Corso di Biologia Strutturale - Structural Biology

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Corso di Biologia Strutturale
     CdLM in Biologia Cellulare e Molecolare e Scienze Biomediche

Dott. Federico Iacovelli; e‐mail: federico.iacovelli@uniroma2.it
Dipartimento di Biologia, Dente H, Piano 1, Stanza 378H, http://structuralbiology.bio.uniroma2.it/
Le proteasi a serina e le superossido dismutasi a rame‐zinco
                               (SOD)
Le proteasi a serina sono una classe di proteasi che basano il loro meccanismo di catalisi sulla presenza della
serina, particolarmente reattiva ed essenziale per la loro attività enzimatica.
La considerevole uguaglianza strutturale del sito attivo delle serin proteasi implica che i loro meccanismi
catalitici siano simili.

Le SOD a rame e zinco sono invece enzimi caratterizzati da una kcat/KM molto elevata, dovuta al fatto che
il sito attivo è preformato in modo ottimale per reagire con il suo substrato.
Si tratta di una classe di enzimi che viene definita perfetta, per cui considerando la più semplice equazione
per il procedere di una reazione enzimatica:

si verifica la situazione in cui kcat >> k‐1, ovvero la dissociazione del complesso ES è spostata verso la
formazione del prodotto. In questo caso:
                           kcat/KM = kcat k1 / k‐1 + kcat ~ kcat k1 / kcat   ~   k1
l’efficienza enzimatica è assimilabile in prima approssimazione alla velocità di associazione enzima‐
substrato k1.
Le proteasi a serina

Le proteasi a serina costituiscono una particolare classe di proteasi, il cui meccanismo catalitico si
basa sulla fondamentale presenza di un residuo di serina nel sito attivo.
Idrolizzano il legame peptidico all’interno di una catena peptidica.
Le proteasi a serina eucariotiche (tripsina, la chimotripsina, lʹelastasi) sono molto simili sia a livello
del sito catalitico che per struttura tridimensionale.
Sono sintetizzate sotto forma di zimogeni inattivi e vengono attivate a seguito di tagli proteolitici.
La tripsina e la chimotripsina, ad esempio, vengono sintetizzate nel pancreas ed attivate nellʹintestino
ad opera di altre proteasi.
Entrambe sono delle endopeptidasi (idrolizzano i legami peptidici interni della proteina, dando
origine a frammenti più corti).
Un’altra proteasi a serina è la subtilisina, isolata dal batterio Bacillus subtilis.
Possiede un sito attivo identico, ma una struttura tridimensionale del tutto differente e non correlata a
quella delle altre proteasi.
Le proteasi a serina

        Chimotripsina                          Elastasi                           Subtilisina

La principale forza motrice della catalisi delle proteasi a serina è rappresentata da un insieme di tre
aminoacidi, denominati “triade catalitica” (una serina, un’istidina ed un aspartico), conservata in tutte
le proteasi in una posizione spaziale idonea al taglio di specifici legami peptidici.
Formazione della chimotripsina attiva
            La forma attiva della chimotripsina è costituita da tre catene
            peptidiche che traggono origine da una singola catena iniziale
            denominata chimotripsinogeno.
            Come si può osservare in figura, il chimotripsinogeno è
            formato da 245 residui e ospita cinque ponti disolfuro.
Formazione della chimotripsina attiva
                Il processo di maturazione avviene in seguito a quattro tagli
                sequenziali che avvengono sui legami peptidici che seguono
                i residui 13 e 15 e 146 e 148.

                I due dipeptidi costituiti dai residui 14‐15 e 147‐148
                vengono rilasciati, mentre i tre nuovi polipeptidi sono
                tenuti assieme dai ponti disolfuro, oltre che dalle interazioni
                non covalenti.

                L’eliminazione dei due dipeptidi             porta    ad    un
                riarrangiamento tridimensionale.

