Consultazioni 14/2021 - Agenzia delle Entrate

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Consultazioni 14/2021 - Agenzia delle Entrate
14/2021

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Risposta alla consultazione pubblica del 18 ottobre 2021 indetta dall’Agenzia delle
Entrate sulla bozza di circolare che fornisce chiarimenti in tema di disallineamenti da
ibridi
Risposta alla consultazione pubblica indetta dall’Agenzia delle Entrate                            /2021

1. Introduzione

Ringraziamo i competenti organi dell’Agenzia delle Entrate per l’opportunità che ci
viene data di sottoporre alla loro attenzione le nostre considerazioni sullo schema di
circolare che fornisce chiarimenti in merito alla disciplina dei “Disallineamenti da Ibridi”
contenuta negli artt. da 6 a 11 del D.Lgs. 29 novembre 2018, n. 142 di recepimento
della direttiva ATAD1.

Di seguito, formuliamo le nostre osservazioni sul contenuto della bozza di circolare
seguendo uno schema espositivo che, per motivi di semplicità, riassume le varie
considerazioni per macro-temi.

2. Il problema del coordinamento delle norme di neutralizzazione dei
disallineamenti da ibridi con le linking rules o le misure generali di prevenzione
di altri ordinamenti intra o extra-UE

Com’è noto, l’implementazione delle linking rules (i.e.: delle norme di neutralizzazione
dei disallineamenti da ibridi) con la previsione delle due reazioni, primaria e
secondaria, è finalizzata a garantire ad ogni ordinamento la protezione (standing alone)
dalle strutture ibride, sia in veste di giurisdizione del pagatore che in veste di
giurisdizione del beneficiario/investitore, anche laddove il Paese di residenza della
controparte non abbia adottato norme equivalenti di neutralizzazione dei
disallineamenti da ibridi né disponga di misure generali di prevenzione. Ove, invece,
anche la giurisdizione della controparte sia dotata di regole di neutralizzazione e/o di
prevenzione, sono necessari opportuni criteri di coordinamento per evitare, per un
verso, fenomeni di doppia tassazione e, per un altro verso, il persistere di lacune che
non risolvano il disallineamento. Il tema si pone, a nostro avviso, in termini diversi nei
rapporti tra Paesi membri dell’UE (per i quali assumono rilievo le disposizioni della
direttiva ATAD) o nei rapporti con Paesi terzi.

2.1. L’ordine gerarchico nell’applicazione delle linking rules (i.e.: reazione primaria
e reazione secondaria) risponde all’obiettivo di evitare multiple tassazioni nel caso in
cui entrambi gli ordinamenti interessati alle operazioni abbiano adottato equivalenti
regole di neutralizzazione dei disallineamenti da ibridi: la reazione secondaria nel

1Direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio del 12 luglio 2016 (c.d. ATAD 1), recante norme contro le pratiche
di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno, come modificata dalla
Direttiva (UE) 2017/952 del Consiglio del 29 maggio 2017 (c.d. ATAD 2).

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Paese del beneficiario/investitore non verrà infatti attivata laddove il Paese del
pagatore abbia applicato la reazione primaria.

E questo principio mantiene la sua validità tranne nei casi in cui – precisa la bozza di
circolare a pag. 23 – lo Stato estero “abbia adottato soluzioni non conformi a quelle
accolte dal Legislatore italiano e, in linea generale, dalla direttiva ATAD o le abbia
implementate con modalità tecniche tali da non garantire la rimozione degli effetti di
uno dei disallineamenti da ibridi rilevanti”; con ciò aprendo un problema complesso di
individuazione delle soluzioni che possono considerarsi conformi a quelle adottate
dall’ATAD.

Sul punto, riterremmo utile che la versione definitiva della circolare fornisse qualche
chiarimento ulteriore rispetto allo schema posto in consultazione, che si limita a
precisare, in modo piuttosto laconico, che “una modalità concreta per determinare il
ricorrere di tale situazione è quella di confrontare i presupposti di applicazione della
disposizione di contrasto prevista dall’ordinamento estero con i corrispondenti
presupposti previsti dall’ordinamento italiano”. In ogni caso, ci sembrerebbe opportuno
che venisse chiarito in modo esplicito che nessun vaglio di conformità si rende
necessario nei rapporti tra Stati membri, le cui disposizioni di attuazione non possono
certo discostarsi dai comuni “presupposti” applicativi della direttiva.

Al riguardo, anticipando una questione su cui ritorneremo più approfonditamente in
prosieguo, nel paragrafo dedicato agli ibridi “importati”, riteniamo che le differenze di
recepimento dei contenuti della direttiva da parte degli Stati membri non possano
mettere in discussione il comune livello di protezione del mercato unico che la direttiva
intende assicurare; di modo che, ove non risulti risolto un disallineamento in ragione
del fatto che uno Stato membro ha introdotto norme “inadeguate” rispetto al predetto
livello comune di protezione, sarà questo stesso Stato membro a dover apportare i
necessari correttivi, non essendo configurabile alcuna possibilità di “trasferire” a carico
di un altro ordinamento adempimenti procedurali o, peggio ancora, oneri di reazione di
qualsiasi tipo.

Peraltro, la bozza di circolare (cfr. pag. 23) distingue, opportunamente, l’ipotesi in cui
l’altro ordinamento non si sia dotato di regole di contrasto dei disallineamenti da ibridi
“equivalenti”, dalla diversa ipotesi “della mancata applicazione di una specifica
disposizione esistente, conseguente ad un inadempimento da parte del soggetto ivi
localizzato e tenuto ad applicarla”. In questo secondo caso, si afferma che “in linea di
principio” in Italia non è comunque applicabile la reazione secondaria e
l’Amministrazione finanziaria attiverà gli strumenti di cooperazione internazionale per

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informare l’altra giurisdizione dell’inadempimento del contribuente. Ciò che, tuttavia,
desta qualche preoccupazione è la successiva affermazione, contenuta a pag. 24 della
bozza di circolare, secondo cui la menzionata soluzione, “al fine di garantire l’integrità e
l’effettività del sistema delle disposizioni anti ibridi, si ritiene applicabile solo in
presenza di uno Stato membro dell’Unione europea o di altri Stati terzi con i quali è in
vigore uno specifico accordo (n.d.r.: enfasi aggiunta) per lo scambio di informazioni;
diversamente la reazione secondaria sarà comunque attivabile in Italia al fine di
neutralizzare il disallineamento”.

