DIPARTIMENTO DI MEDICINA E CHIRURGIA
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DIPARTIMENTO DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOBIOLOGIA E NEUROSCIENZE COGNITIVE SPORT E BENESSERE: UNO STUDIO SU VARIABILI SOCIO- EMOZIONALI IN GIOVANI ATLETI Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Dolores Rollo Controrelatore: Chiar.mo Dott. Francesco Sulla Laureanda: Marika De Maio Anno accademico 2018/2019
Indice Abstract . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Capitolo 1 – I giovani e lo sport: implicazioni per benessere e sviluppo 1.1 Sport e benessere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 1.2 Sport e sviluppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .10 1.2.1 Autostima. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 1.2.2 Autoefficacia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 1.2.3 Ansia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 1.2.4 Resilienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13 1.2.5 Cognizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1.3 Sport come terapia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 1.4 Differenze tra sport di squadra e individuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 Capitolo 2 – La Ricerca 2.1 Obiettivi e ipotesi della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 2.2 Partecipanti e procedura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 2.3 Strumenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 2.4 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 2.5 Discussione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
Abstract There are several evidences about benefits of sport at a physical and psychological level, especially during developmental age. The purpose of this study is to verify sport efficacy by investigating some socio-emotional and cognitive variables in non-athletic adolescents, team sports athletes and individual sports athletes. The variables analysed are self-esteem, grit, cognitive style, self-efficacy, anxiety and resilience. The hypothesis of the research is that the boys practicing sports present a better psychological well-being than the non-athletes and that the ones who practice a team sport especially benefit from the sport practice. The results obtained, in line with the literature on this topic, support the hypothesis concerning the benefits of sport in general: boys who practice sports have higher levels of self-esteem and grit than those who do not. However, the data collected does not confirm the presence of a statistically significant difference between those who practice individual sport and those who are part of a team. Riassunto Esistono molte evidenze sui benefici dello sport a livello fisico e psicologico, soprattutto durante l’età dello sviluppo. Lo scopo di questo studio è verificarne l’efficacia indagando alcune variabili socio-emozionali e cognitive in adolescenti non atleti, atleti di sport di squadra e atleti di sport individuali. Le variabili analizzate sono Autostima, Grinta, Stile Cognitivo, Autoefficacia, Ansia e Resilienza. L’ipotesi della ricerca è che i ragazzi che praticano sport presentino un miglior benessere psicologico rispetto ai non atleti e che siano soprattutto coloro che praticano uno sport di squadra a beneficiare maggiormente della pratica sportiva. I risultati ottenuti, in linea con la letteratura su questo argomento, sostengono l’ipotesi relativa ai benefici dello sport in generale: i ragazzi che praticano sport presentano livelli più alti di Autostima e Grinta rispetto a chi non lo pratica. Tuttavia, i dati raccolti non confermano la presenza di una differenza statisticamente significativa tra chi pratica sport individuale e chi fa parte di una squadra. 3
Introduzione Mente e corpo oggi non possono più essere considerate due entità separate, poiché esse si influenzano vicendevolmente; si pensi, ad esempio, ai disturbi psicosomatici o all’uso comune di espressioni che identificano emozioni attraverso sensazioni fisiche (come “tremare di rabbia”, “avere il cuore in gola” …) o, ancora, alla sensazione di benessere che segue un respiro profondo dopo una giornata impegnativa. Inoltre, vi sono numerose evidenze sull’importanza del corpo nella percezione. Ciò che percepiamo è chiaramente mediato dal corpo attraverso i suoi organi recettori, ma esso non è solo un mezzo che riceve ed elabora passivamente informazioni: la nostra azione è fondamentale per percepire e comprendere il mondo intorno a noi (Neisser, 1985; Prinz, 1990). Tenendo in considerazione l’importanza del legame mente-corpo, ciò che si vuole indagare con questo lavoro di tesi è il contributo dell’attività fisica, in particolare dello sport, sul benessere psicologico negli adolescenti, in termini di sviluppo socio- emozionale e cognitivo. Nel primo capitolo verranno riportate le informazioni presenti in letteratura in merito ai benefici dello sport a livello fisiologico, nella prima parte, e psicologico, nella seconda, considerando questi due aspetti sia durante lo sviluppo che nell’età adulta. Per quanto riguarda lo sviluppo, il focus sarà su Autostima, Autoefficacia, Ansia, Resilienza, Cognizione e Apprendimento. Inoltre, nella terza sezione del capitolo si tratterà delle implicazioni cliniche dello sport: diversi studi suggeriscono che l’attività fisica contribuisca a ridurre la sintomatologia di alcune patologie come, ad esempio, Depressione, Disturbo da Disattenzione e Iperattività e Disturbi Specifici dell’Apprendimento (Verburgh, Konigs, Scherder, & Oosterlaan, 2013; Tan, Pooley, & Speelman, 2016). Infine, la quarta ed ultima parte del capitolo riguarderà le differenze in termini di variabili socio-emozionali e cognitive in chi pratica sport individuale e chi pratica sport di squadra. 4
Il secondo capitolo, invece, sarà dedicato al progetto di ricerca. Lo studio ha coinvolto 117 ragazzi tra i 14 e i 21 anni, dei quali una parte pratica sport agonistico, individuale o di squadra, e la restante parte non pratica sport o lo fa per meno di due ore a settimana. Ai ragazzi è stato chiesto di compilare un questionario contenente dei test che misurano Autostima, Grinta, Stile Cognitivo, Autoefficacia, Ansia e Resilienza. Gli obiettivi della ricerca sono: verificare la presenza di un effettivo beneficio a livello di sviluppo socio-emozionale nei ragazzi che praticano sport rispetto a chi non lo pratica e, soprattutto, analizzare eventuali differenze che possono emergere tra atleti di sport individuale e atleti di sport di squadra, ipotizzando che la squadra amplifichi ulteriormente i benefici dovuti all’attività sportiva in quanto tale. I risultati, in linea con la letteratura su questo argomento, suggeriscono che lo sport possa effettivamente costituire un fattore protettivo per lo sviluppo socio-emozionale, soprattutto per quanto riguarda Autostima e Grinta. Tuttavia, non sembra essere supportata l’ipotesi di differenze nei punteggi dei costrutti misurati tra atleti di sport individuale e chi fa parte di una squadra. Ciò che appare chiaro alla luce di questo lavoro e, soprattutto, delle numerose evidenze scientifiche su questo argomento, è che lo sport costituisca un’importante risorsa nel garantire il benessere psicologico durante lo sviluppo, tipico e atipico. 5
