IL DIRITTO DI INTERPELLO: PROCEDURE E FINALITA'
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Agenzia delle Entrate e Università degli Studi della Calabria _________________________________ IL DIRITTO DI INTERPELLO: PROCEDURE E FINALITA’ TUTOR STAGISTA Dott.ssa Argia SPINICELLI Stella CAPALBO 1
Il diritto di interpello: procedure e finalità Caratteristiche generali dell’istituto dell’interpello Il diritto di interpello, denominato anche tax ruling con terminologia mutuata dalla lingua anglosassone, è un istituto che riconosce al contribuente la possibilità di chiedere, con apposita istanza, all’Amministrazione finanziaria il parere in relazione a fattispecie particolari, circa l’esatta interpretazione delle norme tributarie, scarsamente chiare o lacunose. A tal riguardo, la legge 30 dicembre 1991, n. 413 ha previsto, all’art. 21, l’introduzione nel sistema tributario italiano dell’istituto dell’“interpello” dell’Amministrazione finanziaria da parte dei contribuenti in materia di norme elusive. Il succitato provvedimento rientra nell’ambito delle misure c.d. “deflattive” adottate dal legislatore tributario, quali l’accertamento con adesione1, la conciliazione giudiziale2, l’autotutela3, l’acquiescenza4, il 1 L’accertamento con adesione è uno strumento che consente al contribuente di prevenire le vertenze con il fisco o chiuderle prima che siano iniziate. Con l’adesione si può patteggiare l’imponibile quando si è ricevuto un accertamento o anche prima che lo si sia ricevuto, quando si è subìto un controllo da parte dell’amministrazione. Tale strumento può essere proposto tanto dal contribuente che dal fisco. Articoli 1/13 del D. lgs. n. 218 del 19/06/1997. 2 Questo è una atto che permette di chiudere il contenzioso, evitando il rischio e i costi del perseguimento della lite, aperto con il fisco a seguito di un ricorso presentato ad una Commissione tributaria provinciale. Con la conciliazione le parti fissano l’importo del tributo e delle somme dovute estinguendo il contenzioso. La conciliazione può anche riguardare non già la controversia nel suo insieme ma solo alcuni suoi aspetti. Articolo 48 del D.lgs. n. 546/92 così come sostituito dall’art. 14 del D.lgs. n. 218/97 3 È la possibilità che ha ogni pubblica amministrazione di correggere un proprio errore senza necessità di una decisione del giudice. L’Agenzia delle Entrate provvede alla correzione su richiesta del contribuente o d’ufficio. Qualsiasi atto di per sé idoneo a ledere gli interessi del contribuente può essere oggetto di riesame. Competente per l’annullamento dell’atto è lo stesso Ufficio che lo ha emanato. Nel caso che questo ometta di dar seguito all’annullamento senza giustificato motivo può provvedere, in via sostitutiva, la Direzione competente da cui l’Ufficio dipende. Il potere di annullamento dell’atto sorge in tutti i casi di illegittimità dello stesso come ad es.: errore di persona; evidente errore logico o di calcolo; errore sul presupposto dell’imposta; doppia imposizione; mancata considerazione di pagamenti eseguiti regolarmente; mancanza di documentazione sanata successivamente; sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi, precedentemente negati; errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione. L’annullamento può essere effettuato anche se è pendente il giudizio o se l’atto è ormai divenuto definitivo per decorso dei termini per ricorrere, anche se il contribuente ha presentato ricorso e questo è stato respinto per motivi formali con sentenza passata in giudicato. L’annullamento dell’atto illegittimo comporta automaticamente l’annullamento 2
ravvedimento operoso5, al fine di decongestionare e snellire le procedure del contenzioso tributario. L’obiettivo che il legislatore ha ravvisato in tale istituto è ambizioso poiché è finalizzato ad “eliminare dubbi ed incertezze interpretative ed instaurare, così, un rapporto di fiducia tra Amministrazione finanziaria e contribuente basato su regole di correttezza, trasparenza, certezza del diritto, informazione corretta e completa”, per come affermato nella relazione della VI Commissione permanente Finanze e Tesoro del Senato al testo del disegno di legge in tema di Statuto dei diritti del contribuente. A seconda delle finalità che ci si pone, è possibile ricorrere a cinque tipologie di interpello: interpello preventivo ex art. 21 legge 413/1991, interpello speciale ex art. 37 bis c. 8, D.P.R. n. 600/1973, interpello ordinario o generale di cui allo Statuto del contribuente ex art. 11 legge 212/2000, interpello speciale di cui alla circolare n. 99/E del 18/5/2000, interpello “internazionale” ex art. 8 del D.L. n. 269 del 30/8/2003. degli altri atti ad esso collegati e l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente riscosse. L’annullamento non è consentito solo in presenza di giudicato di merito favorevole all’Ufficio. Articolo 2 quater del D.L. 564/96 convertito con modifiche nella Legge 656/94. 4 Essa consiste in un versamento entro i termini delle somme dovute a seguito di un accertamento operato dall’Amministrazione finanziaria, senza impugnarlo e senza ricorrere alla procedura dell’accertamento con adesione, con diritto alla riduzione di ¼ delle sanzioni irrogate. 5 Con il ravvedimento è possibile regolarizzare le omissioni e le irregolarità commesse, beneficiando della riduzione delle sanzioni amministrative, entro determinati limiti di tempo, ossia entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui è stata commessa la violazione o, in mancanza della dichiarazione, entro un anno dalla violazione. Articolo 13 del D.Lgs. 472/97. 3
