le resto accanto riesce a mangiare qualcosa. Quando la ragazza, dopo mesi, decide di tornare al suo paese, trovo sulla scrivania il suo peluche con scritto «Non mi dimenticare!» Vaccini e giudizi Dopo aver parcheggiato l’auto, accompagnai un’anziana, che camminava a fatica, fino al luogo dove doveva vaccinarsi, che era anche il mio. Durante tutto il tragitto, lei non aveva fatto altro che parlar male del medico che l’aveva messa in lista, sfoderando tutta una serie di improperi. Conoscevo quel medico e di lui io avevo tutt’altra opinione. Ascoltai le rimostranze della nonnina, ma quando lei mi lasciò spazio per parlare le feci notare che in tempi difficili come questi della pandemia i medici si rivelano degli eroi, non si
risparmiano, rischiano la vita… Al che lei rimase in silenzio per un po’. Quando riprese a parlare, ricordò ancora qualche momento in cui non si era sentita trattata bene, ma aggiungendo: «Sı̀ , come lei dice, sono loro che stanno rischiando per noi. E poi so che quel medico ha dei grossi problemi in famiglia». Quando arrivammo a destinazione la nonnina riconobbe di aver sbagliato. Le offrii di prendere il mio posto, e lei: «Forse era necessario questo sbaglio perche ́ lei mi ha insegnato che devo frenare la lingua e non giudicare». Emarginato Da pochi giorni ho cambiato azienda. Nel nuovo ufficio non ho tardato a notare, tra i miei dipendenti, un collega emarginato dagli altri, al quale nessuno rivolge la parola e vengono affidate le mansioni più umili, che nessuno intende fare. Riconoscendo in lui un Cristo sofferente da scegliere e prediligere, lo avvicino con delicatezza e gli affido compiti sempre più di responsabilità , infondendogli fiducia. Qualche giorno dopo una signora bussa alla porta dell’ufficio e si presenta come la moglie di quel collega. Con mia sorpresa vuole conoscere colui che ha fatto sı̀ che suo marito abbia ripreso a dialogare in casa (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 5, settembre-ottobre 2021)
Focolari e migranti: Cooperativa “Una Città Non Basta” Gianni Caucci, imprenditore appassionato di musica, dirigeva il coro della parrocchia quando ha deciso con i componenti di allargare i rapporti positivi che si erano creati tra loro alla comunità circostante. Nel tempo si sono avvicinati agli altri, venendo a conoscenza di tante situazioni diverse, anche di grandi difficoltà economiche, così hanno iniziato a raccogliere beni, cibo, soldi e tempo, per donarli a chi ne aveva bisogno. Si è creata una rete che è diventata un’associazione di volontariato chiamata “Una città non basta Onlus”, allargatasi sempre di più fino a far nascere l’esigenza di rendere un “servizio” più concreto alla comunità e avere una soddisfazione personale, visto che bisognava dedicargli sempre più tempo e aumentavano le richieste di aiuto e sostegno. Nasce quindi la Cooperativa “Una Città Non Basta impresa sociale”, in cui ora lavorano operatori come psicologi, assistenti sociali, operai, muratori e avvocati. Infatti, oltre alla necessità di figure professionali per gestire situazioni delicate, un aiuto importante arriva dall’ambito lavorativo, che dona agli assistiti dignità e libertà.
La Presidente, Maria Rosaria Calderone, si dedica interamente alla Cooperativa, che ha una sede a Marino, dove si coordinano tutte le attività ed è attivo il PIS (Pronto intervento Sociale), servizio per senza fissa dimora nei Comuni di Marino e Ciampino, con accoglienza serale/notturna insieme ad un N. Verde per l’aiuto e l’assistenza Sociale. Altra sede sul territorio è a Velletri, un edificio che apparteneva al Don Orione, diventata casa per famiglie migranti da dieci anni. Inoltre “Una Città non Basta” ha dato impulso ad un ulteriore progetto, ristrutturando una casa che verrà adibita all’accoglienza di donne vittime di violenza, a seguito di un bando indetto dal comune di Roma, vinto dalla cooperativa che tuttavia è stata l’unica ad aderire. L’accoglienza è verso tutti coloro che sono emarginati, come ex tossicodipendenti in buone condizioni fisiche e mentali che ancora non vengono ufficialmente accettati dalla società. La Cooperativa affianca e sostiene le persone, diventando molto importante per le vite che incontra. Una signora che si trovava in grandi difficoltà, racconta Gianni Caucci, gli disse che nessuno nell’ultimo periodo l’aveva cercata, neanche i suoi familiari, se non le persone della Cooperativa. Una famiglia afgana numerosa è accolta a Marino. Tra i componenti un bambino a cui Gianni ha aggiustato la macchinina telecomandata, che è arrivato in Italia con la mamma e la sorella tramite i ponti aerei del 30 agosto 2021. Con tante altre persone accolte, stanno imparando la lingua grazie al lavoro di docenti volontari che si recano periodicamente al centro. Si cerca di capire quali siano i sogni, i desideri e le capacità di queste persone, in modo che possano un giorno uscire dai centri di accoglienza e rendersi indipendenti. Non avendo scelto di venire in Italia, a volte mostrano
