DIPARTIMENTO DI MEDICINA E CHIRURGIA

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DIPARTIMENTO DI MEDICINA E CHIRURGIA
DIPARTIMENTO DI MEDICINA E CHIRURGIA

        CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOBIOLOGIA E
                   NEUROSCIENZE COGNITIVE

 SPORT E BENESSERE: UNO STUDIO SU VARIABILI SOCIO-
           EMOZIONALI IN GIOVANI ATLETI

Relatore:
Chiar.ma Prof.ssa Dolores Rollo

Controrelatore:
Chiar.mo Dott. Francesco Sulla
                                                          Laureanda:
                                                      Marika De Maio

                          Anno accademico 2018/2019
Indice

Abstract . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

Capitolo 1 – I giovani e lo sport: implicazioni per benessere e sviluppo
1.1 Sport e benessere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.2 Sport e sviluppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .10
           1.2.1 Autostima. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
           1.2.2 Autoefficacia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
           1.2.3 Ansia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
           1.2.4 Resilienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13
           1.2.5 Cognizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.3 Sport come terapia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
1.4 Differenze tra sport di squadra e individuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

Capitolo 2 – La Ricerca
2.1 Obiettivi e ipotesi della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2.2 Partecipanti e procedura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.3 Strumenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
2.4 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
2.5 Discussione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
Abstract

There are several evidences about benefits of sport at a physical and psychological
level, especially during developmental age. The purpose of this study is to verify sport
efficacy by investigating some socio-emotional and cognitive variables in non-athletic
adolescents, team sports athletes and individual sports athletes. The variables analysed
are self-esteem, grit, cognitive style, self-efficacy, anxiety and resilience. The
hypothesis of the research is that the boys practicing sports present a better
psychological well-being than the non-athletes and that the ones who practice a team
sport especially benefit from the sport practice. The results obtained, in line with the
literature on this topic, support the hypothesis concerning the benefits of sport in
general: boys who practice sports have higher levels of self-esteem and grit than those
who do not. However, the data collected does not confirm the presence of a statistically
significant difference between those who practice individual sport and those who are
part of a team.

                                        Riassunto

Esistono molte evidenze sui benefici dello sport a livello fisico e psicologico,
soprattutto durante l’età dello sviluppo. Lo scopo di questo studio è verificarne
l’efficacia indagando alcune variabili socio-emozionali e cognitive in adolescenti non
atleti, atleti di sport di squadra e atleti di sport individuali. Le variabili analizzate sono
Autostima, Grinta, Stile Cognitivo, Autoefficacia, Ansia e Resilienza. L’ipotesi della
ricerca è che i ragazzi che praticano sport presentino un miglior benessere psicologico
rispetto ai non atleti e che siano soprattutto coloro che praticano uno sport di squadra
a beneficiare maggiormente della pratica sportiva. I risultati ottenuti, in linea con la
letteratura su questo argomento, sostengono l’ipotesi relativa ai benefici dello sport in
generale: i ragazzi che praticano sport presentano livelli più alti di Autostima e Grinta
rispetto a chi non lo pratica. Tuttavia, i dati raccolti non confermano la presenza di una
differenza statisticamente significativa tra chi pratica sport individuale e chi fa parte
di una squadra.

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Introduzione

Mente e corpo oggi non possono più essere considerate due entità separate, poiché esse
si influenzano vicendevolmente; si pensi, ad esempio, ai disturbi psicosomatici o
all’uso comune di espressioni che identificano emozioni attraverso sensazioni fisiche
(come “tremare di rabbia”, “avere il cuore in gola” …) o, ancora, alla sensazione di
benessere che segue un respiro profondo dopo una giornata impegnativa. Inoltre, vi
sono numerose evidenze sull’importanza del corpo nella percezione. Ciò che
percepiamo è chiaramente mediato dal corpo attraverso i suoi organi recettori, ma esso
non è solo un mezzo che riceve ed elabora passivamente informazioni: la nostra azione
è fondamentale per percepire e comprendere il mondo intorno a noi (Neisser, 1985;
Prinz, 1990).

Tenendo in considerazione l’importanza del legame mente-corpo, ciò che si vuole
indagare con questo lavoro di tesi è il contributo dell’attività fisica, in particolare dello
sport, sul benessere psicologico negli adolescenti, in termini di sviluppo socio-
emozionale e cognitivo.

Nel primo capitolo verranno riportate le informazioni presenti in letteratura in merito
ai benefici dello sport a livello fisiologico, nella prima parte, e psicologico, nella
seconda, considerando questi due aspetti sia durante lo sviluppo che nell’età adulta.
Per quanto riguarda lo sviluppo, il focus sarà su Autostima, Autoefficacia, Ansia,
Resilienza, Cognizione e Apprendimento. Inoltre, nella terza sezione del capitolo si
tratterà delle implicazioni cliniche dello sport: diversi studi suggeriscono che l’attività
fisica contribuisca a ridurre la sintomatologia di alcune patologie come, ad esempio,
Depressione, Disturbo da Disattenzione e Iperattività e Disturbi Specifici
dell’Apprendimento (Verburgh, Konigs, Scherder, & Oosterlaan, 2013; Tan, Pooley,
& Speelman, 2016). Infine, la quarta ed ultima parte del capitolo riguarderà le
differenze in termini di variabili socio-emozionali e cognitive in chi pratica sport
individuale e chi pratica sport di squadra.

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Il secondo capitolo, invece, sarà dedicato al progetto di ricerca. Lo studio ha coinvolto
117 ragazzi tra i 14 e i 21 anni, dei quali una parte pratica sport agonistico, individuale
o di squadra, e la restante parte non pratica sport o lo fa per meno di due ore a
settimana. Ai ragazzi è stato chiesto di compilare un questionario contenente dei test
che misurano Autostima, Grinta, Stile Cognitivo, Autoefficacia, Ansia e Resilienza.
Gli obiettivi della ricerca sono: verificare la presenza di un effettivo beneficio a livello
di sviluppo socio-emozionale nei ragazzi che praticano sport rispetto a chi non lo
pratica e, soprattutto, analizzare eventuali differenze che possono emergere tra atleti
di sport individuale e atleti di sport di squadra, ipotizzando che la squadra amplifichi
ulteriormente i benefici dovuti all’attività sportiva in quanto tale.

I risultati, in linea con la letteratura su questo argomento, suggeriscono che lo sport
possa effettivamente costituire un fattore protettivo per lo sviluppo socio-emozionale,
soprattutto per quanto riguarda Autostima e Grinta. Tuttavia, non sembra essere
supportata l’ipotesi di differenze nei punteggi dei costrutti misurati tra atleti di sport
individuale e chi fa parte di una squadra.
Ciò che appare chiaro alla luce di questo lavoro e, soprattutto, delle numerose evidenze
scientifiche su questo argomento, è che lo sport costituisca un’importante risorsa nel
garantire il benessere psicologico durante lo sviluppo, tipico e atipico.