a) Il diritto di interpello “preventivo”: caratteristiche e procedure (ex art. 21, c. 2, L. n. 413/91) L’interpello “preventivo”6 è la facoltà riconosciuta al contribuente, di interpellare l’Amministrazione finanziaria allo scopo di ottenere un parere preventivo, appunto, sulla correttezza fiscale degli adempimenti contabili, conseguenti a determinate operazioni, potenzialmente elusive, che intende porre in essere. Tale tipologia di interpello è limitata - ai sensi dell’art. 21, c. 2, della Legge n. 413/91, modificato dall’art. 7, c. 4, del D. lgs. 8 ottobre 1997, n. 358 - ai casi concreti previsti dalle seguenti disposizioni: 1) articolo 37 bis del D.p.r. n. 600 del 29/09/19937 (norma antielusiva)8 relativamente al comportamento inopponibile all’Amministrazione finanziaria riguardante atti, fatti e negozi, anche collegati tra di loro, privi di valide ragioni economiche e diretti ad aggirare obblighi e divieti dell’ordinamento tributario, al fine di conseguire riduzioni d’imposta o rimborsi altrimenti indebiti. Si tratta di atti che, pur rimanendo validi tra le parti e nei confronti dei terzi, vengono resi inopponibili all’Amministrazione finanziaria, che ne può, così, disconoscere i vantaggi tributari conseguiti. La verifica e la consistenza degli indici connessi al carattere elusivo sono legati alla realizzazione di almeno una delle seguenti operazioni: a) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili; 6 Questo particolare tipo di istituto ha la seguente normativa di riferimento:a) primaria art. 21 legge n. 413, del 21/12/1991, art. 16 D. lgs. N. 74 del 10/3/2000, art. 11, c. 6, legge n. 212 del 27/7/2000; b) secondaria D.M. n. 194 del 13/6/1997, D.M. n. 195 del 13/6/1997, D.M. 20/12/1999; c) prassi amministrativa circolare Dip. Entrate n. 135/E del 28/5/1998, circolare n. 1/98 del 20/10/1998 del Comando Generale della Guardia di finanza, circolare Dip. Entrate n. 99/E del 18/5/2000. 7 Tale articolo dispone, ai commi 1 e 2, quanto segue: “Sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, dirette ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”. “L’amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile dell’amministrazione”. 8 Si rimanda per una più completa trattazione dell’argomento alla sezione successiva. 4
b) conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende o di complessi aziendali; c) cessioni di crediti; d) cessioni di eccedenze di imposta; e) operazioni di cui al D.lvo n. 544 del 30/12/1992, recante disposizioni per l’adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi di azioni; f) operazioni da chiunque effettuate, incluse le valutazioni, aventi ad oggetto i beni ed i rapporti di cui all’art. 81, c. 1, lettera da c a c-quinquies, D.P.R. 917/86, del testo unico delle imposte sui redditi. 2) Articolo 37, comma 3, del D.p.r. n. 600 del 1973 secondo cui in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona. In merito a tale disposizione, il Ministero delle finanze con la circolare del 13 ottobre 1994 ha sostenuto che per tale norma gli effetti civili dell’atto o del negozio non costituiscono il dato esclusivo di riferimento per l’imputazione soggettiva del reddito, perché anche se tali effetti non sono contestabili sul piano civilistico, il reddito può essere fiscalmente imputabile ad un soggetto diverso da quello che ne apparirebbe titolare. Secondo tale pronuncia la portata innovativa della norma sta nell’ammettere una verifica della rilevanza fiscale degli effetti civili di atti o negozi effettuata sulla base di una valutazione di credibilità dell’atto o negozio dal punto di vista economico, allo scopo di individuare l’effettivo possessore del reddito che sarà, poi, assoggettato a tassazione. 3) Articolo 74, comma 2, del T.U.I.R.9 in merito alla qualificazione delle spese sostenute dal contribuente tra quelle di pubblicità e di propaganda 9 Il disposto di tale articolo statuisce che: “Le spese di pubblicità e di propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi. Le spese di rappresentanza sono ammesse in deduzione nella misura di un terzo del loro ammontare e sono deducibili per quote costanti in cui sono state sostenute e nei quattro successivi. Si considerano spese di rappresentanza anche 5
(integralmente deducibili)10 ovvero tra quelle spese di rappresentanza (con deducibilità limitata ad un terzo del loro ammontare ripartibile in cinque esercizi economici). Per quanto detto, si osserva che il Ministero delle finanze, con la risoluzione n. 9/204 del 17/06/1992, ha presentato alcuni chiarimenti in merito a tali categorie di spese, affermando che per “spese di rappresentanza” si intendono quelle sostenute dall’impresa per presentare al potenziale cliente un’immagine positiva di sé e della propria attività, in riferimento all’efficienza, alla produttività, ecc. A tale caratteristica si aggiunge, con molta frequenza, l’elemento della gratuità, ossia la mancanza di corrispettivo o di una specifica controprestazione da parte di coloro che ne sono destinatari. Le spese di sponsorizzazione sono assimilate a quelle di pubblicità, in quanto derivanti da un contratto la cui caratteristica è denotata da un “sinallagma”11 sulla base del quale colui che sponsorizza e colui che viene sponsorizzato stabiliscono delle clausole contrattuali, in virtù degli obiettivi che intendono perseguire. Con detto contratto lo sponsor si obbliga a fornire una prestazione, in termini di denaro o in natura, nei confronti del soggetto sponsorizzato il quale si obbliga a propagandare e pubblicizzare il prodotto o più in generale l’attività produttiva dello sponsor e le relative spese finalizzate a conseguire maggiori ricavi. quelle sostenute per i beni distribuiti gratuitamente, anche se recano emblemi, denominazioni o altri riferimenti atti a distinguerli come prodotti dell’impresa, e i contributi erogati per l’organizzazione di convegni e simili. […]”. 10 Esiste una differenza tra le spese di pubblicità e di propaganda che può essere sintetizzata nel seguente modo: la pubblicità ha la funzione di rendere pubblica l’esistenza di determinati beni o servizi, attraverso i mezzi di comunicazione; la propaganda ha la funzione di evidenziare e divulgare determinate qualità dei beni e dei servizi, avvalendosi anche di soggetti con competenze specifiche in materia. 11 Nel linguaggio giuridico, il termine indica un legame corrispettivo tra prestazione e contro prestazione. 6
