Consiglio Nazionale dei Geologi - 1-2 maggio 2018

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Consiglio Nazionale dei Geologi - 1-2 maggio 2018
Consiglio Nazionale dei Geologi

           1-2 maggio 2018
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2/5/2018                                                     20 anni dopo Sarno: cosa è cambiato - Ottopagine.it Salerno

               Stampato da Ottopagine.it

               20 anni dopo Sarno: cosa è cambiato
               L'incontro organizzato dal Consiglio Nazionale dei Geologi e l'Ordine Geologi
               Campania

               Articolo pubblicato lunedì 30 aprile 2018 alle 16.45

               Salerno. Il 5 maggio, il Consiglio Nazionale dei Geologi, l’Ordine Geologi
               Campania e l’Associazione Italiana di Geologia Applicata organizzano il
               Convegno “20 anni dopo Sarno: cosa è cambiato” al Grand Hotel di Salerno.

               Il 5 maggio 1998, una vasta colata di fango e detriti, causata dalle violente
               precipitazioni che in quei giorni interessavano l’Appenino Campano, sommergeva i
               paesi di Sarno, Siano, Bracigliano (in provincia di Salerno) e Quindici (Avellino)
               provocando la morte di 160 persone. E ancora oggi, in Italia, si continua a morire a
               causa del dissesto idrogeologico: dal 2000 al 2017 le vittime per alluvioni o
               esondazioni sono state 189. Nel giorno del 20° anniversario dall’alluvione in
               Campania, per fare il punto su cosa è stato fatto due decenni dopo, il Consiglio
               Nazionale dei Geologi, l’Ordine dei Geologi della Regione Campania e
               l’Associazione Italiana di Geologia Applicata organizzano il convegno “20 anni
               dopo Sarno: cosa è cambiato” che avrà luogo sabato 5 maggio dalle ore 9:00 alle
               18:00 al Grand Hotel di Salerno (Lungomare Clemente Tafuri, 1).

https://www.ottopagine.it/sa/attualita/156883/20-anni-dopo-sarno-cosa-e-cambiato.shtml                                     1/2
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2/5/2018                                                     20 anni dopo Sarno: cosa è cambiato - Ottopagine.it Salerno

               Sarà un’occasione per fare il punto sul rischio alluvioni e frane nel nostro Paese,
               per parlare della politica di gestione e mitigazione del rischio idrogeologico e
               dell’evoluzione normativa dopo Sarno che ha portato al cosiddetto “decreto
               Sarno”, poi convertito nella legge n. 267 del 1998 insieme ad altre normative di
               settore che, tra l’altro, hanno favorito ed accelerato la realizzazione dei PAI (Piani di
               Assetto Idrogeologico) delle ex Autorità di Bacino.

               Al convegno “20 anni dopo Sarno: cosa è cambiato” parteciperanno: Francesco
               Peduto, Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, Francesco Maria
               Guadagno, Presidente dell’Associazione Italiana di Geologia Applicata e
               Ambientale ed Egidio Grasso, Presidente dell’Ordine dei Geologi della Regione
               Campania. Sono stati invitati: il sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli, il sindaco di
               Sarno e Presidente della Provincia di Salerno, Giuseppe Canfora e il Presidente
               della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Parteciperanno inoltre: Angelo
               Borrelli, Capo Dipartimento della Protezione Civile Nazionale, Gabriele Scarascia
               Mugnozza, Presidente della Commissione Grandi Rischi, Fausto Guzzetti, Direttore
               Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del Consiglio Nazionale
               delle Ricerche (CNR) insieme ad altri scienziati ed esperti del settore.

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Quotidiano   Data     01-05-2018
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2/5/2018                                         Linee guida Ppp, debuttano la matrice dei rischi, l'Abc del contratto e il monitoraggio

           01 Mag 2018

           Linee guida Ppp, debuttano la matrice dei
           rischi, l'Abc del contratto e il monitoraggio
           Alessandro Arona

           Le Linee guida n. 9, recanti la data del 28 marzo 2018 e pubblicate il 3 aprile scorso, sono forse
           tra quelle Anac di più difficile lettura, come d'altra parte tutto il tema del Partenariato pubblico-
           privato, perché oltre e più che le norme, le regole, a contare sono i concetti economico-
           finanziari, su cui la stessa Anac ha lavorato avvalendosi di consulenti esperti del settore.

           Le Linee guida n. 9 assolvono formalmente il solo compito - assegnato dall'articolo 181comma 4
           del Codice - di definire «le modalità» attraverso cui «l'amministrazione aggiudicatrice esercita il
           controllo sull'attività dell'operatore economico attraverso la predisposizione ed applicazione di
           sistemi di monitoraggio», ma di fatto contribuiscono ad approfondire la defnizione dei rischi nel
           Ppp, a fissare i contenuti dei contratti di Ppp, ad assicurare l'assegnazione corretta dei rischi alle
           parti in causa tramite la "matrice dei rischi", che fa il suo debutto in Italia in un atto a contenuto
           normativo.

