Dal mito alla realtà: i costi sociali, economici e ambientali del land grab in Africa

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Idee per l’Europa

          Dal mito alla realtà:
          i costi sociali, economici
          e ambientali del land grab
          in Africa
          di Tanya Alvis

s
      econdo le stime dell’International Food Policy Research Institute (IFPRI) dal
      2006 a livello globale sono stati venduti su larga scala 20 milioni di ettari di ter-
      ra, di cui 9 milioni in Africa1. Il trend sembra destinato a crescere. I sostenito-
ri del land grab (accaparramento delle terre) evidenziano il suo contributo alla crea-
zione di posti di lavoro in ambito rurale e il conseguente miglioramento degli stan-
dard di vita e di sviluppo economico nei paesi meno sviluppati.
    In questo articolo cercherò di mostrare una realtà più complessa, fatta di viola-
zioni dei diritti umani, degrado ambientale, esaurimento di risorse naturali limitate,
aumento dell’insicurezza alimentare, facendo riferimento a esempi della Repubblica
del Sud Sudan, di Mali, Etiopia e Tanzania, così come di altri paesi dell’Africa sub-
sahariana.
    In questo modo cercherò di separare il mito dalla realtà. Ritengo particolarmen-
te importante rendere noti gli effetti deleteri associati a tale accaparramento, tra cui
che 307 milioni di persone continueranno a soffrire la fame mentre i biocarburanti
vengono coltivati al posto del cibo2.
    Oltre all’insicurezza alimentare, anche l’instabilità politica cresce al crescere del
land grab: l’impennata dei prezzi degli alimentari, così come l’accresciuta competi-
zione tra comunità per l’accesso all’acqua e alla terra stanno acuendo la disgregazio-
ne sociale, che può culminare in conflitti civili e guerre tra stati. Gli impatti sociali,
economici e ambientali del land grab, nonostante l’accento sull’Africa subsahariana,
possono essere percepiti globalmente, dall’Honduras all’India. La natura globale del
problema è solo un’altra delle ragioni per affrontare la questione con il livello di se-
rietà che richiede.

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             I motivi di un improvviso interesse
Negli ultimi anni si è assistito a un incremento cumulativo delle vendite e degli ac-
cordi di leasing tra i governi africani e gli investitori stranieri. Sono due i principali
fattori a cui può essere attribuito tale incremento: l’insicurezza alimentare e il boom
dei biocarburanti. La crisi del 2007-2008 ha causato una diffusa volatilità nei prezzi
degli alimentari, che ha costretto gli stati importatori a rivedere la capacità delle pro-
prie filiere alimentari di fornire cibo alle rispettive popolazioni. Effetto collaterale so-
no state accese proteste e il caos politico in oltre 20 nazioni attorno al globo, tra cui
Haiti, lo Yemen, l’Egitto e il Camerun. Tale volatilità, sommata alla limitata dispo-
nibilità di terreni nei paesi importatori, ha spinto le nazioni più ricche ad “acquisire
ampie quantità di terra altrove per produrre cibo per i propri usi nazionali”3. I primi
esempi includono il governo dell’Arabia Saudita, con un accordo per 25.000 ettari
di terra sudanese ed etiopica in cambio di 100 milioni di dollari.4
    L’altro fattore che ha accelerato il land grab è stata l’industria dei biocarburanti e
gli “investimenti speculativi nei prodotti agricoli da parte di grandi investitori, di
fondi sovrani, fondi pensione, hedge fund, e altri istituti di investimento”5. Il boom
dei biocarburanti è stato responsabile in certa misura anche dell’incremento dei prez-
zi degli alimentari che ha determinato la crisi del 2007-2008. L’Unione Europea ha
fissato un obiettivo del 10% di biocarburanti per i trasporti europei, da realizzare en-
tro il 2020, fatto che ha direttamente contribuito all’aumento della domanda di ter-
ra da parte di investitori stranieri in Africa. “Le compagnie europee hanno già ac-
quisito e richiesto 5 milioni di ettari di terreni per le industrie dei biocombustibili
nei paesi in via di sviluppo.”6 Le imprese stanno acquistando migliaia di ettari di ter-
reno per la coltivazione di mais, grano, zucchero di canna, palma, soia e jatropha, da
utilizzare per la produzione di biocarburanti. Il problema è che, a parte la jatropha,
le altre fonti di biocarburante sono anche elementi di base nell’alimentazione dei
paesi in via di sviluppo, e ciò innesca il pericoloso meccanismo della sostituzione del-
le coltivazioni a fini alimentari con quelle a fini energetici, uno dei nodi cruciali del
land grab, in particolare in Africa.

             Gli impatti ambientali
I biocombustibili sono stati descritti come una valida alternativa ai combustibili fos-
sili e sono stati considerati innovativi, eco-compatibili e un passo relativamente sem-
plice verso la sostenibilità; al contempo “un incentivo necessario ai coltivatori e alle
comunità locali in termini di vitalità e nuovi mercati dopo anni di prezzi molto bas-
si per le colture agricole”7. Le ultime ricerche mostrano però che questi argomenti so-
no stati quantomeno sopravvalutati, se non addirittura mitizzati, mentre la realtà ha
tinte piuttosto diverse.