4) Articolo 76, commi 7 bis e 7 ter12 per effetto dei quali non sono ammesse in deduzione le spese e gli altri componenti negativi di reddito derivanti da operazioni “infragruppo”, intercorse tra imprese residenti e società domiciliate fiscalmente in Stati non appartenenti all’Unione europea le quali, direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa ai sensi dell’art. 2559 del codice civile13 ( i c.d. paradisi fiscali da black list)14. L’art. 11 della Legge n. 413/91 ha introdotto, quindi, per la prima volta in Italia una norma intesa a colpire l’utilizzo di società nei paradisi fiscali. Tale disposizione non si applica qualora l’impresa residente fornisca la prova15 che la società estera svolga prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico e le stesse abbiano avuto concreta esecuzione16. L’impresa è esonerata dal fornire la prova in oggetto quando abbia richiesto, ai sensi 12 I due commi dell’articolo suddetto stabiliscono quanto segue: “Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o in territori non appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o di territori individuati con decreto del Ministero delle finanze da pubblicare nella gazzetta ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero alla mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti”. “Le disposizioni di cui al comma 7 bis non si applicano quando le imprese residenti in Itali forniscono la prova che le imprese estere svolgono principalmente un’attività industriale o commerciale effettiva nel mercato del Paese nel quale hanno sede. […]”. 13 Nel testo dell’articolo succitato si dispone quanto segue: “ La cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di una sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante. Le stesse disposizioni si applicano anche nel caso di usufrutto dell’azienda, se esso si estende ai crediti relativi alla medesima”. 14 Il Ministero delle finanze ha individuato, con il D.M. 24/4/1992, i paesi e i territori il cui regime fiscale deve ritenersi privilegiato. La black list italiana individua due categorie di paradisi fiscali ed ha carattere tassativo e non esemplificativo. La prima include i paesi e di territori considerati paradisi fiscali “assoluti”, la seconda categoria include quelli per i quali il regime fiscale globale non può essere considerato privilegiato, ma sono riconosciuti privilegiati limitatamente a soggetti o ad attività esplicitamente identificati per ciascun paese. Gli stati ed i territori con regime fiscale privilegiato sono stati individuati sulla base dei seguenti criteri: 1) livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia; 2) mancanza di un adeguato scambio di informazioni. 15 Al fine di salvaguardare tale diritto delle imprese residenti, è posto, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria l’onere di notificare all’interessato, prima di procedere all’avviso di accertamento, apposito avviso con il quale è concessa la possibilità di fornire la prova contraria di cui sopra, nel termine di 90 giorni (inversione dell’onere della prova). Qualora la prova non sia considerata idonea, l’Amministrazione finanziaria deve darne specifica motivazione nell’avviso di accertamento. 16 Quindi, l’impresa deve svolgere un’attività di natura imprenditoriale e non di pura intermediazione, allora la società residente nel paradiso fiscale deve esercitare in via principale effettivamente una propria attività commerciale o, comunque, porre in essere operazioni aventi reale contenuto economico, utili alla società residente. 7
dell’art. 21 della Legge 314/91, di conoscere la posizione dell’Amministrazione finanziaria relativamente alla natura ed al trattamento tributario dell’operazione che intende porre in essere, sempre che la stessa ne abbia dato corso nei termini stabiliti e tenendo conto delle eventuali prescrizioni dell’Amministrazione finanziaria. 5) Articolo 3, comma 3, lettera a) del D.lgs. n. 466 del 18/12/199717 relativamente ai conferimenti in denaro provenienti da soggetti non residenti se controllati da soggetti residenti. La variazione “in aumento” ai fini del calcolo della dual income tax (DIT)18 non ha effetto fino a concorrenza dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti non residenti (controllati da residenti), qualora non sia stato ottenuto il parere favorevole del Comitato consultivo istituito ai sensi dell’art. 21 della Legge n. 413/9119, nelle forme che in essa sono previste. La disposizione è diretta ad evitare che i conferimenti effettuati da soggetti residenti verso quelli non residenti, vengano inglobati nella DIT dal soggetto non residente, a favore di altri soggetti residenti appartenenti, però, allo stesso gruppo; in tal modo, si realizzerebbe quella duplicazione di beneficio che il disposto dell’art. 3, c. 2,20 vuole invece evitare. Risulta chiaro che la disciplina oggetto di indagine è strettamente legata alla normativa che è finalizzata a regolare i fenomeni tipici dell’elusione fiscale. Ciò implica che la disciplina dell’istituto dell’interpello è relegata in schemi alquanto rigidi aventi come oggetto l’applicazione delle sole norme elusive. Tale situazione da un lato ha il privilegio di evitare che l’interprete debba 17 L’articolo prevede che: “La variazione in aumento che residua non ha altresì effetto fino a decorrenza: a) dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti non residenti, se controllati da soggetti residenti, qualora non sia stato ottenuto il parere favorevole del comitato istitutivo ai sensi della legge 30/12/1991, n. 413, nelle forme ivi previste.” 18 La dual incom tax rappresenta una modalità agevolata di tassazione del reddito di impresa, la cui finalità è quella di incentivare la capitalizzazione nella misura in cui è ritenuto più conveniente l’investimento in mezzi propri piuttosto che il ricorso ai finanziamenti di terzi (D. lgs. 466/97). La finalità della norma antielusiva, individuata per tale fattispecie, ha come fine quello di scongiurare i comportamenti volti a moltiplicare la base del calcolo della DIT, con la medesima immissione di nuovo capitale investito. 19 Per le caratteristiche e le funzioni dell’organo si rimanda alla nota 22. 20 L’articolo in questione recita: “ La variazione in aumento[…] è ridotta di un importo pari ai conferimenti in denaro effettuati, […], a favore di soggetti controllati o sottoposti al controllo del medesimo controllante, ovvero divenuti tali a seguito del conferimento. La riduzione prescinde dalla persistenza del rapporto di controllo alla data di chiusura dell’esercizio”. 8