                In particolare, l’eliminazione del dipeptide 14‐15 conduce
                alla formazione di un ponte salino tra il nuovo N‐terminale
                del residuo 16 e l’aspartico 194, il quale provoca un
                riarrangiamento della serina 195, (facente parte della triade),
                indispensabile per l’attivazione dell’enzima.
Triade catalitica

    La triade è conservata in più proteasi a serina, tra cui la
    subtilisina di origine batterica, non correlata da un punto
    di vista strutturale con le proteasi a serina digestive, come
    la tripsina e la chimotripsina.
    La triade catalitica è conservata anche nella
    carbossipeptidasi II, un’esopeptidasi isolata dal germe di
    grano.
    Nei tre tipi di proteasi, l’ordine delle sequenze
    amminoacidiche primarie dei residui localizzati nei
    corrispondenti siti attivi è molto diverso, così come
    differenti sono le strutture tridimensionali delle proteine.
     Conseguentemente, lapossibilità che tali proteasi siano
    state originate da una proteina ancestrale comune è
    davvero remota.
Le quattro caratteristiche strutturali delle proteasi a
    serina necessarie a conferirne la funzione

                        Le proteasi a serina sono caratterizzate da
                        quattro caratteristiche strutturali conservate
                        necessarie al mantenimento ed all’ottimizzazione
                        del proprio meccanismo catalitico:
                        1. la triade catalitica;
                        2. la buca dell’ossianione;
                        3. la tasca di specificità;
                        4. la capacità di instaurare interazioni deboli
                           aspecifiche.
Triade catalitica

La triade catalitica è costituita da tre aminoacidi: serina, istidina e aspartico.
Nella chimotripsina si trovano in posizione Ser195‐His57‐Asp102.
Nella subtilisina in posizione Ser221‐His64‐Asp32.
La triade è fortemente conservata e permette l’attacco nucleofilo della serina sul carbonio del legame
peptidico che deve essere tagliato.
Buca dell’ossianione

       Nel processo catalitico la buca dell’ossianione delle
       proteasi è l’elemento che consente l’accelerazione della
       reazione enzimatica.
       Serve infatti a stabilizzare il complesso di transizione e
       quindi ad abbassarne l’energia di attivazione.
       La stabilizzazione avviene attraverso legami idrogeno
       tra gruppi presenti in questa cavità e l’ossigeno legato al
       carbonio, a sua volta legato dalla catena laterale della
       serina.
       Nella chimotripsina, ad esempio, si ha la formazione di 2
       legami idrogeno tra l’ossigeno parzialmente negativo del
       carbonile e 2 NH della catena principale di Ser195 e
       Gly193.
       La capacità di legare in modo efficace il complesso di
       transizione tetraedrico velocizza la reazione.
Tasca di specificità

Le proteasi a serina manifestano una parziale specificità nella proteolisi di legami peptidici prossimi
ad alcune catene laterali.
Considerando come punto di partenza il gruppo N‐terminale della proteina substrato, la catena
laterale di riconoscimento precede il legame che deve essere tagliato.
La specificità è a carico di una tasca i cui elementi principali sono 3 residui, la cui dimensione e carica
varia a seconda della catena laterale della proteina substrato con cui devono interagire.
Interazioni aspecifiche

Il riconoscimento tra la proteasi e la proteina substrato avviene attraverso una serie di legami
idrogeno tra le due catene principali.

Nello specifico, essi avvengono attraverso un “loop” presente nella proteasi e la proteina
substrato.
Questa interazione porta alla formazione di un breve foglietto β antiparallelo con la proteina
substrato.

In particolare uno di questi legami a idrogeno si «fortifica» (riducendo la sua distanza) nel
passaggio dal complesso enzima‐substrato alla formazione dello stato di transizione.

Si rileva, in tal modo, la sua utilità ai fini della stabilizzazione dello stato di transizione e, quindi,
dell’accelerazione della reazione.
Reazione catalitica

         Le proteasi a serina sono così denominate perchè un
         residuo di serina è responsabile dellʹattacco nucleofilo al
         carbonile del legame peptidico.

         Normalmente lʹossidrile della serina non è un buon
         nucleofilo, in quanto il pK di dissociazione del protone
         è estremamente elevato e quindi il suo protone non si
         stacca.

         Nelle proteasi a serina, però, è presente la ʺtriade
         cataliticaʺ, che coinvolge i residui amminoacidici Asp‐
         102, His‐57 e Ser‐195 la cui funzione è quello di
         abbassare      il  pKa     dellʹossidrile della   serina
         permettendone la ionizzazione.
Reazione catalitica

         Il primo evento del meccanismo catalitico è l’interazione
         enzima‐substrato.