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Capitolo 1
          I giovani e lo sport: implicazioni per benessere e sviluppo

1.1 Sport e benessere

Oggi circa un terzo della popolazione italiana di età superiore ai 3 anni pratica
abitualmente sport e, in generale, almeno la metà dichiara di praticare attività fisica
(dati ISTAT, 2015). Ormai, infatti, è ben consolidata l’idea che l’esercizio fisico
comporti benefici, almeno da un punto di vista fisiologico, e questo è confermato dalla
presenza di numerose evidenze scientifiche. Ad esempio, un recente studio
(Mandsager, et al., 2018) svolto su un esteso campione di pazienti ha dimostrato la
presenza di una correlazione inversamente proporzionale tra fitness cardiorespiratorio
e tasso di mortalità indipendentemente da diversi fattori, quali genere, età, etnia e
condizioni mediche e di salute: addirittura i pazienti vengono incoraggiati dai propri
medici a fare movimento, tanto quanto viene sconsigliato loro di fumare perché il
rischio di ammalarsi è equivalente, se non superiore, a quello a cui questi vanno
incontro conducendo una vita sedentaria (Pedersen, 2006).
Numerosi altri studi dimostrano che uno stile di vita poco attivo comporta rischi
maggiori nella contrazione di alcune malattie come il diabete di tipo 2 (Sigal, Kenny,
Wasseman, Castaneda-Sceppa, & White, 2006), malattie cardiovascolari (Fletcher,
1996) e respiratorie (Garcia-Aymerich, Lange, Benet, Schnohr, & Antò, 2006) e anche
alcune tipologie di cancro, che colpiscono in particolare colon, retto e mammella
(Knals et al., 2005; Fang et al., 2012). Inoltre, fare movimento rallenta i sintomi
dell’artrite (Roddy, Zhang, & Doherty, 2005), che coinvolge la maggior parte delle
persone in età avanzata, e può prevenire altre situazioni croniche oltre a quelle sopra
citate, come l’obesità e la depressione (Kujala, 2004).

Oltre a una maggiore sensazione di benessere fisico, fare sport ha conseguenze
estremamente positive anche da un punto di vista psicologico. In effetti, chiunque può
sperimentare il beneficio dell’attività sportiva, per ciò che riguarda soprattutto gli
aspetti emotivi, magari dopo una passeggiata al parco o l’allenamento in palestra:

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inconsapevolmente si ricerca l’attività fisica per rilassarsi dopo momenti stressanti o
per cercare di gestire al meglio emozioni negative, come rabbia o ansia. Infatti, vi sono
numerose evidenze sul fatto che chi conduce una vita attiva ottenga punteggi elevati
in test che misurano il tono dell’umore (O’Connor, 2000; O'Neal Chambliss, Dunn,
& Martinsen, 2000; Williamson, 2001) o il grado di soddisfazione per la propria vita
(Speltini, 1991; Steptoe & Butler, 1996; Hassmen, 2000) e bassi in quelli che misurano
l’ansia, in particolare l’ansia di tratto (Raglin, Morgan, & William, 1985; Petruzzello,
1991; Bodin & Martinsen, 2004; Blumenthal, Williams, Needels, & Wallace, 1982).
Uno studio del 1982 (Blumenthal et al.) dimostra che già dopo poche settimane in cui
i partecipanti seguivano un programma di esercizi giornalieri (prevalentemente
jogging) fosse possibile osservare una differenza significativa nei livelli di ansia di
tratto e tono dell’umore, i quali risultano più alti rispetto a quelli iniziali degli stessi
soggetti e a quelli di un gruppo di controllo che non ha seguito il programma,
continuando a condurre uno stile di vita sedentario. Inoltre, coloro che praticano sport
presentano generalmente maggior benessere psicologico, come una migliore
percezione del proprio fisico e un maggior numero di relazioni positive con gli altri
(Edwarts, Edwards, & Basson, 2004), nonché una minor probabilità di incorrere in
episodi depressivi (Kujala, 2014).

Oltre a benefici che ricadono sulla sfera emozionale, l’esercizio fisico sembra avere
effetti positivi anche nell’ambito della cognizione. Questo è particolarmente evidente
durante lo sviluppo (Castelli, Hillman, Buck, & Erwin, 2007; Reilly, Buskist, & Gross,
2012; Wrann, et al., 2013; per maggiori dettagli a questo proposito si veda il paragrafo
1.2 “Sport e sviluppo”), tuttavia esistono studi che suggeriscono che anche in età
avanzata sia possibile riscontrarne gli effetti positivi (Vitulli, et al., 2012), in primis
nella prevenzione di malattie neuro-degenerative invalidanti come Alzheimer (Rovio,
et al., 2005; Scarmeas, et al., 2009), Parkinson (Chen, Zhang, Schwarzschild, Hernán,
& Ascherio, 2005), demenza senile e l’invecchiamento del cervello in generale
(Ahskolg, Geda, Graff-Radford, & Peterson, 2011; Shah, Buchman, Leurgans, Boyle,
& Bennett, 2012).

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Ci sono diverse teorie sul motivo per cui fare attività fisica influenzi in modo così
rilevante il benessere psicologico. Tra quelle “classiche”, che riguardano in particolare
gli aspetti emotivi, vi sono:

   •   l’ipotesi della distrazione (Bahrke, 1978; Wilson, Berger, & Bird, 1981), la
       quale suggerisce che il beneficio psicologico sia dovuto alla distrazione da
       eventi stressanti, piuttosto che dall’attività fisica in sé. Questa spiegazione
       emerge da studi in cui venivano confrontati i punteggi in test che misurano
       ansia e tono dell’umore in seguito ad un compito di distrazione di tipo
       cognitivo e uno che impegnasse i soggetti fisicamente: non risultò una
       differenza significativa inizialmente, ma chi aveva praticato l’attività fisica
       manteneva gli effetti positivi più a lungo di chi aveva svolto il compito di tipo
       cognitivo;

   •   l’ipotesi della padronanza (Mellion, 1985), la quale sostiene che il benessere
       psicologico sia dovuto al maggior senso di autostima e autoefficacia provate
       dal soggetto dopo aver svolto attività sportiva: in particolare, il senso di
       indipendenza, l’acquisizione di maggiore consapevolezza corporea e il
       successo sperimentati contribuiscono a creare un’immagine di sé stessi più
       positiva. Studi più recenti sostengono questa teoria, individuando soprattutto
       nel senso di autoefficacia un fattore di mediazione importante, grazie al quale
       anche i sintomi della depressione possono essere alleviati, incrementando nelle
       persone il senso di controllo sugli eventi della propria vita (Craft, 2005; White,
       2008);

   •   l’ipotesi delle “interazioni sociali” (Hughes, 1984), infine, nasce nell’ambito
       della sociologia e vede nella possibilità di interazione con altri individui e nella
       creazione di nuove relazioni positive il motivo del benessere psicologico legato
       allo sport. Quindi, anche in questo caso i benefici dello sport non sono tanto
       legati all’esercizio fisico in sé, quanto all’attività di gruppo; di conseguenza,
       secondo questa teoria, sarebbero gli sport di squadra a dare maggior beneficio.