ricercare la natura elusiva o meno di determinate norme, dall’altro lato ha il limite di lasciare fuori della previsione le disposizioni a carattere antielusivo che devono essere successivamente legiferate, richiedendo, in tali casi, necessariamente la modifica o l’integrazione dell’art. 21 di cui sopra. 6) Articolo 96 bis, comma 7 del TUIR21 (c.d. norma anti-abuso) detta una norma finalizzata ad evitare che soggetti non residenti nell’Unione europea (UE) possano beneficiare indirettamente del regime di esenzione previsto dalla direttiva “madre-figlia”. La norma antielusiva non trova applicazione nel caso in cui si dimostri che la società “madre” residente nell’UE, controllata direttamente o indirettamente da un soggetto extra UE, non è stata costituita “allo scopo esclusivo e principale” di beneficiare del regime agevolato previsto dalla direttiva. Per quanto attiene la procedura per la richiesta dell’interpello, i commi 9 e 10 dell’art. 21 della Legge n. 413 del 1991 dispongono che tale istituto inizi con la presentazione della richiesta di parere da parte del contribuente che intendere conoscere il preventivo parere del Comitato consultivo22, circa il carattere 21 L’articolo a cui si fa riferimento è stato abrogato a seguito della modifica apportata dalla Legge n. 342 del 21/11/2000. Il disposto del succitato articolo è stato ripreso dall’art. 127 bis, c. 5, del D.P.R. n. 917/86, al quale si applica la procedura dell’interpello ex art. 11 Legge 212/2000. Il testo dell’art. 127 bis, c. 5, recita: “Le disposizioni […] non si applicano se il residente dimostra che la società o altro ente non residente svolga un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nello Stato o nel territorio nel quale ha sede; o dimostra altresì che dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati […]”. 22 Tale organo dovrebbe svolgere la funzione di “garante”per la corretta applicazione delle norme antielusive. Il Comitato è un organo consultivo nominato dal Ministro delle finanze che si pone fuori dalla struttura gerarchica del Ministero stesso, al fine di assicurare l’imparzialità della propria posizione in materia di elusione fiscale, che può essere soggetta ad “apprezzamenti” discrezionali da parte degli uffici competenti. Il Comitato non trova impulso per la propria attività nell’Amministrazione finanziaria, ma dalla iniziativa dei contribuenti, essendo, come si è detto, un organismo consultivo che ha il compito di emettere pareri su casi concreti, rappresentati dai contribuenti stessi in ordine a fattispecie applicative connesse con le norme antielusive. L’organo è composto da quindici membri di cui sei appartenenti all’Amministrazione finanziaria e cinque esterni. La presenza di questi ultimi è finalizzata ad assicurare una potenziale neutralità nell’attività consultiva dell’organo. I membri esterni all’Amministrazione finanziaria sono costituiti da due componenti del Consiglio superiore delle finanze e da tre esperti in materia nominati dal Ministro delle Finanze. Essi durano in carica quattro anni e possono essere confermati per una sola volta; decadono dall’incarico qualora non partecipino, senza giustificato motivo, a due sedute consecutive o alla metà delle stesse nel corso dell’anno. I componenti interni dell’Amministrazione finanziaria sono il direttore generale del dipartimento delle entrate, il direttore della direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario, il direttore dell’Ufficio per gli studi di diritto tributario comparato e per le relazioni internazionali, il comandante generale della Guardia di Finanza, il direttore del SECIT, il direttore dell’Ufficio coordinamento legislativo. 9
elusivo di un atto o di una operazione posta o da porre in essere; si tratta di una procedura complessa che si compone di due fasi. La circolare ministeriale n. 135/E del 28 maggio 1998, al riguardo, precisa che, data la natura preventiva di tale categoria di interpello, il relativo procedimento è precluso ove sia già intervenuto l’accertamento o, comunque, sia stata avviata l’attività di controllo con effettuazione degli atti istruttori aventi rilevanza esterna, quali questionari, verifiche, ecc. La richiesta di parere ex art. 21, c. 9, deve essere indirizzata al Ministero delle Finanze, Dipartimento delle entrate, ed essere spedita in plico raccomandato, con avviso di ricevimento, alla Direzione Regionale delle Entrate competente, in virtù del domicilio fiscale del richiedente. La richiesta deve contenere: a) i dati anagrafici del contribuente o del suo legale rappresentante e delle altri parti interessate; b) l’indicazione dell’eventuale domiciliatario presso il quale devono essere indirizzate le comunicazioni; c) la sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante. La richiesta di parere deve necessariamente contenere gli elementi identificativi di cui alla lettera a) e la sottoscrizione della parte interessata, poiché tale mancanza può rendere la richiesta di parere inammissibile23. Quest’ultima deve, inoltre, contenere una dettagliata e precisa esposizione del caso concreto, nonché la soluzione interpretativa prospettata, con allegata copia della documentazione, con relativo elenco, rilevante ai fini dell’individuazione e della qualificazione della fattispecie prospettata. Si osserva che, al contenuto, il contribuente, qualora lo ritenesse necessario, può aggiungere qualsiasi altro dato che ritenga utile per consentire una migliore e più completa valutazione della questione. Ai sensi dell’art. 1, c. 4 e 7 del Decreto Ministeriale (D.M.) n. 195/97, la competente Direzione Regionale deve trasmettere alla Direzione generale del Dipartimento delle Entrate la richiesta di parere non oltre il quindicesimo 23 L’inammissibilità della richiesta sarà comunicata al contribuente dalla Direzione Regionale. 10
