Corso di Biologia Strutturale - Structural Biology
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Corso di Biologia Strutturale CdLM in Biologia Cellulare e Molecolare e Scienze Biomediche Dott. Federico Iacovelli; e‐mail: federico.iacovelli@uniroma2.it Dipartimento di Biologia, Dente H, Piano 1, Stanza 378H, http://structuralbiology.bio.uniroma2.it/
Le proteasi a serina e le superossido dismutasi a rame‐zinco (SOD) Le proteasi a serina sono una classe di proteasi che basano il loro meccanismo di catalisi sulla presenza della serina, particolarmente reattiva ed essenziale per la loro attività enzimatica. La considerevole uguaglianza strutturale del sito attivo delle serin proteasi implica che i loro meccanismi catalitici siano simili. Le SOD a rame e zinco sono invece enzimi caratterizzati da una kcat/KM molto elevata, dovuta al fatto che il sito attivo è preformato in modo ottimale per reagire con il suo substrato. Si tratta di una classe di enzimi che viene definita perfetta, per cui considerando la più semplice equazione per il procedere di una reazione enzimatica: si verifica la situazione in cui kcat >> k‐1, ovvero la dissociazione del complesso ES è spostata verso la formazione del prodotto. In questo caso: kcat/KM = kcat k1 / k‐1 + kcat ~ kcat k1 / kcat ~ k1 l’efficienza enzimatica è assimilabile in prima approssimazione alla velocità di associazione enzima‐ substrato k1.
Le proteasi a serina Le proteasi a serina costituiscono una particolare classe di proteasi, il cui meccanismo catalitico si basa sulla fondamentale presenza di un residuo di serina nel sito attivo. Idrolizzano il legame peptidico all’interno di una catena peptidica. Le proteasi a serina eucariotiche (tripsina, la chimotripsina, lʹelastasi) sono molto simili sia a livello del sito catalitico che per struttura tridimensionale. Sono sintetizzate sotto forma di zimogeni inattivi e vengono attivate a seguito di tagli proteolitici. La tripsina e la chimotripsina, ad esempio, vengono sintetizzate nel pancreas ed attivate nellʹintestino ad opera di altre proteasi. Entrambe sono delle endopeptidasi (idrolizzano i legami peptidici interni della proteina, dando origine a frammenti più corti). Un’altra proteasi a serina è la subtilisina, isolata dal batterio Bacillus subtilis. Possiede un sito attivo identico, ma una struttura tridimensionale del tutto differente e non correlata a quella delle altre proteasi.
Le proteasi a serina Chimotripsina Elastasi Subtilisina La principale forza motrice della catalisi delle proteasi a serina è rappresentata da un insieme di tre aminoacidi, denominati “triade catalitica” (una serina, un’istidina ed un aspartico), conservata in tutte le proteasi in una posizione spaziale idonea al taglio di specifici legami peptidici.
Formazione della chimotripsina attiva La forma attiva della chimotripsina è costituita da tre catene peptidiche che traggono origine da una singola catena iniziale denominata chimotripsinogeno. Come si può osservare in figura, il chimotripsinogeno è formato da 245 residui e ospita cinque ponti disolfuro.
Formazione della chimotripsina attiva Il processo di maturazione avviene in seguito a quattro tagli sequenziali che avvengono sui legami peptidici che seguono i residui 13 e 15 e 146 e 148. I due dipeptidi costituiti dai residui 14‐15 e 147‐148 vengono rilasciati, mentre i tre nuovi polipeptidi sono tenuti assieme dai ponti disolfuro, oltre che dalle interazioni non covalenti. L’eliminazione dei due dipeptidi porta ad un riarrangiamento tridimensionale. In particolare, l’eliminazione del dipeptide 14‐15 conduce alla formazione di un ponte salino tra il nuovo N‐terminale del residuo 16 e l’aspartico 194, il quale provoca un riarrangiamento della serina 195, (facente parte della triade), indispensabile per l’attivazione dell’enzima.