difficoltà nell’accettare la loro situazione. Una ragazza accolta dalla cooperativa continua ad avere il desiderio di tornare nel paese di origine, forse perché ha lasciato degli affetti quando è partita, sebbene la situazione sia molto complicata. Altro episodio di cui ci rende partecipi Gianni: un giorno Maria Rosaria è entrata in ufficio lamentando che i bambini accolti avevano bisogno di giubbotti. Dopo qualche remora presentata dalla contabile, che le mostrava i pochi fondi a disposizione, comunque comprarono queste giacche, per una spesa di circa trecento euro. Il caso ha voluto che tornate in sede, alla visualizzazione dell’estratto conto, avessero ricevuto una serie di bonifici di una somma più o meno corrispondente a quella spesa, fatti da persone che liberamente donano per sostenere i progetti. Far funzionare la Cooperativa è un lavoro impegnativo, portato avanti con fatica e speranza per il futuro. Gianni Caucci racconta come si sia ispirato al pensiero di Chiara Lubich: rendere concreto l’amore. Dopo la sua morte si è sentito in dovere di agire: “Forse non sono la persona più adatta a esprimere il pensiero di Chiara a parole, ma sento il dovere di provare a metterlo in pratica, per quanto ho ricevuto nella vita”. Ha parlato della libertà di esprimersi, di donare ed essere ricambiati: “Anche un caffè può essere mezzo di felicità e relazione, oltre che un segno di parità, se è un dono”. Sia Gianni Caucci che Maria Rosaria Calderone hanno insistito
sul tema dell’integrazione, sotto una prospettiva capovolta: dobbiamo pensare non solo alle persone che vengono accolte ma anche a chi accoglie. Non si è sempre pronti al diverso, anzi se ne ha paura, è importante perciò creare dei ponti tra le comunità locali e le realtà di accoglienza, mettendo in relazione le persone nella quotidianità. Lavorare nella cooperativa dà soddisfazione e gioia, proprio in virtù dei legami che si creano. I volontari insieme ai lavoratori sono sempre in fermento, impegnati e totalmente dediti alla loro attività. Gianni Caucci, persona molto gioviale, aperta e desiderosa di raccontarmi le vicende della Cooperativa, non nasconde che ci possano essere degli scontri perché si è di culture diverse, si vive in tanti e insieme. L’importante è confrontarsi per cercare di raggiungere un “sentire” comune. Così conclude, mentre beviamo un caffè. Miriana Dante SITO WEB UNA CITTA’ NON BASTA SITO COOPERATIVA Come bambini Come ogni mattina, sono uscito di casa per passare dalla mamma a vedere come stava e a fare colazione con lei. Mi ferma un ragazzo che mi chiede una sigaretta. Gliela do, ma poi lui, un po’ imbarazzato, mi chiede se posso offrirgli la colazione: aveva dovuto pagare il posto dove aveva dormito e non gli bastavano i soldi. E’ stato spontaneo per me andare subito al bar e fare colazione con lui. Questa semplice esperienza mi ha dato
gioia, perché ho potuto farmi “piccolo con i piccoli”. Un modellino innovativo Ultimo anno di Odontoiatria, il più impegnativo. Dovrei non pensare ad altro per laurearmi in fretta, invece ho accettato di dare ripetizioni a Fabio, che non va bene a scuola, per favorire la madre, una signora incontrata per caso. Gratis, perche ́ le sue finanze non sono buone. Un giorno in cui faccio ripetizione di scienze al ragazzo, devo spiegargli – guarda caso – proprio i denti. Per fargli comprendere meglio il capolavoro che e ̀ il nostro apparato masticatorio, senza rendermene conto m’invento un modellino con un accorgimento tecnico, semplice ma molto pratico per la didattica. Comunico la scoperta al professore della tesi. Ne e ̀ addirittura entusiasta. Non solo, mi propone di illustrarla ad una lezione che terrà all’Università di Caserta, specificando non solo l’aspetto tecnico, ma anche la circostanza che me l’ha fatta intuire. Nei mesi seguenti, mi viene data anche l’opportunità di parlarne a 70 studenti. L’ultima notizia avuta dal prof e ̀ che sulla mia scoperta verràpubblicato anche un libro. E tutto perche ́ ho ascoltato la richiesta di una madre (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 4, luglio-agosto 2021)