giorno dalla sua ricezione, con la relativa documentazione presentata dal contribuente, concludendo il tutto con considerazioni proprie in merito alla questione prospettata24. La prima fase della procedura per la richiesta di interpello rappresenta un sorta di “filtro”, poiché una serie di richieste dovrebbe ottenere, già, soluzione nell’esame e nel parere emesso dagli Uffici centrali del Ministero delle Finanze, al fine di far pervenire al Comitato consultivo le questioni di maggior interesse per le quali sussiste un più elevato margine di opinabilità. In relazione alla richiesta di parere prodotta in conformità a quanto detto, può accadere che il Dipartimento delle Entrate, entro 60 giorni dalla richiesta, esprima avviso favorevole alla tesi del contribuente oppure ritenga non accoglibile l’istanza oppure decida di evitare di produrre risposta25. Nel primo caso nessun problema si pone in quanto l’iter procedurale, con l’accoglimento dell’istanza, può ritenersi concluso. Per quanto riguarda gli effetti di questa pronuncia, si considera che il parere favorevole della Direzione del dipartimento delle Entrate abbia carattere vincolante per l’Ufficio delle entrate periferico in sede di accertamento del reddito imponibile del contribuente che ha attivato la procedura di interpello, salvo che l’Ufficio stesso dimostri che i fatti presentati dal ricorrente in sede istruttoria non corrispondano alla situazione di fatto. Qualora, invece, siano trascorsi sessanta giorni dalla richiesta di parere senza che il Dipartimento delle Entrate si sia espresso, oppure in caso di parere negativo al quale il contribuente non intende uniformarsi, lo stesso può rivolgersi al Comitato consultivo, ai sensi ex art. 21, c. 10 della L. n. 413/91, per ottenere il parere circa l’applicazione delle norme antielusive. In questo caso si attiva la seconda fase della procedura. Le modalità di presentazione ed il 24 La succitata C.M. n. 135/E precisa che, tenuto conto della ristrettezza dei termini, la richiesta del contribuente e le considerazioni della Direzione Regionale devono essere spedite al Dipartimento delle Entrate mediante servizio di posta celere, mettendo in rilievo nella lettera di trasmissione che si tratta di una richiesta di parere ai sensi dell’art. 21, c. 9, della legge n. 413/91. Solo per fattispecie di particolare complessità o in caso di integrazioni istruttorie il termine per la trasmissione della richiesta alla Direzione generale del Dipartimento può essere esteso fino ad un massimo di 30 giorni complessivi. 25 Al riguardo il D.M. n. 195/97 prevede espressamente che il parere emesso dal Dipartimento delle Entrate in conformità alla soluzione interpretativa prospettata dal contribuente, rende improponibile qualsiasi ulteriore richiesta di parere al Comitato. 11
contenuto della richiesta sono identiche a quelle analizzate in precedenza, nel senso che la richiesta deve essere riprodotta rispettando gli stessi termini e le stesse formalità, con l’avvertenza che alla richiesta deve essere allegata anche la copia della preventiva richiesta presentata al Dipartimento delle Entrate, con l’indicazione degli estremi di spedizione e dell’eventuale risposta fornita dal Dipartimento stesso. Secondo quanto stabilito dall’art. 5 del D.M. n. 195/97 la richiesta deve essere rivolta al Ministero delle Finanze – Segreteria del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive presso l’Ufficio per l’informazione al contribuente. Anche in questo caso la richiesta deve essere indirizzata alla Direzione Generale delle Entrate competente in relazione, come si è già detto, al domicilio fiscale del richiedente e deve essere spedita a mezzo del servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento. I pareri deliberati dal Comitato sono comunicati al contribuente, entro 60 giorni dalla richiesta, mediante servizio postale in plico raccomandato e gli stessi vanno depositati nella segreteria dell’organo, numerati progressivamente, raccolti, conservati e pubblicati26. Può verificarsi che vi sia un’inerzia anche da parte del Comitato ad esaminare la richiesta di parere inoltrata dal contribuente, in questo caso lo stesso deve attivarsi affinché l’iter procedurale possa concludersi positivamente. A tal fine, trascorsi i sessanta giorni dalla presentazione della richiesta al Comitato senza alcuna risposta il contribuente può presentare formale diffida ad adempiere, se poi trascorrono inutilmente altri sessanta giorni, la mancata risposta in questo caso equivale al c.d. silenzio-assenso27. Dunque, nell’eventualità di un atteggiamento passivo sia da parte dell’Amministrazione che da parte del Comitato consultivo devono trascorrere almeno centottanta giorni dalla data in cui il richiedente ha presentato la prima istanza al Ministero delle Finanze 26 Ai sensi del D.M. n. 194/97 si stabilisce che il parere reso dal Comitato consultivo “è privo di effetto nei casi di incompletezza o di difetto di corrispondenza al vero di elementi o circostanze, indicati dal contribuente, rilevanti ai fini della pronuncia”. 27 Ai sensi dell’art. 5, c. 13, del D.M. n. 194/97 le eventuali richieste istruttorie al contribuente formulate dal Comitato interrompono il termine per la formazione del silenzio-assenso, così come accade per le richieste istruttorie inviate a soggetti diversi dal contribuente interessato che sospendono il termine per la formazione del silenzio-assenso, per un periodo non superiore a trenta giorni. 12
perché l’inerzia dell’Amministrazione e del Comitato possa costituire silenzio- assenso, con il quale si intende che l’Amministrazione finanziaria concordi con l’interpretazione o il comportamento prospettato dal contribuente. Da quanto sin qui detto, la complessità della procedura ed i tempi richiesti per ottenere il ruling non incentivano il contribuente ad usufruire di tale istituto, che per il raggiungimento delle finalità da perseguire si sarebbe dovuto caratterizzare per maggiore brevità dei tempi di esecuzione. Lo Statuto dei diritti del contribuente28, di fatto, riduce i tempi circa l’ottenimento della risposta cercando di coniugare “speditezza e certezza”. Se, infatti, pare ragionevole che il contribuente formuli il quesito prima della conclusione di un’operazione, non è pensabile che lo stesso possa attendere più di sei mesi prima di sapere se può concludere l’operazione stessa o comunque quali conseguenze dovrà affrontare in sede di giudizio, qualora non intenda uniformarsi al parere espresso. Per quanto concerne la portata del parere emesso dal Comitato consultivo è necessario verificare l’ambito applicativo dello stesso ed i vincoli che pone nei confronti delle parti. L’art. 21, c. 3, della legge 413/91 precisa che “il parere del Comitato ha efficacia esclusivamente ai fini e nell’ambito del rapporto tributario”29. Dalla formulazione della norma appare chiaro che il legislatore abbia voluto limitare l’efficacia del parere emesso dal Comitato, o del silenzio- assenso nel caso lo stesso non si esprima nei termini previsti, solo al soggetto richiedente ed in riferimento al trattamento tributario a cui assoggettare la fattispecie concreta. Si può concludere, pertanto, che il parere non può produrre effetti giuridici nei confronti di terzi, per ipotesi che si configurino simili a quelle oggetto dell’interpello. Il comma 3 del succitato articolo dispone che gli effetti conseguenti ai pareri del Comitato riguardano la prova da opporre in 28 Per una trattazione più approfondita dell’argomento si rimanda ad una fase successiva del lavoro. 