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Ad oggi non si ha una risposta univoca su quale possa essere la migliore spiegazione,
tuttavia una delle ipotesi più accreditate proviene dal contributo delle neuroscienze:
sembra che le proprietà benefiche dello sport, in particolare per quanto riguarda
l’effetto sull’umore e sull’ansia, siano dovute al rilascio di β-endorfine che segue
l’attività fisica. Le β-endorfine sono neurotrasmettitori, prodotti a livello dell’ipofisi,
che hanno effetti fisiologici (analgesici, in particolare) simili a quelli della morfina o
altri oppioidi. Si tratta, in pratica, di anti-dolorifici naturali (Harber & Sutton, 1984;
Morgan, 1985; North, McCullugh, & Tran, 1990; (Cashmore, 2008) Thorén, Floras,
Hoffmann, & Seals, 1990), che nel momento in cui vengono rilasciati nel sistema
nervoso producono una sensazione di euforia, leggerezza e sollievo, contribuendo a
creare uno stato di rilassamento e benessere immediato, in grado di durare nel tempo.
Uno studio di Cashmore del 2008 ha dimostrato che già dopo 10 minuti di esercizio,
il livello di β-endorfine nel cervello aumenta e si mantiene tale per l’ora successiva.
Inoltre, studi più recenti sul modello animale riportano la presenza di un altro fattore
neurofisiologico legato all’attività fisica che potrebbe influenzare il tono dell’umore,
lo stato d’ansia e allo stesso tempo spiegare gli effetti positivi dello sport sulla
cognizione. Il BDNF (Brain-Derived Neurotropic Factor; Anderson & Shivakumar,
2013; Szhuany, Bugatti, & Otto, 2015) è una neurotropina o fattore di crescita, cioè
una sostanza endogena del sistema nervoso che ha lo scopo di sostenere i neuroni e
favorirne la generazione di nuovi. Carenze di BDNF a livello dell’ippocampo risultano
essere correlate a stati depressivi e ansiosi sia nel modello animale (Duman &
Monteggia, 2006) che nell’uomo (Kojima, Matsui, & Mizui, 2019) e l’introduzione di
questa sostanza nei nuclei del Rafe nel topo è associata, al contrario, a effetti
antidepressivi (Altar, 1999).
In particolare, l’ippocampo, quando sottoposto all’influenza del BDNF indotto
dall’esercizio fisico (Wrann, et al., 2013), mostra cambiamenti morfologici nelle
connessioni tra le cellule e un aumento di volume (Greenberg, Xu, & Hempstead,
2009; Park & Poo, 2013). Essendo l’ippocampo implicato sia in processi emozionali
(legati all’ansia) che mnemonico-spaziali, il meccanismo appena descritto
spiegherebbe come lo sport possa influenzare il tono dell’umore e la cognizione.
Infatti, individui con una mutazione genetica che inibisce il rilascio di BDNF
presentano deficit di memoria episodica (Hariri, et al., 2003).

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Si assiste pertanto a fenomeni di neurogenesi (Lu et al., 2005; Cotman et al., 2007),
che potrebbero essere responsabili del fattore di protezione costituito dal fare attività
fisica per malattie neurodegenerative e stati ansiosi e depressivi, come sopra riportato,
e   allo   stesso     modo    spiegare   l’influenza    dello   sport   sulla   facilitazione
dell’apprendimento e sulla gestione delle emozioni.

1.2 Sport e sviluppo

Quanto detto fino a questo punto è altrettanto valido, forse anche di più, per quanto
riguarda l’età dello sviluppo.
Sono moltissime le evidenze che suggeriscono che lo sport abbia effetti positivi
sull’emozionalità e sulla cognizione nei più giovani (Janssen, Leblanc, & Allana,
2010; Strong, et al., 2005; Ratey, 2008) ed esso risulta anche correlato positivamente
con il benessere e la salute mentale (Biddle, Ciaccioni, Thomas, & Vergeer, 2018;
Fedewa & Ahn, 2013).
Qui verranno riportate le informazioni in letteratura che riguardano in particolare
autostima, autoefficacia, ansia, resilienza e, infine, cognizione e apprendimento.

1.2.1 Autostima

L’autostima,        secondo   la   definizione     di    Rosenberg      (1965),     consiste
nell’autovalutazione operata da ogni individuo sulle proprie competenze. Si tratta di
un costrutto psicologico che riflette il grado in cui le persone si percepiscono come
competenti e soddisfatte di sé; per cui ad alti livelli di autostima corrispondono
altrettanto alti livelli di soddisfazione per gli obiettivi raggiunti e senso di adeguatezza
(Korman, 1966; Korman, 1970). Bracken (1993) propone una concezione
multicomponenziale di autostima, sostenendo che questo costrutto sia costituito da
diverse dimensioni, quali percezione della propria immagine corporea, delle proprie
competenze interpersonali e scolastiche, della capacità nel gestire emozioni negative
ed eventi che avvengono nel proprio ambiente e la sensazione di essere amati dalla
propria famiglia. In diversi studi che riguardano l’autostima, essa viene associata

                                             10
all’attività fisica: ad esempio, sembra che esista una correlazione positiva tra alcune
dimensioni dell’autostima, come la percezione delle competenze sociali e scolastiche
o della propria immagine corporea, e lo sport (Sonstroem, Harlow, & Josephs, 1994;
Bertorello, 2001; Faria, 2001), tale per cui ad una maggior partecipazione ad attività
sportive corrisponde un alto grado della stima di sé. La stessa idea viene confermata
da più recenti studi di meta-analisi (Liu, Wu, & Ming, 2015; Lubans, et al., 2016;
Biddle, Ciaccioni, Thomas, & Vergeer, 2018). In questo caso, ciò che emerge è che
l’attività fisica in sé, indipendentemente da altre variabili, contribuisce a migliorare il
proprio “concetto di sé”, inteso come la concezione che ogni individuo ha di sé stesso
in termini descrittivi (Baumeister, Bratslavsky, Muraven, & Tice, 1998; Shavelson,
Hubner, & Stanton, 1976), il quale è a sua volta legato all’autostima. Inoltre,
logicamente, anche il miglioramento della forma fisica conseguente all’attività
sportiva contribuisce ad aumentare l’autostima globale, influenzando la dimensione
relativa alla percezione della propria immagine corporea (Biddle, Ciaccioni, Thomas,
& Vergeer, 2019; Sabiston, Pila, Vani, & Thogersen-Ntoumani, 2019) e la fiducia
nelle proprie abilità fisiche (Fox, 1998). In particolare, dagli studi di Fox (2000, 2001),
emerge che siano coloro che inizialmente mostrano livelli molto bassi di autostima a
beneficiare maggiormente dell’influenza positiva dello sport: oltre al cambiamento
nell’aspetto fisico, sembra che siano soprattutto il senso di soddisfazione legato al
raggiungimento di determinati obiettivi e la convinzione di poter padroneggiare una
certa attività ad incrementare il senso di autostima (Cox, 2012).
Come si è detto, anche la percezione di essere amati e supportati dalla propria famiglia,
soprattutto in epoca adolescenziale, contribuisce a creare un’immagine positiva di sé
stessi e quindi a sviluppare l’autostima dei ragazzi. In effetti, il processo di
raggiungimento dell’autonomia, mentre viene mantenuta una relazione positiva con i
genitori, è riconosciuto come uno stadio critico nell’adolescenza (Grotevant & Cooper,
1985; Hill & Holmbeck, 1986; Moore, 1987; Collins, 1990; Steinberg, 1990). Un
rapporto stretto e diretto con i genitori permette lo sviluppo di caratteristiche
comportamentali e psicologiche positive, come una maggiore resistenza alla pressione
sociale dei coetanei e una maggiore autostima (Kenny, 1986; Moore, 1987; Ryan &
Lynch, 1989) e questo è favorito nei ragazzi che praticano uno sport, in quanto il

