Cosa sono gli adeguati assetti organizzativi? - Studio ing ...
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Cosa sono gli adeguati assetti organizzativi? Il nuovo art. 2086 del Codice Civile riporta quanto segue: “Gestione dell’impresa 1. L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. 2. L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.” Le PMI si stanno adeguando? Già dal marzo 2019, con il Codice della Crisi, tutti gli Amministratori d’Impresa che non si saranno dotati di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili capaci di intercettare in tempo utile le avvisaglie delle eventuali crisi dell’impresa e la perdita della continuità aziendale, sono tenuti a rispondere anche con il proprio patrimonio in caso di insolvenza (il VI comma dell’art. 2476 C.C. infatti, ha fatto sorgere in capo agli amministratori, che non hanno adeguatamente protetto l’azienda e quindi non hanno adottato le disposizione dell’art. 2086 II comma C.C., la responsabilità diretta, solidale dei debiti della società). Purtroppo, la crisi derivante dal Covid (non per tutti, anzi) ha fatto dimenticare questo adempimento, ma le novità legislative hanno di fatto introdotto la necessità, per le imprese, di dotarsi di strumenti in grado di rilevare e superare la crisi e recuperare la continuità aziendale. Non solo gli Amministratori, ma anche i sindaci e i revisori di società sono di fatto tenuti alla verifica della corretta
applicazione di suddette norme a pena di una corresponsabilità nel caso in cui sopraggiunga una crisi dell’impresa- Come in altre situazioni (ad es. efficacia del Modello Organizzativo ex D.Lgs 231/2001) saranno i Giudici dei Tribunali a stabilire se un’azienda ha adottato un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile? Purtroppo sì e sta già accadendo. Se da un lato sono stati definiti degli indicatori di allerta per rilevare le avvisaglie della crisi di impresa, il loro calcolo può presentarsi talvolta non pienamente attendibile e, comunque, non può rappresentare la dimostrazione di aver adottato un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile. Tali indicatori di early warning, infatti, sono i seguenti: 1. Patrimonio netto: se negativo, indica una situazione di piena crisi; 2. DSCR previsionale a 6 mesi: è un Indicatore predittivo in quanto indica la sostenibilità dei debiti almeno per i 6 mesi successivi. Non deve essere < 1Rapporto Oneri finanziari / ricavi: non deve essere superiore ai valori soglia 1,5%-3,8% nelle rispettive aree settoriali; 3. Rapporto Oneri finanziari / ricavi: non deve essere superiore ai valori soglia 1,5%-3,8% nelle rispettive aree settoriali; 4. Rapporto Patrimonio netto / mezzi di terzi: non deve essere inferiore ai valori soglia che oscillano tra 2,3%- 9,4%; 5. Rapporto Attivo a breve/Passivo a breve: non deve essere inferiore ai valori soglia che variano dal 69,8% al 108%; 6. Rapporto Cash flow/attivo: i valori soglia proposti variano da un minimo del 0,3% ad un massimo del 1,9%. Qualche dettaglio ulteriore sul DSCR (Debt Service Coverage Ratio): è il «rapporto di copertura del servizio del debito». È un indice che misura la sostenibilità finanziaria del debito aziendale, cioè la capacità futura (nei prossimi 6 mesi) di un’impresa di onorare i propri debiti finanziari con i flussi di cassa generati dalla gestione operativa. Il DSCR è un indice che ha al numeratore il “cash flow operativo” e al denominatore il “cash flow al servizio del debito”. È un indice importante, perché ci fa capire se un’azienda produce, dalla sua gestione caratteristica, un ammontare di cassa sufficiente a pagare i debiti contratti. Esso, dunque, si calcola come rapporto tra il cash flow prodotto dalla gestione operativa (numeratore) e gli impegni finanziari assunti in termini di quota capitale ed interesse oggetto di rimborso nell’orizzonte temporale considerato (denominatore). Lo strumento consente di valutare la sostenibilità dell’indebitamento in ottica prospettica: il periodo da considerare sono i 6 mesi successivi all’analisi. Vengono inseriti quindi sia gli interessi che la quota di debiti da rimborsare, così come previsto dai piani di ammortamento. Dunque forse solo quest’ultimo indicatore ha una prospettiva futura attendibile,
anche se le previsioni sugli incassi di alcuni crediti spesso possono essere molto soggettive. Del resto tutti gli indicatori che derivano dall’analisi di bilancio (i c.d. indici di bilancio) presentano la carenza intrinseca di essere calcolati a consuntivo, dopo l’approvazione del bilancio, dunque con un ritardo eccessivo rispetto al momento in cui si sono svolti i fatti che hanno provocato gli effetti sul bilancio raccontati dagli appositi indici. Gli stessi indici possono altresì essere calcolati con maggior frequenza e maggior tempestività, ma risentono comunque di u n elevato livello di imprecisione, dipendente dalle caratteristiche dell’azienda (ad es. le imprese di servizi che operano su commessa non possono essere monitorate nel breve periodo da ricavi e cash flow a breve). Sono tutti d’accordo che per dimostrare di aver adottato adeguati assetti organizzativi ci vuole altro, ma cosa? Da parte di diversi soggetti (tra cui Enti come il CNDCEC e ASSONIME), esperti in vari settori, sono “sbocciate” diverse soluzioni e strumenti correlati che hanno lo scopo di affrontare il monitoraggio dell’andamento dell’impresa da diversi punti di vista. Un elenco, per nulla esaustivo, degli strumenti ritenuti necessari (ma non sempre sufficienti) per dimostrare di aver adottato adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili può essere il seguente: Cruscotti /dashboard di indicatori di vario tipo, quantitativi e/o qualitativi Balanced scorecard Sistema di gestione per la qualità ISO 9001 e relativa certificazione Modello organizzativo secondo il D. Lgs 231 Credit Risk Management System (CRMS) comprendente l’addendum EFRMS e relativa certificazione EFRMS 14:2019 Economical Financial Risk Management System Analisi SWOT e analisi del contesto Mappa strategica Business Plan Valutazione dei rischi di business Innovation Management Modello UMIQ Controllo di gestione Budgeting Pianificazione strategica Organigramma e mansionario, job description Procedure documentate che descrivono i processi aziendali Software Gestionali e MES