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    I biocarburanti, quando realizzati in maniera sostenibile, attraverso coltivazioni
su piccola scala per i mercati locali, possono essere considerati come un’importante
alternativa ai combustibili fossili, con positive esternalità ambientali. Se si considera
però la modalità con cui vengono effettuate in Africa le necessarie colture da parte di
imprese straniere o statali e i mercati a cui i biocarburanti sono poi destinati, gli at-
tributi positivi diminuiscono drammaticamente. Action Aid evidenzia che in Africa
1,1 milioni di ettari sono stati consegnati all’industria dei biocarburanti destinati al-
l’esportazione. Gli avvocati dei biocarburanti sostengono che le coltivazioni per i
biocarburanti sono impiantate in terreni “marginali” o “inattivi” e in questo modo
gli impatti ambientali sono minimi. Alla prova dei fatti le piantagioni industriali di
biocarburanti hanno comportato la conversione di ampie aree di foresta, torbiere e
praterie, riducendo vitali depositi di carbonio. Inoltre, tali piantagioni utilizzano un
alto livello di fertilizzanti a base di azoto, aumentando la quantità di ossidi di azoto
rilasciati in atmosfera (gli ossidi di azoto sono 300 volte più potenti come gas serra
del biossido di carbonio), con il risultato di rilasciare alla fin dei conti più gas serra
dei combustibili tradizionali.8 Si tratta di un punto essenziale per illustrare l’impatto
negativo che nella realtà i biocarburanti stanno avendo sull’ambiente.
    Altre prove a sostegno di tale posizione sono l’insostenibile quantità di acqua uti-
lizzata dalle piantagioni, anche se i sostenitori dei biocarburanti dichiarano che tali
coltivazioni non utilizzano grandi risorse idriche, come mostrerebbero i terreni “mar-
ginali” in cui vengono cresciute, in realtà piante come la jatropha richiedono enor-
mi quantità di acqua e creano “uno stress insostenibile alla fornitura di acqua dolce
dell’intero continente”9. L’aumentata pressione rischia di avere serie ripercussioni sul
fragile sistema fluviale africano, con conseguenze ecologiche di ampia portata. Due

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                                                                            di rifugiati
                                                                            Nakivale,
                                                                            a 300 km
                                                                            dal confine
                                                                            congolese.
                                                                            Ospita rifugiati
                                                                            da RDC,
                                                                            Rwanda,
                                                                            Somalia, Bu-
                                                                            rundi, Etiopia
                                                                            ed Eritrea.
                                                                            Nov. 2008
                                                                            © ZALMAÏ,
                                                                            Courtesy
                                                                            © UNHCR

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esempi eccellenti sono l’uso delle acque del fiume Omo e del fiume Niger. Dal 2003
il governo etiope ha iniziato a costruire una diga nella valle del fiume Omo, per so-
stenere i progetti di agricoltura su larga scala recentemente approvati nell’area. Co-
me risultato una delle zone più differenziate dal punto di vista culturale ed ecologi-
co dell’Africa subsahariana sarà messa a rischio, attraverso il trasferimento delle po-
polazioni indigene che vivono nella zona e attraverso la prevenzione delle alluvioni
annuali che garantiscono l’equilibrio ecologico dell’intera regione10. Sempre in Etio-
pia, una compagnia saudo-etiope (Saudi Star) ha pianificato di affittare 500.000 et-
tari di terreno per la produzione di riso, con la costruzione di un canale di irrigazio-
ne di circa 30 km che colpirà in maniera drastica i limiti di portata del Nilo, e di con-
seguenza il suo equilibrio ecologico e quello dei milioni di persone che dipendono
dal fiume per la loro sopravvivenza quotidiana11.
    Anche i piani governativi per deviare una grande quantità di acque dal fiume Ni-
ger al fine irrigare le piantagioni di colture alimentari del Mali hanno suscitato
l’allarme di molti ambientalisti. I numeri proposti suggeriscono che dovranno esse-
re irrigati qualcosa come 544.567 ettari, il che richiederebbe più di 500.000 m3 di
acqua. Per capire la portata del prelievo, si tratta della stessa quantità di acqua che la
FAO stima sia stata usata nel 2000 per l’agricoltura di tutto il Mali. In un rapporto
del 2011 l’Oakland Institute sostiene che un tale livello di prelievo avrà impatti im-
portanti sulle popolazioni e sugli ecosistemi a valle del Niger12.