         Questo riconoscimento permette la cessione del protone
         dell’ossidrile della catena laterale della serina 195
         all’istidina 57 che diventa doppiamente protonata ed è
         stabilizzata dalla carica negativa dell’Asp102.

         L’Asp102 non si protona durante il processo di catalisi
         avendo un pKa < 2, bensì orienta His57 in modo tale che
         possa prendere il protone da Ser195 e stabilizza la carica
         positiva di His57 protonata.
Reazione catalitica

         La serina sarà così in grado di effettuare
         l’attacco nucleofilo al carbonio carbonilico del
         legame peptidico, generando un intermedio
         tetraedrico

         Lʹintermedio tetraedrico è stabilizzato dalla
         formazione di legami idrogeno tra lʹossigeno
         del carbonile interagente con la serina ed i
         gruppi NH di Gly‐193 e Ser‐195.
Reazione catalitica

        Successivamente, lʹintermedio tetraedrico collassa
        nell’intermedio acil‐enzima.
        In seguito alla catalisi acida esercitata da His57,
        avviene la donazione di un protone da parte del N3
        dell’istidina.
        L’acil‐enzima è estremamente instabile ma è stato
        caratterizzato strutturalmente, attraverso diffrazione a
        raggi X, nell’elastasi bloccandolo a basse temperature.
        In tal modo, si verifica la liberazione della porzione
        del polipeptide con NH2 terminale, ma il resto del
        polipeptide risulta legato con legame estere a Ser195.
Reazione catalitica
Il nuovo gruppo aminico viene rilasciato e sostituito da una molecola di acqua che interagisce con
l’N3 dell’istidina.
Reazione catalitica

           Il residuo di His57 preleva un protone dalla
           molecola di acqua generando un gruppo
           ossidrilico che attacca il carbonio carbonilico: si
           genera così un nuovo intermedio tetraedrico.

           Lʹintermedio tetraedrico viene stabilizzato dalla
           formazione di legami idrogeno tra lʹossianione ed
           i gruppi NH di Gly193 e Ser195.
Reazione catalitica

      Lʹintermedio tetraedrico collassa a causa della catalisi
      acida esercitata da His57, ovvero His57 cede un protone
      alla catena laterale di Ser195.
      La seconda parte del polipeptide viene rilasciata e la
      proteasi torna nello stato iniziale, pronta per un nuovo
      ciclo di catalisi.
      In questa parte della reazione l’acqua è il gruppo
      nucleofilo e la serina è il gruppo uscente.
La buca dell’ossianione

L’importanza della buca dell’ossianione è stata messa in evidenza dall’analisi comparata di alcune
strutture di proteasi a serina e loro inibitori ottenute per diffrazione X.

Lo schema della proteina in prossimità della buca, riportato in figura, mostra l’interazione tra la
proteasi ed il substrato prima e dopo la formazione dello stato di transizione.

 Prima della formazione dello stato di transizione, il carbonio carbonilico del legame peptidico che
deve essere proteolizzato viene distorto per entrare nella tasca dell’ossianione, ma non riesce ad
effettuare nessuna interazione non covalente con i residui della proteasi.
La buca dell’ossianione

Successivamente alla formazione del complesso tetraedrico (ovvero dello stato di transizione), l’ossigeno del
gruppo carbonilico, provvisto di carica negativa (ossianione), interagisce e forma un legame idrogeno con il
gruppo NH della catena principale sia di Ser 195 che di Gly 193.

Inoltre, la distorsione avvenuta a causa della formazione del complesso tetraedrico, porta alla creazione di un
ulteriore legame idrogeno tra il gruppo NH del residuo, che precede il legame peptidico ed il carbonile della Gly
193.

Il complesso tetraedrico ha, rispetto al legame enzima‐substrato, un legame preferenziale con la proteasi, che
conferisce gran parte dell’efficienza della proteasi stessa.
La tripsina ed il suo inibitore

           Una dimostrazione dell’esistenza del complesso
           tetraedrico è data dalla struttura derivante dalla
           diffrazione a raggi X del cristallo della tripsina, coordinata
           con il suo inibitore naturale, l’inibitore della proteasi
           tripsina pancreatica bovina (BPTI).