29 Per quanto concerne gli effetti ricollegabili al parere del Comitato, si osserva che il parere stesso non costituisce atto interno dell’Amministrazione finanziaria, ma assume natura di parere reso da un organo consultivo che ha come finalità quella di orientare i contribuenti interessati nell’adozione di particolari scelte operative in virtù delle conseguenze fiscali derivanti da operazioni che intendono porre in essere. 13
sede di contenzioso, dunque, in tale fase “l’onere della prova viene posto a carico della parte che non si è uniformata al parere del Comitato”. È chiaro che operando esclusivamente sul piano probatorio, il parere emesso dall’organo in questione non vincola le parti; pertanto, il contribuente può non tenere conto della determinazione dell’imposta dovuta, allo stesso modo l’Amministrazione finanziaria può assumere una posizioni dissimile dal contenuto del parere in sede di accertamento. Pertanto, nel caso di parere sfavorevole nei confronti della tesi prospettata dal contribuente e, qualora, l’Amministrazione finanziaria proceda ad azione accertatrice, anche sulla base della presunzione di un intento elusivo del fatto oggetto di interpello, il parere emesso influisce sulla fase contenziosa in modo rilevante, nel caso in cui il contribuente abbia ritenuto di dover dimostrare l’inesistenza dei presupposti che hanno spinto il Comitato a rintracciare il carattere elusivo nell’operazione a cui si è dato seguito. Qualora il parere dovesse risultare favorevole al contribuente, o nel caso in cui si sia formato il silenzio-assenso, compete all’Ufficio finanziario dover dimostrare che i fatti esposti dal contribuente non sono corrispondenti a quelli sui quali la Commissione si è attenuta per la formazione del parere stesso. Si segnala che, l’interpello in esame ha acquisito un effetto ulteriore, di carattere penalistico, aggiuntivo rispetto a quello di carattere tributario, previsto dall’art. 21, c. 3, della Legge 413/91. Sul piano tributario, la norma citata prevede soltanto l’inversione della prova, a carico della parte che non si è uniformata al parere. Sul piano penale, invece, questa forma di interpello ha assunto rilievo ai sensi dell’art. 16 del D. lgs. n. 74 del 10/03/2000, recante nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Il citato art. 16, infatti, prevede la non punibilità dei soggetti che, avvalendosi della procedura di interpello di cui all’art. 21 della 413/91, si sono uniformati al parere del Ministero delle Finanze o del Comitato consultivo, per l’applicazione delle norme antielusive. 14
b) L’interpello “speciale” come strumento antielusivo (ex art. 37 bis , c. 8 D.P.R. 600/73) Ai sensi del comma 8 dell’art. 37 bis del D.P.R. 600/7330 è stata introdotta nell’ ordinamento italiano una disposizione che consente di disapplicare, nel caso concreto, norme tributarie di natura antielusiva che “limitano deduzioni, detrazioni, crediti di imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario”. Con l’istituto dell’interpello speciale31 il contribuente può chiedere la disapplicazione delle norme tributarie, che devono avere ad oggetto le limitazioni dell’art. 37 bis, c. 8, dimostrando che “nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi”. Prima di procedere ad un’analisi più approfondita dell’istituto in questione, è necessario fornire una nozione normativa di elusione fiscale e distinguere tale fenomeno da quello dell’evasione fiscale. Quest’ultima si realizza attraverso comportamenti il cui obiettivo è quello di nascondere proventi inesistenti o di dedurre costi, spese e/o oneri inesistenti. Quello che rileva ai fini del comportamento evasivo è il raggiungimento di un risparmio di imposta che si configura, però, come illecito in quanto contrario a quanto disposto dalle norme tributarie. In altre parole, evasione significa violazione diretta, aperta di norme fiscali, punita con sanzioni amministrative e/o penali. Affinché si realizzi il fenomeno dell’evasione è necessario che ricorrano determinati comportamenti: a) commissivi, in base ai quali si deducono costi non sostenuti, 30 Il succitato articolo recita quanto segue: “Le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti di imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al Direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l’operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione”. 31 Il diritto di interpello speciale ha come riferimento normativo, oltre l’art. 37 bis di cui si è detto, anche il D.M. n. 259 del 19/06/1998 e la circolare n. 16 del 18/04/2000 15
non ammissibili oppure non inerenti all’attività espletata; b) omissivi, in base ai quali si omette di presentare la dichiarazione dei redditi, non si proceda all’emissione della fattura, ecc. Per quanto attiene l’elusione fiscale numerose sono state le definizioni fornite circa tale fenomeno. La stessa è stata definita da taluno come evasione fiscale legittima o anche come una sottrazione di imponibile attuata per mezzo di strumenti giuridici consentiti dall’ordinamento. Ma in realtà, l’elusione fiscale non si realizza quando vi è mero risparmio di imposta, ma quando, attraverso l’utilizzo delle opportunità messe a disposizione dall’ordinamento tributario, si realizzano, abusando in modo premeditato della legislazione, manipolazioni, scorciatoie o stratagemmi che, pur formalmente legali, finiscono per stravolgere i principi propri del sistema. Dunque, chi evade pone in essere il presupposto di imposta, ma poi si sottrae alle conseguenze fiscali che ne derivano; chi elude, invece, evita di porre in essere la fattispecie propria di un dato risultato