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necessario coinvolgimento del genitore può contribuire alla creazione di una relazione
positiva.
Tuttavia, ci sono studi che suggeriscono che lo sport possa costituire un arma a doppio
taglio per bambini e adolescenti (Whitehead & Corbin, 1997 (Bandura, Social
foundation of thought and action: a social cognitive theory, 1986); Biddle, Ciaccioni,
Thomas, & Vergeer, 2019): da un lato, l’attività fisica sembra effettivamente
contribuire a migliorare l’autostima, ma dall’altro c’è il rischio che si instauri un
circolo vizioso negativo nel caso in cui un ragazzo non abbia successo in questo tipo
di attività, circolo vizioso che comincia con un’iniziale demotivazione verso lo sport
e finisce con una totale sfiducia nelle proprie capacità. Per cui è importante, soprattutto
durante l’età dello sviluppo, controllare le attività proposte, calibrandole sulle capacità
dei ragazzi e monitorando il loro stato d’animo.

1.2.2 Autoefficacia

Un costrutto legato all’autostima, ma che costituisce un concetto a sé è quello di
autoefficacia. Secondo la definizione di Bandura (1986) l’autoefficacia consiste nella
fiducia nelle proprie capacità di organizzare e realizzare le sequenze di azioni
necessarie a gestire adeguatamente le situazioni a cui si va incontro in modo da
raggiungere i risultati prefissati. In altre parole, l’autoefficacia è la convinzione che
una persona ha di poter concludere un compito specifico in modo positivo. Anch’essa,
quindi, può contribuire a definire il grado di autostima di ciascun individuo, se egli
attribuisce a sé stesso valore (autostima) basandosi sulle sue capacità (autoefficacia).
Bandura sostiene anche che l’attività fisica aumenterebbe il senso di autoefficacia
incrementando la consapevolezza e il controllo sul proprio corpo e quindi la fiducia
nelle proprie abilità fisiche (Bandura, 1977) e questo è confermato da diversi altri studi
(Collins et al., 2019).

1.2.3 Ansia

Con “Ansia” si intende quell’emozione spiacevole caratterizzata da una sensazione
generica di pericolo, paura e attivazione fisiologica (Hansell & Damour, 2005), che

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tutti esperiscono ad esempio prima di affrontare una sfida o una performance o a causa
di una forte preoccupazione. Nel 1961, Cattel e Scheier introducono una distinzione
fra ansia di stato e ansia di tratto, intendendo con la prima una sensazione riferita ad
una specifica situazione, come suggerito negli esempi precedenti. L’ansia di tratto,
invece, sarebbe una caratteristica relativamente stabile della personalità di ogni
individuo, una modalità comportamentale che riflette quanto il soggetto tenda a
percepire come minacciosi o pericolosi gli oggetti o eventi con cui viene a contatto nel
suo ambiente.
Lo sport sembrerebbe avere effetti benefici sull’ansia di tratto: in uno studio di
McMahon et al. (2015), su un vasto campione di adolescenti di diverse nazionalità, in
cui venivano misurati il livello di ansia, i sintomi depressivi e lo stato di benessere in
relazione allo sport, emerge una correlazione negativa tale per cui maggiore è la
partecipazione ad attività sportive, minori sono i livelli di ansia e depressione e
maggiore è lo stato di benessere. Al contrario, una vita sedentaria risulta associata a
disturbi d’ansia (Teychenne, Ball, & Salmon, 2010). Tuttavia, Biddle et al. (2019)
riportano che la relazione tra ansia e sport è poco studiata negli ultimi anni, nonostante
ansia e stress siano tra i problemi di salute mentale più diffusi tra bambini e ragazzi al
giorno d’oggi e sia necessario trovare nuove strategie per affrontare questi disturbi. Il
loro studio di meta-analisi tuttavia, suggerisce che effettivamente esista
un’associazione positiva forte tra ansia e attività sportiva e numerose evidenze
empiriche di ciò (Biddle et al., 2019).
È ben nota in letteratura, una differenza di genere nella quantità di ansia, che risulta
maggiore nelle femmine rispetto ai maschi (Segal & Weinberg, 1984; Martens &
Vealey, 1990; Lewinsohn, Zinbarg, Seeley, Lewinsohn, & Sack, 1997; Battisti, et al.,
2004): ci sono studi che suggeriscono che per le ragazze l’attività fisica possa costituire
un importante fattore di protezione dal rischio di andare incontro disturbi d’ansia
(Dishion & McMahon, 1998).

1.2.4 Resilienza

“Resilienza” è un termine che nasce all’interno delle scienze dei materiali e si riferisce
alla proprietà che hanno alcuni elementi di conservare la propria struttura o di

                                            13
riacquistare la propria forma dopo aver subito una deformazione. In psicologia, esso
viene utilizzato per indicare la capacità delle persone di saper affrontare gli effetti
negativi derivati da eventi avversi della propria vita o traumi (Masten, 2001). Sono
stati individuati tre principali fattori protettivi legati alla resilienza: la coesione
familiare (supporto dei genitori, ascolto e comunicazione), le abilità sociali e altre
predisposizioni personali come autostima e autoregolazione (Luthar, Cicchetti, &
Becker, 2000; Hjemdal, Vogel, Solem, Hagen, & Stiles, 2011; Zolkoski & Bullock,
2011). Gli adolescenti che praticano attività fisica con continuità presentano punteggi
più alti alle scale che misurano i fattori protettivi legati alla resilienza rispetto agli altri
ragazzi (Hjemdal, Aune, Reinfjell, Stiles, & Friborg, 2007; Strohle, 2009) e, in uno
studio di Hjemdal et al. (2006), è stata trovata una correlazione tra la quantità di attività
fisica settimanale e ognuno di questi fattori legati alla resilienza, tale per cui più tempo
viene impiegato dai ragazzi nell’esercizio fisico, più sono alti i livelli di coesione
familiare, abilità sociali e autostima (Moljord, Moksnes, Espnes, Hjemdal, & Eriksen,
2014). Questo potrebbe indicare che l’attività sportiva possa costituire, in ultima
analisi, anch’essa un fattore protettivo che contribuisce ad incrementare il livello di
resilienza (Moljord, Moksnes, Espnes, Hjemdal, & Eriksen, 2014). Inoltre, lo stesso
studio suggerisce che l’attività fisica sia correlata negativamente con i sintomi della
depressione e questo dato può essere interpretato con l’idea che lo sport migliori la
capacità di reagire allo stress, stimolando il soggetto a instaurare legami sociali positivi
e aumentando la propria autonomia, il senso di autoefficacia, l’autostima e
l’ottimismo, caratteristiche fondamentali per lo sviluppo di risorse individuali che
consentano di affrontare i problemi (Martinek & Hellison, 1997).