La nostra “prossimità” Quando papa Francesco parla di “prossimità” , sembra che annulli tutte le regole che ci siamo fatti riguardo ad un certo stile di vita. Per lui vale l’altro e la nostra capacità di accoglienza. Ne parlavo una volta in ufficio, contrastato da una collega secondo la quale e ̀ proprio questo atteggiamento senza regole che sta rovinando la Chiesa. La ascoltavo stupito e scoraggiato dalla sua sicurezza nel condannare il Papa, nonostante fosse una donna intelligente e, a modo suo, cattolica praticante. Da quel giorno ho evitato di tornare sull’argomento e ogni qualvolta lei mi attaccava con qualche articolo sul Papa, cercavo di sviare il discorso. L’altro ieri, al telefono, mi ha avvisato che non poteva venire al lavoro per problemi con la figlia anoressica. Appena ho potuto, sono andato da loro. In effetti, la ragazza rischiava la vita. Mia moglie e ̀ psicologa e, con trucchi vari, siamo riusciti a frequentarci. Ora la figlia sta meglio, spesso è a casa nostra. La collega mi scrive un messaggio: «Ora capisco cosa intende il Papa con la parola “prossimità ”» (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 4, luglio-agosto 2021) La lezione è servita Una collega era stata incolpata di un errore serio. Per difendersi, era ricorsa a una società di investigazione. Conclusione: l’errore era il prodotto di sbagli fatti da
altri. Da cristiano mi sono vergognato perche ́ ero stato uno dei primi a puntare il dito sulla collega. Non è stato facile chiedere perdono a tutti per la mia superficialità , ma questa lezione mi aiuta anche in famiglia. Quante volte, senza neanche ascoltarli, ho giudicato le azioni dei miei figli! Quante volte mia moglie ed io siamo arrivati a litigare soltanto perche ́ non ci eravamo ascoltati. La scuola e ̀ continua! (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 4, luglio-agosto 2021) Buio totale Non riuscivo ad addormentarmi senza un piccolo lume in camera: retaggio, quel disagio, di oscuri timori infantili. Questo, finche ́ non mi capitò di trascorrere con alcuni amici un fine settimana in montagna, ospiti in una casetta piccola, ma comoda. La prima sera, dopo una giornata trascorsa tra escursioni ed altri svaghi, ci preparammo ad andare a dormire. Io mi sistemai sopra un letto a castello, in una cameretta dove eravamo in quattro. Chiacchierammo ancora fino a tardi, scherzando e facendo progetti per il giorno dopo. Poi, dopo la buonanotte, qualcuno spense la luce e… fu buio totale. Gli altri si erano azzittiti, forse dormivano già , ed io sentivo in me montare quella sensazione d’angoscia, a me ben nota. Stavo per cedere all’impulso di scendere dal letto per socchiudere un po’ le imposte, ma no: non potevo imporre
agli altri le mie abitudini, non sarebbe stato amore per loro. Lasciai ricadere la testa sul cuscino. Quando il mattino dopo mi risvegliai (non m’ero neanche accorto di essermi addormentato), mi sentii felice per quella piccola vittoria. (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 4, luglio-agosto 2021) «Metti amore…» Non avrei mai immaginato di aver sposato uno sconosciuto. Mio marito, infatti, aveva rivelato un egocentrismo che lo allontanava dagli altri. In realtàcelava un tremendo senso di inferiorità. Me n’ero accorta quando, per non ferirlo, non potevo gioire neanche dei successi dei nostri due figli. E pensare che un tempo mi sentivo sostenuta da lui! Ora questo punto fermo era svanito ed io mi sentivo in crisi. Fu a questo punto che il messaggio di una ex compagna di scuo- la entrata in convento mi annunciòla sua decisione di lasciare la strada intrapresa. Andai a trovarla e mentre lei mi parlava di solitudine, di idealità crollate, di invidie e gelosie in una comunità , la sua, che aveva alti scopi umanitari, mi sembrava di vedere me stessa riflessa in uno specchio. Ci incontrammo in più occasioni e una frase di Giovanni della Croce, da lei citata, divenne luce per ciòche dovevo fare per tentare di salvare la famiglia: «Dove non c’e ̀ amore, metti amore e troverai amore». Mi impegnai. Non fu facile, ma oggi le cose sono cambiate, sia