Capitolo 1 I giovani e lo sport: implicazioni per benessere e sviluppo 1.1 Sport e benessere Oggi circa un terzo della popolazione italiana di età superiore ai 3 anni pratica abitualmente sport e, in generale, almeno la metà dichiara di praticare attività fisica (dati ISTAT, 2015). Ormai, infatti, è ben consolidata l’idea che l’esercizio fisico comporti benefici, almeno da un punto di vista fisiologico, e questo è confermato dalla presenza di numerose evidenze scientifiche. Ad esempio, un recente studio (Mandsager, et al., 2018) svolto su un esteso campione di pazienti ha dimostrato la presenza di una correlazione inversamente proporzionale tra fitness cardiorespiratorio e tasso di mortalità indipendentemente da diversi fattori, quali genere, età, etnia e condizioni mediche e di salute: addirittura i pazienti vengono incoraggiati dai propri medici a fare movimento, tanto quanto viene sconsigliato loro di fumare perché il rischio di ammalarsi è equivalente, se non superiore, a quello a cui questi vanno incontro conducendo una vita sedentaria (Pedersen, 2006). Numerosi altri studi dimostrano che uno stile di vita poco attivo comporta rischi maggiori nella contrazione di alcune malattie come il diabete di tipo 2 (Sigal, Kenny, Wasseman, Castaneda-Sceppa, & White, 2006), malattie cardiovascolari (Fletcher, 1996) e respiratorie (Garcia-Aymerich, Lange, Benet, Schnohr, & Antò, 2006) e anche alcune tipologie di cancro, che colpiscono in particolare colon, retto e mammella (Knals et al., 2005; Fang et al., 2012). Inoltre, fare movimento rallenta i sintomi dell’artrite (Roddy, Zhang, & Doherty, 2005), che coinvolge la maggior parte delle persone in età avanzata, e può prevenire altre situazioni croniche oltre a quelle sopra citate, come l’obesità e la depressione (Kujala, 2004). Oltre a una maggiore sensazione di benessere fisico, fare sport ha conseguenze estremamente positive anche da un punto di vista psicologico. In effetti, chiunque può sperimentare il beneficio dell’attività sportiva, per ciò che riguarda soprattutto gli aspetti emotivi, magari dopo una passeggiata al parco o l’allenamento in palestra: 6
inconsapevolmente si ricerca l’attività fisica per rilassarsi dopo momenti stressanti o per cercare di gestire al meglio emozioni negative, come rabbia o ansia. Infatti, vi sono numerose evidenze sul fatto che chi conduce una vita attiva ottenga punteggi elevati in test che misurano il tono dell’umore (O’Connor, 2000; O'Neal Chambliss, Dunn, & Martinsen, 2000; Williamson, 2001) o il grado di soddisfazione per la propria vita (Speltini, 1991; Steptoe & Butler, 1996; Hassmen, 2000) e bassi in quelli che misurano l’ansia, in particolare l’ansia di tratto (Raglin, Morgan, & William, 1985; Petruzzello, 1991; Bodin & Martinsen, 2004; Blumenthal, Williams, Needels, & Wallace, 1982). Uno studio del 1982 (Blumenthal et al.) dimostra che già dopo poche settimane in cui i partecipanti seguivano un programma di esercizi giornalieri (prevalentemente jogging) fosse possibile osservare una differenza significativa nei livelli di ansia di tratto e tono dell’umore, i quali risultano più alti rispetto a quelli iniziali degli stessi soggetti e a quelli di un gruppo di controllo che non ha seguito il programma, continuando a condurre uno stile di vita sedentario. Inoltre, coloro che praticano sport presentano generalmente maggior benessere psicologico, come una migliore percezione del proprio fisico e un maggior numero di relazioni positive con gli altri (Edwarts, Edwards, & Basson, 2004), nonché una minor probabilità di incorrere in episodi depressivi (Kujala, 2014). Oltre a benefici che ricadono sulla sfera emozionale, l’esercizio fisico sembra avere effetti positivi anche nell’ambito della cognizione. Questo è particolarmente evidente durante lo sviluppo (Castelli, Hillman, Buck, & Erwin, 2007; Reilly, Buskist, & Gross, 2012; Wrann, et al., 2013; per maggiori dettagli a questo proposito si veda il paragrafo 1.2 “Sport e sviluppo”), tuttavia esistono studi che suggeriscono che anche in età avanzata sia possibile riscontrarne gli effetti positivi (Vitulli, et al., 2012), in primis nella prevenzione di malattie neuro-degenerative invalidanti come Alzheimer (Rovio, et al., 2005; Scarmeas, et al., 2009), Parkinson (Chen, Zhang, Schwarzschild, Hernán, & Ascherio, 2005), demenza senile e l’invecchiamento del cervello in generale (Ahskolg, Geda, Graff-Radford, & Peterson, 2011; Shah, Buchman, Leurgans, Boyle, & Bennett, 2012). 7
Ci sono diverse teorie sul motivo per cui fare attività fisica influenzi in modo così rilevante il benessere psicologico. Tra quelle “classiche”, che riguardano in particolare gli aspetti emotivi, vi sono: • l’ipotesi della distrazione (Bahrke, 1978; Wilson, Berger, & Bird, 1981), la quale suggerisce che il beneficio psicologico sia dovuto alla distrazione da eventi stressanti, piuttosto che dall’attività fisica in sé. Questa spiegazione emerge da studi in cui venivano confrontati i punteggi in test che misurano ansia e tono dell’umore in seguito ad un compito di distrazione di tipo cognitivo e uno che impegnasse i soggetti fisicamente: non risultò una differenza significativa inizialmente, ma chi aveva praticato l’attività fisica manteneva gli effetti positivi più a lungo di chi aveva svolto il compito di tipo cognitivo; • l’ipotesi della padronanza (Mellion, 1985), la quale sostiene che il benessere psicologico sia dovuto al maggior senso di autostima e autoefficacia provate dal soggetto dopo aver svolto attività sportiva: in particolare, il senso di indipendenza, l’acquisizione di maggiore consapevolezza corporea e il successo sperimentati contribuiscono a creare un’immagine di sé stessi più positiva. Studi più recenti sostengono questa teoria, individuando soprattutto nel senso di autoefficacia un fattore di mediazione importante, grazie al quale anche i sintomi della depressione possono essere alleviati, incrementando nelle persone il senso di controllo sugli eventi della propria vita (Craft, 2005; White, 2008); • l’ipotesi delle “interazioni sociali” (Hughes, 1984), infine, nasce nell’ambito della sociologia e vede nella possibilità di interazione con altri individui e nella creazione di nuove relazioni positive il motivo del benessere psicologico legato allo sport. Quindi, anche in questo caso i benefici dello sport non sono tanto legati all’esercizio fisico in sé, quanto all’attività di gruppo; di conseguenza, secondo questa teoria, sarebbero gli sport di squadra a dare maggior beneficio. 8