1.2.5 Cognizione

In letteratura vi sono moltissime evidenze che sostengono l’importanza dello sport
nello sviluppo cognitivo. Lo sport sembrerebbe essere legato al successo accademico
(Ratey, 2008; Reilly, Buskist, & Gross, 2012): esistono diversi studi che riportano una
correlazione tra esercizio aerobico e punteggi ai test di profitto (Castelli, Hillman,
Buck, & Erwin, 2007), tale per cui più i soggetti sono impegnati in attività fisica più i
loro punteggi nei test di profitto sono alti. In particolare, lo sport sembra potenziare le

                                              14
funzioni esecutive (Best, 2010; Verburgh, Ko ̈nigs, Scherder, & Oosterlaan, 2013),
cioè “quell’insieme di processi mentali finalizzati all’elaborazione di schemi
cognitivo-comportamentali adattivi in risposta a condizioni ambientali nuove e
impegnative” (Owen, 1997). In altre parole, si tratta di funzioni legate al controllo e
alla pianificazione del comportamento. Le funzioni esecutive vengono anche chiamate
“funzioni frontali” in quanto sembrerebbero essere mediate dalla corteccia prefrontale
(Goldman-Rakic, 1995; Robbins, 1996; Kimberg & Farah, 1993).
In uno studio di meta-analisi di Verburgh (2013), in cui vengono esaminate 24 ricerche
sperimentali con soggetti sani di età compresa tra 6 e 35 anni, sembra suggerire che
l’esercizio aerobico potenzi le funzioni esecutive in bambini e ragazzi, sia a breve che
a lungo termine: in particolare, gli autori riportano una più grande dimensione
dell’effetto per quanto riguarda l’inibizione del comportamento, seguita da
pianificazione e memoria di lavoro. Inoltre, Hillman (2009), in uno studio su un
campione di preadolescenti, dimostra che si possono ottenere effetti positivi sullo
svolgimento dei test di profitto già dopo una sola seduta di esercizio aerobico
moderato. La procedura dell’esperimento di Hillman prevedeva di chiedere a un
gruppo di ragazzi di camminare su un tapis roulant per 20 minuti, prima di svolgere il
test, mentre a un altro di aspettare senza muoversi per lo stesso tempo: coloro che
avevano svolto l’attività aerobica hanno ottenuto punteggi significativamente superiori
al test di profitto, rispetto a quelli che erano rimasti fermi.
Tuttavia, per ottenere il miglioramento non sembra bastare l’attività aerobica in sé, ma
essa deve essere cognitivamente impegnativa: questo suggerisce che il meccanismo
sottostante il miglioramento accademico risieda in buona parte nel potenziamento
delle stesse risorse, che vengono utilizzate sia in ambito scolastico, sia durante un
gioco sportivo (Best, 2010).

La relazione tra successo accademico e sport può anche essere spiegata attraverso un
altro meccanismo: l’attivazione in seguito al movimento comporta un maggiore
afflusso di sangue al cervello con conseguente aumento dei livelli di norepinefrina ed
endorfine, neurotrasmettitori che hanno un effetto calmante, il quale potrebbe
contribuire a migliorare la performance scolastica (Taras & Potts-Datema, 2005).
Inoltre, come descritto sopra, l’attività fisica stimola il rilascio di BDNF, il quale

                                             15
sembra avere delle implicazioni nel potenziamento della connettività e nella
neurogenesi a livello dell’ippocampo, sede della memoria e dell’apprendimento, e
della corteccia prefrontale, sede del controllo del comportamento (Ratey, 2008;
Boström, et al., 2012; Wrann, et al., 2013).

1.3 Sport come terapia

Come si è detto, lo sport ha conseguenze estremamente positive sia sulla salute fisica
che mentale. Per questo motivo, è ragionevole pensare che esso possa contribuire
positivamente anche nel migliorare alcune condizioni cliniche. Ad esempio, secondo
Panksepp (2007; 2008), l’attività sportiva o, più in generale il gioco fisicamente
impegnativo, è in grado di attenuare i sintomi del Disturbo da Disattenzione e
Iperattività (ADHD, Attention Deficit Hyperactivity Disorder) agendo direttamente
sulla produzione di BDNF a livello della corteccia prefrontale, sede del controllo del
comportamento (pianificazione, organizzazione e monitoraggio) e potenziando le
funzioni esecutive, in particolare la capacità di inibizione (Verburgh, Konigs,
Scherder, & Oosterlaan, 2013). Inoltre, la simultanea stimolazione fisica, sociale e
intellettuale comporta una situazione di sfida/stress positivo per il cervello, il quale “si
adatta”,   in   un’ottica   neurocostruttivista,   determinando      un   sano    sviluppo
neurocognitivo. La stessa teoria viene sostenuta anche da Tan et al. (2016) che, in uno
studio di meta-analisi che prendeva in esame studi sugli effetti dello sport in bambini
e ragazzi con diagnosi di ADHD o autismo, dimostrano l’efficacia dell’esercizio fisico
nel migliorare alcuni aspetti di queste patologie attraverso il potenziamento delle
funzioni esecutive.

Una particolare pratica terapeutica basata sul movimento, che oggi comincia ad essere
utilizzata in diversi ambiti, clinici e non, è la DanzaMovimentoTerapia. Si tratta di una
terapia alternativa, indirizzata a una vastissima tipologia di utenza, che enfatizza il
legame mente-corpo utilizzando l’attività fisica per migliorare l’autocontrollo,
l’organizzazione di pensieri e azioni, le abilità interpersonali e la capacità di valutare
ed esprimere i propri bisogni ed emozioni (Zilius, 2010). Essa, è in grado di migliorare

                                            16
le condizioni di vita e il benessere psicologico di persone con differenti situazioni
cliniche, sia a breve cha a lungo termine (Bräuninger, 2012). Ci sono studi che
dimostrano la sua efficacia nell’attenuare i sintomi di ansia e depressione (Jeong, et
al., 2005; Meekums, Karkou, & Nelson, 2015; Pylvänäinen, Muotka, Lappalainen, &
Raimo, 2015), ADHD (Grönlund, Weibull, & Renck, 2005) e Disturbi Specifici
dell’Apprendimento (DSA; Payne, 2006). In particolare, Cofini et al. (2018) hanno
testato l’efficacia di questa pratica su funzioni esecutive, comprensione delle emozioni
e autostima confrontando due gruppi bambini con diagnosi di DSA: tutti hanno seguito
per 6 mesi un trattamento tradizionale di tipo cognitivo, mentre il gruppo sperimentale
ha svolto, in aggiunta, un programma settimanale di esercizi presso un centro di
DanzaMovimentoTerapia. I ragazzi venivano testati prima e dopo il trattamento e ciò
che è emerso è un effetto positivo di questa pratica sulle capacità attentive,
sull’autostima e sulle competenze socio-emozionali.