Triade catalitica La triade è conservata in più proteasi a serina, tra cui la subtilisina di origine batterica, non correlata da un punto di vista strutturale con le proteasi a serina digestive, come la tripsina e la chimotripsina. La triade catalitica è conservata anche nella carbossipeptidasi II, un’esopeptidasi isolata dal germe di grano. Nei tre tipi di proteasi, l’ordine delle sequenze amminoacidiche primarie dei residui localizzati nei corrispondenti siti attivi è molto diverso, così come differenti sono le strutture tridimensionali delle proteine. Conseguentemente, lapossibilità che tali proteasi siano state originate da una proteina ancestrale comune è davvero remota.
Le quattro caratteristiche strutturali delle proteasi a serina necessarie a conferirne la funzione Le proteasi a serina sono caratterizzate da quattro caratteristiche strutturali conservate necessarie al mantenimento ed all’ottimizzazione del proprio meccanismo catalitico: 1. la triade catalitica; 2. la buca dell’ossianione; 3. la tasca di specificità; 4. la capacità di instaurare interazioni deboli aspecifiche.
Triade catalitica La triade catalitica è costituita da tre aminoacidi: serina, istidina e aspartico. Nella chimotripsina si trovano in posizione Ser195‐His57‐Asp102. Nella subtilisina in posizione Ser221‐His64‐Asp32. La triade è fortemente conservata e permette l’attacco nucleofilo della serina sul carbonio del legame peptidico che deve essere tagliato.
Buca dell’ossianione Nel processo catalitico la buca dell’ossianione delle proteasi è l’elemento che consente l’accelerazione della reazione enzimatica. Serve infatti a stabilizzare il complesso di transizione e quindi ad abbassarne l’energia di attivazione. La stabilizzazione avviene attraverso legami idrogeno tra gruppi presenti in questa cavità e l’ossigeno legato al carbonio, a sua volta legato dalla catena laterale della serina. Nella chimotripsina, ad esempio, si ha la formazione di 2 legami idrogeno tra l’ossigeno parzialmente negativo del carbonile e 2 NH della catena principale di Ser195 e Gly193. La capacità di legare in modo efficace il complesso di transizione tetraedrico velocizza la reazione.
Tasca di specificità Le proteasi a serina manifestano una parziale specificità nella proteolisi di legami peptidici prossimi ad alcune catene laterali. Considerando come punto di partenza il gruppo N‐terminale della proteina substrato, la catena laterale di riconoscimento precede il legame che deve essere tagliato. La specificità è a carico di una tasca i cui elementi principali sono 3 residui, la cui dimensione e carica varia a seconda della catena laterale della proteina substrato con cui devono interagire.
Interazioni aspecifiche Il riconoscimento tra la proteasi e la proteina substrato avviene attraverso una serie di legami idrogeno tra le due catene principali. Nello specifico, essi avvengono attraverso un “loop” presente nella proteasi e la proteina substrato. Questa interazione porta alla formazione di un breve foglietto β antiparallelo con la proteina substrato. In particolare uno di questi legami a idrogeno si «fortifica» (riducendo la sua distanza) nel passaggio dal complesso enzima‐substrato alla formazione dello stato di transizione. Si rileva, in tal modo, la sua utilità ai fini della stabilizzazione dello stato di transizione e, quindi, dell’accelerazione della reazione.
Reazione catalitica Le proteasi a serina sono così denominate perchè un residuo di serina è responsabile dellʹattacco nucleofilo al carbonile del legame peptidico. Normalmente lʹossidrile della serina non è un buon nucleofilo, in quanto il pK di dissociazione del protone è estremamente elevato e quindi il suo protone non si stacca. Nelle proteasi a serina, però, è presente la ʺtriade cataliticaʺ, che coinvolge i residui amminoacidici Asp‐ 102, His‐57 e Ser‐195 la cui funzione è quello di abbassare il pKa dellʹossidrile della serina permettendone la ionizzazione.