Ad oggi non si ha una risposta univoca su quale possa essere la migliore spiegazione, tuttavia una delle ipotesi più accreditate proviene dal contributo delle neuroscienze: sembra che le proprietà benefiche dello sport, in particolare per quanto riguarda l’effetto sull’umore e sull’ansia, siano dovute al rilascio di β-endorfine che segue l’attività fisica. Le β-endorfine sono neurotrasmettitori, prodotti a livello dell’ipofisi, che hanno effetti fisiologici (analgesici, in particolare) simili a quelli della morfina o altri oppioidi. Si tratta, in pratica, di anti-dolorifici naturali (Harber & Sutton, 1984; Morgan, 1985; North, McCullugh, & Tran, 1990; (Cashmore, 2008) Thorén, Floras, Hoffmann, & Seals, 1990), che nel momento in cui vengono rilasciati nel sistema nervoso producono una sensazione di euforia, leggerezza e sollievo, contribuendo a creare uno stato di rilassamento e benessere immediato, in grado di durare nel tempo. Uno studio di Cashmore del 2008 ha dimostrato che già dopo 10 minuti di esercizio, il livello di β-endorfine nel cervello aumenta e si mantiene tale per l’ora successiva. Inoltre, studi più recenti sul modello animale riportano la presenza di un altro fattore neurofisiologico legato all’attività fisica che potrebbe influenzare il tono dell’umore, lo stato d’ansia e allo stesso tempo spiegare gli effetti positivi dello sport sulla cognizione. Il BDNF (Brain-Derived Neurotropic Factor; Anderson & Shivakumar, 2013; Szhuany, Bugatti, & Otto, 2015) è una neurotropina o fattore di crescita, cioè una sostanza endogena del sistema nervoso che ha lo scopo di sostenere i neuroni e favorirne la generazione di nuovi. Carenze di BDNF a livello dell’ippocampo risultano essere correlate a stati depressivi e ansiosi sia nel modello animale (Duman & Monteggia, 2006) che nell’uomo (Kojima, Matsui, & Mizui, 2019) e l’introduzione di questa sostanza nei nuclei del Rafe nel topo è associata, al contrario, a effetti antidepressivi (Altar, 1999). In particolare, l’ippocampo, quando sottoposto all’influenza del BDNF indotto dall’esercizio fisico (Wrann, et al., 2013), mostra cambiamenti morfologici nelle connessioni tra le cellule e un aumento di volume (Greenberg, Xu, & Hempstead, 2009; Park & Poo, 2013). Essendo l’ippocampo implicato sia in processi emozionali (legati all’ansia) che mnemonico-spaziali, il meccanismo appena descritto spiegherebbe come lo sport possa influenzare il tono dell’umore e la cognizione. Infatti, individui con una mutazione genetica che inibisce il rilascio di BDNF presentano deficit di memoria episodica (Hariri, et al., 2003). 9
Si assiste pertanto a fenomeni di neurogenesi (Lu et al., 2005; Cotman et al., 2007), che potrebbero essere responsabili del fattore di protezione costituito dal fare attività fisica per malattie neurodegenerative e stati ansiosi e depressivi, come sopra riportato, e allo stesso modo spiegare l’influenza dello sport sulla facilitazione dell’apprendimento e sulla gestione delle emozioni. 1.2 Sport e sviluppo Quanto detto fino a questo punto è altrettanto valido, forse anche di più, per quanto riguarda l’età dello sviluppo. Sono moltissime le evidenze che suggeriscono che lo sport abbia effetti positivi sull’emozionalità e sulla cognizione nei più giovani (Janssen, Leblanc, & Allana, 2010; Strong, et al., 2005; Ratey, 2008) ed esso risulta anche correlato positivamente con il benessere e la salute mentale (Biddle, Ciaccioni, Thomas, & Vergeer, 2018; Fedewa & Ahn, 2013). Qui verranno riportate le informazioni in letteratura che riguardano in particolare autostima, autoefficacia, ansia, resilienza e, infine, cognizione e apprendimento. 1.2.1 Autostima L’autostima, secondo la definizione di Rosenberg (1965), consiste nell’autovalutazione operata da ogni individuo sulle proprie competenze. Si tratta di un costrutto psicologico che riflette il grado in cui le persone si percepiscono come competenti e soddisfatte di sé; per cui ad alti livelli di autostima corrispondono altrettanto alti livelli di soddisfazione per gli obiettivi raggiunti e senso di adeguatezza (Korman, 1966; Korman, 1970). Bracken (1993) propone una concezione multicomponenziale di autostima, sostenendo che questo costrutto sia costituito da diverse dimensioni, quali percezione della propria immagine corporea, delle proprie competenze interpersonali e scolastiche, della capacità nel gestire emozioni negative ed eventi che avvengono nel proprio ambiente e la sensazione di essere amati dalla propria famiglia. In diversi studi che riguardano l’autostima, essa viene associata 10
all’attività fisica: ad esempio, sembra che esista una correlazione positiva tra alcune dimensioni dell’autostima, come la percezione delle competenze sociali e scolastiche o della propria immagine corporea, e lo sport (Sonstroem, Harlow, & Josephs, 1994; Bertorello, 2001; Faria, 2001), tale per cui ad una maggior partecipazione ad attività sportive corrisponde un alto grado della stima di sé. La stessa idea viene confermata da più recenti studi di meta-analisi (Liu, Wu, & Ming, 2015; Lubans, et al., 2016; Biddle, Ciaccioni, Thomas, & Vergeer, 2018). In questo caso, ciò che emerge è che l’attività fisica in sé, indipendentemente da altre variabili, contribuisce a migliorare il proprio “concetto di sé”, inteso come la concezione che ogni individuo ha di sé stesso in termini descrittivi (Baumeister, Bratslavsky, Muraven, & Tice, 1998; Shavelson, Hubner, & Stanton, 1976), il quale è a sua volta legato all’autostima. Inoltre, logicamente, anche il miglioramento della forma fisica conseguente all’attività sportiva contribuisce ad aumentare l’autostima globale, influenzando la dimensione relativa alla percezione della propria immagine corporea (Biddle, Ciaccioni, Thomas, & Vergeer, 2019; Sabiston, Pila, Vani, & Thogersen-Ntoumani, 2019) e la fiducia nelle proprie abilità fisiche (Fox, 1998). In particolare, dagli studi di Fox (2000, 2001), emerge che siano coloro che inizialmente mostrano livelli molto bassi di autostima a