           Il BPTI è una piccola proteina di 58 residui che forma con
           la tripsina un complesso molto stabile, grazie ad una
           notevole complementarità di superficie ed alla presenza
           di numerose interazioni deboli (vdW e elettrostatica).

           La costante di dissociazione tra queste due proteine è 10‐13
           M e questa forte interazione impedisce a qualsiasi
           molecola di tripsina, che sia stata attivata prematuramente
           nel pancreas, di svolgere una qualsiasi attività proteolitica
           sulle proteine presenti nell’organo.
La tripsina ed il suo inibitore

           Il BPTI interagisce con la proteasi tramite un’interazione
           simil‐substrato.
           La catena laterale di una lisina si introduce nella tasca di
           specificità ed il legame peptidico Lys‐Ala si posiziona con il
           carbonio carbonilico pronto ad essere attaccato dalla catena
           laterale della serina del sito attivo.
           Il complesso ha una conformazione che si trova lungo le
           coordinate di reazione, che conduce alla formazione del
           complesso tetraedrico.
           L’ossigeno della serina crea contatti van der Waals con il
           carbonio carbonilico del legame peptidico del BPTI, tuttavia
           la reazione non procede perché, essendo il complesso
           sigillato, il gruppo non può essere allontanato e l’acqua non
           può entrare.
           Di conseguenza, il sistema non si deforma, non si ottimizza
           la formazione del complesso tetraedrico ed il BPTI funge da
           inibitore perfetto.
Caratteristiche generali della struttura delle proteasi a serina

                                      Le strutture tridimensionali delle proteasi a
                                      serina eucariotiche sono molto simili.
                                      La prima struttura è stata risolta nel 1967 ed
                                      è quella della chimotripsina.
                                      La proteina è costituita da due domini,
                                      ognuno di circa 120 residui.
                                      Ogni dominio forma un barile β composto
                                      da sei filamenti di cui i primi quattro
                                      formano un motivo a greca e gli ultimi due
                                      un motivo a forcina antiparallela.
                                      Il sito attivo si trova in una cavità compresa
                                      tra i due domini ed i residui che
                                      costituiscono la triade catalitica si trovano
                                      sui “loop” di connessione dei filamenti β.
Caratteristiche generali della struttura delle proteasi a serina

                       Due residui, l’His57 e l’Asp102, sono presenti sul primo dominio,
                       l’altro, la Ser195 si trova sul secondo.
                       In dettaglio: l’His57 e la Ser195 sono all’interno del “loop” 3‐4 del
                       dominio 1 e 2 rispettivamente, mentre l’Asp 102 è nel “loop” 5‐6
                       del dominio 2.
                       Gli altri residui che possono considerarsi parte del sito attivo, quali
                       i residui che definiscono la tasca di specificità o che formano
                       legami idrogeno con la catena principale della proteina substrato,
                       si trovano sui “loops” 3‐4 e 5‐6 del dominio 2.
                       Anche in questo caso è rispettata la regola generale secondo cui la
                       parte strutturale e la parte funzionale sono localizzate in regioni
                       differenti dell’enzima.
                       La parte strutturale è costituita dai filamenti β che formano il
                       barilotto, mentre la parte del sito attivo si trova sulle anse di
                       connessione dei filamenti β.
Caratteristiche generali della struttura delle proteasi a serina

                         I due domini presentano un basso grado di identità, ma sono
                         molto simili da un punto di vista tridimensionale.
                         Ciò fa supporre che queste proteasi siano frutto di una
                         duplicazione genica di un unico gene ancestrale.
                         Tuttavia, quest’ultimo non avrebbe potuto possedere la triade
                         catalitica, in quanto i residui della triade si trovano uno su un
                         dominio e due sull’altro, contravvenendo all’ipotesi
                         formulata.
                         Vari esperimenti di mutagenesi sito‐diretta hanno
                         evidenziato che le proteasi continuano ad avere un’attività
                         catalitica anche dopo eliminazione di alcuni residui della
                         triade, dimostrando che la triade non è essenziale ma serve
                         ad ottimizzare l’efficienza enzimatica.
                         È plausibile dunque ritenere che le proteasi derivino da
                         duplicazione di un unico gene ancestrale.
Caratteristiche generali della struttura delle proteasi a serina