             Uno sviluppo “perverso”
“Perverso” è un aggettivo forte in qualunque circostanza, eppure è quantomai ap-
propriato usarlo per descrivere l’effetto che il land grab sta avendo sullo sviluppo eco-
nomico degli stati subsahariani, specialmente sui piccoli coltivatori e sulle comunità
di sussistenza. Il land grab finisce per indebolire le risorse pubbliche e determinare
costi sociali e ambientali per i paesi meno sviluppati, aggravando la povertà e la fa-
me13. Gli investitori stranieri godono di un’ampia gamma di incentivi che determi-
nano spesso una riduzione drastica del gettito fiscale per i paesi che cedono le terre,
gettito che potrebbe invece essere usato per migliorare le infrastrutture e i servizi di
base. Perverso è un aggettivo adatto alla situazione anche se si considera quali sono
gli attori che facilitano il land grab, ovvero la Banca Mondiale, l’Unione Europea, le
agenzie di sviluppo e le autorità locali e nazionali, tutti quegli attori il cui mandato
sarebbe di incrementare lo sviluppo economico, non di impedirlo. I ruoli di tali at-
tori sarà discusso più avanti.
    Tornando agli incentivi, ci si può chiedere in che modo la possibilità concessa agli
investitori di rimpatriare pienamente i loro profitti, l’esenzione dalle tasse per 10 an-
ni e il pieno diritto a sfruttare le risorse di petrolio, gas e altri minerali porterà allo
sviluppo economico dei paesi africani. Eppure è proprio con questi incentivi che la
maggior parte delle imprese impegnate in “investimenti su larga scala in Africa” ope-

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rano, con il pieno supporto dei governi degli stati ospitanti. EmVest è una di queste
imprese, opera in Mozambico, gode di numerosi incentivi e come risultato di tali in-
centivi il governo del Mozambico rinuncia di fatto ogni anno a circa un milione di
dollari di gettito14. Passando a un altro esempio, il Ministero delle Finanze e dello Svi-
luppo Economico della Sierra Leone ha ammesso che “gli attuali regimi e volume di
richieste per esenzione da imposte e altre tasse hanno teso a erodere seriamente la ba-
se imponibile del paese e intaccato il progresso e l’equità15. Un contro argomento for-
nito da Addax BioEnergy (un’impresa di biocombustibili che opera in Sierra Leone)
sostiene che l’etanolo prodotto incentiverà il mercato energetico della Sierra Leone,
riducendo la sua dipendenza dal petrolio e migliorando così lo sviluppo economico
del paese. A uno sguardo più attento, però, è chiaro che la Sierra Leone non ha un
mercato interno per l’etanolo e quindi meno del 10% dello stesso sarà allocato per
uso locale. Tale scenario non è atipico. Il dato seguente mostra la natura perversa del-
lo sviluppo incoraggiato dal land grab: un report di Uwazi, una ONG dell’Africa
orientale, stima che nel 2009-2010 l’esenzione dalle tasse in Tanzania ammontasse a
circa 695 miliardi di scellini tanzaniani (425 milioni di dollari), più della metà della
somma che il governo stimava di dover prendere in prestito da fonti commerciali per
finanziare le infrastrutture. Se le tasse fossero invece state raccolte, avrebbero fornito
il 40% in più di risorse per l’educazione e il 72% in più di risorse per la sanità pub-
blica nel 2009-201016.
    Lo sviluppo “perverso” associato al land grab è anche responsabile della chiusura di
piccoli canali di irrigazione usati per i campi di un piccolo gruppo di coltivatrici del
Mali, come risultato del progetto LiBYan Malibya, così come lo sgombero di 162.000
coltivatori tanzaniani per fare spazio alle coltivazioni della compagnia AgriSol17.
    Viene spesso affermato che gli impatti negativi del land grab sono compensati dal-
l’alto numero di posti di lavoro generati dagli investimenti; la realtà mostra però che
tali posti di lavoro sono poco pagati e precari. Prendendo ancora una volta Addax
Bioenergy come esempio, i lavoratori locali sono pagati 2,25$ al giorno, e sono pa-
gati per due settimane su tre, con alcune paghe settimanali “trattenute” dai datori di
lavoro18. Non esistono segnali che gli investitori stiano cercando di massimizzare
l’impiego locale. Anche le grandi multinazionali di agribusiness stanno sostenendo a
gran voce il land grab nel tentativo di creare un mercato per le loro colture genetica-
mente modificate, attraverso la strategia di promuovere accordi outgrowing19. Questi
accordi hanno avuto buoni risultati in alcune aree, con un incremento delle entrate
per i coltivatori e la risoluzione del loro problema principale, l’accesso al mercato.
L’adozione di tali accordi comporta però anche alcuni problemi. Uno squilibrato po-
tere contrattuale tra piccoli coltivatori e grandi multinazionali riguardo termini di
pagamento, uso di sementi OGM e di fertilizzanti ha portato a trattamenti iniqui nei
confronti dei coltivatori. Ad esempio usare sementi OGM accresce notevolmente i
costi di investimento a inizio raccolto, incrementando il debito dei piccoli coltivato-
ri. Tali coltivazioni implicano poi una sorta di “tassa sulla tecnologia”, dovendo i pic-

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coli coltivatori acquistare specifici erbicidi e fertilizzanti; al contempo gli stessi colti-
vatori sono costretti ad acquistare il cibo che non possono coltivare, visto che i ter-
mini di utilizzo degli OGM escludono le policolture20. La gravità della situazione è
testimoniata dal numero di suicidi dovuti ai debiti contratti per sementi OGM, che
in un solo stato indiano ammontano a 1.50021.