beneficiare maggiormente dell’influenza positiva dello sport: oltre al cambiamento nell’aspetto fisico, sembra che siano soprattutto il senso di soddisfazione legato al raggiungimento di determinati obiettivi e la convinzione di poter padroneggiare una certa attività ad incrementare il senso di autostima (Cox, 2012). Come si è detto, anche la percezione di essere amati e supportati dalla propria famiglia, soprattutto in epoca adolescenziale, contribuisce a creare un’immagine positiva di sé stessi e quindi a sviluppare l’autostima dei ragazzi. In effetti, il processo di raggiungimento dell’autonomia, mentre viene mantenuta una relazione positiva con i genitori, è riconosciuto come uno stadio critico nell’adolescenza (Grotevant & Cooper, 1985; Hill & Holmbeck, 1986; Moore, 1987; Collins, 1990; Steinberg, 1990). Un rapporto stretto e diretto con i genitori permette lo sviluppo di caratteristiche comportamentali e psicologiche positive, come una maggiore resistenza alla pressione sociale dei coetanei e una maggiore autostima (Kenny, 1986; Moore, 1987; Ryan & Lynch, 1989) e questo è favorito nei ragazzi che praticano uno sport, in quanto il 11
necessario coinvolgimento del genitore può contribuire alla creazione di una relazione positiva. Tuttavia, ci sono studi che suggeriscono che lo sport possa costituire un arma a doppio taglio per bambini e adolescenti (Whitehead & Corbin, 1997 (Bandura, Social foundation of thought and action: a social cognitive theory, 1986); Biddle, Ciaccioni, Thomas, & Vergeer, 2019): da un lato, l’attività fisica sembra effettivamente contribuire a migliorare l’autostima, ma dall’altro c’è il rischio che si instauri un circolo vizioso negativo nel caso in cui un ragazzo non abbia successo in questo tipo di attività, circolo vizioso che comincia con un’iniziale demotivazione verso lo sport e finisce con una totale sfiducia nelle proprie capacità. Per cui è importante, soprattutto durante l’età dello sviluppo, controllare le attività proposte, calibrandole sulle capacità dei ragazzi e monitorando il loro stato d’animo. 1.2.2 Autoefficacia Un costrutto legato all’autostima, ma che costituisce un concetto a sé è quello di autoefficacia. Secondo la definizione di Bandura (1986) l’autoefficacia consiste nella fiducia nelle proprie capacità di organizzare e realizzare le sequenze di azioni necessarie a gestire adeguatamente le situazioni a cui si va incontro in modo da raggiungere i risultati prefissati. In altre parole, l’autoefficacia è la convinzione che una persona ha di poter concludere un compito specifico in modo positivo. Anch’essa, quindi, può contribuire a definire il grado di autostima di ciascun individuo, se egli attribuisce a sé stesso valore (autostima) basandosi sulle sue capacità (autoefficacia). Bandura sostiene anche che l’attività fisica aumenterebbe il senso di autoefficacia incrementando la consapevolezza e il controllo sul proprio corpo e quindi la fiducia nelle proprie abilità fisiche (Bandura, 1977) e questo è confermato da diversi altri studi (Collins et al., 2019). 1.2.3 Ansia Con “Ansia” si intende quell’emozione spiacevole caratterizzata da una sensazione generica di pericolo, paura e attivazione fisiologica (Hansell & Damour, 2005), che 12
tutti esperiscono ad esempio prima di affrontare una sfida o una performance o a causa di una forte preoccupazione. Nel 1961, Cattel e Scheier introducono una distinzione fra ansia di stato e ansia di tratto, intendendo con la prima una sensazione riferita ad una specifica situazione, come suggerito negli esempi precedenti. L’ansia di tratto, invece, sarebbe una caratteristica relativamente stabile della personalità di ogni individuo, una modalità comportamentale che riflette quanto il soggetto tenda a percepire come minacciosi o pericolosi gli oggetti o eventi con cui viene a contatto nel suo ambiente. Lo sport sembrerebbe avere effetti benefici sull’ansia di tratto: in uno studio di McMahon et al. (2015), su un vasto campione di adolescenti di diverse nazionalità, in cui venivano misurati il livello di ansia, i sintomi depressivi e lo stato di benessere in relazione allo sport, emerge una correlazione negativa tale per cui maggiore è la partecipazione ad attività sportive, minori sono i livelli di ansia e depressione e maggiore è lo stato di benessere. Al contrario, una vita sedentaria risulta associata a disturbi d’ansia (Teychenne, Ball, & Salmon, 2010). Tuttavia, Biddle et al. (2019) riportano che la relazione tra ansia e sport è poco studiata negli ultimi anni, nonostante ansia e stress siano tra i problemi di salute mentale più diffusi tra bambini e ragazzi al giorno d’oggi e sia necessario trovare nuove strategie per affrontare questi disturbi. Il loro studio di meta-analisi tuttavia, suggerisce che effettivamente esista un’associazione positiva forte tra ansia e attività sportiva e numerose evidenze empiriche di ciò (Biddle et al., 2019). È ben nota in letteratura, una differenza di genere nella quantità di ansia, che risulta maggiore nelle femmine rispetto ai maschi (Segal & Weinberg, 1984; Martens & Vealey, 1990; Lewinsohn, Zinbarg, Seeley, Lewinsohn, & Sack, 1997; Battisti, et al., 2004): ci sono studi che suggeriscono che per le ragazze l’attività fisica possa costituire un importante fattore di protezione dal rischio di andare incontro disturbi d’ansia (Dishion & McMahon, 1998). 1.2.4 Resilienza “Resilienza” è un termine che nasce all’interno delle scienze dei materiali e si riferisce alla proprietà che hanno alcuni elementi di conservare la propria struttura o di 13
riacquistare la propria forma dopo aver subito una deformazione. In psicologia, esso viene utilizzato per indicare la capacità delle persone di saper affrontare gli effetti negativi derivati da eventi avversi della propria vita o traumi (Masten, 2001). Sono stati individuati tre principali fattori protettivi legati alla resilienza: la coesione familiare (supporto dei genitori, ascolto e comunicazione), le abilità sociali e altre predisposizioni personali come autostima e autoregolazione (Luthar, Cicchetti, & Becker, 2000; Hjemdal, Vogel, Solem, Hagen, & Stiles, 2011; Zolkoski & Bullock, 2011). Gli adolescenti che praticano attività fisica con continuità presentano punteggi più alti alle scale che misurano i fattori protettivi legati alla resilienza rispetto agli altri ragazzi (Hjemdal, Aune, Reinfjell, Stiles, & Friborg, 2007; Strohle, 2009) e, in uno studio di Hjemdal et al. (2006), è stata trovata una correlazione tra la quantità di attività fisica settimanale e ognuno di questi fattori legati alla resilienza, tale per cui più tempo viene impiegato dai ragazzi nell’esercizio fisico, più sono alti i livelli di coesione familiare, abilità sociali e autostima (Moljord, Moksnes, Espnes, Hjemdal, & Eriksen, 2014). Questo potrebbe indicare che l’attività sportiva possa costituire, in ultima analisi, anch’essa un fattore protettivo che contribuisce ad incrementare il livello di resilienza (Moljord, Moksnes, Espnes, Hjemdal, & Eriksen, 2014). Inoltre, lo stesso studio suggerisce che l’attività fisica sia correlata negativamente con i sintomi della depressione e questo dato può essere interpretato con l’idea che lo sport migliori la capacità di reagire allo stress, stimolando il soggetto a instaurare legami sociali positivi e aumentando la propria autonomia, il senso di autoefficacia, l’autostima e l’ottimismo, caratteristiche fondamentali per lo sviluppo di risorse individuali che consentano di affrontare i problemi (Martinek & Hellison, 1997). 