Reazione catalitica Il primo evento del meccanismo catalitico è l’interazione enzima‐substrato. Questo riconoscimento permette la cessione del protone dell’ossidrile della catena laterale della serina 195 all’istidina 57 che diventa doppiamente protonata ed è stabilizzata dalla carica negativa dell’Asp102. L’Asp102 non si protona durante il processo di catalisi avendo un pKa < 2, bensì orienta His57 in modo tale che possa prendere il protone da Ser195 e stabilizza la carica positiva di His57 protonata.
Reazione catalitica La serina sarà così in grado di effettuare l’attacco nucleofilo al carbonio carbonilico del legame peptidico, generando un intermedio tetraedrico Lʹintermedio tetraedrico è stabilizzato dalla formazione di legami idrogeno tra lʹossigeno del carbonile interagente con la serina ed i gruppi NH di Gly‐193 e Ser‐195.
Reazione catalitica Successivamente, lʹintermedio tetraedrico collassa nell’intermedio acil‐enzima. In seguito alla catalisi acida esercitata da His57, avviene la donazione di un protone da parte del N3 dell’istidina. L’acil‐enzima è estremamente instabile ma è stato caratterizzato strutturalmente, attraverso diffrazione a raggi X, nell’elastasi bloccandolo a basse temperature. In tal modo, si verifica la liberazione della porzione del polipeptide con NH2 terminale, ma il resto del polipeptide risulta legato con legame estere a Ser195.
Reazione catalitica Il nuovo gruppo aminico viene rilasciato e sostituito da una molecola di acqua che interagisce con l’N3 dell’istidina.
Reazione catalitica Il residuo di His57 preleva un protone dalla molecola di acqua generando un gruppo ossidrilico che attacca il carbonio carbonilico: si genera così un nuovo intermedio tetraedrico. Lʹintermedio tetraedrico viene stabilizzato dalla formazione di legami idrogeno tra lʹossianione ed i gruppi NH di Gly193 e Ser195.
Reazione catalitica Lʹintermedio tetraedrico collassa a causa della catalisi acida esercitata da His57, ovvero His57 cede un protone alla catena laterale di Ser195. La seconda parte del polipeptide viene rilasciata e la proteasi torna nello stato iniziale, pronta per un nuovo ciclo di catalisi. In questa parte della reazione l’acqua è il gruppo nucleofilo e la serina è il gruppo uscente.
La buca dell’ossianione L’importanza della buca dell’ossianione è stata messa in evidenza dall’analisi comparata di alcune strutture di proteasi a serina e loro inibitori ottenute per diffrazione X. Lo schema della proteina in prossimità della buca, riportato in figura, mostra l’interazione tra la proteasi ed il substrato prima e dopo la formazione dello stato di transizione. Prima della formazione dello stato di transizione, il carbonio carbonilico del legame peptidico che deve essere proteolizzato viene distorto per entrare nella tasca dell’ossianione, ma non riesce ad effettuare nessuna interazione non covalente con i residui della proteasi.
La buca dell’ossianione Successivamente alla formazione del complesso tetraedrico (ovvero dello stato di transizione), l’ossigeno del gruppo carbonilico, provvisto di carica negativa (ossianione), interagisce e forma un legame idrogeno con il gruppo NH della catena principale sia di Ser 195 che di Gly 193. Inoltre, la distorsione avvenuta a causa della formazione del complesso tetraedrico, porta alla creazione di un ulteriore legame idrogeno tra il gruppo NH del residuo, che precede il legame peptidico ed il carbonile della Gly 193. Il complesso tetraedrico ha, rispetto al legame enzima‐substrato, un legame preferenziale con la proteasi, che conferisce gran parte dell’efficienza della proteasi stessa.