             I responsabili dello sviluppo “perverso”
Altra questione da affrontare è quella del ruolo giocato dalle varie agenzie di sviluppo,
organizzazioni internazionali e autorità locali nel facilitare il land grab. Nonostante le
crescenti prove che l’attuale land grab africano stia costringendo allo spostamento i
coltivatori, sovrasfruttando risorse naturali limitate e minacciando la sicurezza ali-
mentare, l’Unione Europea, la Banca Mondiale, le agenzie di sviluppo come
USAID, e i governi locali continuano a incoraggiare gli investimenti stranieri nei
terreni agricoli.
    Tali agenzie e organizzazioni stanno promuovendo una crescente privatizzazione
della terra coltivabile, delineando legislazioni favorevoli agli investimenti stranieri e
creando negozi one stop22 con l’aiuto delle Investment Promotion Agencies (IPAs) gui-
date dal braccio privato della Banca Mondiale, la International Finance Corporation.
Lo Zambia è il primo esempio del ruolo che gioca la Banca Mondiale nell’incorag-
giare il land grab in Africa. L’economia zambiana ha sofferto in maniera significativa
a causa delle politiche di aggiustamento strutturale del Fondo Monetario Internazio-
nale a cui è stata costretta nel 1990 come condizione per ottenere i prestiti richiesti.
Seguendo le indicazioni del FMI, lo Zambia ha privatizzato l’industria mineraria e più
recentemente il governo ha esteso la politica delle privatizzazioni al settore terriero, “li-
mitando l’estensione e il potere del sistema terriero tradizionale e andando verso un
modello più privato di legislazione fondiaria ispirata al programma di aggiustamento
strutturale”23. Un esempio è il Lands Act del 1995 che facilita gli investimenti in agri-
coltura e per procura nella terra. Il gruppo della Banca Mondiale ha pubblicamente
ammesso che “tali progetti non stanno portando benefici alle comunità locali”24 ep-
pure continuano a supportare e incoraggiare investimenti terrieri su larga scala attra-
verso la International Finance Corporation e le sue istituzioni sussidiarie.
    Prendendo ora in esame il ruolo delle agenzie di sviluppo, nel 2001 USAID ha
minacciato di negare aiuti vitali al Mozambico se quest’ultimo non avesse incre-
mentato la trasferibilità dei contratti d’affitto dei terreni nel paese. Stessa cosa è av-
venuta per il Mali, il Benin e il Ghana25. Tale posizione particolarmente aggressiva è
stata supportata dalla Millennium Challenge Corporation statunitense, che conti-
nua a giocare un ruolo chiave nell’aiutare i coltivatori africani ad aprire i propri mer-
cati all’agrobusiness USA, promuovendo il mito che la coltivazione industriale è la
chiave per risolvere il problema della sicurezza alimentare26.

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    Un’altra agenzia di sviluppo chiave responsabile della promozione del land grab è
la Commonwealth Development Corporation (CDC), il cui unico azionista è il De-
partment for International Development (DFID) britannico. Il CDC e il Ministero
dell’Agricoltura e delle Foreste del Sud Sudan hanno firmato una concessione relati-
va a 50.000 ettari di foresta naturale di proprietà della comunità locale nella regione
di Lainya. Gli investimenti del CDC sono stati guidati dalla domanda percepita di
legno teak sul mercato internazionale. La comunità locale non è stata consultata ri-
guardo la concessione, i benefici sociali proposti non sono stati interamente erogati,
i posti di lavoro creati dall’investimento sono sotto-pagati e la sicurezza dei lavorato-
ri si è rivelata inadeguata. Inoltre il CDC ha venduto la sua quota di investimenti a
parti terze senza informare né il governo sudanese né le comunità locali. Tale vicen-
da mostra chiaramente la disparità esistente tra la retorica della responsabilità socia-
le dell’impresa, vantata anche da CDC, e la realtà delle azioni intraprese27.
    L’ultimo esempio riguardante il ruolo che gli attori internazionali possono gioca-
re nel land grab africano è il caso di Citadel Capital e del suo venticinquennale con-
tratto di affitto per 105.000 ettari di terra nel Sud Sudan, nello Unity State. Citadel
Capital riceve supporto finanziario da Fondo Monetario Internazionale, Banca di In-
vestimenti Europea e Banca di Sviluppo Africana. Il contratto di Citadel Capital con
il governo dello Unity State è abbastanza fumoso: i tentativi dell’Oakland Institute
di visionare il contratto sono falliti, anche se il commento pubblico della compagnia
affermava che “era fortemente a favore dei locatari”28. Le comunità locali sono state
completamente escluse dalla discussione relativa all’eventuale concessione dei terre-
ni a Citadel Capital. Inoltre, “la mancanza di valutazioni d’impatto ambientale e di
piani di mitigazione accresce le probabilità che il progetto danneggi le comunità lo-
cali”. Guardando agli effetti negativi che Citadel Capital ha avuto sulle comunità lo-
cali del Sud Sudan, è importante rilevare che la Banca di Investimenti Europea ha
continuato a investire sulla compagnia.