Ecc. Premesso che un po’ tutti questi strumenti possono essere utili, ma non indispensabili, ritengo che ogni Società dovrebbe identificare i propri obiettivi di business e cercare di raggiungerli attraverso una pianificazione strategica che preveda il monitoraggio di indicatori in grado di misurare tutti i processi aziendali. In pratica è quello che si prevede nella norma ISO 9001 e nella norma ISO 9004, ma purtroppo poche aziende hanno recepito nel modo corretto questi principi. Sicuramente le Balanced Scorecard, attraverso le quattro prospettive, hanno ben accolto l’esigenza di monitorare non solo gli aspetti finanziari o non solo quelli produttivi. Ma non si limitano a questo, la metodologia di Kaplan e Norton è molto più ampia. Alcuni modelli per il calcolo di indicatori hanno il difetto di rispondere ad una valutazione puramente qualitativa e soggettiva ad alcune domande di una check- list/questionario, senza entrar nella specificità delle dinamiche aziendali. Il modello di gestione aziendale che prevede assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati è sicuramente quel modello che si dimostra più efficace (ed anche efficiente) per monitorare l’andamento aziendale e, quindi, anche in grado di prevedere con elevato livello di attendibilità l’immediato futuro. Quindi, unitamente agli indicatori di early warning sopra menzionati, permette all’imprenditore di “alzare la mano” e chiedere aiuto prima che la crisi aziendale diventi irreversibile e, dunque, rivolgersi all’OCRI, l’Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa appositamente predisposto ed in conclusione di evitare lo spettro della “bancarotta fraudolenta” che il Legislatore paventa per quegli amministratori che non hanno dotato l’impresa di adeguati assetti organizzativi. La misurazione dei processi aziendali dev’essere tempestiva e con frequenza adeguata a rilevare trend negativi che potrebbero consigliare l’adozione di azioni correttive tempestive per correggere la rotta. Come sopra anticipato (e previsto anche dalla teoria delle Balanced Scorecard) è necessario tenere sotto controllo anche obiettivi ed indicatori legati allo sviluppo dell’impresa, alla conservazione ed acquisizione delle conoscenze necessarie per migliorare, alla formazione del personale, all’innovazione tecnologica. Sappiamo che i bilanci non sono sempre buoni indicatori dello stato di salute di un’azienda, non solo per il ritardo con il quale vengono consuntivati i valori economico-finanziari ivi contenuti, ma anche perché potrebbero nascondere inefficienze ed obsolescenza dell’impresa, soprattutto in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, nel quale la digitalizzazione e l’innovazione tecnologica è fondamentale per accrescere il valore dell’impresa. In conclusione ogni azienda ha dei processi che rivestono un’importanza relativa
diversa e dovrebbe individuare un set di indicatori idoneo a misurare i suoi processi. Spesso, però, gli indicatori più idonei a misurare l’andamento di determinati processi aziendali necessitano di dati affidabili ed aggiornati, desunti possibilmente dai sistemi informativi aziendali. Questi ultimi rivestono, pertanto, un ruolo fondamentale anche nel dimostrare di avere adeguati assetti organizzativi. Quale controllo di gestione ci attende nel 2021 Il 2020 ci ha portato la pandemia di Coronavirus, che può essere classificato come uno degli eventi più destabilizzanti dell’economia mondiale negli ultimi 10 anni, paragonabile solo alle grandi guerre a livello mondiale. Secondo la teoria della Business Continuity si tratta di una “disruption” (tradotto come “interruzione”, “disturbo” o “dissesto”) che, secondo la norma UNI EN ISO 22301 (Sistemi di gestione della continuità operativa) viene inteso come un incidente o evento (positivo o negativo) che provoca una interruzione nell’erogazione di prodotti e/o servizi. Ma in quest’articolo non vorrei parlare di questa tematica e della resilienza necessaria alle imprese per riprendere le attività produttive o di erogazione di servizi in modo sufficientemente accettabile per tutte le parti interessate, bensì di come le imprese – soprattutto quelle medio piccole – dovrebbero modificare il loro approccio al controllo della gestione aziendale. Da un punto di vista economico il Covid-19 ha portato a rivoluzionare molti punti fermi della teoria del controllo di gestione e molte assunzioni ed approssimazioni, ritenute pienamente accettabili e condivisibili un anno fa, oggi diventano estremamente imprecise.
DIverse aziende in questo periodo hanno profondamente mutato il modo di lavorare ed anche costi e ricavi ne hanno risentito. Non tutti e per tutti in senso negativo: indubbiamente in alcuni settori alcune realtà hanno visto incrementare i ricavi, altre hanno visto diminuire alcuni costi ed accrescerne altri. Questi fenomeni hanno portato, come conseguenza, a non poter ritenere come quasi invariabili alcuni costi e/o variabili solo in modesta misura i ricavi. Prima si doveva poter prevedere una crescita dei ricavi del 10-15% al massimo o una decrescita degli stessi di percentuali analoghe, ora il 2020 per molte realtà si è prospettato come un anno con decrementi di fatturato molto più significativi, parzialmente compensati da un calo di alcuni costi in maniera altrettanto significativa (si pensi, ad es., alla Cassa Integrazione che – ritardi a parte – ha contribuito alla diminuzione dei costi del personale dipendente in molte aziende). Anche solo la modalità di lavoro in smart-working ha comportato per diverse imprese la variazione di diverse voci di costo: da un lato si sono ridotti alcuni costi – quali ad es. quelli relativi alle utenze di energia elettrica -, dall’altro si sono registrati costi straordinari – ad es. per pulizie aggiuntive e sanificazioni dei locali, implementazione di procedure e processi ICT per consentire il lavoro da remoto – e di conseguenza si rende necessaria una revisione delle politiche di consuntivazione e previsione dei costi stessi. A fine 2020 (o inizio 2021 vista l’incertezza della situazione pandemica mondiale) le