economico, e pone in essere una fattispecie equivalente, cui compete un trattamento fiscale più favorevole. In merito, occorre in via preliminare puntualizzare che, con riferimento al concetto di elusione fiscale, non è mai stata elaborata una definizione normativa generale, l’Amministrazione finanziaria non dispone, dunque, del potere di colpire indistintamente tutti i fenomeni qualificabili come elusivi; al riguardo, un tentativo di definizione del suddetto fenomeno è ravvisabile nell’art. 37 bis del D.P.R. 600/7332. Sebbene la norma ponga principi antielusivi di carattere generale, l’applicazione della stessa resta, comunque, limitata alle singole fattispecie da essa previste, dato che la finalità prevista dall’art. 37 bis è 32 La norma, se pur introdotta a seguito di accese dispute dottrinali circa la necessità di inserire nel nostro ordinamento una clausola antielusiva generale, conferma la composizione casistica del sistema tributario italiano. Seppur il comma 1 del succitato articolo enunci, come si è già detto, criteri elusivi di portata generale, il successivo comma 3 subordina l’applicazione della disposizione antielusiva al compimento di una o più operazioni dallo stesso individuate. La norma antielusiva può trovare applicazione solo con riferimento al settore delle imposte sui redditi unitamente all’effettuazione delle operazioni del comma 3. 16
quella di arginare il ricorso a tecniche e comportamenti elusivi nelle c.d. “operazioni di riorganizzazione societaria”.33 Oltre al disposto del succitato articolo sono state individuate altre norme con finalità antielusive quali: l’art. 37, c. 3 e 4 del D.P.R. 600/73, riguardante l’interposizione fittizia34; l’art. 20 del D.P.R. 131/86 in materia di imposta di registro35. La ratio di questa lacunosità stà nell’impossibilità, constatata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, di ricomprendere in un’unica nozione, universalmente accolta, un fenomeno sicuramente vasto, variegato e complesso. L’ordinamento tributario italiano, oltre a non prevedere una definizione univoca della fattispecie generale di elusione fiscale, concepisce la stessa come una categoria di carattere fenomenico, perciò, priva di rigore formale proprio delle norme tributarie, anche in virtù del principio di legalità ex art. 23 Cost36. Sull’argomento, le numerose teorie dottrinali che si sono elaborate hanno individuato, nel fenomeno elusivo, tre elementi caratterizzanti: quello soggettivo, quello oggettivo ed il risultato. L’elemento soggettivo consiste nell’intenzione, da parte del contribuente, di individuare e seguire la strada fiscalmente meno onerosa, al fine di ottenere un risparmio di imposta, mediante negozi giuridici o comportamenti posti in essere. Il secondo elemento, quello cioè oggettivo, si identifica, invece, con 33 Ai sensi dell’art. 37 bis le operazioni potenzialmente elusive sono: 1) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili; 2) conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende; 3) cessioni di crediti; 4) cessioni di eccedenza di imposta; 5) operazioni di cui al D.lgs. del 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per l’adeguamento alle direttive comunitarie relativa al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi di azioni; 6) operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni, aventi ad oggetto i beni e di rapporti di cui all’art. 81, c. 1 lettera da c) a c quinquies), del TUIR n. 917/86. 34 In base alla quale sulla scorta di presunzioni gravi, precise e concordanti può essere dimostrato che i redditi, di cui appaiono titolari altri soggetti, appartengono, invece, al soggetto percettore, dunque, la tassazione dovrà colpire il titolare effettivo. In tal caso, i redditi vengono attribuiti al vero percettore. È logico pensare che un medesimo reddito non può appartenere contemporaneamente a più soggetti, per questo motivo il legislatore ha espressamente previsto che il soggetto dichiarante (persona interposta), a seguito di accertamento definitivo, può ottenere il rimborso di quanto versato da parte del soggetto accertato (interponente). 35 L’art. 20 dispone che: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”. 36 Al riguardo, il disposto dell’articolo è chiaro: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. 17
l’anormalità dei negozi giuridici posti in essere; è necessario, però, sottolineare al riguardo che l’anormalità in sé non è sufficiente ad integrare la fattispecie elusiva, in virtù dell’art. 132237 del codice civile che disciplina il principio dell’autonomia contrattuale, le parti non sono vincolate all’utilizzo di una determinata forma. Ciò che si pone rilevante è che l’anomalia sia dovuta ad esclusivi fini fiscali, ossia che, a parte il fine di ridurre l’onere tributario, il procedimento negoziale anomalo non abbia alcuna finalità economica o aziendale. Il terzo ed ultimo elemento è, chiaramente, costituito dalla realizzazione effettiva di una riduzione dell’onere tributario che il contribuente deve versare all’Erario. Da quanto sin qui detto, si evince che l’elusione fiscale consiste in un comportamento voluto, dunque non simulato38, non proibito da alcuna norma di legge, consistente nell’impiego abnorme di un istituto consentito, al solo fine del risparmio di imposta39. Sono da considerare con finalità elusive “gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra di loro”40 che abbiano i seguenti requisiti: a) l’assenza di valide 37 L’articolo del c. c. statuisce quanto segue: “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e dalle norme corporative. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purchè siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”. 38 Il comportamento simulato si concretizza nella realizzazione di comportamenti in cui la volontà che si manifesta è diversa da quella effettiva. Il tipico esempio di simulazione è quello dell’uso di prestanome o il mascheramento di una certa operazione in una veste giuridica alla quale si accompagna una migliore trattamento fiscale. 