          Le violazioni dei diritti umani
Il land grab ha anche portato con sé violazioni dei diritti umani. Il diritto al cibo, al-
la terra, all’acqua, i diritti di genere così come i diritti culturali sono stati tutti signi-
ficativamente minacciati come risultato del land grab. Ciò è direttamente attribuibi-
le ai miti della terra “marginale” o “inutilizzata” portati avanti dai governi ospitanti,
con insufficiente protezione legislativa per le comunità locali. I governi ospitanti
hanno tentato di legittimare i loro ruoli nel facilitare il land grab continuando a so-
stenere che gli investitori stranieri utilizzano terreni “marginali” o “inutilizzati” che
non appartengono a nessuno e a nessuna comunità.
    “Anche se esiste la percezione che la terra sia abbondante in alcuni paesi, in real-
tà le rivendicazioni devono essere trattate con cautela. In molti casi infatti la terra è
già utilizzata o rivendicata, eppure il suo utilizzo e le rivendicazioni ad essa legate fi-

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niscono per non essere riconosciuti perché i suoi utilizzatori sono marginalizzati dal
diritto terriero formale e dall’accesso alla legge e alle istituzioni.”29
    Le comunità spesso sono prive di un diritto certo di possesso sulla loro terra,
perché non detengono un atto legale ufficiale per quelle aree, oltre al fatto che ogni
diritto formale in loro possesso potrebbe essere bypassato dai funzionari governa-
tivi a causa della corruzione e della mancanza di trasparenza30. Una mancanza di
trasparenza e una debole applicazione dei diritti sono caratteristiche ricorrenti nei
casi di land grab considerati finora. Il Land Act del Sud Sudan (2009) riconosce
esplicitamente il diritto terriero consuetudinario. Definisce chiari processi per la
gestione delle terre comuni, incluso il trasferimento; impone che ogni trasferi-
mento di terreni dalla comunità richieda il permesso della rispettiva comunità, de-
finisce tutti gli impatti sociali e ambientali così come i potenziali pacchetti di com-
pensazione31. Eppure, i terreni comuni sono stati usati in maniera fortemente ar-
bitraria dagli ufficiali governativi in Sud Sudan: il Land Act è stato applicato su ba-
si ad hoc, spesso a beneficio di poche élite selezionate all’interno della comunità,
attraverso la corruzione.
    Il caso di Citadel Capital è un esempio lampante di come i diritti terrieri siano le-
galmente riconosciuti ma debolmente applicati. Come illustrato in precedenza, le
comunità che possedevano la terra nello stato di Unity non sono mai state consulta-
te né dal Ministero per l’Agricoltura e le Foreste né dalla compagnia, mentre
l’accordo veniva negoziato. Gli ufficiali governativi hanno deciso di non seguire il
Land Act, firmando un accordo senza richiedere alcun tipo di permesso da parte del-
la comunità proprietaria della terra in questione: una chiara violazione del diritto ter-
riero comunitario.

 Etiopia
 Remote Dolo
 Ado
 Campo
 di rifugiati
 somali
 Courtesy
 © UNHCR /
 P. Wiggers,
 marzo 2009

    74   n   Diario europeo
Idee per l’Europa

     Un altro esempio, sempre relativo al Sud Sudan, coinvolge una compagnia statu-
nitense, Nile Trading and Development, che ha firmato un accordo con la coopera-
tiva Mukaya Payam per 600.000 ettari di terreno di proprietà comunitaria. A uno
sguardo più attento, si è scoperto che la cooperativa Mukaya Payam “era faziosa e
comprendeva un gruppo di influenti nativi che hanno affittato la terra alla Nile sen-
za che la comunità lo sapesse”32. Inoltre, la portata dell’accordo stesso si estendeva al
di là dei confini dell’area Mukaya, dimostrando chiaramente che la presunta coope-
rativa non aveva l’autorità per legittimare o portare avanti l’accordo. Tali discrepan-
ze sono state prese in carico dal governo solo dopo accese proteste della comunità di
Mukaya per essere stata espropriata della sua terra. Questo episodio mostra chiara-
mente che persino quando i diritti terrieri sono riconosciuti e inclusi nella legislazio-
ne vigente i governi nazionali possono fallire nel loro compito di tutela dei diritti dei
piccoli coltivatori o degli altri membri delle comunità locali. Le comunità locali spe-
rimentano una condizione di grande incertezza, a causa della mancata applicazione
dei loro diritti dovuta alla corruzione e a causa del mancato rispetto del processo de-
cisionale tradizionale da parte degli attuali membri della comunità, che agevola i vari
Tom, Dick o Harry a firmare accordi “per conto” della comunità stessa. Situazioni si-
mili a quelle della Mukaya Payam si verificano in molte altre zone dell’Africa subsa-
hariana. La piantagione di biocarburanti nell’area keniota Dakatcha Woodlands da
parte della compagnia italiana Nuove Iniziative Industriali non è che un altro esem-
pio. Nel 2009 il relatore ONU per il diritto al cibo, Olivier de Schutter, ha enfatizza-
to l’importanza del diritto terriero comunitario, affermando che “ogni cambiamen-
to nell’uso della terra può verificarsi solo con il consenso preventivo, libero e infor-
mato, delle comunità locali coinvolte”. È opportuno sottolineare che ogni resistenza
a tali accordi da parte di coltivatori e abitanti locali incontra una reazione spropor-
zionata da parte della polizia, con imprigionamenti arbitrari, percosse e tortura33.
     Un altro esempio di applicazione incerta del diritto al possesso della terra è quel-
lo dello Zambia; qui la legislazione prevede che i terreni comuni possano essere tra-
sferiti a terze parti solamente con il permesso del capo comunità. Per compensare gli
effetti negativi che il trasferimento di terre ha sulle comunità che utilizzano per la lo-
ro sussistenza i terreni comuni, il diritto zambiano impone che i terreni tradizional-
mente detenuti dalle comunità locali siano di proprietà statale e non possano quin-
di essere trasferiti nuovamente alle comunità. Considerato che i capi zambiani cedo-
no vaste aree di terreni comunitari per una bottiglia di whisky o una macchina, ri-
strutturazioni edilizie o regali del genere, si possono immaginare le difficoltà che i
membri delle comunità incontrano ogni giorno34.
     Il mancato accesso alla terra ha poi effetti negativi sugli altri diritti fondamenta-
li: accesso all’acqua, alle risorse alimentari, alle medicine naturali, a redditi comple-
mentari... Ciò è particolarmente vero per gli zambiani, che integrano il prodotto di
base della loro alimentazione, il mais, con bruchi commestibili, funghi e frutta sec-
ca delle foreste comuni.