imprese si sono trovate a dover pianificare le attività per il 2021 e predisporre il relativo budget dei ricavi e dei costi. Purtroppo, molte aziende non sono in grado di ipotizzare né l’uno né l’altro con un livello di approssimazione accettabile. Quindi come bisogna operare? Lasciar perdere tutto e vivere alla giornata? Certamente no. Occorre ripensare ai costi ed ai ricavi registrati nel 2020 e ripensare i consuntivi dell’anno appena passato e le previsioni per il 2021. Non potendo fare previsioni a medio-lungo termine è importante fare previsioni a breve ed aggiornarle costantemente in base ai risultati raggiunti nell’ultimo periodo. Guardando al 2020 e proiettando l’esperienza nel 2021 bisogna rivedere i criteri di ripartizione dei costi fissi (si veda gli articolo Abbattere i costi fissi o ridurre realmente tutti costi?, Valutare correttamente i costi indiretti ed i costi fissi, I centri di costo, questi sconosciuti) che non sono più così stabili al variare dei ricavi, così come i costi variabili che non variano più in modo proporzionale ai ricavi. Infatti, oltre una certa percentuale di variazione dei ricavi (in diminuzione, ma anche in crescita talvolta) alcuni costi possono avere un andamento non direttamente proporzionale ai ricavi. Questo perché alcuni costi direttamente imputabili alla produzione (o erogazione di servizi) non variano in modo proporzionale ai ricavi o ai volumi produttivi. Se i ricavi calano perché i prodotti e/o servizi si vendono in misura inferiore e con tempi più lunghi, la produzione potrebbe accumulare scorte di prodotti finiti invenduti. Dunque, il processo
produttivo potrebbe rallentare in misura inferiore o ritardata rispetto all’andamento dei ricavi. Di contro le imprese non hanno potuto ridurre conseguentemente i costi del personale diretto (salvo il ricorso alla Cassa Integrazione) e delle altre risorse produttive dirette. Facciamo un esempio per chiarire meglio questo concetto: se nel corso dell’ultimo anno la mia autovettura ha percorso 10.000 km anziché i consueti 30.000, sicuramente ho risparmiato in misura proporzionale i costi del carburante, ma la manutenzione generale (cambio olio, ecc.) comunque la dovrei sostenere ugualmente, gli pneumatici si saranno usurati meno, ma comunque il cambio pneumatici estivi-invernali lo devo sostenere ugualmente. Lo stesso accade per gli impianti produttivi. Poi occorre analizzare la gestione – ed i relativi costi – del personale indiretto. Purtroppo, alcune imprese, nel tentativo di ridurre i costi del personale all’inizio della pandemia, hanno fatto un ricorso dissennato alla Cassa Integrazione ed alle ferie “obbligate” dei propri dipendenti, mettendo “a riposo forzato” le risorse che ne avevano i requisiti da un punto di vista “contabile”, magari depauperando interi reparti vitali per il prosieguo dell’attività dell’azienda. Come in tutte le situazioni di crisi (economica, pandemica, dovuta a disastri naturali, ecc.) si avvantaggia chi dispone di sistemi di monitoraggio e misurazione dei parametri produttivi ed economici precisi e tempestivi e che, quindi, è in grado di reagire tempestivamente con azioni correttive consapevoli alle variazioni degli indicatori principali. Quindi quando le previsioni saltano è comunque importante avere una consuntivazione tempestiva e precisa. Il successo durevole dell’azienda dipende poi dalla lungimiranza del management, dalla corretta lettura degli indicatori, da una efficace analisi dei rischi. Su quest’ultimo punto – è bene ribadirlo – molte imprese si giocano il loro futuro; infatti, si presentano molte situazioni che possono essere considerate come minacce od opportunità: Concedere credito a clienti in difficoltà al fine di mantenerne la fiducia?
Come gestire le richieste di revisione dei contratti provenienti dal cliente? Procedere con acquisti di materia prima in lotti economici prevedendo un certo andamento delle vendite di prodotti finiti? Come gestire il rischio di contagio all’interno dell’azienda? Ricorrere allo smart-working sempre, dove possibile? Investire in misure di protezione sanitaria maggiormente efficaci per scongiurare i contagi? Investire nei sistemi informatici per garantire la continuità operativa anche da remoto? Investire in innovazione tecnologica dei sistemi ICT sfruttando i benefici del piano Industria 4.0? Utilizzare il tempo a disposizione del personale dovuto dal calo delle vendite per formare le risorse umane? Potenziare gli strumenti di commercializzazione dei prodotti on-line, attraverso il miglioramento del sito web, delle attività di web-marketing o introducendo sistemi di e-commerce? Rinegoziare i contratti per la fornitura di alcuni servizi (ad es. energia elettrica per le aziende più energivore) per adeguarsi al nuovo contesto? Pianificare periodi di chiusura aziendale per ridurre non solo i costi del personale, ma anche quelli legati dai consumi (energia elettrica, riscaldamento, ecc.)? Non esiste una ricetta vincente. Ogni realtà merita un’analisi approfondita del contesto esterno (clienti, fornitori, situazione ambientale, contesto normativo, mercato, …) ed interno (fattori produttivi, risorse umane e tecnologiche, …) per poter decidere quali azioni è opportuno intraprendere e potrebbe essere utile un’analisi SWOT dettagliata per rendere edotto l’imprenditore sulla situazione. Si eda anche l’articolo L’aggiornamento della valutazione dei rischi dopo la pandemia. Come conseguenza di tutte queste variabili da riconsiderare c’è da ricalcolare il costo del prodotto o servizio (vedasi anche l’articolo Come calcolare il costo “vero” del prodotto). Infatti, occorre considerare che diversi valori di input che contribuiscono al calcolo del costo del prodotto (e, conseguentemente dei margini di contribuzione e del prezzo) sono variati, anche in modo sensibile; per cui si potrebbe rivalutare l’economicità di un prezzo o della produzione di un determinato prodotto. Apparentemente sembrerebbe in controtendenza aumentare i prezzi dei prodotti quando tutti i clienti cercano di ridurre i costi, ma se la produzione si riduce oltre un certo limite i costi indiretti incidono in misura sempre maggiore sui costi dei singoli prodotti e si rischierebbe di produrre in perdita. Naturalmente occorre svolgere un’attenta analisi del mercato, non fermandosi a valutare il comportamento dei propri clienti, ma provare ad immaginare il comportamento del cliente finale, ovvero l’utente, il consumatore. Molte PMI italiane, infatti, si trovano collocate in catene produttive molto articolate che assomigliano più a reti ad albero o strutture reticolari, piuttosto che a catene vere e proprie. Prendiamo ad esempio la filiera produttiva dell’automotive: a fronte di un costruttore di auto/moto che vende il suo veicolo sul mercato ci sono N