La tripsina ed il suo inibitore Una dimostrazione dell’esistenza del complesso tetraedrico è data dalla struttura derivante dalla diffrazione a raggi X del cristallo della tripsina, coordinata con il suo inibitore naturale, l’inibitore della proteasi tripsina pancreatica bovina (BPTI). Il BPTI è una piccola proteina di 58 residui che forma con la tripsina un complesso molto stabile, grazie ad una notevole complementarità di superficie ed alla presenza di numerose interazioni deboli (vdW e elettrostatica). La costante di dissociazione tra queste due proteine è 10‐13 M e questa forte interazione impedisce a qualsiasi molecola di tripsina, che sia stata attivata prematuramente nel pancreas, di svolgere una qualsiasi attività proteolitica sulle proteine presenti nell’organo.
La tripsina ed il suo inibitore Il BPTI interagisce con la proteasi tramite un’interazione simil‐substrato. La catena laterale di una lisina si introduce nella tasca di specificità ed il legame peptidico Lys‐Ala si posiziona con il carbonio carbonilico pronto ad essere attaccato dalla catena laterale della serina del sito attivo. Il complesso ha una conformazione che si trova lungo le coordinate di reazione, che conduce alla formazione del complesso tetraedrico. L’ossigeno della serina crea contatti van der Waals con il carbonio carbonilico del legame peptidico del BPTI, tuttavia la reazione non procede perché, essendo il complesso sigillato, il gruppo non può essere allontanato e l’acqua non può entrare. Di conseguenza, il sistema non si deforma, non si ottimizza la formazione del complesso tetraedrico ed il BPTI funge da inibitore perfetto.
Caratteristiche generali della struttura delle proteasi a serina Le strutture tridimensionali delle proteasi a serina eucariotiche sono molto simili. La prima struttura è stata risolta nel 1967 ed è quella della chimotripsina. La proteina è costituita da due domini, ognuno di circa 120 residui. Ogni dominio forma un barile β composto da sei filamenti di cui i primi quattro formano un motivo a greca e gli ultimi due un motivo a forcina antiparallela. Il sito attivo si trova in una cavità compresa tra i due domini ed i residui che costituiscono la triade catalitica si trovano sui “loop” di connessione dei filamenti β.
Caratteristiche generali della struttura delle proteasi a serina Due residui, l’His57 e l’Asp102, sono presenti sul primo dominio, l’altro, la Ser195 si trova sul secondo. In dettaglio: l’His57 e la Ser195 sono all’interno del “loop” 3‐4 del dominio 1 e 2 rispettivamente, mentre l’Asp 102 è nel “loop” 5‐6 del dominio 2. Gli altri residui che possono considerarsi parte del sito attivo, quali i residui che definiscono la tasca di specificità o che formano legami idrogeno con la catena principale della proteina substrato, si trovano sui “loops” 3‐4 e 5‐6 del dominio 2. Anche in questo caso è rispettata la regola generale secondo cui la parte strutturale e la parte funzionale sono localizzate in regioni differenti dell’enzima. La parte strutturale è costituita dai filamenti β che formano il barilotto, mentre la parte del sito attivo si trova sulle anse di connessione dei filamenti β.
Caratteristiche generali della struttura delle proteasi a serina I due domini presentano un basso grado di identità, ma sono molto simili da un punto di vista tridimensionale. Ciò fa supporre che queste proteasi siano frutto di una duplicazione genica di un unico gene ancestrale. Tuttavia, quest’ultimo non avrebbe potuto possedere la triade catalitica, in quanto i residui della triade si trovano uno su un dominio e due sull’altro, contravvenendo all’ipotesi formulata. Vari esperimenti di mutagenesi sito‐diretta hanno evidenziato che le proteasi continuano ad avere un’attività catalitica anche dopo eliminazione di alcuni residui della triade, dimostrando che la triade non è essenziale ma serve ad ottimizzare l’efficienza enzimatica. È plausibile dunque ritenere che le proteasi derivino da duplicazione di un unico gene ancestrale.