Al riguardo, riteniamo che, una volta verificata la presenza in un ordinamento estero di
equivalenti disposizioni di contrasto dei disallineamenti da ibridi, il corretto
adempimento dell’onere da parte del contribuente costituisca un profilo di esclusivo
interesse per l’amministrazione di pertinenza e non possa in alcun modo comportare
l’attivazione della reazione (secondaria) da parte della controparte italiana dell’ibrido
(diretto) o l’attivazione della reazione (primaria) dell’ibrido (indiretto) non risolto dal
contribuente chiamato normativamente a risolverlo, in applicazione di regole di comune
applicazione a livello transnazionale.

Sul punto sarebbe opportuno un ripensamento delle conclusioni adottate nella bozza di
circolare. In ogni caso, non è chiaro – ed andrebbe meglio specificato – se si ritiene
necessaria la stipula di un accordo “specifico” per lo scambio di informazioni in tema
di disallineamenti da ibridi, oppure se si intende porre riferimento alla complessiva
“rete” degli accordi amministrativi per lo scambio di informazioni, spontaneo o a
richiesta, in conformità all’art. 26 delle Convenzioni contro le doppie imposizioni; degli
accordi amministrativi tra autorità competenti stipulati per lo scambio automatico
d’informazioni in base alla convenzione multilaterale sulla mutua assistenza
amministrativa in campo fiscale e degli accordi TIEA (c.d. Tax Information Exchange
Agreement).

2.2. La coesistenza fra le misure di “prevenzione” (ad esempio, disposizioni –
domestiche o di altri ordinamenti – che escludano il regime di esenzione dei dividendi
alle remunerazioni di strumenti finanziari deducibili presso l’emittente) e le misure di
reazione “anti-ibridi” (primaria e secondaria) è regolata (cfr. pagg. 20-22 della bozza
di circolare) – al medesimo fine di evitare la doppia imposizione – prevedendo,
correttamente, l’applicazione prioritaria delle prime sulle seconde. Alcune di queste
misure generali sono esplicitamente previste dalla direttiva ATAD (cfr. artt. 8, comma 4,
e 9 destinati, rispettivamente, alla prevenzione dei disallineamenti da stabile
organizzazione disconosciuta o da reverse hybrid) o da altre direttive (in particolare, la
direttiva “madre-figlia”) e la loro attivazione (preventiva) è obbligatoria per tutti gli Stati

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dell’UE; altre misure sono invece presenti a livello domestico, mentre altre ancora sono
rinvenibili nei vari ordinamenti esteri. Orbene, la circolare illustra brevemente le
disposizioni domestiche e quelle disciplinate dalla direttiva ATAD, senza chiarire se –
ed in che termini – analoghe misure generali estere parimenti indirizzate a prevenire i
disallineamenti da ibridi possano essere ritenute idonee a disattivare le linking rules. È
il caso, ad esempio, del regime USA Dual Consolidated Loss (DCL) che – per
evitare la doppia deduzione – vieta di “importare” negli Stati Uniti le perdite di società a
doppia residenza o le perdite attribuibili ad “unità separate” (filiali estere o stabili
organizzazioni) di una società residente le quali, considerate trasparenti per
l’ordinamento USA, si configurino, invece, come opache nell’ottica del Paese di
residenza. Al riguardo, è necessario che venga chiarito se il regime DCL assicuri un
livello di protezione equivalente a quello richiesto dalla direttiva: tale, cioè, da rendere
possibile la disattivazione della risposta secondaria presso una stabile organizzazione
o una società ibrida diretta residente in Italia nel caso in cui la deduzione sia stata
negata presso la sede centrale o la parent USA. Alcuni Stati, anche appartenenti
all’UE, hanno già preso posizione al riguardo; in particolare sia l’Irlanda che il Regno
Unito riconoscono l’adeguatezza delle DCL rules e non reagiscono se gli USA hanno
dato applicazione alle proprie regole. Sarebbe utile che, in questo stesso senso, si
pronunciasse anche la nostra Amministrazione finanziaria, a tutela della certezza del
diritto, del divieto di doppia imposizione, oltre che della competitività del sistema
economico nazionale, contrassegnato da una forte interazione con le multinazionali
USA.

3. Il problema del coordinamento tra le misure anti-ibridi e la general anti-
avoidance rule (c.d. GAAR)

3.1. La bozza di circolare (cfr. pagg. 17-18) specifica che la spontanea rimozione del
disallineamento D/NI o DD da parte del contribuente – a ciò non obbligato in base ad
alcuna previsione normativa – non esclude l’applicazione della reazione anti-ibridi ma,
nel contempo, chiarisce opportunamente che fra le parti sono legittime e, anzi,
realizzano il vero scopo delle norme in esame, operazioni di ristrutturazione o
rimodulazione degli accordi che eliminino in radice il disallineamento, rimuovendo la
causa dell’“ibridità”. E ciò, si precisa, anche laddove “la nuova operazione dia accesso
alla deduzione di un componente negativo di reddito … che, in assenza della modifica
volta a rimuovere la causa ibrida, sarebbe stato indeducibile in quanto oggetto di
reazione”, perché, in effetti, “l’idea di fondo che ha ispirato l’introduzione delle
disposizioni anti ibridi …non risiede nell’esigenza di raccogliere maggior gettito …

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bensì in quella di spingere i contribuenti verso strutture fiscali lineari e più trasparenti”.
Con il che viene legittimata, correttamente, l’adozione di operazioni non
contrassegnate da “ibridità” anche laddove non comportino, per altri motivi, un perfetto
allineamento tra la deduzione operata in un ordinamento e l’inclusione effettuata in
quello della controparte: si pensi, ad esempio, ad un rapporto di finanziamento,
qualificato come tale in entrambe le giurisdizioni coinvolte e che comporti, per il
soggetto pagatore, la deduzione nel proprio ordinamento degli interessi pagati e, per il
soggetto beneficiario, l’inclusione nel proprio ordinamento degli interessi attivi
sottoposti ad un’aliquota di imposta agevolata (o nulla).

Ciò posto, tuttavia, non risulta del tutto chiaro il passaggio contenuto a pag. 17, ove si
afferma che “in termini generali, queste operazioni di per sé non sono censurabili come
abusive e, salvi ulteriori profili da valutare caso per caso, il comportamento del
contribuente rimarrebbe lecito anche se la nuova operazione dia accesso alla
deduzione di un componente negativo di reddito … che, in assenza della modifica volta
a rimuovere la causa ibrida, sarebbe stato indeducibile in quanto oggetto di reazione in
base alle disposizioni di contrasto dei disallineamenti da ibridi”.