componenti che costituiscono il primo livello della distinta base del prodotto e per ogni componente ci sono M altri componenti e per ognuno di essi ci possono essere più fornitori e così via. Una piccola o media impresa che produce componenti meccanici conto terzi (ce ne sono tantissime nel nostro territorio) spesso si trova oltre il quarto o quinto livello nella catena di fornitura del prodotto finale e questa filiera talvolta non rimane tutta sul territorio nazionale. Dunque, l’analisi del mercato diventa molto complessa, soprattutto in questo periodo di pandemia, quando la catena di fornitura si potrebbe spezzare o rallentare fortemente semplicemente perché un’azienda si trova in un territorio fortemente colpito dal virus o è essa stessa bloccata da contagi interni. In alcuni casi dall’analisi del mercato e degli indicatori economici e produttivi interni all’impresa è opportuno prevedere un riposizionamento sul mercato implementando la produzione di prodotti diversi (vedasi il caso delle aziende convertitesi alla produzione di mascherine) o in diverso formato. Tipico è il caso della filiera dell’industria alimentare, a partire dalla materia prima fino ad arrivare ai prodotti venduti all’ingrosso o al dettaglio. In conclusione, quali sono gli strumenti per gestire la resilienza (probabilmente siamo ancora in questa fase) e la ripresa che verrà? Occorre disporre di dati affidabili e puntuali sull’andamento dei fattori produttivi, dei costi e dei ricavi; sistemi ICT in grado di raccogliere ed analizzare i dati raccolti e trasformarli in indicatori (KPI) attendibili; sistemi informatici robusti a supporto dei processi aziendali per garantire costantemente la continuità operativa; capacità di analizzare dati e indicatori a consuntivo capacità di analizzare il mercato e di prevederne l’andamento futuro; capacità di valutare tutti i rischi di impresa e di trattarli in modo adeguato. Per approfondimenti consulta i testi: Gli indicatori di performance aziendali Il controllo di gestione nelle piccolle imprese di servizi che operano su commessa
Pubblicato l’Elenco degli Innovation Manager Il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) ha pubblicato nei giorni scorsi l’Elenco degli Innovation Manager, ovvero dei consulenti liberi professionisti e delle società di consulenza che potranno aiutare le aziende che ne faranno domanda a sviluppare l’innovazione tecnologica ed organizzativa dei loro processi usufruendo di importanti agevolazioni statali. Le indicazioni dettagliate per le imprese che desiderano usufruire di questo finanziamento si possono trovare al sito del MISE cliccando QUI. In pratica una Piccola o Micro Impresa può usufruire di un Voucher per consulenza negli ambiti previsti dal Decreto Ministeriale del 30 agosto 2019 per il 50% delle spese sostenute fino ad un massimo di € 80.000. Per imprese più grandi e Reti di Impresa l’agevolazione è proporzionalmente inferiore. Un articolo che illustra in modo chiaro e preciso le modalità di erogazione del finanziamento si può trovare a questo link. Poiché l’occasione è ghiotta per le aziende, ma anche per i consulenti (si può ottenere un contratto di consulenza fino a € 80.000 facendone pagare al cliente solo la metà), occorre fare attenzione – lato impresa che vuole innovare – alla scelta dell’Innovation Manager giusto; infatti facendo una semplice ricerca su Google si trovano diversi siti che parlano dell’argomento, alcuni dei quali che pubblicano elenchi ristretti o vetrine di Innovation Manager con lo scopo di mettere in evidenza solo i profili che si desidera o quelli che hanno pagato per comparire nella vetrina. Bene l’unico elenco ufficiale e completo degli Innovation Manager (circa 9000) approvati dal MISE è reperibile a questo link Elenco Innovation Manager MISE. Ogni consulente/società di consulenza è suddiviso per regione dove intende operare e per ambito di specializzazione. Dunque in base al tipo di progetto che l’impresa intende sviluppare dovrà rivolgersi ad uno degli Innovation Manager che presentano i requisiti di specializzazione adeguati.
E’ opportuno chiarire che le specializzazioni dichiarate – ed in generale tutti i requisiti dichiarati dagli Innovation Manager – non sono stati probabilmente verificati dal MISE con ulteriore documentazione oltre ai curriculum vitae presentati, sebbene tutti i candidati abbiano sottoscritto una dichiarazione ai sensi del DPR 445/2000 sulla veridicità di quanto dichiarato. La cattiva notizia è che i tempi per le Imprese per richiedere il Voucher Innovazione sono strettissimi (scadenza 26/11/2019, salvo proroghe. Al link seguente Scheda Innovation Manager potrete trovare la scheda del sottoscritto. Fatturazione elettronica? Si grazie Come tutti ormai sanno la fatturazione elettronica B2B è diventata obbligatoria dallo scorso 1° gennaio per tutti o quasi. Al di là degli oserei dire inevitabili problemi tecnici che si stanno rilevando per mettere a regime questa rivoluzione contabile e fiscale del nostro Paese, credo sia opportuno capire meglio gli effetti di questa innovazione. Già perché di una grande innovazione tecnologica si tratta ed il fatto che il nostro Paese sia tra I primi ad adottarla in Europa deve, una volta tanto, farci pensare positivo, di essere all’avanguardia. Invece molti dicono: «ma gli altri Paesi non ce l’hanno!» Come tutte le innovazioni occorre un po’ di impegno e di risorse per arrivare a regime, ma questo non deve far ritenere che sia una cosa sbagliata. Occorrerà “soffrire” un po’ per imparare ed abituarsi a questa nuova modalità di fatturazione, ma alla fine i vantaggi saranno notevoli.