Caratteristiche generali della struttura delle proteasi a serina Ulteriore peculiarità delle proteasi consiste nel fatto che la tasca di specificità, accomodando la catena laterale del residuo precedente il legame peptidico che deve essere proteolizzato, determina la specificità di taglio. In figura sono rappresentate le tasche della chimotripsina, tripsina ed elastasi. La specificità è essenzialmente determinata dalla tipologia delle catene laterali degli amminoacidi in posizione 189, 216 e 226. Le loro caratteristiche chimico‐fisiche ne determinano la specificità: nella chimotripsina la tasca è specifica per catene laterali aromatiche, nella tripsina per catene laterali cariche positivamente e nell’elastasi per catene laterali di dimensioni ridotte.
La proteasi a serina subtilisina La subtilisina è una proteasi batterica a serina con caratteristiche strutturali completamente differenti da quelle eucariotiche. La subtilisina è una proteina di 275 residui con una struttura tridimensionale complessa, in cui il dominio principale è rappresentato dal dominio N‐terminale, costituito da cinque filamenti β paralleli circondata da quattro α‐eliche, due per ogni lato. Il motivo strutturale che caratterizza la subtilisina è un motivo di tipo α/β in cui è presente un’eccezione strutturale.
La proteasi a serina subtilisina Infatti, tutti i motivi di tipo β‐α‐β presenti nelle proteine sono di tipo destrorso, mentre nella subtilisina il motivo β2‐αB‐β3 è di tipo sinistrorso, come si può osservare nel diagramma topologico. Il motivo di questa eccezione è dovuto al fatto che l’His64, facente parte della triade catalitica, è situata nel primo giro dell’elica αB. Se il motivo fosse destrorso, la posizione tridimensionale dell’istidina sarebbe inadatta a formare la triade catalitica.
La proteasi a serina subtilisina Nonostante le forti diversità strutturali tra la subtilisina e le altre proteasi a serina, anche questa proteasi batterica possiede le quattro caratteristiche strutturali tipiche delle proteasi a serina. Si configura quindi un palese caso di evoluzione convergente a livello molecolare. La subtilisina è stata ampiamente studiata al fine di comprendere in profondità il meccanismo di funzionamento delle proteasi a serina. In particolare, alcuni studi hanno permesso di delineare bene il ruolo della buca dell’ossianione nella stabilizzazione dello stato di transizione.
La proteasi a serina subtilisina Nella subtilisina, il complesso tetraedrico viene stabilizzato da legami idrogeno che avvengono con la catena laterale dell’asparagina 155 e non con la catena principale. Eliminando per mutagenesi sito diretta questo residuo, è stato possibile verificarne il ruolo da un punto di vista funzionale. Sostituendo l’Asn155 con un altro aminoacido, la cui catena laterale non è in grado di effettuare legame idrogeno con il complesso tetraedrico, si riduce il valore di kcat/KM. Tale diminuzione deriva da una riduzione del valore di kcat, perché eliminando la possibilità di effettuare il legame idrogeno non si abbassa l’energia di attivazione del complesso di transizione. La buca dell’ossianione ha quindi un ruolo determinante nel modulare l’efficienza catalitica di questa classe di enzimi.
Superossido dismutasi Le superossido dismutasi sono una classe di metallo enzimi che catalizzano la dismutazione dello ione superossido in perossido di idrogeno ed ossigeno, attraverso la riduzione ciclica del rame presente nel sito attivo. La reazione è la seguente: 2O2‐. + 2H+ O2 + H2O2 La funzione di questo enzima è di proteggere le cellule dall’azione tossica del radicale superossido che si forma nelle cellule aerobiche, principalmente a causa della perdita di elettroni dai diversi componenti delle catene di trasporto elettronico. Le superossido dismutasi sono ubiquitarie, risultando presenti in quasi tutti i sistemi biologici aerobi.