Ulteriore peculiarità delle proteasi consiste nel fatto che la tasca di specificità, accomodando la catena
laterale del residuo precedente il legame peptidico che deve essere proteolizzato, determina la
specificità di taglio.
In figura sono rappresentate le tasche della chimotripsina, tripsina ed elastasi.
La specificità è essenzialmente determinata dalla tipologia delle catene laterali degli amminoacidi in
posizione 189, 216 e 226.
Le loro caratteristiche chimico‐fisiche ne determinano la specificità: nella chimotripsina la tasca è
specifica per catene laterali aromatiche, nella tripsina per catene laterali cariche positivamente e
nell’elastasi per catene laterali di dimensioni ridotte.
La proteasi a serina subtilisina

           La subtilisina è una proteasi batterica a serina con
           caratteristiche strutturali completamente differenti da
           quelle eucariotiche.

           La subtilisina è una proteina di 275 residui con una
           struttura tridimensionale complessa, in cui il dominio
           principale è rappresentato dal dominio N‐terminale,
           costituito da cinque filamenti β paralleli circondata da
           quattro α‐eliche, due per ogni lato.

           Il motivo strutturale che caratterizza la subtilisina è un
           motivo di tipo α/β in cui è presente un’eccezione
           strutturale.
La proteasi a serina subtilisina

Infatti, tutti i motivi di tipo β‐α‐β presenti nelle proteine sono di tipo destrorso, mentre nella
subtilisina il motivo β2‐αB‐β3 è di tipo sinistrorso, come si può osservare nel diagramma topologico.
 Il motivo di questa eccezione è dovuto al fatto che l’His64, facente parte della triade catalitica, è
situata nel primo giro dell’elica αB.
Se il motivo fosse destrorso, la posizione tridimensionale dell’istidina sarebbe inadatta a formare la
triade catalitica.
La proteasi a serina subtilisina

Nonostante le forti diversità strutturali tra la subtilisina e le altre proteasi a
serina, anche questa proteasi batterica possiede le quattro caratteristiche
strutturali tipiche delle proteasi a serina.
Si configura quindi un palese caso di evoluzione convergente a livello
molecolare.
La subtilisina è stata ampiamente studiata al fine di comprendere in
profondità il meccanismo di funzionamento delle proteasi a serina.
In particolare, alcuni studi hanno permesso di delineare bene il ruolo della
buca dell’ossianione nella stabilizzazione dello stato di transizione.
La proteasi a serina subtilisina

        Nella subtilisina, il complesso tetraedrico viene stabilizzato da
        legami idrogeno che avvengono con la catena laterale
        dell’asparagina 155 e non con la catena principale.
        Eliminando per mutagenesi sito diretta questo residuo, è stato
        possibile verificarne il ruolo da un punto di vista funzionale.
        Sostituendo l’Asn155 con un altro aminoacido, la cui catena
        laterale non è in grado di effettuare legame idrogeno con il
        complesso tetraedrico, si riduce il valore di kcat/KM.
        Tale diminuzione deriva da una riduzione del valore di kcat,
        perché eliminando la possibilità di effettuare il legame idrogeno
        non si abbassa l’energia di attivazione del complesso di
        transizione.
        La buca dell’ossianione ha quindi un ruolo determinante nel
        modulare l’efficienza catalitica di questa classe di enzimi.
Superossido dismutasi

Le superossido dismutasi sono una classe di metallo enzimi che catalizzano la dismutazione dello
ione superossido in perossido di idrogeno ed ossigeno, attraverso la riduzione ciclica del rame
presente nel sito attivo.
La reazione è la seguente:

                                        2O2‐. + 2H+  O2 + H2O2

La funzione di questo enzima è di proteggere le cellule dall’azione tossica del radicale superossido
che si forma nelle cellule aerobiche, principalmente a causa della perdita di elettroni dai diversi
componenti delle catene di trasporto elettronico.

Le superossido dismutasi sono ubiquitarie, risultando presenti in quasi tutti i sistemi biologici aerobi.
Superossido dismutasi

     In base alla natura del metallo prostetico presente nel sito
     attivo, che consente loro di svolgere l’attività catalitica, sono
     distinte in Cu,ZnSOD, FeSOD e MnSOD.