Da parte dello Stato e del Fisco (Agenzia delle Entrate) ci saranno innumerevoli vantaggi: comunicazione tempestiva delle fatture emesse, maggior controllo su potenziali evasioni fiscali ed altri reati, omogeneità dei dati in formato elettronico standard, maggior possibilità di effettuare controlli incrociati, ecc. Ma vorrei analizzare i vantaggi dal punto di vista delle imprese e dei professionisti, fermo restando che bisogna dare per scontato che la possibilità di evasioni e truffe ai danni dello Stato non deve essere considerata una penalizzazione. Premesso ciò il nuovo sistema obbliga le imprese ed i professionisti (eventualmente attraverso i rispettivi commercialisti) a dotarsi di un applicativo web per l’invio delle fatture elettroniche (o di adottare quello messo a disposizione dalla AE), A parte singoli liberi professionisti o imprese individuali di imprenditori di ridotte capacità di utilizzo di strumenti informatici, la scelta di adottare la soluzione proposta dal proprio software gestionale oppure di dotarsi di un nuovo applicativo dedicato è sicuramente quella vincente. Tali soluzioni permetteranno alle aziende di disporre delle fatture attive già registrate in contabilità al momento dell’emissione e del relativo pagamento e di registrare le fatture passive al momento della ricezione, o poco tempo dopo, con un minimo inserimento di dati. Questo significa eliminazione completa del documento cartaceo e riduzione della probabilità di commettere errori, ovvero riduzione dei costi del processo contabile. Soprattutto per le piccole imprese, che magari emettevano le fatture con un software e poi il consulente fiscale le reinseriva nel proprio applicativo di contabilità. Niente più pile di carta di fatture da registrare (e da pagare), niente più fatture non ricevute con inevitabili solleciti del fornitore, niente più paure che un’errata registrazione possa comportare sanzioni fiscali. Per arrivare al processo amministrativo-contabile perfetto basterebbe rendere automatici i pagamenti in base ai termini pattuiti, ma questo è un altro discorso… sebbene volendo lo Stato potrebbe ovviare a questa mala-abitudine di molte imprese italiane di ritardare I pagamenti oltre ogni limite. Certamente questa rivoluzione dei processi contabili porterà dei vantaggi alle aziende che avranno saputo cogliere questa opportunità per migliorare la propria efficienza. Chi avrà deciso di affidarsi a servizi di fatturazione elettronica di terzi, ad esempio della Banca o di provider a basso costo, piuttosto che sposare le soluzioni integrate in un proprio gestionale, pagherà
dazio nei prossimi anni perché si troverà a duplicare le registrazioni o a pagare uno Studio Commercialista esterno per un servizio in più. A proposito dei Commercialisti: molti di loro che hanno tenuto la contabilità dei clienti si vedranno eliminare questo servizio per i clienti che avranno deciso di seguire il proprio applicativo gestionale, dunque i compensi per le loro prestazioni dovranno inevitabilmente diminuire, magari non subito, ma nel medio periodo. Purtroppo oggi esistono imprese che ancora non dispongono di un software gestionale, almeno per gestire ordini e fatture, e forse avranno colto anche loro questa opportunità di informatizzare la gestione di alcuni processi. Parliamoci chiaro, un’impresa che fattura almeno 500 mila euro oggigiorno non può non disporre di un software gestionale per la propria attività. La rivoluzione dei processi contabili, forzata dalla fatturazione elettronica, poterà anche ad una rivalutazione nelle risorse umane e delle relative competenze. Anche certe abitudini delle nostre imprese di fatturare le prestazioni a scadenze definite (ad es. metà e fine mese) dovranno essere riviste; perché a parte il primo periodo di messa a regime della fatturazione elettronica, fra pochi mesi per emettere una fattura con data ad es. 30 maggio, non si potrà aspettare il 5 o 6 giugno e i tempi fra consuntivazione delle vendite di prodotti e servizi e loro fatturazione dovranno essere rivisti. Da un lato, dunque, cerchiamo di capire bene come funzionerà questo nuovo sistema, dall’altro pensiamo anche come riprogettare il processo contabile per non trovarsi in difficoltà e non dover sopportare maggiori costi. Infine, il problema di privacy, evidenziato dal Garante per la Protezione dei Dati Personali quando ormai mancava poco tempo all’avvio della fatturazione elettronica obbligatoria fra privati. Si potrebbe osservare che ci potevano pensare prima, Agenzia delle Entrate nel progettare il sistema e Garante nell’esaminare il contesto. In realtà sono stati posti molti interrogativi, anche piuttosto inquietanti, sul possibile utilizzo dei dati di fatturazione elettronica gestiti nelle varie piattaforme software e dai provider di conservazione sostitutiva. Mi sembra chiaro che è a prescindere vietato sfruttare i dati presenti nelle piattaforme per ricavare dati statistici significativi, salvo che i titolari di tali dati non ne concedano il permesso.
Sul fronte più squisitamente tecnico della sicurezza informatica ci si pone l’interrogativo se siano sicure tutte queste fatture, anche contenenti dati sensibili se relative a prestazioni sanitarie, nei database conservati dai provider dei vari applicativi per la fatturazione elettronica. E il famigerato SDI dell’Agenzia delle Entrate? Verrebbe invece da chiedersi quanto siano sicuri i dati conservati nei software gestionali di contabilità nei vari server aziendali (o PC di piccole imprese e professionisti della sanità), relativamente alle fatture gestite informaticamente finora. Opportunità per le imprese con il Piano Industria 4.0 In questi mesi si sente parlare molto delle agevolazioni fiscali per le imprese relative al Piano Industry 4.0, promosso già dal Governo Renzi in autunno 2016. Cerchiamo, in questo articolo, di capire meglio quali sono le reali opportunità per le imprese ed i vincoli che la Legge pone per usufruire degli incentivi, anche per capire in quali situazioni conviene realmente investire in questa direzione, al fine di non trovarsi brutte sorprese ad investimenti effettuati. Il focus del Piano Industria 4.0 è il settore manifatturiero, esso punta alla digitalizzazione delle imprese produttrici, anche se non sono completamente escluse le aziende di servizi. Il fine del Governo è quello di incrementare gli investimenti nelle imprese, che al momento latitano e vedono il nostro Paese indietro rispetto al resto d’Europa. La carenza di investimenti è molto probabilmente la principale causa della crescita bassa (in termini di “zero virgola”…) dell’Industria del nostro Paese, soprattutto se paragonata agli altri Paesi industrializzati dell’Europa. Perché Industria 4.0? La prima rivoluzione industriale è avvenuta alla fine del 18° secolo con l’introduzione di potenza vapore per il funzionamento degli stabilimenti produttivi, la seconda rivoluzione industriale si colloca all’inizio del 20° secolo con l’introduzione dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio; la terza rivoluzione industriale è iniziata all’inizio degli anni ’70 con l’utilizzo dell’elettronica e dell’IT per automatizzare ulteriormente la produzione (robot industriali e computer). Ora, invece, nella quarta rivoluzione industriale, il concetto fondamentale è la connessione con un sistema di raccolta e gestione dei dati, collegamento a internet, IoT o Internet delle Cose (utilizzo di macchine