           In questo modo si concretizza il concetto del trasferimento al privato del rischio operativo,
           indicato dalla direttiva europea 2014/23, con una sfida che può diventare vincente oppure no per
           il nostro paese.
           Può consentire di mettere in campo operazioni di investimento pubblico-privato più coerenti
           con le regole Eurostat, cosa che molto spesso non è avvenuta negli ultimi 15 anni, con
           operazioni che di fatto erano "garantite" per i privati e sono state riclassificate come appalto
           pubblico. Serve un vero Ppp, con rischi reali al privato, a prova di Eurostat che le accetti come
           off-balance, ma con opportunità vere di remunerazione per i privati, in modo da attrarre anche
           gli investimenti dei nostri fondi pensione, che per l'equity vanno al 90% all'estero (si veda su
           questi aspetti il servizio della professoressa Veronica Vecchi, esperta Bocconi del settore Ppp).

           Più severtità, più rischi e più serietà, però, specie in Italia, vuol spesso dire paralisi, specialmente
           se le nostre Pa non sapranno "adattare" le linee guida Anac alle diverse realtà e alle diverse
           operazioni, come sempre Vecchi ma anche Dalla Longa ci ricordano.

           Purtroppo, fra l'altro, le stesse Linee guda non riescono a sciogliere l'ambiguità, che parte dalle
           norme del Codice, sul concetto di rischio operativo.
           La direttiva lo applica a tutte le concessioni, cosa che fa anche il nostro Codice, il quale però
           inserisce le stesse concessioni dentro una più ampia cornice di Ppp (concetto che non c'è nella
           direttiva) , dove troviamo anche contratto di disponibilità, finanza di progetto, leasing e altri
           possibili Ppp. Per il Ppp in generale il Codice (art. 180) non parla più esplicitamente di "rischio
           operativo", definisce i rischi in modo simile ma senza usare la "parolina magica".
           Da qui lo scatenarsi, da due anni a questa parte, delle più varie interpretazioni, che l'Anac non
           chiarisce.
http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/print/AE1fq2gE/0                                                                            1/2
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2/5/2018                                         Linee guida Ppp, debuttano la matrice dei rischi, l'Abc del contratto e il monitoraggio

           Anzi: prima, al punto 2.1, definisce il rischio operativo - parlando in generale del Ppp - come un
           concetto "cornice", nel quale «rientrano, oltre al rischio di costruzione, anche il rischio di
           domanda e/o di disponbilità». Poi invece, al punto 5.8, specifica che il rischio operativo si
           applica solo alle concessioni.

           Inevitabilmente anche i nostri collaboratori danno interpretazioni diverse.

           Roberto Mangani, giurista, esperto di appalti pubblici e attualmente capo dell'ufficio legale di
           Cassa Depositi e prestiti, segue il punto 2.1, e dunque ritiene che il rischio operativo sia un
           concetto che derivando dalla direttiva non può che applicarsi a tutte le operazioni di Ppp, come
           di fatto (nei contenuti) anche l'articolo 180 comma 3 fa capire.

           Remo Dalla Longa, economista alla Bocconi e membro della commissione che ha contribuito a
           scrivere il Codice, ritiene invece, seguendo la lettera degli articoli165 comma 1 e 180 comma 3,
           che il rischio operativo si applichi solo alle concessioni, le quali a loro volta devono intendersi
           solo le operazioni per infrastrutture economiche, con rischio di domanda (i cosiddetti project
           financing "caldi"), e non anche a quelli con rischio di disponibilità (infrastrutture sociali).

           Veronica Vecchi, prof alla Bocconi, coordinatrice dell'osservatorio Bocconi MP3 sul Ppp e
           consulente in materia di molte Pa, dà in sostanza un'interpretazione "a metà strada". Anche lei,
           come Dalla Longa, ritiene che il rischio operativo (quello vero, il rischio di non riuscire a
           ripagare neppure l'investimento fatto) ci debba essere solo nelle concessioni, ma poi su cosa sia
           una concessione usa una lettura molto meno giuridica, più sostanziale. «Quel che conta è
           Eurostat - ci spiega - che negli ultimi anni ci ha mazzuolato riclassificando tutti i nostri project
           come "appalti pubblici". Quel che conta è che ci sia un rischio vero per il privato (niente canoni o
           volumi di traffico garantiti, per capirci), ma anche una possibilità vera di guadagno. Sono
           dunque concessioni, con rischio operativo, anche i contratti di disponibilità (i project financing
           "freddi", ndr) e la "finanza di progetto", che il nostro Codice mette nei Ppp ma nei fatti sono
           concessioni. È chiaro invece che il leasing è un appalto pubblico».