     Le ultime due sono caratterizzate da una simile struttura
     secondaria (ad α‐elica) e terziaria e sono presumibilmente
     evolute da uno stesso gene ancestrale.

     Le superossido dismutasi a rame‐zinco, Cu,Zn‐SOD, sono
     caratterizzate da una struttura secondaria a foglietti β
     organizzati in motivi strutturali a greca a formare una
     struttura terziaria a barile.

     Generalmente, negli eucarioti si trova nel citoplasma, ma è
     stata riscontrata anche nel periplasma dei batteri gram‐
     negativi.
Caratteristiche strutturali delle Cu,ZnSOD

                 Le Cu,Zn‐SOD eucariotiche sono proteine omodimeriche di
                 peso molecolare pari a 32 KDa.
                 Ogni subunità è composta da circa 150 aminoacidi e contiene
                 un atomo di rame, essenziale per il processo catalitico, e uno
                 di zinco che ha principalmente funzione strutturale.
                 La subunità è costituita da otto filamenti β antiparalleli,
                 disposti in una struttura terziaria a cilindro leggermente
                 schiacciato da un lato e collegati tra loro da tre lunghe anse
                 (“loop” 4,7‐ “loop” 6,5‐ “loop” 7,8) e da regioni con inversione
                 di catena (“turns”and “tight turns”).
                 La struttura è a β‐barrel ed evidenzia il motivo topologico
                 definito a “greca” che è comune a molti sistemi biologici di
                 grande interesse, tra cui le immunoglobuline.
Caratteristiche strutturali delle Cu,ZnSOD

Il cilindro è asimmetrico e può essere diviso in due sezioni: una comprende dal primo al quarto segmento β,
l’altra dal quinto all’ottavo.

I segmenti β di questʹultima sono più corti, instaurano un numero inferiore di legami idrogeno, possiedono
unʹalternanza meno regolare delle catene laterali e una maggiore distorsione, spiegando così l’asimmetria del
cilindro β.

Sono presenti tre anse principali: la 6,5; la 7,8 e la 4,7.
Caratteristiche strutturali delle Cu,ZnSOD

Lʹansa 6,5 può essere divisa in due sottodomini:

• il primo, che si estende dalla Gly47 alla Pro60, contribuisce al contatto tra le subunità, forma un lato del
  canale del sito attivo ed è stabilizzato dallʹunico ponte disolfuro del monomero (Cys55‐Cys144);

• il secondo, che comprende i residui tra His61 e Leu82, è la regione che include i quattro ligandi dello zinco
  che provvedono a mantenere lo ione completamente nascosto al solvente.
Caratteristiche strutturali delle Cu,ZnSOD

Lʹansa 7,8 forma una sorta di coperchio sul sito attivo ed è funzionalmente rilevante, in quanto contiene i
residui che, attraverso un’attrazione elettrostatica, guidano il substrato nel canale del sito attivo verso il rame
catalitico Cu(II).

Lʹansa 4,7 è la più piccola e lega lʹAsp99 allʹArg113 dando origine ad una connessione a greca che attraversa
una estremità del cilindro β.
Struttura del sito attivo metallico

               Studi di cristallografia e spettroscopia hanno dimostrato
               che la struttura del sito attivo della superossido dismutasi
               a rame e zinco è altamente conservata.

               Il sito catalitico di ciascuna subunità è orientato nella
               regione opposta all’interfaccia che le unisce ed è costituito
               da un lungo canale che ha per base il foglietto β del
               cilindro ed è delimitato lateralmente dalle anse 6,5 e 7,8,
               creando una sorta di coperchio attorno ad esso.

               In fondo al canale si collocano il rame e lo zinco, il primo
               esposto al solvente, mentre il secondo è inaccessibile ad
               esso.
Struttura del sito attivo metallico

               Il rame è coordinato agli atomi di azoto di quattro
               istidine: His44 e His 46 localizzate nel sesto segmento β,
               His118 del settimo segmento β e His61 del “loop” 6,5.

               La disposizione dei suoi ligandi determina la geometria
               quadrato planare con distorsione tetraedrica.

               La distorsione, insieme al particolare orientamento degli
               anelli imidazolici, rende la posizione del rame più aperta
               dal lato del solvente, permettendo la presenza di una
               molecola di acqua coordinata in posizione assiale.