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Idee per l’Europa

    Di vitale importanza è anche considerare gli effetti negativi del land grab sui di-
ritti delle donne, aspetto sostenuto anche dal parlamento panafricano35. Spesso le
donne non hanno alcun diritto al possesso della terra e non possono altresì parteci-
pare alle discussioni comunitarie sulla terra. Come facilmente immaginabile, le don-
ne sono spesso le prime quindi a essere cacciate quando il land grab viene messo in
atto, visto che la legge non le riconosce come detentrici di diritti di possesso; in se-
condo luogo nei casi in cui il diritto terriero consuetudinario è riconosciuto dalla le-
gislazione ufficiale e quindi l’approvazione della comunità è necessaria, i bisogni del-
le donne saranno comunque by-passati visto che nella maggior parte dei casi non vie-
ne loro concesso di partecipare al processo decisionale comunitario. Ovviamente
questo si traduce in un rafforzamento e consolidamento delle inuguaglianze di ge-
nere all’interno delle comunità36. In Ghana le agenzie di sviluppo hanno riportato
che la diffusione della jatropha sta spingendo le coltivatrici fuori dalla loro terra.
Inoltre la crescente domanda di terra come risultato del land grab accresce
l’insicurezza alimentare e i prezzi degli alimentari; di conseguenza l’alimentazione
femminile probabilmente ne risentirà: essendo generalmente le donne ad avere la re-
sponsabilità di nutrire i nuclei familiari, è molto probabile che in caso di difficoltà
siano loro a saltare i pasti pur di preservare qualcosa per gli altri membri della fami-
glia. Le donne fanno forte affidamento sui ricavi secondari ottenuti grazie all’uso di
materiali delle terre comuni per pagare il cibo e far fronte ad altre necessità di base
della loro famiglia. Il limitato accesso a tali terre come risultato del land grab signifi-
cherà una drastica riduzione di tali ricavi. Le donne ghanesi, ad esempio, fanno affi-
damento sulle aree boschive comuni per raccogliere noci di shea che vendono come
cibo o che usano per produrre cosmetici. È abbastanza ovvio che un accesso limita-
to a tali aree inciderà fortemente sulle loro entrate. Allo stesso modo le donne del
Mali hanno perso l’accesso alle risorse idriche a causa della costruzione dell’immen-
so canale sul fiume Niger per irrigare le piantagioni industriali. Gertrude Kadzo, una
piccola coltivatrice, ha sintetizzato la situazione in maniera perfetta dicendo “i nostri
bambini non potranno andare a scuola, non ci sarà alcun futuro per la nostra comu-
nità se veniamo cacciati da qui”.

             Osservazioni conclusive
Lungi dall’essere la soluzione al problema della sicurezza alimentare, il land grab ha
invece inciso negativamente non solo sull’economia ma anche sulla vita e sui diritti
delle comunità locali.
    I vari governi non si sono impegnati nel promuovere sistemi di gestione agricola
sostenibile, si sono concentrati sulla produzione invece di intervenire su altri aspetti
fondamentali della filiera alimentare, come la conservazione e la distribuzione: co-
struire strade migliori, per esempio, ridurrebbe la quantità di prodotti agricoli persi
a causa di sistemi di conservazione inadeguati, e fornirebbe inoltre maggiori possibi-
lità di accesso ai mercati per i produttori.