A nostro avviso, si potrebbe interpretare la precisazione sopra richiamata (ma se ne
chiede esplicita conferma) come volta semplicemente a chiarire che una data
operazione (o una serie di operazioni) che risolve il disallineamento eliminando la
causa dell’“ibridità” potrebbe, per altri aspetti, essere finalizzata ad ottenere ulteriori e
differenti vantaggi ritenuti indebiti, da sottoporre, come tali, ad una valutazione ai fini
dell’applicazione della norma generale antiabuso. Il ché ripropone il problema del
coordinamento tra le regole di contrasto degli ibridi e la general anti-avoidance rule
(c.d. GAAR).

Nel dibattito internazionale l’utilizzabilità della GAAR per contrastare le strutture ibride
è sempre apparsa problematica (se non in casi estremi di evidente artificiosità o pura
“circolarità” delle operazioni), soprattutto perché è difficile (e talora impossibile)
individuare un collegamento diretto tra le specifiche operazioni di natura
transfrontaliera e l’aggiramento delle norme e delle imposte dovute in un determinato
ordinamento nazionale. È questo il motivo per cui si è deciso di neutralizzare con le
linking rules le strutture più aggressive; e questo stesso motivo rende estremamente
problematica l’attivazione della GAAR anche rispetto a situazioni di D/NI o di DD che
non rientrino nello scope, oggettivo o soggettivo, delle regole in esame, anche in
considerazione del fatto che la reazione, attraverso la GAAR, ai disallineamenti da
ibridi che si vengano a determinare al di fuori del range, oggettivo e/o soggettivo,
previsto dalle regole OCSE e UE – e, in particolare, al di fuori dei rapporti fra imprese

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associate e degli accordi strutturati – sarebbe in contraddizione con le finalità di queste
disposizioni, il cui perimetro applicativo è appositamente limitato a tali fattispecie
proprio per non gravare le imprese di eccessivi oneri amministrativi.

Più in generale, potrebbe porsi il problema se risulti utilizzabile la GAAR nel caso in cui
sia ravvisabile un aggiramento indebito di queste nuove disposizioni internazionali,
volte a contrastare i disallineamenti da ibridi. Al riguardo, sebbene il ricorso alla GAAR
non possa escludersi – almeno in linea di principio – osserviamo che la sua concreta
operatività in tali ipotesi appare piuttosto problematica, posto che le norme anti-ibridi
presentano delle caratteristiche che mal si conciliano con la norma generale anti-
abuso: in primis, come detto, uno specifico range soggettivo ed oggettivo, un elevato
grado di tecnicismo e un meccanismo applicativo “automatico”2.

3.2. Un altro elemento d’interesse è il passaggio di pag. 18 della bozza di circolare in
cui si precisa che “le previsioni contenute nel Decreto ATAD hanno natura di “norme di
sistema” e non si qualificano come “norme antiabuso”. Ne consegue che le medesime
non possono essere oggetto di disapplicazione a seguito di interpello disapplicativo e,
in caso di violazione, occorrerà valutare da parte degli organi di controllo la sussistenza
dei presupposti di legge per la comunicazione all’autorità giudiziaria per le autonome
valutazioni in merito all’applicabilità delle previsioni di cui all’articolo 4 del decreto
legislativo 10 marzo 2000, n. 74”. Quindi, si esclude, per un verso, che le norme in
esame possano essere oggetto di interpello disapplicativo in quanto ritenute “norme di

2  Semmai, a questo riguardo, sarebbe forse opportuno chiarire la rilevanza delle regole più puntuali
concepite in sede OCSE per evitare, in alcuni casi, l’aggiramento del regime di contrasto degli ibridi;
regole che, in effetti, non sembra siano state richiamate dalla direttiva ATAD.
Intendiamo riferirci, in particolare, ai c.d. “pagamenti sostitutivi” – specificamente individuati e disciplinati
dall’OCSE come fonte di vantaggi fiscali indebiti – che, a determinate e tassative condizioni, possono
essere espressivi di un fenomeno di aggiramento oggettivo del regime degli ibridi. Nel silenzio della
direttiva, taluno si è interrogato sula possibilità che l’art. 6, comma 1, lett. n), del D.Lgs. n. 142 del 2018
possa, in qualche modo, porre riferimento alla nozione di pagamento sostitutivo, laddove il «trasferimento
ibrido» è definito come “qualsiasi accordo di trasferimento di uno strumento finanziario in cui il rendimento
sottostante è considerato, ai fini fiscali, come conseguito simultaneamente da più di una delle parti
dell'accordo ovvero il cui rendimento sottostante è rilevante per la determinazione della sua
remunerazione”.
A ben guardare, tuttavia, l’ultimo inciso contenuto nella citata disposizione non sembra possa essere
interpretato nel senso di legittimare la rilevanza dei pagamenti sostitutivi nel nostro ordinamento: manca
infatti qualsiasi indicazione utile sui presupposti e le condizioni per individuare tali pagamenti e per
stabilirne l’eventuale rilevanza ai fini in esame.
Anche la bozza di circolare non fornisce chiarimenti in proposito, ma sembrerebbe confermare questa
soluzione interpretativa in quanto riferisce l’ipotesi del rendimento sottostante “rilevante per la
determinazione della sua remunerazione” al tipico caso del manufactured payment (cfr. pag. 10, nota 7
della bozza di circolare ove si parla, solo in senso atecnico, di “pagamento sostitutivo” del rendimento del
titolo sottostante).
Il punto meriterebbe un approfondimento.

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sistema” e non “antiabuso” e, per un altro verso, si afferma che la loro violazione
potrebbe eventualmente rilevare sul piano penale, configurando il reato di infedele
dichiarazione.

Sul primo aspetto rileviamo che le disposizioni di contrasto dei disallineamenti da ibridi
sembrerebbero introdurre un tertium genus di norme introdotte con finalità
antielusive; un tertium genus distinto non solo rispetto alla norma generale antiabuso,
ma anche – in ragione del suo funzionamento – rispetto alle norme antiabuso
specifiche. Queste ultime, infatti, hanno la funzione di “prevenire” l’abuso, chiudendo i
possibili “varchi” normativi che potrebbero favorire salti di imposizione indesiderati e
lasciando aperta la possibilità per il contribuente di dimostrare – tramite la
presentazione dell’interpello disapplicativo – che, nello specifico caso, non possono in
concreto realizzarsi gli effetti (di non tassazione, doppia deduzione, salti d’imposta e
simili) che la norma ha inteso evitare. Diversamente, le linking rules come norme di
“reazione” operano – come già si è ricordato – “a valle”: per neutralizzare, cioè, gli
effetti di DD o D/NI una volta che essi risultino in concreto configurabili. Al riguardo, si
potrebbe quindi concludere, semmai, che ove il disallineamento risulti, con riferimento
alla particolare operazione, altrimenti risolto (ad esempio, a seguito dell’inclusione
presso la parent ai sensi della disciplina CFC) non vi è alcuna necessità di produrre
un’istanza obbligatoria di interpello disapplicativo perché la reazione “si disattiva”
automaticamente. In altri termini, le specifiche modalità di funzionamento di queste
regole comportano che esse si disattivino di per sé quando l’effetto di DD o D/NI sia
stato altrimenti risolto con misure, anche di Paesi terzi, ritenute equivalenti sotto il
profilo del livello di protezione.