Superossido dismutasi In base alla natura del metallo prostetico presente nel sito attivo, che consente loro di svolgere l’attività catalitica, sono distinte in Cu,ZnSOD, FeSOD e MnSOD. Le ultime due sono caratterizzate da una simile struttura secondaria (ad α‐elica) e terziaria e sono presumibilmente evolute da uno stesso gene ancestrale. Le superossido dismutasi a rame‐zinco, Cu,Zn‐SOD, sono caratterizzate da una struttura secondaria a foglietti β organizzati in motivi strutturali a greca a formare una struttura terziaria a barile. Generalmente, negli eucarioti si trova nel citoplasma, ma è stata riscontrata anche nel periplasma dei batteri gram‐ negativi.
Caratteristiche strutturali delle Cu,ZnSOD Le Cu,Zn‐SOD eucariotiche sono proteine omodimeriche di peso molecolare pari a 32 KDa. Ogni subunità è composta da circa 150 aminoacidi e contiene un atomo di rame, essenziale per il processo catalitico, e uno di zinco che ha principalmente funzione strutturale. La subunità è costituita da otto filamenti β antiparalleli, disposti in una struttura terziaria a cilindro leggermente schiacciato da un lato e collegati tra loro da tre lunghe anse (“loop” 4,7‐ “loop” 6,5‐ “loop” 7,8) e da regioni con inversione di catena (“turns”and “tight turns”). La struttura è a β‐barrel ed evidenzia il motivo topologico definito a “greca” che è comune a molti sistemi biologici di grande interesse, tra cui le immunoglobuline.
Caratteristiche strutturali delle Cu,ZnSOD Il cilindro è asimmetrico e può essere diviso in due sezioni: una comprende dal primo al quarto segmento β, l’altra dal quinto all’ottavo. I segmenti β di questʹultima sono più corti, instaurano un numero inferiore di legami idrogeno, possiedono unʹalternanza meno regolare delle catene laterali e una maggiore distorsione, spiegando così l’asimmetria del cilindro β. Sono presenti tre anse principali: la 6,5; la 7,8 e la 4,7.
Caratteristiche strutturali delle Cu,ZnSOD Lʹansa 6,5 può essere divisa in due sottodomini: • il primo, che si estende dalla Gly47 alla Pro60, contribuisce al contatto tra le subunità, forma un lato del canale del sito attivo ed è stabilizzato dallʹunico ponte disolfuro del monomero (Cys55‐Cys144); • il secondo, che comprende i residui tra His61 e Leu82, è la regione che include i quattro ligandi dello zinco che provvedono a mantenere lo ione completamente nascosto al solvente.
Caratteristiche strutturali delle Cu,ZnSOD Lʹansa 7,8 forma una sorta di coperchio sul sito attivo ed è funzionalmente rilevante, in quanto contiene i residui che, attraverso un’attrazione elettrostatica, guidano il substrato nel canale del sito attivo verso il rame catalitico Cu(II). Lʹansa 4,7 è la più piccola e lega lʹAsp99 allʹArg113 dando origine ad una connessione a greca che attraversa una estremità del cilindro β.
Struttura del sito attivo metallico Studi di cristallografia e spettroscopia hanno dimostrato che la struttura del sito attivo della superossido dismutasi a rame e zinco è altamente conservata. Il sito catalitico di ciascuna subunità è orientato nella regione opposta all’interfaccia che le unisce ed è costituito da un lungo canale che ha per base il foglietto β del cilindro ed è delimitato lateralmente dalle anse 6,5 e 7,8, creando una sorta di coperchio attorno ad esso. In fondo al canale si collocano il rame e lo zinco, il primo esposto al solvente, mentre il secondo è inaccessibile ad esso.
Struttura del sito attivo metallico Il rame è coordinato agli atomi di azoto di quattro istidine: His44 e His 46 localizzate nel sesto segmento β, His118 del settimo segmento β e His61 del “loop” 6,5. La disposizione dei suoi ligandi determina la geometria quadrato planare con distorsione tetraedrica. La distorsione, insieme al particolare orientamento degli anelli imidazolici, rende la posizione del rame più aperta dal lato del solvente, permettendo la presenza di una molecola di acqua coordinata in posizione assiale. In diversi enzimi eucariotici si è osservato che lʹHis61 forma un ponte tra il rame e lo zinco, per cui i due metalli sono compresi in un piano a circa 6 Å di distanza.