1.4 Differenze tra sport di squadra e sport individuali

Gli studi che prendono in esame separatamente sport individuali e di squadra non sono
molto numerosi e, in molti casi, sono contradditori.
In certi casi vengono riportate differenze significative in alcune caratteristiche della
personalità degli atleti in base alla tipologia di disciplina che praticano: chi pratica
sport di squadra risulta tendenzialmente più estroverso rispetto a chi pratica uno sport
individuale (Schurr, Ashley, & Joy, 1977; Eagleton, McKelvie, & De Man, 2007), ma,
viceversa, mostra livelli più alti nella scala che misura il nevroticismo, cioè la tendenza
a sperimentare stati emotivi negativi, come rabbia, ansia, senso di colpa o sintomi
depressivi (Widiger, 2009); tuttavia questo dato non viene sempre replicato (Hardman,
1973; Martens, Vealey, & Burton, Competitive Anxiety in Sport, 1990).
Per quanto riguarda l’ansia di tratto, alcune ricerche sembrano non sostenere la
presenza di una differenza tra sport di squadra e individuali (Zeng, 2016; in cui però il
campione era composto solamente da soggetti maschi); in altre, invece, gli atleti di
sport di squadra risulterebbero meno ansiosi (Griffin, 1972; Simon & Martens, 1979).
Tuttavia, è difficile stabilire se queste differenze siano dovute alla pratica della

                                            17
disciplina sportiva o se siano presenti già precedentemente e quindi costituiscano di
per sè un fattore discriminativo per la scelta di una tipologia di disciplina sportiva
piuttosto che l’altra (Eagleton, McKelvie, & De Man, 2007). In ogni caso, la squadra,
intesa come gruppo sociale orientato al compito e alla prestazione, i cui membri sono
interdipendenti e sviluppano una forte identità collettiva (Wegner & Whilhelm, 1999),
sembra costituire un fattore protettivo per l’ansia da prestazione: in diversi studi risulta
che gli atleti di sport individuali mostrano livelli di ansia più elevati prima di una gara
rispetto a chi fa parte di una squadra (Flowers & Brown, 2002; Zeng, 2016). Lo studio
di Zeng (2016) mostra anche che, prima di una competizione, i membri di una squadra
presentano livelli più elevati di autostima e lo stesso autore dimostra, in un altro studio
(Zeng T. , 2003), che essi presentano anche un più elevato senso autoefficacia. Inoltre,
i risultati di alcune ricerche suggeriscono che siano soprattutto le ragazze, che in
genere tendono ad essere più ansiose rispetto ai maschi (Segal & Weinberg, 1984;
Martens, Vealey, & Burton, Competitive Anxiety in Sport, 1990), a beneficiare degli
effetti dello sport di squadra sull’ansia e sull’autostima (McMahon, et al., 2016).
In generale, lo sport di squadra sembra favorisca la diminuzione di sintomi depressivi:
gli atleti di sport di squadra riportano livelli maggiori di benessere e felicità (McMahon
et al., 2015; Zhou, Heim, & O'Brian, 2015). Questo, probabilmente, è anche legato al
fatto che persino la sola identificazione con una specifica squadra sportiva è in grado
di avere un impatto positivo contro il senso di alienazione e sensazioni negative di tipo
depressivo: in uno studio del 1991, Branscombe e Wann dimostrano che un campione
di studenti americani tifosi di squadre di basket o baseball presentano livelli più alti di
autostima e minor probabilità di depressione rispetto a chi non si identifica in una
squadra e questa differenza risulta più forte se i soggetti sono lontani da casa. In
generale, la partecipazione ad un’attività di gruppo sembra favorire lo sviluppo
dell’autostima e di competenze emotive (Zilmann, 1979).
Ancora relativamente all’autostima, i ragazzi coinvolti in attività sportive di tipo
individuale mostrano di essere più critici e insoddisfatti della propria forma fisica
rispetto a coloro che praticano uno sport di squadra (Carron, Estabrooks, Horton,
Prapavessis, & Hausenblas, 1999; Dosil, 2008): la performance sportiva autonoma,
infatti, offre più opportunità per un confronto specifico, probabilmente producendo un
livello più alto di insoddisfazione per il proprio corpo (Morano, 2010).

                                            18
Infine, uno studio di Hjemdal et al. (2006), riporta che la partecipazione ad attività che
richiedono interazione sociale e cooperazione comporta un incremento nella
resilienza: ragazzi impegnati in attività di gruppo, di qualsiasi tipo, ottengono punteggi
più alti in test che misurano la capacità di reagire ad eventi stressanti della propria vita.

                                             19
Capitolo 2
                                      La Ricerca

2.1 Obiettivi e ipotesi

L’obiettivo di questo studio è l’analisi delle differenze di alcuni tratti nello sviluppo
socio-emozionale e cognitivo in ragazzi che praticano sport individuale e di squadra.
Ciò che viene esaminato sono i livelli di Grinta, Autostima, Ansia e Resilienza e lo
stile cognitivo (Analitico/Globale e Visivo/Verbale).
I due campioni, inoltre, saranno confrontati con uno di controllo, composto da ragazzi
che non praticano nessuno sport.

Come riportato nel Capitolo 1, ad oggi è condiviso un ampio consenso sul fatto che
l’attività sportiva sia in grado di comportare di per sé dei benefici da un punto di vista
psicologico, sia a livello di sviluppo socio-emozionale e cognitivo in bambini e
ragazzi, che in età adulta, soprattutto per quanto riguarda ansia, gestione dello stress e
apprendimento. Pertanto, rispetto al gruppo di controllo ci si aspetta che i gruppi
“sportivi” mostrino livelli più alti di autostima, resilienza, senso di autoefficacia e
grinta e livelli più bassi di ansia, mentre non sono attese particolari differenze per
quanto riguarda lo stile cognitivo.

L’ipotesi della ricerca è che lo sport di squadra costituisca un fattore protettivo
maggiore nello sviluppo socio-emotivo rispetto agli sport individuali, come sembra
suggerire la letteratura rispetto a questo argomento (si veda il paragrafo 1.4 a questo
proposito). Questo significa che i livelli attesi di Autostima saranno più alti e quelli di
Ansia più bassi nei gruppi di ragazzi che praticano sport di squadra, rispetto a coloro
che praticano sport individuale (Flowers et al., 2002; Zeng, 2016). Inoltre, si ipotizza
che anche la fiducia nella propria intelligenza e nella propria personalità, il senso di
autoefficacia, la resilienza e la grinta, intesa come perseveranza e passione per obiettivi
a lungo termine, siano più elevate in atleti di sport di squadra (Zeng et al., 2003;
Hjemdal et al., 2006).