Il punto è molto delicato e necessiterebbe di specifici approfondimenti da parte dei
competenti organi dell’Agenzia, anche al fine di evitare che i contribuenti si determinino
a presentare, nel dubbio, molteplici istanze di interpello ordinario3.

Per quanto attiene, poi, al secondo aspetto e, cioè, al profilo della rilevanza penale
dell’eventuale violazione delle norme in questione, merita sottolineare che ai fini della
configurabilità del reato di infedele dichiarazione di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del
2000 assume rilievo – al superamento delle prescritte soglie – l’indicazione in una delle

3
  Al riguardo, osserviamo che, a nostro avviso, dovrebbe rimanere comunque impregiudicata la facoltà del
contribuente di presentare un’istanza di interpello ordinario in merito alla corretta interpretazione di alcuni
aspetti problematici del regime degli ibridi; ad esempio, sulla portata delle norme fiscali domestiche
presenti in altre giurisdizioni, al fine di avere certezza in ordine alla loro idoneità a “disattivare” le linking
rules. In altri termini, nei casi di obiettiva incertezza, il contribuente dovrebbe poter fare affidamento sul
parere qualificato dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla natura della misura adottata nella
giurisdizione estera e alla sua efficacia ai fini in esame.

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dichiarazioni annuali di “elementi attivi per un ammontare superiore a quello effettivo
od elementi passivi inesistenti”: fattispecie difficilmente rinvenibili, a nostro avviso, in
caso di violazione delle norme anti-ibridi, che non attengono all’omessa indicazione di
componenti positivi o alla fittizzietà di componenti negativi, né alla loro riqualificazione
e che comportano semplicemente l’applicabilità di un diverso regime fiscale (i.e.:
imponibilità per elementi attivi dichiarati o indeducibilità di elementi passivi reali).

4. Le norme di reazione: i presupposti oggettivi (disallineamenti DD e D/NI e
causa ibrida – pagg. da 7 a 15 e da 24 a 46 dello schema di circolare)

4.1. In tema di doppia deduzione (DD) sono interessate, com’è noto, le fattispecie
dell’ibrida diretta (i.e.: opaca nella giurisdizione di residenza e trasparente per la
giurisdizione dell’investitore, come nel caso molto frequente delle società disregarded
interamente controllate da una parent USA), della stabile organizzazione (con credito o
esente) e della società dual residence (come nel caso frequente delle società
controllate e gestite dal Regno Unito ma altresì residenti fiscalmente in altra
giurisdizione). La bozza di circolare aggiunge, inoltre, come fattispecie generatrice di
DD anche il regime domestico di consolidato mondiale. Tutte fattispecie in cui è
configurabile, in via di principio, sia una doppia deduzione di componenti negativi sia
una doppia inclusione di componenti positivi (tema del dual inclusion income, reddito a
doppia inclusione; c.d. RDI) e per le quali vige il principio per cui la DD da sterilizzare
tramite la reazione si verifica soltanto se (e nella misura in cui) un componente
negativo (ad esempio, deducibile sia presso l’ibrida/stabile organizzazione sia presso il
socio/sede centrale) superi il reddito a doppia inclusione e l’eccedenza di deduzione
compensi nella giurisdizione dell’ibrida/stabile organizzazione un reddito non a doppia
inclusione (c.d. RNDI).

Di seguito, sottolineiamo i principali aspetti problematici.

4.1.1. In caso di disallineamenti relativi a stabili organizzazioni o entità ibride dirette
(cfr. pagg. da 29 a 35 della bozza di circolare) si possono verificare situazioni in cui,
per un verso, un costo sostenuto dalla stabile organizzazione/ibrida verso terzi è
deducibile anche presso la sede centrale/investitore (con effetto DD); nel mentre, per
un altro verso, il compenso (anche strettamente collegato con il predetto costo)
riconosciuto dalla sede centrale/investitore a favore della stabile organizzazione/ibrida
per le attività da essa svolta è incluso nel suo reddito senza tuttavia potere essere
computato in deduzione come componente negativo nella giurisdizione della sede

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centrale/investitore che “vede” un mero internal dealing privo di rilevanza fiscale. Al
riguardo, lo schema di circolare, in modo del tutto condivisibile, fornisce
un’interpretazione sostanzialistica secondo cui la “non deduzione/inclusione” del
compenso “interno” è da considerare, ai fini in esame, come reddito a doppia
inclusione (deemed dual inclusion income): di modo che non si crea un effetto
rilevante di DD se – e nella misura in cui – il costo (doppiamente deducibile) non
ecceda il compenso incluso/non dedotto (considerato RDI).

Seguono tre diverse esemplificazioni riferibili a casi di rapporti tra stabile
organizzazione (o stabili organizzazioni) e casa madre (cfr. pag. 31-35) che richiedono
qualche ulteriore precisazione.

Anzitutto, si tratta di meglio chiarire il significato della condizione che l’Agenzia reputa
essenziale affinché il componente “non dedotto/incluso” possa essere considerato
reddito a doppia inclusione, laddove si afferma, a commento del secondo esempio, che
“anche in tale fattispecie … è necessario valorizzare l’effetto di “non deduzione ed
inclusione” che si verifica tra lo Stato A e lo Stato C relativamente all’internal dealing
che remunera la stabile organizzazione nello Stato C, a condizione che trovi
fondamento nella stessa causa ibrida che genera l’effetto DD, quale forma
alternativa di “reddito a doppia inclusione” e dunque da ritenere equivalente ad un
effetto di doppia inclusione. Ne consegue che anche in tal caso nell’ambito di un
disallineamentto da ibridi con effetto DD la circostanza sopra descritta (ossia un effetto
di “non deduzione ed inclusione” riconducibile alla stessa causa ibrida a cui è
attribuibile l’effetto di DD) dovrà essere tenuta in considerazione ai fini del riscontro e
della misurazione dell’eccesso di deduzione” (cfr. pagg. 32-33; enfasi aggiunta).