               In diversi enzimi eucariotici si è osservato che lʹHis61
               forma un ponte tra il rame e lo zinco, per cui i due metalli
               sono compresi in un piano a circa 6 Å di distanza.
Struttura del sito attivo metallico

               I ligandi dello zinco sono collocati sul “loop” 6,5 e sono
               rispettivamente l’atomo di azoto delle His61, 69, 78 ed il
               residuo Asp81.

               La geometria del sito è di tipo tetraedrico, con una
               distorsione a piramide trigonale con l’Asp81 all’apice.

               I tre anelli delle istidine sono collocati quasi di fronte allo
               zinco in direzione del sito attivo: l’atomo risulta così
               interno alla struttura proteica ed inaccessibile al solvente.

               I due metalli rappresentano il cuore del sito attivo con
               l’atomo di rame direttamente coinvolto nella reazione di
               ossido riduzione necessaria a dismutare lo ione
               superossido.
Struttura del sito attivo metallico

               Esistono tuttavia alcuni residui proteici, oltre ai ligandi
               dei metalli, che hanno un ruolo fondamentale nel
               processo catalitico.

               In particolare, tutte le superossido dismutasi a rame e
               zinco analizzate presentano in posizione 141 un residuo
               di arginina che è altamente conservato.

               Questo residuo si posiziona frontalmente all’atomo di
               rame e risulta determinante sia nell’attrazione che nel
               posizionamento dell’ione superossido.
Meccanismo di catalisi enzimatica

              Il ciclo catalitico è costituito da due reazioni in cui lo ione
              superossido reagisce alternativamente con il rame alla
              stato ossidato e allo stato ridotto.

              Le due reazioni sono caratterizzate da una medesima
              efficienza catalitica, essendo per ambedue kcat/KM
              identica e molto elevata, dell’ordine di 2x109 M‐1 s‐1 .

              La catalisi ha inizio con il sopraggiungere di una molecola
              di ione superossido, che spiazza la molecola d’acqua
              assiale, legando un atomo di ossigeno al Cu2+ e formando
              con l’altro un legame idrogeno con l’azoto del guanidinio
              di Arg141, il quale stabilizza il complesso rame‐substrato.
Meccanismo di catalisi enzimatica
              L’O2‐. legato provoca la riduzione di Cu2+ ʺrameicoʺ alla
              forma Cu+ ʺrameoso” e contemporaneamente si rompe il
              legame tra l’His61 ed il rame, viene rilasciato O2 e l’azoto
              di His61 dissociato si protona.

              Una seconda molecola di O2‐. si lega con il rame nello stato
              ridotto Cu+.

              Un trasferimento elettronico dal Cu+ abbinato ad un
              trasferimento protonico dall’His61, con l’aggiunta di un
              secondo protone, proveniente da una molecola di acqua
              del solvente, permette la formazione di una molecola
              neutra di H2O2, che viene eliminata.

              Il rame, allo stato ossidato, ripristina il legame con l’azoto
              di His61 deprotonata, con conseguente ritorno allo stato
              strutturale iniziale del sito attivo.
L’ipotesi elettrostatica

Dati sperimentali hanno dimostrato che l’efficienza di dismutazione dello ione superossido è identica
sia per l’enzima con il rame allo stato ossidato che in quello ridotto.
Inoltre, il valore di kcat/KM è molto elevato, dell’ordine di 2x109 M‐1 s‐1, uno dei maggiori mai
riscontrati per qualsiasi famiglia di enzimi.
Tali dati indicano che si tratta di una reazione ai limiti della diffusione, sia quando il rame è ossidato
sia quando il rame è ridotto.
La chimica dell’enzima non risulta in grado di influenzare l’efficienza enzimatica, perciò l’efficienza è
governata da fattori fisici indipendenti dallo stato di ossidazione del rame.