1.2.5 Cognizione In letteratura vi sono moltissime evidenze che sostengono l’importanza dello sport nello sviluppo cognitivo. Lo sport sembrerebbe essere legato al successo accademico (Ratey, 2008; Reilly, Buskist, & Gross, 2012): esistono diversi studi che riportano una correlazione tra esercizio aerobico e punteggi ai test di profitto (Castelli, Hillman, Buck, & Erwin, 2007), tale per cui più i soggetti sono impegnati in attività fisica più i loro punteggi nei test di profitto sono alti. In particolare, lo sport sembra potenziare le 14
funzioni esecutive (Best, 2010; Verburgh, Ko ̈nigs, Scherder, & Oosterlaan, 2013), cioè “quell’insieme di processi mentali finalizzati all’elaborazione di schemi cognitivo-comportamentali adattivi in risposta a condizioni ambientali nuove e impegnative” (Owen, 1997). In altre parole, si tratta di funzioni legate al controllo e alla pianificazione del comportamento. Le funzioni esecutive vengono anche chiamate “funzioni frontali” in quanto sembrerebbero essere mediate dalla corteccia prefrontale (Goldman-Rakic, 1995; Robbins, 1996; Kimberg & Farah, 1993). In uno studio di meta-analisi di Verburgh (2013), in cui vengono esaminate 24 ricerche sperimentali con soggetti sani di età compresa tra 6 e 35 anni, sembra suggerire che l’esercizio aerobico potenzi le funzioni esecutive in bambini e ragazzi, sia a breve che a lungo termine: in particolare, gli autori riportano una più grande dimensione dell’effetto per quanto riguarda l’inibizione del comportamento, seguita da pianificazione e memoria di lavoro. Inoltre, Hillman (2009), in uno studio su un campione di preadolescenti, dimostra che si possono ottenere effetti positivi sullo svolgimento dei test di profitto già dopo una sola seduta di esercizio aerobico moderato. La procedura dell’esperimento di Hillman prevedeva di chiedere a un gruppo di ragazzi di camminare su un tapis roulant per 20 minuti, prima di svolgere il test, mentre a un altro di aspettare senza muoversi per lo stesso tempo: coloro che avevano svolto l’attività aerobica hanno ottenuto punteggi significativamente superiori al test di profitto, rispetto a quelli che erano rimasti fermi. Tuttavia, per ottenere il miglioramento non sembra bastare l’attività aerobica in sé, ma essa deve essere cognitivamente impegnativa: questo suggerisce che il meccanismo sottostante il miglioramento accademico risieda in buona parte nel potenziamento delle stesse risorse, che vengono utilizzate sia in ambito scolastico, sia durante un gioco sportivo (Best, 2010). La relazione tra successo accademico e sport può anche essere spiegata attraverso un altro meccanismo: l’attivazione in seguito al movimento comporta un maggiore afflusso di sangue al cervello con conseguente aumento dei livelli di norepinefrina ed endorfine, neurotrasmettitori che hanno un effetto calmante, il quale potrebbe contribuire a migliorare la performance scolastica (Taras & Potts-Datema, 2005). Inoltre, come descritto sopra, l’attività fisica stimola il rilascio di BDNF, il quale 15
sembra avere delle implicazioni nel potenziamento della connettività e nella neurogenesi a livello dell’ippocampo, sede della memoria e dell’apprendimento, e della corteccia prefrontale, sede del controllo del comportamento (Ratey, 2008; Boström, et al., 2012; Wrann, et al., 2013). 1.3 Sport come terapia Come si è detto, lo sport ha conseguenze estremamente positive sia sulla salute fisica che mentale. Per questo motivo, è ragionevole pensare che esso possa contribuire positivamente anche nel migliorare alcune condizioni cliniche. Ad esempio, secondo Panksepp (2007; 2008), l’attività sportiva o, più in generale il gioco fisicamente impegnativo, è in grado di attenuare i sintomi del Disturbo da Disattenzione e Iperattività (ADHD, Attention Deficit Hyperactivity Disorder) agendo direttamente sulla produzione di BDNF a livello della corteccia prefrontale, sede del controllo del comportamento (pianificazione, organizzazione e monitoraggio) e potenziando le funzioni esecutive, in particolare la capacità di inibizione (Verburgh, Konigs, Scherder, & Oosterlaan, 2013). Inoltre, la simultanea stimolazione fisica, sociale e intellettuale comporta una situazione di sfida/stress positivo per il cervello, il quale “si adatta”, in un’ottica neurocostruttivista, determinando un sano sviluppo neurocognitivo. La stessa teoria viene sostenuta anche da Tan et al. (2016) che, in uno studio di meta-analisi che prendeva in esame studi sugli effetti dello sport in bambini e ragazzi con diagnosi di ADHD o autismo, dimostrano l’efficacia dell’esercizio fisico nel migliorare alcuni aspetti di queste patologie attraverso il potenziamento delle funzioni esecutive. Una particolare pratica terapeutica basata sul movimento, che oggi comincia ad essere utilizzata in diversi ambiti, clinici e non, è la DanzaMovimentoTerapia. Si tratta di una terapia alternativa, indirizzata a una vastissima tipologia di utenza, che enfatizza il legame mente-corpo utilizzando l’attività fisica per migliorare l’autocontrollo, l’organizzazione di pensieri e azioni, le abilità interpersonali e la capacità di valutare ed esprimere i propri bisogni ed emozioni (Zilius, 2010). Essa, è in grado di migliorare 16