Struttura del sito attivo metallico I ligandi dello zinco sono collocati sul “loop” 6,5 e sono rispettivamente l’atomo di azoto delle His61, 69, 78 ed il residuo Asp81. La geometria del sito è di tipo tetraedrico, con una distorsione a piramide trigonale con l’Asp81 all’apice. I tre anelli delle istidine sono collocati quasi di fronte allo zinco in direzione del sito attivo: l’atomo risulta così interno alla struttura proteica ed inaccessibile al solvente. I due metalli rappresentano il cuore del sito attivo con l’atomo di rame direttamente coinvolto nella reazione di ossido riduzione necessaria a dismutare lo ione superossido.
Struttura del sito attivo metallico Esistono tuttavia alcuni residui proteici, oltre ai ligandi dei metalli, che hanno un ruolo fondamentale nel processo catalitico. In particolare, tutte le superossido dismutasi a rame e zinco analizzate presentano in posizione 141 un residuo di arginina che è altamente conservato. Questo residuo si posiziona frontalmente all’atomo di rame e risulta determinante sia nell’attrazione che nel posizionamento dell’ione superossido.
Meccanismo di catalisi enzimatica Il ciclo catalitico è costituito da due reazioni in cui lo ione superossido reagisce alternativamente con il rame alla stato ossidato e allo stato ridotto. Le due reazioni sono caratterizzate da una medesima efficienza catalitica, essendo per ambedue kcat/KM identica e molto elevata, dell’ordine di 2x109 M‐1 s‐1 . La catalisi ha inizio con il sopraggiungere di una molecola di ione superossido, che spiazza la molecola d’acqua assiale, legando un atomo di ossigeno al Cu2+ e formando con l’altro un legame idrogeno con l’azoto del guanidinio di Arg141, il quale stabilizza il complesso rame‐substrato.
Meccanismo di catalisi enzimatica L’O2‐. legato provoca la riduzione di Cu2+ ʺrameicoʺ alla forma Cu+ ʺrameoso” e contemporaneamente si rompe il legame tra l’His61 ed il rame, viene rilasciato O2 e l’azoto di His61 dissociato si protona. Una seconda molecola di O2‐. si lega con il rame nello stato ridotto Cu+. Un trasferimento elettronico dal Cu+ abbinato ad un trasferimento protonico dall’His61, con l’aggiunta di un secondo protone, proveniente da una molecola di acqua del solvente, permette la formazione di una molecola neutra di H2O2, che viene eliminata. Il rame, allo stato ossidato, ripristina il legame con l’azoto di His61 deprotonata, con conseguente ritorno allo stato strutturale iniziale del sito attivo.
L’ipotesi elettrostatica Dati sperimentali hanno dimostrato che l’efficienza di dismutazione dello ione superossido è identica sia per l’enzima con il rame allo stato ossidato che in quello ridotto. Inoltre, il valore di kcat/KM è molto elevato, dell’ordine di 2x109 M‐1 s‐1, uno dei maggiori mai riscontrati per qualsiasi famiglia di enzimi. Tali dati indicano che si tratta di una reazione ai limiti della diffusione, sia quando il rame è ossidato sia quando il rame è ridotto. La chimica dell’enzima non risulta in grado di influenzare l’efficienza enzimatica, perciò l’efficienza è governata da fattori fisici indipendenti dallo stato di ossidazione del rame. Un risultato sperimentale interessante riguarda la misura dell’efficienza enzimatica kcat/KM in funzione del pH e della forza ionica.