intelligenti, interconnesse e collegate ad internet) ed altro ancora. L’elemento caratterizzante del piano di incentivazione, dunque, è la connessione, fra diversi dispositivi (macchina-elaboratore, macchina-macchina, macchina-internet, macchina-dispositivo mobile, ecc.). Le tecnologie coinvolte nel piano Industry 4.0 sono le seguenti: 1. Advanced Manufacturing Solutions (Robot collaborativi interconnessi e rapidamente programmabili). 2. Additive manufacturing (Stampanti in 3D connesse a software di sviluppo digitali). 3. Augmented Reality (Realtà aumentata a supporto dei processi produttivi). 4. Simulation (Simulazione tra macchine interconnesse per ottimizzare i processi). 5. Horizontal/Vertical Integration (Integrazione informazioni lungo la catena del valore dal fornitore al consumatore). 6. Industrial Internet (Comunicazione multidirezionale tra processi produttivi e prodotti) 7. Cloud (Gestione di elevate quantità di dati su sistemi aperti). 8. Cyber- security (Sicurezza durante le operazioni in rete e su sistemi aperti). 9. Big Data and Analytics (Analisi di un’ampia base dati per ottimizzare prodotti e processi produttivi). Evidentemente l’elenco è disomogeneo, ma in ogni caso indica alle imprese quali sono le tecnologie abilitanti per usufruire delle agevolazioni. Fra le voci più significative vi è l’integrazione orizzontale e verticale. L’integrazione verticale va dall’acquisizione di dati a livello produttivo, attraverso sensori, all’elaborazione dati tramite software gestionali: è l’integrazione che parte dal MES (Manufacturing Execution System) al sistema di Controllo di Gestione. Sono diverse le soluzioni di integrazione orizzontale, ad esempio possono passare attraverso la connessione con il fornitore per migliorare la supply chain comprendendo soluzioni per la collaborazione, il planning, l’order management, il tracking per la logistica, il data analytics e molto altro ancora. Nel piano Industria 4.0 le principali incognite per le imprese possono essere così riepilogate:
il rapporto costi/benefici dell’intervento; la mancanza di competenze digitali interne; la portata degli investimenti, che comunque rappresentano un costo che, ricordiamolo, viene finanziato solo se l’impresa è in utile; la carenza di standard digitali; l’incertezza sulla sicurezza dei dati (ad esempio nel caso della connessione attraverso Internet of Things e il Cloud Computing). Su quest’ultimo punto il Piano Industria 4.0 ha pensato di introdurre il capitolo della Sicurezza delle Informazioni, anche relativamente ai dati gestiti in ambito IoT. Per capire meglio il significato e la portata di tali incognite occorre precisare che – per chi ancora non lo sapesse – le agevolazioni sono costituite dall’iper- ammortamento (250% del valore del bene) e dal super-ammortamento (140% del valore del bene), che si applicano, nel primo caso, ai beni materiali acquistati, nel secondo anche ai beni immateriali. L’elenco dei beni materiali e immateriali a cui è applicabile il super e iper ammortamento è stato ufficialmente pubblicato dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) ed è scaricabile in allegato al presente articolo insieme alle linee guida del MISE stesso per l’applicazione delle agevolazioni. Occorre precisare che per rientrare nel Piano Industria 4.0 ed usufruire degli incentivi occorre acquisire almeno un bene materiale rientrante nell’elenco, ovvero acquisire strumentazione atta a trasformare un’apparecchiatura/macchina preesistente in un “bene Industria 4.0” (caso del revamping di macchinari). In altre parole per poter usufruire del super ammortamento per l’acquisto di un bene immateriale, ad esempio un software, rientrante nelle categorie previste dalla Legge, occorre che il soggetto beneficiario del finanziamento acquisti anche un bene materiale; non è richiesto il collegamento fra bene materiale e beni immateriali acquistati per usufruire dell’agevolazione! Ad esempio, al limite un’impresa potrebbe acquistare un sistema di sensori per acquisire dati da una macchina produttiva (ad esempio temperature da un forno) ed applicare il super ammortamento all’acquisto di un sistema MES o big data analytics che non trattano i dati rilevati dalla macchina 4.0. Tra i vincoli per poter usufruire dell’agevolazione vi è che l’investimento deve avvenire entro il 31/12/2017, con almeno un ordine ed un anticipo del 20% pagato entro il 31/12/2017 e con consegna del bene entro 30/06/2018. La perizia giurata di un ingegnere iscritto all’Albo o di un perito industriale è necessaria per investimenti superiori a 500.000 € per il singolo bene, negli altri casi è sufficiente una autodichiarazione del Legale Rappresentante dell’impresa. È evidente che il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale nella decisione ed effettuazione di investimenti che, soprattutto nel caso di PMI, normalmente
richiedono una valutazione abbastanza lunga ed incerta. Visto poi che la Legge non è di chiarissima interpretazione (si attende in questo mese una Circolare interpretativa dell’Agenzia delle Entrate su molti aspetti ambigui), alcune imprese rischiano di effettuare investimenti che poi non risulteranno ammissibili, magari trascinati dalle indicazioni di venditori di macchine e apparecchiature. Al proposito va ricordato che l’autodichiarazione del Legale Rappresentante ha risvolti penali in caso di non ammissibilità del bene; dunque esiste la concreta possibilità che molte aziende richiedano comunque la perizia giurata di un ingegnere abilitato per garantire il vertice aziendale contro brutte sorprese (costo non iper- ammortizzabile e dichiarazione mendace). Buona prassi sarebbe rivolgersi, prima di effettuare l’investimento, ad un consulente che possa indirizzare l’azienda ed il management non competente nelle tecnologie da acquisire e verso investimenti che, non solo siano ammissibili agli incentivi Industria 4.0, ma che risultino realmente utili per l’azienda nel medio-lungo periodo. Fra i principali fattori inibitori nell’adottare le tecnologie incluse nel piano Industria 4.0 vi è sicuramente la scarsa cultura digitale delle PMI italiane e una mancanza di leadership digitale del management della PMI stessa. Tra i processi che potrebbero trarre maggior vantaggio dall’implementazione di misure Industry 4.0 spiccano sicuramente le tematiche di pianificazione, schedulazione e controllo avanzamento della produzione e lo sviluppo del prodotto/industrializzazione. Il Piano Industria 4.0 è un percorso di trasformazione, non solo tecnologico, ma anche organizzativo e gestionale. Il fine dell’impresa deve essere l’incremento del valore per il cliente, anche attraverso il miglioramento dell’efficienza aziendale, la fornitura di soluzioni innovative, la proposta di servizi innovativi e migliorativi rispetto allo standard. Per iniziare un progetto di Industria 4.0 è importante effettuare una valutazione iniziale finalizzata all’obiettivo Industry 4.0 per capire di cosa l’azienda realmente bisogno, quali sono gli elementi di possibile miglioramento e le opportunità da poter cogliere, ma anche dei rischi connessi agli investimenti. Si ribadisce che i benefici per beni materiali e immateriali devono essere connessi attraverso il soggetto beneficiario, non direttamente fra gli asset fisici e immateriali, ma chiaramente un piano Industry 4.0 coerente dovrà prendere in considerazione l’interconnessione fra gli uni e gli altri, solo così facendo si otterrà il massimo nel miglioramento dell’efficienza dei processi aziendali. Si ricorda che il software deve essere incluso nell’allegato B per poter rientrare nell’incentivo, mentre per i software c.d. “embedded” prevale il riferimento al bene iper-ammortizzabile nel quale è contenuto. Tale bene deve appartenere ai beni dell’allegato A alla Legge.