le condizioni di vita e il benessere psicologico di persone con differenti situazioni cliniche, sia a breve cha a lungo termine (Bräuninger, 2012). Ci sono studi che dimostrano la sua efficacia nell’attenuare i sintomi di ansia e depressione (Jeong, et al., 2005; Meekums, Karkou, & Nelson, 2015; Pylvänäinen, Muotka, Lappalainen, & Raimo, 2015), ADHD (Grönlund, Weibull, & Renck, 2005) e Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA; Payne, 2006). In particolare, Cofini et al. (2018) hanno testato l’efficacia di questa pratica su funzioni esecutive, comprensione delle emozioni e autostima confrontando due gruppi bambini con diagnosi di DSA: tutti hanno seguito per 6 mesi un trattamento tradizionale di tipo cognitivo, mentre il gruppo sperimentale ha svolto, in aggiunta, un programma settimanale di esercizi presso un centro di DanzaMovimentoTerapia. I ragazzi venivano testati prima e dopo il trattamento e ciò che è emerso è un effetto positivo di questa pratica sulle capacità attentive, sull’autostima e sulle competenze socio-emozionali. 1.4 Differenze tra sport di squadra e sport individuali Gli studi che prendono in esame separatamente sport individuali e di squadra non sono molto numerosi e, in molti casi, sono contradditori. In certi casi vengono riportate differenze significative in alcune caratteristiche della personalità degli atleti in base alla tipologia di disciplina che praticano: chi pratica sport di squadra risulta tendenzialmente più estroverso rispetto a chi pratica uno sport individuale (Schurr, Ashley, & Joy, 1977; Eagleton, McKelvie, & De Man, 2007), ma, viceversa, mostra livelli più alti nella scala che misura il nevroticismo, cioè la tendenza a sperimentare stati emotivi negativi, come rabbia, ansia, senso di colpa o sintomi depressivi (Widiger, 2009); tuttavia questo dato non viene sempre replicato (Hardman, 1973; Martens, Vealey, & Burton, Competitive Anxiety in Sport, 1990). Per quanto riguarda l’ansia di tratto, alcune ricerche sembrano non sostenere la presenza di una differenza tra sport di squadra e individuali (Zeng, 2016; in cui però il campione era composto solamente da soggetti maschi); in altre, invece, gli atleti di sport di squadra risulterebbero meno ansiosi (Griffin, 1972; Simon & Martens, 1979). Tuttavia, è difficile stabilire se queste differenze siano dovute alla pratica della 17
disciplina sportiva o se siano presenti già precedentemente e quindi costituiscano di per sè un fattore discriminativo per la scelta di una tipologia di disciplina sportiva piuttosto che l’altra (Eagleton, McKelvie, & De Man, 2007). In ogni caso, la squadra, intesa come gruppo sociale orientato al compito e alla prestazione, i cui membri sono interdipendenti e sviluppano una forte identità collettiva (Wegner & Whilhelm, 1999), sembra costituire un fattore protettivo per l’ansia da prestazione: in diversi studi risulta che gli atleti di sport individuali mostrano livelli di ansia più elevati prima di una gara rispetto a chi fa parte di una squadra (Flowers & Brown, 2002; Zeng, 2016). Lo studio di Zeng (2016) mostra anche che, prima di una competizione, i membri di una squadra presentano livelli più elevati di autostima e lo stesso autore dimostra, in un altro studio (Zeng T. , 2003), che essi presentano anche un più elevato senso autoefficacia. Inoltre, i risultati di alcune ricerche suggeriscono che siano soprattutto le ragazze, che in genere tendono ad essere più ansiose rispetto ai maschi (Segal & Weinberg, 1984; Martens, Vealey, & Burton, Competitive Anxiety in Sport, 1990), a beneficiare degli effetti dello sport di squadra sull’ansia e sull’autostima (McMahon, et al., 2016). In generale, lo sport di squadra sembra favorisca la diminuzione di sintomi depressivi: gli atleti di sport di squadra riportano livelli maggiori di benessere e felicità (McMahon et al., 2015; Zhou, Heim, & O'Brian, 2015). Questo, probabilmente, è anche legato al fatto che persino la sola identificazione con una specifica squadra sportiva è in grado di avere un impatto positivo contro il senso di alienazione e sensazioni negative di tipo depressivo: in uno studio del 1991, Branscombe e Wann dimostrano che un campione di studenti americani tifosi di squadre di basket o baseball presentano livelli più alti di autostima e minor probabilità di depressione rispetto a chi non si identifica in una squadra e questa differenza risulta più forte se i soggetti sono lontani da casa. In generale, la partecipazione ad un’attività di gruppo sembra favorire lo sviluppo dell’autostima e di competenze emotive (Zilmann, 1979). Ancora relativamente all’autostima, i ragazzi coinvolti in attività sportive di tipo individuale mostrano di essere più critici e insoddisfatti della propria forma fisica rispetto a coloro che praticano uno sport di squadra (Carron, Estabrooks, Horton, Prapavessis, & Hausenblas, 1999; Dosil, 2008): la performance sportiva autonoma, infatti, offre più opportunità per un confronto specifico, probabilmente producendo un livello più alto di insoddisfazione per il proprio corpo (Morano, 2010). 18
Infine, uno studio di Hjemdal et al. (2006), riporta che la partecipazione ad attività che richiedono interazione sociale e cooperazione comporta un incremento nella resilienza: ragazzi impegnati in attività di gruppo, di qualsiasi tipo, ottengono punteggi più alti in test che misurano la capacità di reagire ad eventi stressanti della propria vita. 19
Capitolo 2 La Ricerca 2.1 Obiettivi e ipotesi L’obiettivo di questo studio è l’analisi delle differenze di alcuni tratti nello sviluppo socio-emozionale e cognitivo in ragazzi che praticano sport individuale e di squadra. Ciò che viene esaminato sono i livelli di Grinta, Autostima, Ansia e Resilienza e lo stile cognitivo (Analitico/Globale e Visivo/Verbale). I due campioni, inoltre, saranno confrontati con uno di controllo, composto da ragazzi che non praticano nessuno sport. Come riportato nel Capitolo 1, ad oggi è condiviso un ampio consenso sul fatto che l’attività sportiva sia in grado di comportare di per sé dei benefici da un punto di vista psicologico, sia a livello di sviluppo socio-emozionale e cognitivo in bambini e ragazzi, che in età adulta, soprattutto per quanto riguarda ansia, gestione dello stress e apprendimento. Pertanto, rispetto al gruppo di controllo ci si aspetta che i gruppi “sportivi” mostrino livelli più alti di autostima, resilienza, senso di autoefficacia e grinta e livelli più bassi di ansia, mentre non sono attese particolari differenze per quanto riguarda lo stile cognitivo. L’ipotesi della ricerca è che lo sport di squadra costituisca un fattore protettivo maggiore nello sviluppo socio-emotivo rispetto agli sport individuali, come sembra suggerire la letteratura rispetto a questo argomento (si veda il paragrafo 1.4 a questo proposito). Questo significa che i livelli attesi di Autostima saranno più alti e quelli di Ansia più bassi nei gruppi di ragazzi che praticano sport di squadra, rispetto a coloro che praticano sport individuale (Flowers et al., 2002; Zeng, 2016). Inoltre, si ipotizza che anche la fiducia nella propria intelligenza e nella propria personalità, il senso di autoefficacia, la resilienza e la grinta, intesa come perseveranza e passione per obiettivi a lungo termine, siano più elevate in atleti di sport di squadra (Zeng et al., 2003; Hjemdal et al., 2006). 20