Non è chiaro se, con il riferimento alla stessa causa ibrida, si richiede semplicemente
che tanto l’effetto di DD quanto l’effetto di “non deduzione/inclusione” siano stati
generati dal medesimo presupposto (teorico) relativo all’ibridità dei rapporti tra sede
centrale/stabile organizzazione o investitore/ibrida, oppure se è necessario che si
configuri un preciso e concreto nesso economico tra le operazioni che generano DD e
le operazioni che generano non deduzione con inclusione: nel primo caso,
assumerebbe valore la mera circostanza che tanto la doppia deduzione quanto la non
deduzione/inclusione sono la conseguenza della natura ibrida dell’ente o dell’impresa
nelle sue articolazioni di sede centrale e stabili organizzazioni; mentre nel secondo
caso occorrerebbe verificare una sorta di reciproca “corrispettività” (quanto meno sotto
il profilo economico) tra le operazioni che generano elementi di reddito non
dedotti/inclusi e le operazioni che alimentano costi a doppia deduzione.

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E ancora, ci si chiede se questa stessa soluzione è percorribile solo in presenza di più
stabili organizzazioni nello stesso Paese (se, cioè, la DD manifestatasi nei rapporti tra
una stabile organizzazione e casa madre possa essere risolta da una “non
deduzione/inclusione” tra la stessa casa madre ed altra stabile organizzazione nel
medesimo Paese) o anche in Paesi diversi; e, nel caso, se è necessario verificare –
ripetiamo – la presenza di un nesso economico tra le operazioni delle varie stabili
organizzazioni.

Inoltre, è necessario regolare le ipotesi in cui ci sia una differenza temporale tra DD e
non deduzione/inclusione che potrebbero manifestarsi in periodi d’imposta diversi.

Infine, sarebbe opportuno venisse chiarito in modo esplicito che l’impostazione
risultante dagli esempi assume rilievo anche nei rapporti tra ibrida diretta e investitore
e, quindi, anche nei confronti delle società (opache nel Paese di residenza)
interamente controllate da un socio USA che, invece, le considera trasparenti
(disregarded): società che, molto frequentemente, sono remunerate dal socio con
compensi (interni) di cost plus che appunto subiscono la “non deduzione/inclusione”.

Ad ogni modo e per concludere sul punto, occorrerebbe valutare se le varie e
complesse articolazioni del problema non richiedano un esplicito intervento normativo
(in fase di decreto correttivo), come è già accaduto nel Regno Unito, che ha
disciplinato per legge il concetto di “deemed dual inclusion income”.

4.1.2. Sempre in tema di DD, la bozza di circolare include, come già accennato, tra le
fattispecie che possono dare origine al fenomeno anche il regime di consolidato
mondiale. È utile ricordare che – con riferimento alle situazioni di disallineamento DD
derivanti da società ibride dirette – il nostro ordinamento considera tutte le società non
residenti di qualsiasi tipo come soggetti IRES “opachi”; dal ché consegue che, come
giurisdizione dell’investitore, l’Italia non è interessata, in via di principio, da fenomeni di
doppia deduzione derivanti da entità ibride dirette.

Tuttavia, secondo la bozza di circolare (cfr. pag. 25) l’istituto del consolidato mondiale
– che, a seguito dell’esercizio di un’opzione, crea una forma di trasparenza (nella
giurisdizione del controllante) di società non residenti che sono opache nella propria
giurisdizione – potrebbe dare origine a situazioni di DD rilevanti ai fini dell’applicazione
delle regole anti-ibridi, anche dal lato dell’investitore4. È una fattispecie estranea

4 In particolare, il caso può configurarsi quando il controllante residente in Italia, a seguito dell’opzione per
il consolidato mondiale, considera “trasparente” la controllata estera (imputandosi i relativi profitti o
perdite); nel mentre, la stessa controllata estera nel suo Paese di residenza (per il quale essa è un’entità

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all’ambito applicativo della direttiva che sembra, tuttavia, trovare fondamento nel
disposto dell’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 142 del 2018, secondo cui ove – in
presenza di un disallineamento DD da stabile organizzazione o controllata estera – sia
stata negata al contribuente la deduzione di un componente negativo e, negli esercizi
successivi, esso consegua “un reddito imponibile per il tramite di una stabile
organizzazione all’estero ovvero di una società controllata non residente per la quale è
stata esercitata l’opzione di cui all’articolo 130 e seguenti del TUIR, tale reddito è
escluso da imposizione fino a concorrenza dell’ammontare dei costi la cui deduzione è
stata negata … . In tal caso, l’imposta estera relativa al componente di reddito escluso
da imposizione non rileva ai fini dell’articolo 165 del TUIR”. La questione ha più una
rilevanza teorica che effettiva, tenuto conto che solo pochissimi gruppi di imprese
hanno esercitato l’opzione per il consolidato mondiale e che l’istituto – improntato,
come è noto, al principio all in all out – dovrebbe comportare che, in via generale, la
perdita di una controllata estera è sistematicamente compensata all’estero con redditi
(quelli relativi ad altre controllate) che sono essi stessi a doppia inclusione; di modo
che potrebbe prodursi un effetto di DD rilevante ai fini dell’applicazione della reazione
di contrasto degli ibridi solo nell’eventualità che l’ordinamento estero consenta di
compensare la perdita di una società (controllata dal soggetto italiano) con i redditi di
altra società controllata da altro soggetto (cfr. nota 4).

In ogni caso, andrebbe chiarito in modo esplicito che l’estensione della reazione di
contrasto agli ibridi all’istituto (opzionale) del consolidato mondiale non dovrebbe avere
alcun impatto sulla disciplina CFC: il dubbio potrebbe sorgere in ragione del fatto che
anche la disciplina CFC – al pari del consolidato mondiale – comporta che la
controllata estera (che nel proprio Paese è un autonomo soggetto passivo d’imposta)
sia, invece, da considerare trasparente nella prospettiva del soggetto controllante
presso cui assumono rilievo i relativi profitti e perdite. Occorre tuttavia considerare – al
fine di escludere che le CFC rules possano dare origine a fenomeni di disallineamenti
da ibridi rilevanti ai fini in esame – che si tratta di regole che, pur comportando
un’analoga commutazione della società controllata estera in soggetto trasparente
(nell’ottica dell’Italia), sono il portato, esse stesse, di un istituto antielusivo e non di un
regime opzionale di favore. Sul punto, comunque, torneremo meglio in seguito.