                                            20
Per quanto riguarda la cognizione, qui l’analisi è centrata non tanto sull’incremento
delle abilità, ma sullo stile cognitivo. In letteratura questo aspetto risulta poco
indagato: ciò che qui si ipotizza è che coloro che praticano uno sport di squadra siano
orientati verso uno stile di tipo globale e visivo. Infatti, questi tipi di sport, di solito,
richiedono la capacità di visualizzare schemi di gioco in cui ogni individuo occupa una
determinata posizione in base al proprio ruolo, la quale deve essere continuamente
monitorata dagli altri membri del gruppo per poter interagire in funzione dell’obiettivo
finale, di conseguenza è ragionevole pensare che questo possa influenzare lo stile
cognitivo di ragazzi che si allenano molte ore a settimana (il campione degli atleti di
sport di squadra è composto per la maggior parte da ragazzi che praticano pallanuoto
a livello agonistico).

Infine, saranno analizzate anche possibili differenze nei due gruppi di atleti rispetto al
genere. Di nuovo, l’ipotesi è che la squadra possa costituire un ulteriore fattore di
protezione, soprattutto per le ragazze, che tendenzialmente presentano livelli più bassi
di autostima e più alti di ansia rispetto ai maschi (Segal & Weinberg, 1984; Martens
et al., 1990; McMahon, 2015).

2.2 Partecipanti e procedura

I partecipanti sono stati reclutati all’interno di alcuni centri sportivi di Genova e Parma
(in particolare piscine in cui si svolgono attività di nuoto e pallanuoto a livello
agonistico) e al Liceo M.L. King di Genova. I presidenti delle strutture hanno
permesso lo svolgimento dei test in modalità cartacea a scuola durante le lezioni o
prima o dopo gli allenamenti nei centri sportivi. La raccolta dati è stata svolta in sedi
differenti, ma tutti i soggetti hanno partecipato volontariamente rilasciando un
consenso informato firmato da loro stessi se maggiorenni o dalle famiglie in caso di
minorenni e tutti sono stati precedentemente informati riguardo lo studio a cui stavano
partecipando ed istruiti in merito alla modalità di compilazione dei test. Il setting è
stato il più possibile controllato e privato di fattori di disturbo esterni. La durata

                                             21
complessiva della somministrazione di tutte le batterie di test utilizzate è stata di circa
35 minuti.
Il campione è composto da 117 partecipanti tra i 14 e i 21 anni (51 femmine e 66
maschi) ed è diviso in tre gruppi: due gruppi formati da soggetti che praticano attività
sportiva a livello agonistico e un gruppo di controllo. Il primo gruppo è formato da
ragazzi che praticano uno sport di squadra (n=49), il secondo da ragazzi che praticano
uno sport individuale (n=44) e il terzo da ragazzi che non fanno sport o lo praticano
meno di due ore a settimana a livello non agonistico (n=24).
L’età media del campione è di circa 17 anni (17.08±1.53). Nel corso della raccolta
dati, è stato richiesto ai soggetti di indicare l’anno di corso frequentato ed eventuali
ripetizioni di anni scolastici. Per lo sport di squadra il campione è formato da 40 iscritti
alla scuola secondaria di secondo grado, dei quali 10 sono al secondo anno, 9 al terzo,
18 al quarto e 3 al quinto; dei 9 rimanenti 5 frequentano l’università e 4 lavorano. Per
lo sport individuale, 39 soggetti sono iscritti alla scuola secondaria, 2 al primo anno, 4
al secondo, 15 al terzo, 14 al quarto e 4 al quinto; 3 frequentano l’università e 2
lavorano. Infine, i partecipanti del gruppo di controllo frequentano tutti il terzo (10) o
il quarto (14) anno della scuola secondaria di secondo grado.
Altre informazioni relative ai tre gruppi sono riassunte nelle Tabelle 1, 2 e 3 di seguito
riportate.

              genere       individuale     squadra       controllo       totale

             femmine            19             20            12            51

             maschi             25             29            12            66

              totale            44             49            24           117

             Tabella 1: distribuzione del campione nei diversi gruppi e per genere

                                              22
genere          individuale         squadra         controllo

               totale           20.51%            37.61%           41.88%

             femmine              50%             43.18%           40.82%

              maschi              50%             56.82%           59.18%

  Tabella 2: percentuale della distribuzione del campione nei diversi gruppi e per genere

                         individuale      squadra       controllo        totale

               età       16.82±1.43 16.70±2.08 17.29±0.86 17.08±1.53

               età       16.53±1.50 17.60±1.54 17.16±0.83 17.10±1.45
             femmine
          età maschi 17.04±1.37 16.93±1.99 17.42±0.90 17.06±1.61

  Tabella 3: media e deviazione standard dell’età dei soggetti in base a genere e gruppo di
                                      appartenenza

2.3 Strumenti

Per la valutazione delle variabili convolte nelle nostre ipotesi, ci si è serviti dei seguenti
strumenti:

    -   Il Test Multidimensionale dell’Autostima (TMA, Bracken, Ianes & Mazzeo,
        2003) è composto da 150 items, rispetto ai quali il soggetto deve esprimere il
        proprio grado di accordo attraverso una scala Likert a 4 punti (da 1 = “non è
        assolutamente vero” a 4 = “assolutamente vero”). Il test prevede sei sottoscale,
        composte da 25 items ciascuna, che si riferiscono a diverse dimensioni

                                             23
dell’autostima del soggetto: Interpersonale, Competenza nel controllo
    dell’ambiente, Emotività, Scolastica, Familiare, Corporea.
    La prima sottoscala riguarda le relazioni interpersonali e valuta la percezione
    della propria capacità di interagire con l’altro e la convinzione di piacere (“La
    maggior parte della gente mi apprezza cosi come sono”); la seconda si riferisce
    alla percezione della propria competenza nel controllo dell’ambiente, cioè la
    sensazione di essere in grado di controllare gli eventi della propria vita
    (“Riesco a gestire le mie cose con senso di responsabilità”); la terza riguarda il
    vissuto emotivo e valuta la capacità di controllare emozioni negative (“Spesso
    sono confuso riguardo ai miei sentimenti”); la dimensione Scolastica considera
    la percezione delle proprie capacità scolastiche e la gestione di fallimenti o
    successi sperimentati in classe (“Gli insegnanti apprezzano il mio
    comportamento in classe”); la quinta sottoscala, relativa alla famiglia, valuta
    la percezione delle relazioni familiari e il sentirsi amato e rispettato all’interno
    del proprio nucleo familiare (“Sono un membro importante della mia
    famiglia”); infine, la sesta sottoscala riguarda il vissuto corporeo, quindi la
    percezione del proprio aspetto e delle proprie abilità fisiche e sportive
    (“Quando mi guardo allo specchio, mi piace quello che vedo”).
    Viene assegnato un punteggio per ogni scala: a punteggi alti sono associati alti
    livelli di autostima.