Per quanto riguarda la cognizione, qui l’analisi è centrata non tanto sull’incremento delle abilità, ma sullo stile cognitivo. In letteratura questo aspetto risulta poco indagato: ciò che qui si ipotizza è che coloro che praticano uno sport di squadra siano orientati verso uno stile di tipo globale e visivo. Infatti, questi tipi di sport, di solito, richiedono la capacità di visualizzare schemi di gioco in cui ogni individuo occupa una determinata posizione in base al proprio ruolo, la quale deve essere continuamente monitorata dagli altri membri del gruppo per poter interagire in funzione dell’obiettivo finale, di conseguenza è ragionevole pensare che questo possa influenzare lo stile cognitivo di ragazzi che si allenano molte ore a settimana (il campione degli atleti di sport di squadra è composto per la maggior parte da ragazzi che praticano pallanuoto a livello agonistico). Infine, saranno analizzate anche possibili differenze nei due gruppi di atleti rispetto al genere. Di nuovo, l’ipotesi è che la squadra possa costituire un ulteriore fattore di protezione, soprattutto per le ragazze, che tendenzialmente presentano livelli più bassi di autostima e più alti di ansia rispetto ai maschi (Segal & Weinberg, 1984; Martens et al., 1990; McMahon, 2015). 2.2 Partecipanti e procedura I partecipanti sono stati reclutati all’interno di alcuni centri sportivi di Genova e Parma (in particolare piscine in cui si svolgono attività di nuoto e pallanuoto a livello agonistico) e al Liceo M.L. King di Genova. I presidenti delle strutture hanno permesso lo svolgimento dei test in modalità cartacea a scuola durante le lezioni o prima o dopo gli allenamenti nei centri sportivi. La raccolta dati è stata svolta in sedi differenti, ma tutti i soggetti hanno partecipato volontariamente rilasciando un consenso informato firmato da loro stessi se maggiorenni o dalle famiglie in caso di minorenni e tutti sono stati precedentemente informati riguardo lo studio a cui stavano partecipando ed istruiti in merito alla modalità di compilazione dei test. Il setting è stato il più possibile controllato e privato di fattori di disturbo esterni. La durata 21
complessiva della somministrazione di tutte le batterie di test utilizzate è stata di circa 35 minuti. Il campione è composto da 117 partecipanti tra i 14 e i 21 anni (51 femmine e 66 maschi) ed è diviso in tre gruppi: due gruppi formati da soggetti che praticano attività sportiva a livello agonistico e un gruppo di controllo. Il primo gruppo è formato da ragazzi che praticano uno sport di squadra (n=49), il secondo da ragazzi che praticano uno sport individuale (n=44) e il terzo da ragazzi che non fanno sport o lo praticano meno di due ore a settimana a livello non agonistico (n=24). L’età media del campione è di circa 17 anni (17.08±1.53). Nel corso della raccolta dati, è stato richiesto ai soggetti di indicare l’anno di corso frequentato ed eventuali ripetizioni di anni scolastici. Per lo sport di squadra il campione è formato da 40 iscritti alla scuola secondaria di secondo grado, dei quali 10 sono al secondo anno, 9 al terzo, 18 al quarto e 3 al quinto; dei 9 rimanenti 5 frequentano l’università e 4 lavorano. Per lo sport individuale, 39 soggetti sono iscritti alla scuola secondaria, 2 al primo anno, 4 al secondo, 15 al terzo, 14 al quarto e 4 al quinto; 3 frequentano l’università e 2 lavorano. Infine, i partecipanti del gruppo di controllo frequentano tutti il terzo (10) o il quarto (14) anno della scuola secondaria di secondo grado. Altre informazioni relative ai tre gruppi sono riassunte nelle Tabelle 1, 2 e 3 di seguito riportate. genere individuale squadra controllo totale femmine 19 20 12 51 maschi 25 29 12 66 totale 44 49 24 117 Tabella 1: distribuzione del campione nei diversi gruppi e per genere 22
genere individuale squadra controllo totale 20.51% 37.61% 41.88% femmine 50% 43.18% 40.82% maschi 50% 56.82% 59.18% Tabella 2: percentuale della distribuzione del campione nei diversi gruppi e per genere individuale squadra controllo totale età 16.82±1.43 16.70±2.08 17.29±0.86 17.08±1.53 età 16.53±1.50 17.60±1.54 17.16±0.83 17.10±1.45 femmine età maschi 17.04±1.37 16.93±1.99 17.42±0.90 17.06±1.61 Tabella 3: media e deviazione standard dell’età dei soggetti in base a genere e gruppo di appartenenza 2.3 Strumenti Per la valutazione delle variabili convolte nelle nostre ipotesi, ci si è serviti dei seguenti strumenti: - Il Test Multidimensionale dell’Autostima (TMA, Bracken, Ianes & Mazzeo, 2003) è composto da 150 items, rispetto ai quali il soggetto deve esprimere il proprio grado di accordo attraverso una scala Likert a 4 punti (da 1 = “non è assolutamente vero” a 4 = “assolutamente vero”). Il test prevede sei sottoscale, composte da 25 items ciascuna, che si riferiscono a diverse dimensioni 23
dell’autostima del soggetto: Interpersonale, Competenza nel controllo dell’ambiente, Emotività, Scolastica, Familiare, Corporea. La prima sottoscala riguarda le relazioni interpersonali e valuta la percezione della propria capacità di interagire con l’altro e la convinzione di piacere (“La maggior parte della gente mi apprezza cosi come sono”); la seconda si riferisce alla percezione della propria competenza nel controllo dell’ambiente, cioè la sensazione di essere in grado di controllare gli eventi della propria vita (“Riesco a gestire le mie cose con senso di responsabilità”); la terza riguarda il vissuto emotivo e valuta la capacità di controllare emozioni negative (“Spesso sono confuso riguardo ai miei sentimenti”); la dimensione Scolastica considera la percezione delle proprie capacità scolastiche e la gestione di fallimenti o successi sperimentati in classe (“Gli insegnanti apprezzano il mio comportamento in classe”); la quinta sottoscala, relativa alla famiglia, valuta la percezione delle relazioni familiari e il sentirsi amato e rispettato all’interno del proprio nucleo familiare (“Sono un membro importante della mia famiglia”); infine, la sesta sottoscala riguarda il vissuto corporeo, quindi la percezione del proprio aspetto e delle proprie abilità fisiche e sportive (“Quando mi guardo allo specchio, mi piace quello che vedo”). Viene assegnato un punteggio per ogni scala: a punteggi alti sono associati alti livelli di autostima. - Il test Grit-S (Sulla, Renati, Bonfiglio, & Rollo, 2018) è un self-report composto da 8 items che misura la perseveranza come tratto (“Porto a termine tutto quello che inizio”) e la passione per obiettivi a lungo termine (“Ho difficoltà a rimanere concentrato su un progetto che richieda più di qualche mese per essere completato”) per rilevare i punteggi riguardo alla grinta. Ogni item è associato ad una risposta su una scala Likert a 5 punti (da 1 = “non mi rappresenta per niente”, a 5 = “mi rappresenta moltissimo”). Viene calcolato un punteggio totale e due punteggi di sottoscala: Perseveranza dello sforzo e Coerenza di interesse. I punteggi vanno da 1 a 5 e ai valori più alti è associato atteggiamento più “grintoso”. 24