4.2. Venendo ai disallineamenti D/NI, assumono rilievo i disallineamenti che
riguardano uno strumento finanziario, un’entità reverse hybrid o una stabile
organizzazione (compresa la stabile organizzazione disconosciuta).

opaca soggetta a corporate tax) partecipa in loco ad altro regime di consolidato con un’altra consociata di
cui può compensare i profitti con le proprie eventuali perdite.

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Risposta alla consultazione pubblica indetta dall’Agenzia delle Entrate               /2021

4.2.1. In tema di disallineamento D/NI a titolo di uno strumento finanziario (cfr. pagg. 8-
9 dello schema di circolare) risulta integrata una fattispecie rilevante ai fini
dell’applicazione delle norme di reazione – ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. r), 1),
punto 1.2., secondo cui assume rilievo il disallineamento “imputabile a differenze nella
qualificazione dello strumento finanziario o del componente reddituale in base alla
giurisdizione del pagatore ed a quella del beneficiario” – sia quando l’effetto di D/NI
derivi dalla differente qualificazione dello strumento nei due diversi ordinamenti (sia
conseguenza, cioè, del fatto che lo strumento è considerato di debito nella
giurisdizione del debitore, mentre è qualificato come equity nell’ottica della
giurisdizione del beneficiario), sia quando sia attribuibile a differenti impostazioni
contabili fiscalmente rilevanti (come nell’impostazione dell’Action 2) per cui possono
assumere rilievo anche particolari modalità di detenzione dello strumento. La bozza di
circolare chiarisce infatti che “la fattispecie assume … caratteristiche più ampie rispetto
al semplice contesto debt vs equity, in quanto può riguardare casi ulteriori, spesso
basati su differenti impostazioni contabili con rilevanza fiscale, laddove nella
giurisdizione del pagatore viene considerato fiscalmente deducibile un componente
negativo di reddito qualificato fiscalmente di natura finanziaria a cui potrebbe non
corrispondere alcuna inclusione nella giurisdizione del beneficiario”: affermazione cui
segue l’esempio di una cessione a pronti di una partecipazione con pagamento differito
in cui l’acquirente/pagatore scompone il prezzo in due componenti (costo di acquisto e
interesse passivo per dilazione di pagamento), provvedendo a dedurre la componente
interesse nel mentre presso il cedente/beneficiario il corrispettivo, considerato
unitariamente, è escluso in tutto o in parte da imposizione in presenza di un regime di
participation exemption (cfr. pag. 8).

A tal proposito, rileviamo che l’ibridità sussiste – e si verifica quindi un fenomeno di
D/NI rilevante – perché un Paese “vede” uno strumento finanziario e consente la
deduzione della componente interessi, mentre l’altro Paese “vede” solo una cessione
senza, peraltro, che vi sia inclusione ad altro titolo del corrispettivo perché si applica la
participation exemption. Ciò che tuttavia dovrebbe essere esplicitamente chiarito è che
– ove, nel caso esemplificato, non fosse applicabile il regime pex e il cedente avesse
dovuto far concorrere l’intero corrispettivo alla formazione del reddito imponibile – si
sarebbe verificata un’“inclusione ad altro titolo” idonea a “disattivare” le reazioni anti-
ibridi in coerenza con l’approccio di danno della direttiva ATAD e diversamente da
quanto, invece, raccomandato dall’OCSE in base all’expected approach con l’esempio
1.27. Più in generale, sarebbe necessario venisse precisato il punto di vista
dell’Agenzia in merito agli esempi 1.13, 1.16, 1.25, 1.27 e 1.29 del Report HMA del

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20155 e, in particolare se – e in che misura – le soluzioni ivi adottate dall’OCSE siano
da considerare compatibili con l’ATAD e con il decreto domestico di recepimento della
direttiva.

Con riferimento, infatti, all’approccio di danno vs approccio di pericolo, il D.Lgs. n. 142
del 2018 e la stessa bozza di circolare (con la valorizzazione dell’“inclusione ad altro
titolo” e della “non deduzione/inclusione”) sono perfettamente aderenti, a nostro avviso,
alle prescrizioni della direttiva ATAD che marcano, al riguardo, differenze significative
rispetto all’approccio dell’Action 2.

L’inclusione ad altro titolo del componente presso il beneficiario di uno strumento
finanziario – derivante dalla sua posizione di trader, che contabilizza a conto
economico tutti i proventi e gli oneri finanziari o in ragione del fatto che il componente è
stato computato nel calcolo della plusvalenza/minusvalenza da cessione – non assume
rilievo in base all’ottica expected dell’Action 2 (cfr. esempi 1.27 o 1.29), ma dovrebbe
escludere invece la reazione nella prospettiva dell’ATAD, laddove il Considerando 29
della direttiva chiarisce che le norme in esame “si applicano solo nella misura in cui la
situazione in cui il contribuente è coinvolto genera un disallineamento”. Del resto, una
conferma di questa differente impostazione è altresì desumibile dalla diversa
accezione del termine “disallineamento” adottata dalla direttiva ATAD. L’Action 2 (cfr.
REC 12) prevede infatti che “A mismatch is a DD outcome or a D/NI outcome and
includes an expected mismatch”; laddove, invece, per l’art. 2, par. 9.4, lett. a) della
direttiva, il “mismatch outcome means a double deduction or a deduction without
inclusion”, senza che assuma rilievo anche l’expected mismatch6.

La medesima prospettiva “actual” è rinvenibile nella disciplina ATAD dei disallineamenti
D/NI o DD derivanti da stabili organizzazioni o da ibride dirette. In questo senso, il
disposto dell’art. 2, par. 9.3, lett. b) della direttiva – secondo cui “il disallineamento da
ibridi si verifica solo ai sensi delle lettere e), f) o g) del primo comma nella misura in cui
la giurisdizione del pagatore consente la compensazione della deduzione a fronte di un
importo che non è reddito a doppia inclusione” – è perfettamente coerente con
l’impostazione da sempre propugnata, in sede UE, dal gruppo Codice di condotta nelle
quattro Guidance pubblicate tra il 2014 e il 2016 in tema di disallineamenti D/NI e DD

5 Cfr. OECD (2015), Neutralising the Effects of Hybrid Mismatch Arrangements, Action 2 - 2015 Final
Report, OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project, OECD Publishing, Paris.
6 Cfr. anche le differenti conclusioni dell’Action 2 in riferimento al caso dell’esempio 1.33. In relazione a

questo, più complesso, caso di prestito titoli – in cui l’inclusione (a titolo di dividendi imponibili) non era
operata, sia pure ad altro titolo, dallo stesso beneficiario del payment dedotto, bensì dal soggetto pagatore
– l’ATAD esclude esplicitamente (a determinate condizioni) l’applicabilità delle regole anti-ibridi (cfr. art. 2,
par. 1, punto 9, primo alinea, lett. a) della direttiva).