-   Il test Grit-S (Sulla, Renati, Bonfiglio, & Rollo, 2018) è un self-report
    composto da 8 items che misura la perseveranza come tratto (“Porto a termine
    tutto quello che inizio”) e la passione per obiettivi a lungo termine (“Ho
    difficoltà a rimanere concentrato su un progetto che richieda più di qualche
    mese per essere completato”) per rilevare i punteggi riguardo alla grinta. Ogni
    item è associato ad una risposta su una scala Likert a 5 punti (da 1 = “non mi
    rappresenta per niente”, a 5 = “mi rappresenta moltissimo”). Viene calcolato
    un punteggio totale e due punteggi di sottoscala: Perseveranza dello sforzo e
    Coerenza di interesse.
    I punteggi vanno da 1 a 5 e ai valori più alti è associato atteggiamento più
    “grintoso”.

                                        24
-   Il Questionario sugli Stili Cognitivi (QSC; De Beni, et al., 2014) ha lo scopo
    di rilevare il tipo di preferenza, visiva o verbale e di tipo globale o analitico,
    per la codifica delle informazioni. È composto da 18 items, 9 per stile, che si
    riferiscono   a   un’esperienza     concreta    in   modo      che   il   soggetto,
    nell’autovalutazione, non si limiti a esprimere dei vissuti, ma possa anche
    tenere conto della situazione appena affrontata. La prima parte riguarda lo stile
    Analitico/Globale e implica la ricostruzione di una figura articolata, composta
    da tratti che sono ricordati meglio da coloro che hanno uno stile di tipo globale
    e da numerosi dettagli, meglio ricordati da chi possiede uno stile di tipo
    analitico. La seconda riguarda, invece, lo stile Visivo/Verbale e consiste nel
    memorizzare materiale misto composto di figure e parole. Viene calcolato un
    punteggio per ogni prova: il primo si riferisce allo stile globale o analitico, dove
    un punteggio più alto esprime la tendenza a preferire un approccio olistico
    piuttosto che focalizzato sui dettagli; il secondo concerne lo stile verbale o
    visivo, dove a un maggiore punteggio corrisponde alla preferenza per il codice
    verbale piuttosto che per quello visivo-immaginativo. I punteggi vengono
    calcolati sommando le valutazioni assegnate ai singoli item secondo una scala
    Likert a 5punti (da 1 = per niente a 5 = moltissimo).

-   Il Questionario sulle Convinzioni (QC; De Beni, et al., 2014) consiste in un
    insieme di strumenti finalizzati a rilevare il sistema motivazionale dello
    studente. Include complessivamente 29 items che si suddividono in 6 parti. La
    prima e la seconda parte misurano quanto lo studente tende a possedere una
    teoria incrementale o entitaria della propria intelligenza e personalità (“La tua
    intelligenza è qualcosa di te che non puoi cambiare molto”); gli studenti sono
    invitati a indicare il loro grado di accordo/disaccordo attraverso una scala
    Likert a 6 punti (da 1 = fortemente d’accordo a 6 = fortemente contrario) su 16
    affermazioni. La terza e la quarta parte valutano rispettivamente il livello di
    fiducia nella propria intelligenza e nella propria personalità (autostima e
    autoefficacia), attraverso la scelta fra coppie di alternative (“Quando incontro
    persone nuove non sono sicuro/a che piacerò loro”). Nella quinta parte vi sono

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5 items che esplorano la percezione di abilità del soggetto rispetto allo studio,
       ai quali bisogna rispondere attraverso una scala Likert che va da 1, “scarso/a”,
       a 5, “ottimo/a” (“Il tuo successo nello studio”). Infine, nella sesta parte
       vengono indagati gli obiettivi di apprendimento, chiedendo allo studente di
       scegliere fra 4 coppie di affermazioni (es. “preferisco affrontare compiti che so
       già fare/nuovi che no ho mai affrontato”).
       Viene calcolato un punteggio per ogni prova: nelle prime due parti, punteggi
       più bassi si riferiscono ad una teoria prevalentemente entitaria sulla propria
       intelligenza o personalità, mentre punteggi più alti a teorie di tipo incrementale;
       punteggi alti nelle parti terza, quarta e quinta corrispondono ad alti livelli di
       autostima e autoefficacia; infine nella sesta parte i punteggi possono variare tra
       0 e 4 e i valori più bassi indicano obiettivi di apprendimento di prestazione,
       mentre quelli più alti obiettivi di padronanza.

   -   Il Questionario Ansia e Resilienza (QAR; De Beni, et al., 2014) è volto a
       cogliere l’emozione e l’atteggiamento tipico di fronte agli insuccessi paventati
       o reali. In particolare, rileva il livello di ansia e il grado di resilienza in
       situazioni di studio. Si compone di 14 items rispetto ai quali il soggetto deve
       esprimere il proprio grado di accordo su una scala Likert a 5 punti (da 1 = per
       nulla a 5 = del tutto). Gli items sono equamente distribuiti nelle due
       dimensioni: resilienza («Supero l’agitazione e la tensione e mi riprendo dai
       momenti di difficoltà nello studio») e ansia («Il solo pensiero di affrontare una
       verifica mi manda nel panico»). Sono calcolati due punteggi relativi ai due
       fattori: a punteggi alti corrispondono alti livelli del costrutto (Ansia o
       Resilienza).

2.4 Risultati

L’obiettivo della ricerca era l’analisi delle possibili differenze in alcune scale relative
allo sviluppo socio-emozionale e cognitivo in ragazzi che praticano sport di squadra e
individuale. I due campioni sono stati confrontati con uno di controllo utilizzando la

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tecnica dell’analisi della varianza (ANOVA) per campioni indipendenti. Nei casi in
cui non erano soddisfatti i requisiti per l’utilizzo dell’ANOVA si è scelto un test di
tipo non parametrico (Test di Kruskal-Wallis).
Nella Tabella 4, sono riportate media e deviazione standard dei punteggi di ogni test
nei diversi gruppi e la significatività del modello; mentre nelle Tabelle 5 e 6 sono
riportate le differenze nei punteggi per ogni gruppo, la cui significatività è stata
calcolata mediante test post hoc (correzione del p-value: metodo Bonferroni).
Infine, utilizzando il coefficiente r di Pearson, è stata verificata la presenza di eventuali
correlazioni nei punteggi dei test per poter comprendere il tipo di relazione tra i
costrutti indagati (si veda la Tabella 16 per una visione d’insieme e le Tabelle 13, 14,
15 per i dettagli).

Contrariamente a quanto previsto dalle ipotesi, le differenze nei punteggi dei due
campioni di soggetti che praticano sport individuale e di squadra non risultano
statisticamente significative in nessuna scala. Tuttavia, in alcuni test si può riscontrare
una significatività nella differenza di questi due gruppi rispetto a quello di controllo.
In particolare, questo riguarda il test che misura la Grinta (GRIT) e tutte le dimensioni
del test che misura l’autostima (TMA), ad eccezione delle scale Interpersonale e
Scolastica: in generale, i due campioni composti da atleti presentano punteggi più alti
rispetto al gruppo dei non atleti, come ipotizzato.

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