L’ipotesi elettrostatica Questa misura, riportata nel grafico, indica che ad ogni singola forza ionica l’efficienza è pH indipendente per valori di pH compresi tra 7 e 9. Per valori superiori l’efficienza diminuisce, ma in percentuale inferiore se i valori di forza ionica sono alti. In particolare, mentre per valori di pH tra 7 e 10 l’efficienza diminuisce all’aumentare della forza ionica, per valori di pH tra 11 e 12 l’efficienza catalitica è quasi costante qualsiasi valore assuma la forza ionica. La dipendenza del valore di kcat/KM dalla forza ionica indica che tale parametro è condizionato dall’elettrostatica. Inoltre, la diminuzione di kcat/KM all’aumentare del pH presuppone la presenza di uno o più gruppi con un pK intorno a 10.5, la cui deprotonazione produce una riduzione dell’efficienza catalitica.
L’ipotesi elettrostatica I dati sperimentali hanno portato alla formulazione della così detta “ipotesi elettrostatica”, secondo la quale il meccanismo guida per lʹinterazione enzima‐ substrato si basa sulla presenza di cariche positive nellʹarea circostante il sito attivo. La proteina è infatti circondata da valori di potenziale negativi, tranne che in due regioni definite corrispondenti alla regione occupata dal sito attivo. Lo ione superossido, a carica negativa, viene respinto da ogni regione della proteina, ad eccezione delle regioni che contengono il sito attivo. Le cariche presenti sulla proteina creano un imbuto elettrostatico che convoglia il superossido verso la regione del sito attivo.
L’ipotesi elettrostatica Vi è quindi un’agevolazione elettrostatica alla diffusione del superossido verso il sito attivo, che risulta identica sia per la proteina ossidata che per quella ridotta, spiegando l’identicità del valore di kcat/KM. L’ipotesi elettrostatica giustifica anche l’alto valore di kcat/KM, infatti la superficie occupata dal sito attivo è una piccola percentuale della superficie totale dell’enzima. Se la collisione dello ione superossido con il sito attivo fosse determinata unicamente dalla diffusione, la sua probabilità sarebbe bassa e la superossido dismutasi non potrebbe avere gli alti valori di kcat/KM misurati sperimentalmente.
L’ipotesi elettrostatica È stato inoltre dimostrato che la distribuzione del potenziale elettrostatico è invariata nel corso dell’evoluzione, essendo indipendente sia dalla carica netta delle proteine, che dalla conservazione di singoli residui
L’ipotesi elettrostatica: considerazioni finali L’ipotesi elettrostatica conferma che l’efficienza catalitica non è modulata dalla chimica dell’enzima bensì dalla fisica, o meglio, dalla distribuzione del potenziale elettrostatico. Le superossido dismutasi a rame e zinco sono quindi enzimi caratterizzati da una kcat/KM molto elevata. Ciò è dovuto al fatto che il sito attivo è preformato in modo ottimale per reagire con il suo substrato e che il limite al processamento del substrato è determinato unicamente dalla capacità del substrato di raggiungere il sito attivo. Si tratta di una classe di enzimi che viene definita perfetta, poiché nel caso della SOD l’efficienza enzimatica è assimilabile in prima approssimazione alla velocità di associazione enzima‐substrato k1. L’unica via per migliorare l’efficienza di questo enzima è di attrarre in maniera ottimale il substrato verso il sito attivo.
Migliorare efficienza della SOD L’efficienza catalitica si può migliorare ottimizzando la distribuzione del potenziale elettrostatico e rendendo l’imbuto più efficiente nel processo di attrazione del substrato carico negativo. Tale approccio è stato perseguito introducendo aminoacidi a carica positiva ed eliminando aminoacidi a carica negativa in prossimità del sito attivo, dando luogo ad enzimi superefficienti con kcat/KM dell’ordine di 1 x 1010 M‐1 s‐1. Questi esperimenti, oltre ad aver originato mutanti super‐efficienti, hanno dimostrato definitivamente che lo step limitante della reazione enzimatica non si trova all’interno della chimica dell’enzima. Bensì, si trova al di fuori dell’enzima stesso: lo step limitante consiste infatti nella capacità dell’enzima di attrarre il substrato verso se stesso.
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