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derivanti da stabili organizzazioni e società ibride dirette7. A questa impostazione si
conforma il disposto della corrispondente norma del D.Lgs. n. 142 del 2018 (cfr. art. 6,
comma 2, lett. b), che, infatti, stabilisce che “il disallineamento da ibridi si verifica ai
sensi dei numeri 6), 7) e 8) della stessa lettera r) solo nel periodo d’imposta e nella
misura in cui la giurisdizione del pagatore consente la deduzione a fronte di un importo
che non rappresenta reddito a doppia inclusione”. Diversamente, la raccomandazione
(REC 6.3) del Report HMA – a mente del quale “a payment result in a hybrid mismatch
where the deduction for the payment may be set-off, under the laws of the payer
jurisdiction, against income that is not dual income” – si discosta in modo significativo
da questo approccio di danno: la sola astratta possibilità di compensare la deduzione
con un reddito non a doppia inclusione è, infatti, sufficiente nell’ottica OCSE ad
integrare un disallineamento da neutralizzare con l’applicazione delle linking rules.

In conclusione, non vi è dubbio che il nostro ordinamento sia perfettamente compliant
con la direttiva ATAD, in quanto il D.Lgs. n. 142 del 2018 e l’interpretazione che ne
fornisce l’Agenzia delle entrate nella bozza di circolare confermano un’adozione
rigorosa dell’approccio di danno.

Semmai, proprio alla luce delle considerazioni che precedono, andrebbe meglio
inquadrato l’esempio formulato a pag. 8 della bozza di circolare, in cui si prende in
considerazione l’ipotesi di una cessione della partecipazione che beneficia del regime
di PEX e in relazione alla quale il soggetto cessionario paga interessi di dilazione. Così
posto, l’esempio potrebbe essere equivocato. Esso andrebbe posticipato e meglio
inquadrato nell’ambito delle pagine che affrontano la problematica dell’approccio di
danno e la rilevanza dell’inclusione ad altro titolo, specificando che mentre la cessione
con dilazione di pagamento di un bene diverso dalla partecipazione può realizzare, di
regola, l’inclusione ad altro titolo presso il soggetto cedente degli oneri finanziari che il
cessionario deduce, laddove invece vengano cedute partecipazioni in regime PEX,
questa inclusione non si verifica a causa della detassazione prevista da tale regime (o
meglio, si verifica nei limiti della parte imponibile).

7 Cfr. Codice di Condotta Report to the Council 11 December 2014, Doc.16553/1/14 Limite Fisc 225
ECOFIN 1166 e gli Annex 2 (Guidance on Hybrid Entity Mismatches Concerning two Member States) e
Annex 3 (Explanatory Note); Codice di Condotta Report to the Council 11 June 2015 Doc.8620/15 Limite
Fisc 60 ECOFIN 44 e gli Annex 1 (Guidance on Hybrid Permanent Establishments Concerning two
Member States) e Annex 2 (Explanatory Note); Codice di Condotta Report to the Council 23 November
2015 Doc.14302/15 Limite Fisc 159 ECOFIN 883 e gli Annex 1 (Guidance on Hybrid Entity Mismatches
Concerning a Member States and a third State) e Annex 2 (Explanatory Note); Codice di Condotta Report
to the Council 13 June 2016 Doc.9912/16 Limite Fisc 97 ECOFIN 558 e gli Annex 1 (Guidance on Hybrid
Permanent Establishments Concerning a Member States and a third State) e Annex 2 (Explanatory Note).

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4.2.2. Il disallineamento D/NI da reverse hybrid (cfr. pag. 40 della bozza di circolare)
si produce in quanto il componente dedotto presso il pagatore non è incluso, come
tale, né presso la società reverse hybrid né presso l’investitore. La bozza di circolare –
dopo aver ricordato che il Report HMA esclude dal concetto di inclusione le
distribuzioni di utili effettuate dall’entità ibrida che potrebbero verificarsi in tempi
anche molto lontani ed essere finanziate, in via di principio, anche da componenti
positivi non collegati, in tutto o in parte, ai componenti che hanno dato origine al
disallineamento – adotta tuttavia una tesi interpretativa di favore per i contribuenti,
chiarendo che l’effetto D/NI potrebbe considerarsi non integrato laddove sia rinvenibile
“una stretta relazione tra dette distribuzioni ed i componenti positivi di reddito associati
al disallineamento da ibridi”. Una situazione che risulterebbe integrata a determinate
condizioni:

 i. “obbligo statutario di attribuzione di tutti (n.d.r.: enfasi aggiunta) gli utili dell’entità
    ibrida inversa direttamente all’investitore”;

ii. esclusione di qualsiasi carattere di discrezionalità in merito alla distribuzione da
    effettuare “senza alcun intervento o deliberazione (n.d.r.: enfasi aggiunta) degli
    organi di governance”;

iii. regolarità, almeno annuale, delle distribuzioni; e sempre che (sembrerebbe doversi
     intendere, ma andrebbe esplicitamente chiarito) gli investitori siano assoggettati a
     tassazione su tali distribuzioni e sia possibile dimostrarlo.

La rilevanza del tema richiederebbe, a nostro avviso, ulteriori precisazioni e
approfondimenti anche sotto altri profili e, cioè, in ordine alla concreta declinazione
delle tre condizioni, oltre che in ordine alle modalità di risoluzione dell’ibrido. A tale
ultimo proposito, andrebbe precisato se, in presenza delle condizioni richieste, si
prefiguri un’ipotesi di “prevenzione” dell’ibrido, oppure un’ipotesi di risoluzione ex post
dell’ibrido:

     - nel primo caso, infatti, l’ibrido non si considererebbe perfezionato (nella
       prospettiva della successiva inclusione a titolo di distribuzione di tutti gli utili) e
       non potrebbero essere attivate le reazioni (primaria o secondaria). Diversamente,

     - nel secondo caso, il perfezionamento (sia pur “momentaneo”) dell’effetto D/NI
       attiverebbe le reazioni che potrebbero essere “recuperate” solo dopo la
       distribuzione degli utili: in questa ipotesi – posto che l’eventuale pagatore
       residente in Italia sarebbe tenuto medio tempore ad applicare la reazione
       primaria, evitando di dedurre il componente negativo – andrebbe chiarito se,

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       all’esito della distribuzione, sorga a favore del debitore stesso il diritto al “rilascio”
       della reazione (e, quindi, il diritto a dedurre il componente negativo di cui era
       stata negata la deduzione) oppure se la precedente attivazione della reazione
       primaria presso il debitore comporti semplicemente la “non inclusione” (ossia la
       non imponibilità) degli utili presso gli investitori esteri; con l’effetto di rendere
       sostanzialmente irrilevante per i debitori residenti in Italia la tesi interpretativa di
       favore adottata dall’Agenzia.