39 Esso non deve essere confuso con l’elusione fiscale, in quanto alla liceità effettiva dell’uno si contrappone la non manifesta illiceità, o la legalità solo apparente dell’altra, quindi al risparmio d’imposta “fisiologico” si contrappone quello “patologico”. L’elusione consiste nell’utilizzazione consapevole di tutte le scappatoie e le imperfezioni contenute nelle leggi tributarie in vigore per ridurre l’onere fiscale pur nel rispetto formale della normativa. Il risparmio di imposta si realizza quando il contribuente adotta il comportamento fiscalmente più conveniente, tra una pluralità di soluzioni previste dal sistema tributario ed aventi pari dignità. Ciò ammette che il contribuente possa, in questo modo, “regolare i propri affari nel modo fiscalmente meno oneroso” e reprimere l’abuso di questa libertà quando dà luogo a “manipolazioni, scappatoie, e stratagemmi, che, pur fortemente legali, finiscono per stravolgere i princìpi del sistema”. Dunque, la minimizzazione dell’imposta fiscale è, infatti, espressione del principio di libertà nelle scelte economiche riconosciuto dalla Costituzione italiana è coerente con il presupposto economico del minor sacrificio possibile”. 40 Poiché in genere tali istituti giuridici consentono vantaggi fiscali che non si esauriscono in una sola operazione, bensì in una pluralità di atti tra loro coordinati, viene accolta la tesi che sostiene che il fine elusivo di una concatenazione causale di eventi, nella cui ideale continuità logica si possa individuare la volontà di eludere. È stato affermato che il vantaggio fiscale non deriva quasi mai, per esempio, da una mera fusione, da un mero conferimento o da un’altra operazione societaria, ma deriva anche da eventi preparatori o consequenziali, come l’acquisto o la cessione di partecipazioni sociali. 18
ragioni economiche41; b) l’ottenimento di riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti; c) l’aggiramento di obblighi o di divieti previsti dall’ordinamento tributario. Questi requisiti devono coesistere nell’operazione complessivamente considerata e consentono all’interprete ed all’Amministrazione finanziaria di affermare l’esistenza della fattispecie elusiva. Per ciò che concerne il primo requisito, rileva che le “valide ragioni economiche” sono individuabili nell’esistenza di un apprezzabile interesse economico, in relazione alla realizzazione delle operazioni indicate dalla norma. L’interesse economico è un interesse di natura extrafiscale, ossia un interesse anche di natura tributaria ma realmente privo di qualsiasi collegamento con il risparmio fiscale derivante dall’operazione. Il testo dell’art. 37 bis c. 1 prevede la caratteristica della validità per le ragioni economiche in esame. Ciò comporta che l’accertamento finalizzato a rilevare la sussistenza di tale requisito debba prescindere da valutazioni di carattere soggettivo riferendosi, invece, all’utilizzo di parametri oggettivi. Per quanto riguarda la diagnosi circa le ragioni economiche dell’operazione, si possono registrare casi di assenza assoluta e casi di assenza relativa di dette ragioni. Si ha una assenza assoluta di ragioni economiche quando l’operatore non si propone altro fine che quello di realizzare un risparmio di imposta, che si ottiene quando non viene conseguito alcun risultato economico sostanziale, ma solo un beneficio fiscale42. Si ha, invece, un’assenza relativa di ragioni economiche quando il conseguimento di un dato risultato economico avviene mediante operazioni insolite o anomale. 41 Il contribuente dovrà giustificare la scelta imprenditoriale, in relazione delle sue valide ragioni, di una determinata serie di operazioni che, mediante un’ideale catena causale, possa risultare riferibile in modo logico alla prima operazione. In tal caso, proprio dalla “anormalità della concatenazione di atti escogitata per raggiungere un dato risultato economico”, ovvero “dall’assenza, dietro la scelta di tale particolare concatenazione, di alcuna plausibile ragione che non sia esclusivamente quella di conseguire per il suo tramite un certo vantaggio”. 42 Si pensi al riguardo ad una società che non svolge alcuna attività economica, e che è stata costituita solo per pagare meno imposte. Potrebbe trattarsi di una società che ha sede in un paradiso fiscale, che non svolge alcuna attività produttiva, ma percepisce redditi non tassati o tassati in modo ridotto. 19
Dunque, l’apprezzabilità economico-gestionale dell’operazione deve essere analizzata prendendo in considerazione il comportamento dell’operatore economico medio e deve essere finalizzata a verificare se il soggetto abbia avuto buoni motivi per effettuare ugualmente l’operazione di cui trattatasi, a prescindere da quelli che possono essere i vantaggi fiscali conseguibili dalla stessa. L’atteggiamento che terrà l’Amministrazione finanziaria sarà quello di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 3 dell’art. 37 bis, dunque, applicherà le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile alla stessa. Il secondo requisito previsto dalla norma è rappresentato dall’ottenimento di un vantaggio fiscale “altrimenti indebito”. Esso è definito quale risparmio d’imposta, che si ottiene, ad esempio, non versando quanto dovuto oppure ottenendo un rimborso d’imposta. È necessario, al riguardo, operare una distinzione tra il caso in cui la fattispecie produrrà i suddetti vantaggi automaticamente, senza la necessità di un’attività ulteriore del contribuente, ed il caso in cui tale attività ulteriore si renda necessaria al fine di ottenere l’indebito vantaggio desiderato. Nella prima ipotesi, la situazione può essere qualificabile come elusiva, nel secondo caso, invece, l’operazione non può considerarsi ancora conclusa: essa, si concluderà, solo e quando verrà posto in essere l’ultimo atto dell’operazione complessiva. Il vantaggio perseguito dal contribuente attraverso l’operazione elusiva deve necessariamente essere un vantaggio “determinato”, ossia astrattamente individuabile sulla base del comportamento posto in essere, indipendentemente dal fatto che esso si sia già verificato o sia in fieri. Dunque, a contrario non può ritenersi elusiva un’operazione in relazione alla quale non sia neanche astrattamente individuabile un determinato vantaggio tributario. Un’ulteriore osservazione, richiede la qualifica di “indebito” attribuita dalla norma ai rimborsi e alle riduzioni d’imposta conseguiti con l’operazione 20
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