    76   n   Diario europeo
Idee per l’Europa

   I governi dovrebbero smetterla di servire gli interessi degli investitori stranieri e
dare invece la priorità ai bisogni delle comunità locali e agli interessi a lungo termi-
ne dei rispettivi paesi.

[Questo articolo è un adattamento della ricerca “Separating Myth from Reality: looking
at the social, economic and environmental costs of land grabs in Africa”. La versione in-
tegrale della ricerca è disponibile sul sito http://www.diarioeuropeo.it, nella sezione
Ideas.]

                                  Traduzione e adattamento dall’inglese di Beatrice Orlandini

Note
   1.   Cfr. D. Headley, S. Malaiyandi, F. Shenggen, Navigating the Perfect Storm: Reflections on the
        Food, Energy and Financial Crises, agosto 2009
        http://www.ifpri.org/sites/default/files/publications/ifpridp00889.pdf [Ultimo accesso 10
        gennaio 2012]
        151 Oxfam Briefing Paper, Land and Power: the growing scandal surrounding the new wave of
        investments in land, 22 settembre 2011
        http://www.oxfam.ca/sites/default/files/imce/land-and-powerbp151-2011-09-22.pdf [Ultimo
        accesso 10 gennaio 2012].
   2.   FAO, Crop Prospects and Food Situation
        http://www.fao.org/docrep/012/ak343e/ak343e00.pdf [Ultimo accesso 11 gennaio 2012].
   3.   151 Oxfam Briefing Paper, Land and Power: the growing scandal surrounding the new wave of
        investments in land, 22 settembre 2011
        http://www.oxfam.ca/sites/default/files/imce/land-and-powerbp151-2011-09-22.pdf [Ultimo
        accesso 10 gennaio 2012].
   4.   FAO, Land Grab or Development Opportunity, 2009
        http://www.fao.org/docrep/011/ak241e/ak241e00.htm [Ultimo accesso 10 gennaio 2012].
   5.   J. Clapp, Food Price Volatility and Vulnerability in the Global South: considering the global
        economic context, in “Third World Quarterly”, Vol. 30, n. 6, 2009, pp. 1183-1196,
        http://dx.doi.org/10.1080/01436590903037481.
   6.   Action Aid, Fuelling Evictions: community cost of EU Biofuels Boom, maggio 2011,
        http://www.actionaid.org.uk/doc_lib/aa_dakatcha_report.pdf [Ultimo accesso 19 dicembre
        2011].
   7.   T. Rice, A. Burton, Meal per Gallon: impact of industrial bio-fuels on people and global hunger,
        febbraio 2010, http://www.actionaid.org.uk/doc_lib/meals_per_gallon_final.pdf [Ultimo
        accesso 19 dicembre 2011].
   8.   Cfr. T. Rice, A. Burton, op. cit.

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Idee per l’Europa

   9.    The Oakland Institute, Understanding Land Investment Deals in Africa: land grabs leaving
         Africa thirsty, 2011
         http://www.oaklandinstitute.org/sites/oaklandinstitute.org/files/OI_brief_land_grabs_leave_a
         frica_thirsty_1.pdf [Ultimo accesso 19 dicembre 2011].
   10.   Cfr. K. Krumova, Land Grabs in Africa Threaten Greater Poverty, 21 settembre 2011. In “The
         Epoch Times”
         http://theepochtimes.com/n2/world/land-grabs-in-africa-threaten-greater-poverty
         [Ultimo accesso 19 dicembre 2011].
   11.   Cfr. F. Pearce, Agribusiness Boom Threatens Key African Wildlife Migration, 7 marzo 2011
         http://e360.yale.edu/feature/agribusiness_boom_threatens_key_african_wildlife_migration/2377
         [Ultimo accesso 8 gennaio 2012].
   12.   Cfr. The Oakland Institute, Understanding Land Investment Deals in Africa: land grabs leaving
         Africa thirsty, 2011
         http://www.oaklandinstitute.org/sites/oaklandinstitute.org/files/OI_brief_land_grabs_leave_africa_thirsty_1.pdf
         [Ultimo accesso 19 dicembre 2011].
   13.   Cfr. Reuters, UN body fails to back “land grabs” code of conduct, 15 ottobre 2010
         http://af.reuters.com/article/topNews/idAFJOE69E0CM20101015?sp=true [Ultimo accesso
         19 dicembre 2011].
   14.   EmVest Investment Proposal Document, Republic of Mozambique EmVest Authorisation
         document, cit. in The Oakland Institute, Understanding Land Investment Deals in Africa: the
         myth of economic development, 2011
         http://www.oaklandinstitute.org/sites/oaklandinstitute.org/files/OI_brief_myth_economic_development_0.pdf
         [Ultimo accesso 19 dicembre 2011].
   15.   Cfr. S. Kamara, Minister of Finance of Economic Development, Direct communication with
         the Oakland Institute, cit. in The Oakland Institute, op. cit.
   16.   Uwazi, Tanzaniaís Tax Exemptions: Are they too high and making us too dependent on
         foreign aid?, 2010, cit. in The Oakland Institute, , op. cit.
   17.   L. Hovil, Naturalisation of refugees in Tanzania, “AllAfrica”, 29 aprile 2010,
         http://allafrica.com/stories/201004290885.html [Ultimo accesso 6 dicembre 2011].
   18.   The Oakland Institute, op. cit.
   19.   Gli schemi “outgrowing” sono contratti tra gli investitori stranieri e i coltivatori locali che
         impegnano i secondi a coltivare le sementi degli investitori. Questi ultimi decidono il tipo di
         coltivazione e stabiliscono il prezzo di mercato del prodotto agricolo, che acquisteranno una
         volta raccolto. Cfr. The Oakland Institute, Understanding Land investment Deals in Africa: the
         myth of job creation, dicembre 2011
         http://www.oaklandinstitute.org/sites/oaklandinstitute.org/files/OI_brief_myth_job_creation_0.pdf
         [Ultimo accesso 19 dicembre 2011].
   20.   Per informazioni più dettagliate sui termini di utilizzo standard degli OGM, v. Monsanto’s
         Insect Resistance Management Brochure, 2011
         http://www.monsanto.com/SiteCollectionDocuments/IRMGrower-Guide.pdf