Ricordiamo, peraltro, che la fattispecie del disallineamento D/NI da reverse hybrid
assume rilevanza per l’ordinamento italiano solo nell’ipotesi in cui sia residente in Italia
il pagatore dei flussi destinati ad una entità ibrida inversa di un altro Paese, tenuto
conto che le società di persone residenti, invece, in Italia devono imputare per
trasparenza tutti i propri redditi ai soci (anche non residenti) presso cui sono
assoggettati a tassazione e tenuto conto, altresì, che neppure gli OICR istituiti in Italia
possono configurarsi come entità reverse hybrid (come molti OICR esteri), essendo
disciplinati come soggetti IRES (opachi) esenti da imposta ai sensi del comma 5-
quinquies dell’art. 73 del TUIR8.

4.2.3. Un aspetto di notevole impatto è quello relativo all’interpretazione che la bozza di
circolare fornisce della nozione di componente negativo rilevante ai fini dei
disallineamenti D/NI. Ricordiamo che in sede OCSE, oltre che ai fini della direttiva
ATAD, opera una netta distinzione tra disallineamenti D/NI in cui un “payment”
(componente negativo collegato ad un flusso) dedotto in una giurisdizione non è
incluso, in tutto o in parte, nella giurisdizione del beneficiario ed i fenomeni di DD per i
quali le reazioni si attivano anche quando la doppia deduzione riguardi, oltre i payment,
qualsiasi altro componente negativo (ammortamenti, svalutazioni, perdite).

Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, il D. Lgs. n. 142 del 2018 ha adottato invece
la stessa espressione “componente negativo” sia per i disallineamenti D/NI che DD, in
un contesto in cui niente nella stessa relazione illustrativa lascia intravedere una
qualche volontà di discostarsi dal quadro di riferimento chiaramente definito dalla
direttiva che risulta, oltretutto, in perfetta coerenza, sul punto, con le raccomandazioni
OCSE.

8  Si può anche verificare il caso in cui il pagatore sia un soggetto italiano, l’entità ibrida inversa
(trasparente in loco) sia residente in un Paese estero e lo Stato in cui risiede l’investitore, che “vede”
l’entità come opaca, sia anch’esso l’Italia.
In questo caso, anche se l’entità ibrida inversa attribuisse direttamente e automaticamente i propri utili
all’investitore italiano, l’inclusione degli utili in questione sarebbe idonea a risolvere il disallineamento solo
in misura parziale, ossia nei limiti in cui tali utili – che si qualificano nel nostro ordinamento come dividendi
– concorrono a formare l’imponibile dell’investitore stesso.

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La bozza di circolare, anziché fornire un’interpretazione adeguatrice del termine
“componente negativo”, per renderla compatibile con i contenuti della direttiva, sceglie
un’interpretazione che unilateralmente estende l’ambito di applicazione oggettivo delle
regole in esame, affermando che anche nel comparto dei disallineamenti D/NI l’effetto
di deduzione senza inclusione può derivare anche da ammortamenti, svalutazioni,
perdite e dallo stesso costo di acquisto di beni merce (vedi esempio 5/A di pag. 93),
etc., che – parimenti – sarebbero ricollegabili (magari in tempi remoti) a flussi.

In questo senso si esprime la bozza di circolare alle pagg. 26 e 35-36: nel caso, ad
esempio, di ammortamenti (deducibili) la corrispondente inclusione dovrebbe essere
verificata “a monte” presso il cedente del bene che dovrebbe avere “incluso” il
corrispettivo di cessione nel proprio reddito. Si afferma, infatti, che “in merito alla natura
dei componenti negativi di reddito rilevanti ai fini del disallineamento in esame (D/NI,
n.d.r.), valgono le medesime considerazioni svolte in relazione all’effetto di doppia
deduzione, ciò in quanto l’articolo 6, comma 1, lettera z), non prevede una differente
definizione di “componente negativo” in ragione del tipo di disallineamento da ibridi …
Avranno quindi rilevanza … i componenti negativi di reddito a cui è associato un flusso
finanziario, le svalutazioni e gli ammortamenti di immobilizzazioni materiali e
immateriali il cui flusso finanziario relativo all’acquisto si è manifestato in via anticipata”,
precisando che, in via transitoria, non rileverebbero “gli ammortamenti e le svalutazioni
relativi ad immobilizzazioni materiali e immateriali acquisite fino al periodo d’imposta in
corso al 31 dicembre 2016”.

Si tratta di un’interpretazione piuttosto “invasiva”, come risulta da alcuni dei possibili
effetti esemplificati a pag. 93 della bozza di circolare. L’esempio n. 5/A pone, infatti
riferimento ad una reverse hybrid che in precedenza aveva concesso in licenza un
bene immateriale (IP) in cambio di royalties che non venivano “incluse” come
componenti positivi né nella propria giurisdizione (che la considera trasparente), né
presso la giurisdizione dell’investitore (che la considera opaca). Per evitare le reazioni
anti-ibridi, si ipotizza che la licenziataria acquisti l’IP cominciando a dedurre
ammortamenti (anziché royalty) a fronte di un corrispettivo che non verrebbe incluso né
presso la reverse hybrid, né presso l’investitore. Secondo la bozza di circolare questa
situazione non risolverebbe il disallineamento D/NI, bensì lo confermerebbe. Non solo,
infatti, si creerebbe un ibrido diretto nel caso in cui la società acquirente dell’IP fosse
residente in Italia (presso cui verrebbe negata la deducibilità dell’ammortamento); ma
potrebbe altresì crearsi (è proprio il caso dell’esempio 5/A) anche un ibrido importato,
laddove una società italiana del gruppo sostenesse, ad esempio, costi di acquisto di
beni dalla società estera (ex licenziataria e poi proprietaria dell’IP) che deduce gli

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