Infine non è ancora chiaro quali costi accessori (consulenza finalizzata all’utilizzo del bene) siano iper e super ammortizzabili, al proposito si attende la Circolare di chiarimento dell’Agenzia delle Entrate. Linea Guida MISE Industria 4.0 Beni ammissibili Piano Industria 4.0 Articolo 1 commi da 8 a 13 della legge 11 dicembre 2016 n 232 - Proroga con modificazioni della disciplina del c.d. super ammortamento e introduzione del c.d. iper ammortamento Sistemi di gestione del rischio di credito (SGRC) Il CREDIT RISK MANAGEMENT SYSTEMS CRMS FP 07:2015 (CRMS) è il primo schema (proprietario) che tratta la gestione del rischio di credito commerciale. Nasce dalle crescenti esigenze delle organizzazioni di mantenere il controllo sui crediti verso clienti, che se mal gestiti sono spesso una delle principali cause di fallimento delle imprese. Il SGRC è coerente con i principi dell’HLS elaborato dall’ISO per gli standard sui Sistemi di Gestione (es. ISO 9001:2015, ISO 14001, ISO 27001, ecc.). La finalità è quella di indirizzare le aziende nell’implementazione di procedure per la gestione del credito che permettano di determinare il livello di rischiosità del cliente, implementando azioni atte a contenere tale rischio mediante la definizione di un livello massimo di esposizione o altre forme di mitigazione, come la definizione di modalità e termini di pagamento coerenti, garanzie e clausole contrattuali appropriate e così via. Il SGRC permette così l’espansione delle vendite senza compromettere l’equilibrio economico e, soprattutto, finanziario dell’azienda. Il Sistema recepisce l’approccio PDCA e la struttura di tutte le nuove norme sui sistemi di gestione (Contesto dell’organizzazione, Leadership, Pianificazione per il Sistema di gestione del credito, ecc.) pertanto si presta perfettamente ad essere
integrata in atri Sistemi di Gestione (ISO 9001, ISO 14001, ISO 27001,…). Tutti i requisiti sono ovviamente declinati nell’ottica della gestione del credito, ad es. l’Organizzazione deve identificare le parti interessate pertinenti al Sistema di Gestione per il Credito e i requisiti di tali parti interessate attinenti la gestione del credito, tenendo conto anche di eventuali requisiti cogenti, ecc. Anche l’analisi del contesto esterno ed interno all’organizzazione è volta ad identificare i principali fattori che influenzano l’aspetto economico-finanziario, quali termini di pagamento imposti dal mercato o cogenti, tassi di interesse, accesso al credito presso Istituti di Credito o Società finanziarie, dinamiche dei costi del processo produttivo o di erogazione dei servizi, ecc. Naturalmente l’attività di pianificazione delle attività finalizzate ad affrontare rischi ed opportunità nella gestione del credito commerciale costituisce uno dei capisaldi dello standard. Il SGRC si basa sulla politica nella gestione del credito stabilita dalla direzione, che deve definire obiettivi ed indicatori per monitorare il raggiungimento degli obiettivi di gestione del credito. A supporto della Direzione per la realizzazione del SGRC occorre nominare un Credit Manager che, indipendentemente da altri compiti e responsabilità, svolgerà determinate attività e assumerà precise responsabilità sull’argomento. Le risorse e le relative competenze del personale devono essere commisurate alle esigenze di gestione del credito. Anche comunicazione, informazioni documentate e infrastrutture devono essere pianificati in base alle necessità di gestire il credito ed i relativi rischi connessi. Per quanto riguarda le Attività Operative, l’organizzazione deve applicare un processo formale e documentato per l’analisi del rischio di perdita del credito. Tale processo include l’utilizzo di un modello di scoring attraverso il quale attribuire classi di rischio a ciascun cliente e determinare, di conseguenza, il grado di affidabilità del cliente in termini di solvibilità. Il modello di credit scoring elabora una serie di informazioni utilizzando semplici ponderazioni e calcoli basati sull’esperienza aziendale oppure elaborati metodi statistici, pervenendo ad un punteggio sintetico di rating. Il modello di scoring dovrebbe prendere in considerazione svariate informazioni, quali: Puntualità e ritardi nei pagamenti pregressi; Livello di esposizione nei confronti dell’organizzazione;
Dati societari (bilanci, ecc.) Informazioni commerciali sul rischio di credito del cliente ottenute da società specializzate; Elementi pregiudiziali e protesti; Storicità e potenzialità del rapporto commerciale; Il modello di scoring non deve necessariamente essere un modello “validato” dalla teoria sull’argomento o soddisfare determinati canoni o standard, ma deve, soprattutto, rispondere alle esigenze dell’organizzazione per una efficiente gestione degli incassi e mitigazione del rischio di credito. Come vedremo nel seguito, la validazione del modello è interna, al fine di soddisfare i requisiti propri dell’organizzazione. Se, infatti, Banche e società specializzate in rating finanziario hanno algoritmi elaborati di un certo tipo, per una PMI le esigenze potrebbero essere diverse, per esempio il medesimo ritardo nei pagamenti per organizzazioni diverse potrebbe avere un peso diverso nell’algoritmo di scoring. A valle della classificazione dei clienti in una determinata classe di rischio, o comunque nell’attribuzione di un rating per ogni cliente, in base a criteri stabiliti, devono essere intraprese azioni per trattare il rischio di credito in ogni situazione. Si può variare, secondo le esigenze e le opportunità di ogni singola azienda, dalla riduzione o limitazione del fido, alla modifica delle modalità di pagamento o addirittura alla cessazione delle forniture fino al rientro del debito. Il modello di scoring e le attività di mitigazione del rischio di credito conseguenti devono essere validate per dimostrare la loro capacità di ridurre il rischio di insolvenza. Questo può essere dimostrato migliorando gli indicatori stabiliti per monitorare il rischio di credito (es. percentuale di insoluto rispetto al fatturato, media dei ritardi di pagamento dei clienti, esposizione finanziaria, ecc.). Le linee di credito dovranno essere stabilite, approvate e periodicamente riesaminate da funzioni della struttura organizzativa aziendale appositamente incaricate. Oltre a quanto appena esposta dovranno essere definiti e gestiti i processi di comunicazione con i clienti, fatturazione, controllo operativo del portafoglio clienti, gestione del contenzioso e recupero crediti, controllo dei processi/prodotti/servizi affidati all’esterno, mediazione o azione legale, gestione perdite su crediti, continuità operativa. La valutazione delle prestazioni è analoga a quanto previsto per la norma ISO