   Un risultato sperimentale interessante riguarda la misura dell’efficienza enzimatica
                     kcat/KM in funzione del pH e della forza ionica.
L’ipotesi elettrostatica
          Questa misura, riportata nel grafico, indica che ad ogni
          singola forza ionica l’efficienza è pH indipendente per
          valori di pH compresi tra 7 e 9.
          Per valori superiori l’efficienza diminuisce, ma               in
          percentuale inferiore se i valori di forza ionica sono alti.
          In particolare, mentre per valori di pH tra 7 e 10 l’efficienza
          diminuisce all’aumentare della forza ionica, per valori di
          pH tra 11 e 12 l’efficienza catalitica è quasi costante
          qualsiasi valore assuma la forza ionica.
          La dipendenza del valore di kcat/KM dalla forza ionica
          indica che tale parametro è condizionato dall’elettrostatica.
          Inoltre, la diminuzione di kcat/KM all’aumentare del pH
          presuppone la presenza di uno o più gruppi con un pK
          intorno a 10.5, la cui deprotonazione produce una
          riduzione dell’efficienza catalitica.
L’ipotesi elettrostatica

           I dati sperimentali hanno portato alla formulazione
           della così detta “ipotesi elettrostatica”, secondo la
           quale il meccanismo guida per lʹinterazione enzima‐
           substrato si basa sulla presenza di cariche positive
           nellʹarea circostante il sito attivo.
           La proteina è infatti circondata da valori di
           potenziale negativi, tranne che in due regioni
           definite corrispondenti alla regione occupata dal
           sito attivo.
           Lo ione superossido, a carica negativa, viene
           respinto da ogni regione della proteina, ad
           eccezione delle regioni che contengono il sito attivo.
           Le cariche presenti sulla proteina creano un imbuto
           elettrostatico che convoglia il superossido verso la
           regione del sito attivo.
L’ipotesi elettrostatica

           Vi è quindi un’agevolazione elettrostatica alla
           diffusione del superossido verso il sito attivo, che
           risulta identica sia per la proteina ossidata che per
           quella ridotta, spiegando l’identicità del valore di
           kcat/KM.
           L’ipotesi elettrostatica giustifica anche l’alto valore
           di kcat/KM, infatti la superficie occupata dal sito
           attivo è una piccola percentuale della superficie
           totale dell’enzima.
           Se la collisione dello ione superossido con il sito
           attivo fosse determinata unicamente dalla
           diffusione, la sua probabilità sarebbe bassa e la
           superossido dismutasi non potrebbe avere gli alti
           valori di kcat/KM misurati sperimentalmente.
L’ipotesi elettrostatica

              È stato inoltre dimostrato che la
              distribuzione del potenziale elettrostatico
              è invariata nel corso dell’evoluzione,
              essendo indipendente sia dalla carica
              netta    delle   proteine,    che     dalla
              conservazione di singoli residui
L’ipotesi elettrostatica: considerazioni finali

L’ipotesi elettrostatica conferma che l’efficienza catalitica non è modulata dalla chimica dell’enzima
bensì dalla fisica, o meglio, dalla distribuzione del potenziale elettrostatico.
Le superossido dismutasi a rame e zinco sono quindi enzimi caratterizzati da una kcat/KM molto
elevata.
Ciò è dovuto al fatto che il sito attivo è preformato in modo ottimale per reagire con il suo substrato e
che il limite al processamento del substrato è determinato unicamente dalla capacità del substrato di
raggiungere il sito attivo.
Si tratta di una classe di enzimi che viene definita perfetta, poiché nel caso della SOD l’efficienza
enzimatica è assimilabile in prima approssimazione alla velocità di associazione enzima‐substrato k1.

   L’unica via per migliorare l’efficienza di questo enzima è di
    attrarre in maniera ottimale il substrato verso il sito attivo.
Migliorare efficienza della SOD

            L’efficienza catalitica si può migliorare ottimizzando la
            distribuzione del potenziale elettrostatico e rendendo
            l’imbuto più efficiente nel processo di attrazione del
            substrato carico negativo.
            Tale approccio è stato perseguito introducendo
            aminoacidi a carica positiva ed eliminando aminoacidi a
            carica negativa in prossimità del sito attivo, dando luogo
            ad enzimi superefficienti con kcat/KM dell’ordine di 1 x
            1010 M‐1 s‐1.
             Questi esperimenti, oltre ad aver originato mutanti
            super‐efficienti, hanno dimostrato definitivamente che lo
            step limitante della reazione enzimatica non si trova
            all’interno della chimica dell’enzima.
             Bensì, si trova al di fuori dell’enzima stesso: lo step
            limitante consiste infatti nella capacità dell’enzima di
            attrarre il substrato verso se stesso.
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