    78    n   Diario europeo
Idee per l’Europa

      [Ultimo accesso 23 dicembre 2011].
21.   The Independent on Sunday, 1500 Farmers Commit Mass Suicide in India, 14 aprile 2009,
      http://www.independent.co.uk/news/world/asia/1500-farmers-commit-masssuicide-in-india-1669018.html
      [Ultimo accesso 7 gennaio 2012].
22.   “One stop shops” fa riferimento all’IPA, il cui obiettivo è la rimozione delle barriere agli
      investimenti stranieri nelle economie in via di sviluppo: attraverso la rimozione delle barriere
      fiscali e legislative alle industrie straniere, assicurano loro un’entrata semplificata sui mercati.
      Un buon esempio è la Zambian Development Agency (ZDA).
      Vedi http://www.zda.org.zm/node/288/.
23.   The Oakland Institute, Understanding Land Investments in Africa, Country Report: Zambia, dic. 2011,
      http://www.oaklandinstitute.org/sites/oaklandinstitute.org/files/OI_country_report_zambia.pdf
      [Ultimo accesso 19 dicembre 2011].
24.   Against the Grain, The World Bank in the Hot Seat, 4                                 maggio     2010,
      http://farmland.org/post/view/12717 [Ultimo accesso 19 dicembre 2011].
25.   Against the Grain, Turning African Farmland over to Big Business, 13 aprile 2010,
      http://www.grain.org/article/entries/4062-turning-african-farmland-over-to-big-business
      [Ultimo accesso 11 gennaio 2012].
26.   Cfr. The Oakland Institute, Understanding Land Investments in Africa, Country Report: South
      Sudan, dicembre 2011
      http://www.oaklandinstitute.org/sites/oaklandinstitute.org/files/OI_country_report_south_sudan_1.pdf
      [Ultimo accesso 19 dicembre 2011].
27.   Ibidem.
28.   Ibidem.
29.   FAO, Land Grab or Development Opportunity, 2009
      http://www.fao.org/docrep/011/ak241e/ak241e00.htm [Ultimo accesso 10 gennaio 2012].
30.   Per una discussione più dettagliata sulle violazioni dei diritti umani a seguito di un diritto
      terriero incerto vedi B. Mugarura, Ndemeye, Micro-study: Batwa Land Rights In Rwanda,
      Africa Minority Rights Group International.
31.   Per maggiori informazioni sul Land Act 2009, vedi
      http://www.landgovernance.org/system/files/Sudan%20%20Factsheet%20landac%20april%202011.pdf
      [Ultimo accesso 7 gennaio 2012].
32.   The Oakland Institute, Understanding Land Investments in Africa, Country Report: South
      Sudan, op. cit.
33.   K. Krumova, Land Grabs in Africa Threaten Greater Poverty, “The Epoch Times”, 21
      settembre 2011 http://theepochtimes.com/n2/world/land-grabs-in-africa-threaten-greater-poverty
      [Ultimo accesso 19 dicembre 2011].
34.   The Oakland Institute, Understanding Land Investments in Africa, Country Report: Zambia,
      dicembre 2011, p. 33
      http://www.oaklandinstitute.org/sites/oaklandinstitute.org/files/OI_country_report_zambia.pdf

                                                                             Diario europeo          n     79
Idee per l’Europa

         [Ultimo accesso 19 dicembre 2011].
   35.   Pan-African Parliament, Draft Resolution on Land Grabs, Farmland Grab, 22 luglio 2011,
         http://farmalandgrab.org/post/view/19484 [Ultimo accesso 19 dicembre 2011].
   36.   J. Behrman, R. Meinzen-Dick, A. Quisumbing, The Gender Implications of Large Scale Land
         Deals, IFRPI Policy Brief 17, aprile 2011
         http://www.ifpri .org/sites/default/files/publications/bp017.pdf [Ultimo accesso 12 gennaio
         2012].

   80     n   Diario europeo
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