per me che per lei (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 4, luglio-agosto 2021) Ero di fretta… Di fretta e con molte commissioni da sbrigare, per strada m’imbatto in un giovane dalle fattezze asiatiche che si guarda attorno disorientato. Non parla italiano, ma mi mostra un foglio con scritto un indirizzo. Quella via e ̀ un po’ lontana, ma cedo all’impulso di accompagnarvelo. Nel viale in questione trovo case costruite di recente, mancanti dei numeri civici. Dove può essere il n. 4? La ricerca si rivela più laboriosa del previsto, ma… «se qualcuno ti chiede di fare un miglio, tu fanne due», avevo letto sul Vangelo proprio prima di uscire. Dopo altri giri, ecco il sospirato 4, segnato con un pennarello su un pilastro. Solo che ad esso corrisponde un condominio di due isolati con tre portoni. Qual e ̀ l’interno giusto? A questo punto, da una finestra dell’isolato di sinistra si affaccia sorridente una ragazza: «Signora, siamo noi che lo stavamo aspettando». L’orientale, finora impassibile, si illumina e cerca di esprimermi la sua gratitudine. Scappo via perche ́ si e ̀ fatto veramente tardi… E alla fine riesco perfino a completare tutte le mie commissioni (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 3, maggio-giugno 2021)
Il “gioco della traduzione” Una zia di mia moglie era ricoverata in ospedale. Nota per avere una lingua pungente, parlava e sparlava di tutti e di ogni cosa vedeva il negativo, col risultato che a frequentarla erano pochi tra parenti e amici. Quando ci è stato possibile visitarla, mia moglie ed io ci siamo accordati per “tradurre in positivo” le sue prevedibili lagnanze e recriminazioni. Infatti niente le andava bene di quello che avevamo preparato per lei… e noi, divertiti per come tutto si svolgesse secondo le previsioni, stavamo al gioco per il quale, invece, “tutto andava bene”. Non avevamo peròprevisto una cosa: la zia, disorientata dalla nostra imperturbabilità , ha esaminato meglio i nostri doni e, un po’ raddolcita, quasi si e ̀ scusata per la sua ingratitudine. Dopo di che ci ha chiesto notizie dei nostri figli, di come andavano a scuola… insomma, sembrava un’altra persona. Appena tornati a casa, i bambini ci hanno accolti con la notizia che aveva telefonato la zia: voleva congratularsi con ciascuno per come andava a scuola. Il “gioco della traduzione” aveva funzionato (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 3, maggio-giugno 2021)
Il fratello alcolizzato Dopo la morte dei genitori, per mio fratello alcolizzato si era pensato di comprare un appartamentino, mentre la casa paterna l’avremmo divisa tra gli altri fratelli. Io però non ero tranquilla. E una notte insonne, mi chiesi se prenderlo con me avrebbe portato scompiglio nella mia famiglia di cinque persone. Ne parlai con mio marito e con i figli, che furono tutti d’accordo. Questa decisione provocòstupore negli altri miei fratelli. Di qui la loro proposta di andare ad abitare nella casa paterna, cosı̀ anche per il fratello non sarebbe stato traumatico un trasferimento. In breve, qualcosa di radicalmente nuovo e ̀ cominciato fra tutti (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 3, maggio-giugno 2021) L’ombrello Sapendo che dietro i poveri e gli emarginati e ̀ Cristo che chiede di essere amato, cerco di non perdere le occasioni per farlo. Per esempio, nel bar vicino casa avevo notato un povero, soprannominato Penna, bagnato fradicio, perche ́ quel giorno pioveva.
Sapendo che aveva avuto la tbc, e superando una certa resistenza a farmi vedere in sua compagnia, l’ho invitato a casa, per cercagli qualcosa di asciutto. I miei ci sono rimasti. «Babbo, servirebbero dei vestiti…». All’inizio non era molto entusiasta, poi però ha procu- rato un paio di pantaloni, mentre io rimediavo una giacca. Ma la pioggia non accennava a finire… Ed io, tornando alla carica: «Babbo, e se gli dessimo anche un ombrello?». Anche quello e ̀ arrivato. Felice il povero, ma piùfelice io, perche ́ ci eravamo mossi insieme per aiutarlo. Ma la cosa non e ̀ finita lı̀ . Giorni dopo, Penna e ̀ tornato per restituirci l’ombrello. Veramente non era quello che gli avevamo dato, era più bello. Era successo che il nostro glielo avevano rubato e qualcuno gliene aveva regalato un altro. Aveva voluto cosı̀ricambiare (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 3, maggio-giugno 2021) Impariamo dai piccoli Che per i bambini la vita sia gioco, è scontato. Meno per noi adulti, che spesso la vita ce la complichiamo, dimenticando la semplicità evangelica. Insegno alle elementari. Una mattina, Dario ne aveva combinate di tutti i colori e s’era preso una bella lavata di capo. Forse avevo alzato un po’ il tono, perche ́ m’era rimasto un certo disagio interno. Passa un po’ di tempo e mi avvicino a lui fra i banchi. Vincendo il mio ruolo di “educatore” che mi
porterebbe a salvare la faccia, gli chiedo scusa. Deve essersi accorto del mio sforzo, perche ́ mi ha liquidato col suo accento romanesco: «A mae ̀, non te sta a preoccupà !», e mi coinvolge all’istante in un bel gioco, dandomi cosı̀ una bella lezione (Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 3, maggio-giugno 2021)
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