9001:2015: Occorre stabilire ed attuare attività di monitoraggio e misurazione dei processi finalizzata a valutare l’efficacia del sistema di gestione del credito; Vanno pianificati e condotti audit interni per verificare se il CRMS è conforme ai requisiti ed attuato efficacemente; Deve essere periodicamente effettuato un Riesame di Direzione, finalizzato a valutare il raggiungimento degli obiettivi, nonché l’efficacia del CRMS; Deve essere implementato un processo di miglioramento basato sul trattamento delle non conformità e sulla pianificazione ed attuazione delle conseguenti azioni correttive ritenute necessarie. In conclusione lo schema è ben strutturato e costituisce un ulteriore anello di congiunzione fra sistemi qualità ISO 9001 e controllo di gestione, al fine di gestire l’azienda in maniera coordinata ed efficace, oltre che efficiente, da diversi punti di vista. Tra i vantaggi nell’implementare il CRMS – ed eventualmente di certificarlo con un Organismo di Certificazione – vi sono la garanzia di ridurre in modo pianificato, e oserei dire scientifico, il rischio di perdite da crediti insoluti e il miglioramento della reputazione aziendale nei confronti degli Istituti di Credito che, al di là di altri parametri, riconosceranno nell’organizzazione che attua un CRMS certificato, un soggetto sicuramente più affidabile nell’erogazione di credito, proprio perché tiene maggiormente sotto controllo i propri crediti. Quanto costa un esame strumentale? Per diversi tipi di organizzazione è fondamentale, ai fini del controllo di gestione, calcolare il costo corretto di un’attività svolta da un operatore utilizzando uno strumento o un’apparecchiatura di elevato valore. È il caso di un ambulatorio medico oppure una clinica privata che effettuano accertamenti diagnostici strumentali (es. TAC, risonanze, ecografie, esami oculistici, ecc.) con apparecchiature particolarmente costose, ma anche di laboratori prove che effettuano prove distruttive o non distruttive su prodotti o materiali (nell’ambito di servizi ispettivi accreditati, per eseguire prove previste
dalla legge come quelle su campioni di calcestruzzo, ecc.) oppure di centri di taratura strumenti accreditati (nel caso la taratura avvenga attraverso strumenti o apparecchiature che fungono da campione primario). In tutte queste situazioni il costo dell’attività di prova o esame per il cliente è spesso giudicato elevato, sicuramente non giustificato dal tempo occorso per effettuare l’esame o la prova. In effetti, dal punto di vista del fornitore del servizio (struttura sanitaria, laboratorio prove, ecc.), per determinare il costo diretto (nell’ottica del direct costing) della prestazione non è sufficiente considerare le ore/persona che si sono rese necessarie, ma occorre considerare anche il costo dell’apparecchiatura utilizzata. Infatti sarebbe fuorviante considerare come costo del servizio solo il costo dell’operatore, le spese vive (generazione della reportistica, eventuali costi di trasporto, materiali di consumo, ecc.) e una quota parte dei costi di struttura generali. Questo perché la ripartizione dei costi di struttura o spese generali non sarebbe equa nel caso in cui l’organizzazione disponesse di apparecchiature e macchinari molto costosi, sia come costo di acquisto, sia come gestione/manutenzione: la differenza di costo di tali risorse potrebbe, infatti, incidere in modo differente sui diversi servizi (esami, prove ecc.). L’approccio più corretto sarebbe quello di considerare nei costi diretti della prestazione anche quota parte del costo di gestione e ammortamento dell’apparecchiatura utilizzata, vediamo come. Il prezzo del servizio (esame strumentale, prova di laboratorio, taratura, …) sarebbe determinato dalla seguente formula: Prezzo del servizio = Costo operatore + Costo materiale di consumo + Costi accessori + Costo impiego apparecchiatura + quota parte dei costi fissi di struttura + Margine/utile lordo che può essere espressa anche come: Prezzo = Costi diretti + Costi fissi + Margine lordo, laddove: Margine lordo = (Costi diretti + Costi fissi) x (1+ Utile desiderato in %) Costi fissi = f(Costi diretti, Driver criterio di ripartizione) dove il Driver di ripartizione dei costi fissi può essere determinato a partire dai ricavi genrali, dal n° di servizi venduti, dai ricavi per il servizio specifico nell’anno precedente, dall’area occupata dal servizio, ecc..
Mentre il costo operatore può essere facilmente determinato dalle ore impiegate dall’operatore che effettua la prestazione moltiplicato per il suo costo orario, il costo del materiale di consumo può anch’esso essere calcolato in base alla quantità di materiale consumato (compresi eventuali supporti ottici, carta speciale per le stampe dei report/esiti, ecc.) per il relativo costo, i costi accessori possono essere costituiti da spese vive di vario genere (es. trasporti per lo strumento da tarare o per il campione da esaminare), per quanto riguarda il Costo impiego apparecchiatura occorre fare alcune considerazioni. Un macchinario o apparecchiatura molto costosa (es. apparecchi per TAC, risonanze, ecografie, determinati esami oculistici o altri esami specialistici in ambito sanitario) è opportuno considerare il costo di acquisto dell’apparecchiatura, la sua durata di vita media presunta ed i costi di manutenzione. Il costo annuo dell’apparecchiatura è dunque determinato nel modo seguente: Costo annuo apparecchiatura = Costo di acquisto/Vita media in anni + Costo di manutenzione/gestione annuo Tutti i valori andrebbero poi attualizzati considerando i relativi tassi di inflazione. Dunque non bisogna considerare le quote di ammortamento fiscali nel calcolo del primo addendo, perché potrebbero essere fuorvianti. Per un calcolo preciso del costo annuo dell’apparecchiatura occorre prestar molta attenzione alla durata media presunta dell’apparecchiatura, calcolabile attraverso stime su apparecchiature simili, ed al conteggio dei costi di manutenzione e gestione (comprese le parti di ricambio e i sistemi informatici di supporto per la conservazione dei risultati). Questi ultimi andrebbero sistematicamente aggiornati anno per anno (talvolta crescono col passare del tempo) per ottenere un valore preciso del costo della risorsa. Naturalmente in caso di strumentazione a noleggio tutti questi calcoli si semplificano. Una volta determinato il costo annuo dell’apparecchiatura, mantenuto aggiornato di anno in anno, è necessario ripartire questo costo per tutte le prestazioni effettuate nell’anno con tale risorsa per determinare il sopra citato Costo di impiego dell’apparecchiatura. Il numero di prestazioni effettuate con la risorsa non è sempre determinabile a priori, ci si può basare sui valori dell’anno precedente per fare una previsione e, nel caso di una frequenza di impiego inferiore le prestazioni non effettuate andranno ad incrementare i costi fissi generali, mentre nel caso in cui il numero
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