- Il Questionario sugli Stili Cognitivi (QSC; De Beni, et al., 2014) ha lo scopo di rilevare il tipo di preferenza, visiva o verbale e di tipo globale o analitico, per la codifica delle informazioni. È composto da 18 items, 9 per stile, che si riferiscono a un’esperienza concreta in modo che il soggetto, nell’autovalutazione, non si limiti a esprimere dei vissuti, ma possa anche tenere conto della situazione appena affrontata. La prima parte riguarda lo stile Analitico/Globale e implica la ricostruzione di una figura articolata, composta da tratti che sono ricordati meglio da coloro che hanno uno stile di tipo globale e da numerosi dettagli, meglio ricordati da chi possiede uno stile di tipo analitico. La seconda riguarda, invece, lo stile Visivo/Verbale e consiste nel memorizzare materiale misto composto di figure e parole. Viene calcolato un punteggio per ogni prova: il primo si riferisce allo stile globale o analitico, dove un punteggio più alto esprime la tendenza a preferire un approccio olistico piuttosto che focalizzato sui dettagli; il secondo concerne lo stile verbale o visivo, dove a un maggiore punteggio corrisponde alla preferenza per il codice verbale piuttosto che per quello visivo-immaginativo. I punteggi vengono calcolati sommando le valutazioni assegnate ai singoli item secondo una scala Likert a 5punti (da 1 = per niente a 5 = moltissimo). - Il Questionario sulle Convinzioni (QC; De Beni, et al., 2014) consiste in un insieme di strumenti finalizzati a rilevare il sistema motivazionale dello studente. Include complessivamente 29 items che si suddividono in 6 parti. La prima e la seconda parte misurano quanto lo studente tende a possedere una teoria incrementale o entitaria della propria intelligenza e personalità (“La tua intelligenza è qualcosa di te che non puoi cambiare molto”); gli studenti sono invitati a indicare il loro grado di accordo/disaccordo attraverso una scala Likert a 6 punti (da 1 = fortemente d’accordo a 6 = fortemente contrario) su 16 affermazioni. La terza e la quarta parte valutano rispettivamente il livello di fiducia nella propria intelligenza e nella propria personalità (autostima e autoefficacia), attraverso la scelta fra coppie di alternative (“Quando incontro persone nuove non sono sicuro/a che piacerò loro”). Nella quinta parte vi sono 25
5 items che esplorano la percezione di abilità del soggetto rispetto allo studio, ai quali bisogna rispondere attraverso una scala Likert che va da 1, “scarso/a”, a 5, “ottimo/a” (“Il tuo successo nello studio”). Infine, nella sesta parte vengono indagati gli obiettivi di apprendimento, chiedendo allo studente di scegliere fra 4 coppie di affermazioni (es. “preferisco affrontare compiti che so già fare/nuovi che no ho mai affrontato”). Viene calcolato un punteggio per ogni prova: nelle prime due parti, punteggi più bassi si riferiscono ad una teoria prevalentemente entitaria sulla propria intelligenza o personalità, mentre punteggi più alti a teorie di tipo incrementale; punteggi alti nelle parti terza, quarta e quinta corrispondono ad alti livelli di autostima e autoefficacia; infine nella sesta parte i punteggi possono variare tra 0 e 4 e i valori più bassi indicano obiettivi di apprendimento di prestazione, mentre quelli più alti obiettivi di padronanza. - Il Questionario Ansia e Resilienza (QAR; De Beni, et al., 2014) è volto a cogliere l’emozione e l’atteggiamento tipico di fronte agli insuccessi paventati o reali. In particolare, rileva il livello di ansia e il grado di resilienza in situazioni di studio. Si compone di 14 items rispetto ai quali il soggetto deve esprimere il proprio grado di accordo su una scala Likert a 5 punti (da 1 = per nulla a 5 = del tutto). Gli items sono equamente distribuiti nelle due dimensioni: resilienza («Supero l’agitazione e la tensione e mi riprendo dai momenti di difficoltà nello studio») e ansia («Il solo pensiero di affrontare una verifica mi manda nel panico»). Sono calcolati due punteggi relativi ai due fattori: a punteggi alti corrispondono alti livelli del costrutto (Ansia o Resilienza). 2.4 Risultati L’obiettivo della ricerca era l’analisi delle possibili differenze in alcune scale relative allo sviluppo socio-emozionale e cognitivo in ragazzi che praticano sport di squadra e individuale. I due campioni sono stati confrontati con uno di controllo utilizzando la 26
tecnica dell’analisi della varianza (ANOVA) per campioni indipendenti. Nei casi in cui non erano soddisfatti i requisiti per l’utilizzo dell’ANOVA si è scelto un test di tipo non parametrico (Test di Kruskal-Wallis). Nella Tabella 4, sono riportate media e deviazione standard dei punteggi di ogni test nei diversi gruppi e la significatività del modello; mentre nelle Tabelle 5 e 6 sono riportate le differenze nei punteggi per ogni gruppo, la cui significatività è stata calcolata mediante test post hoc (correzione del p-value: metodo Bonferroni). Infine, utilizzando il coefficiente r di Pearson, è stata verificata la presenza di eventuali correlazioni nei punteggi dei test per poter comprendere il tipo di relazione tra i costrutti indagati (si veda la Tabella 16 per una visione d’insieme e le Tabelle 13, 14, 15 per i dettagli). Contrariamente a quanto previsto dalle ipotesi, le differenze nei punteggi dei due campioni di soggetti che praticano sport individuale e di squadra non risultano statisticamente significative in nessuna scala. Tuttavia, in alcuni test si può riscontrare una significatività nella differenza di questi due gruppi rispetto a quello di controllo. In particolare, questo riguarda il test che misura la Grinta (GRIT) e tutte le dimensioni del test che misura l’autostima (TMA), ad eccezione delle scale Interpersonale e Scolastica: in generale, i due campioni composti da atleti presentano punteggi più alti rispetto al gruppo dei non atleti, come ipotizzato. 27
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