                                         P.I. 00777910159 - Copyright Il Sole 24 Ore - All rights reserved

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2/5/2018                                          Dossier Linee guida/2. Il Ppp nel Codice: i vari contratti e gli introiti della gestione

           01 Mag 2018

           Dossier Linee guida/2. Il Ppp nel Codice: i
           vari contratti e gli introiti della gestione
           Roberto Mangani

           Il partenariato pubblico privato nell'accezione accolta dal D.lgs. 50/2016 indica qualunque
           forma di cooperazione tra soggetto pubblico e operatore privato finalizzata alla realizzazione di
           un'opera o alla gestione di un servizio. Esso trova poi concretizzazione in una pluralità di
           tipologie contrattuali in cui ad alcuni tratti comuni si accompagnano elementi differenziali.
           È quindi utile ripercorrere di seguito i tratti essenziali dell'istituto come sono ricostruibili
           dall'esame delle definizioni contenute nel D.lgs. 50 e di alcune disposizioni contenute negli
           articoli 180 e seguenti, che non è sempre agevole inquadrare in maniera coordinata e
           sistematica. Molte previsioni infatti si intrecciano tra loro e in parte si sovrappongono, in un
           continuo rimando di nozioni che non rende immediatamente percepibile il quadro complessivo.

           I ricavi dell'operatore privato
           Il comma 2 dell'articolo 180 prevede che i ricavi di gestione dell'operatore privato possano
           derivare dal canone riconosciuto dall'ente concedente o da qualsiasi altra forma di contropartita
           economica che lo stesso riceve, anche sotto forma di introito diretto derivante dai proventi
           assicurati da un'utenza esterna.
           Ciò che va evidenziato è che la norma prevede esplicitamente che i ricavi possano derivare da un
           canone corrisposto all'operatore privato direttamente dall'ente concedente, cosicché si vengono
           a configurare due fattispecie: una prima con una pluralità indistinta di utenti/clienti e una
           seconda in cui vi è una cliente unico, rappresentato dall'ente concedente.

           In questo senso la previsione normativa sancisce l'abbandono definitivo di un'impostazione che
           risulta ormai da tempo superata che identifica i ricavi di gestione esclusivamente come quelle
           provenienti dall'utenza, non ammettendo la corresponsione diretta di un canone da parte
           dell'ente concedente.

           L'allocazione dei rischi
           Qualunque sia la forma che il partenariato pubblico privato assume – e quindi qualunque sia la
           relativa tipologia contrattuale – il rischio operativo deve far capo al privato. La definizione di
           rischio operativo è contenuta all'articolo 3, comma 1, lettera zz). In base ad essa tale rischio
           sussiste nella misura in cui l'operatore privato non ha alcuna preventiva garanzia in merito
           all'effettivo recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti a fronte della
           realizzazione dell'opera o della gestione del servizio. In sostanza vi deve essere una reale
           esposizione dell'operatore alle fluttuazioni del mercato, in maniera che le eventuali perdite non
           siano puramente nominali o del tutto trascurabili.

           A completamento di questa impostazione si colloca la previsione dell'ultima parte del comma 3,
http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/print/AEhFqtgE/0                                                                              1/4
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2/5/2018                                          Dossier Linee guida/2. Il Ppp nel Codice: i vari contratti e gli introiti della gestione

           secondo cui il contenuto del contratto deve stabilire che il recupero degli investimenti effettuati
           e dei costi sostenuti dall'operatore privato deve dipendere dall'effettiva fornitura del servizio o
           utilizzabilità dell'opera, nel rispetto comunque degli standard qualitativi predefiniti.
           Viene in questo modo ribadito che il partenariato pubblico privato può andare in una duplice
           direzione. In un caso il servizio viene reso al pubblico e il rischio del mancato recupero degli
           investimenti è collegato al fatto che i proventi ricavabili dalla gestione – che normalmente
           derivano dall'offerta al pubblico secondo tariffe predeterminate - non sono sufficienti al fine
           suddetto.
           Il secondo caso si ha invece quando il servizio viene reso all'ente committente e deve rispettare
           determinati standard qualitativi, in mancanza dei quali il canone non viene corrisposto, con
           conseguente impossibilità di ripagare l'investimento.

           Emblematica sotto questo secondo profilo è la previsione del comma 4, dove viene precisato che
           il canone da versare ad opera dell'ente concedente è proporzionalmente ridotto o annullato nei
           periodi di ridotta o mancata disponibilità dell'opera o di ridotta o mancata prestazione dei
           servizi.
           Inoltre, è anche previsto che a fronte della disponibilità dell'opera l'ente committente può
           corrispondere una diversa utilità economica. Si tratta di una previsione che sembra configurare
           la possibilità che in luogo della corresponsione del canone l'ente committente attribuisca un
           diverso corrispettivo, la cui natura è lasciata alla discrezionalità dell'ente committente.

           L'insieme delle disposizioni analizzate trovano poi completamento nel comma 3 dell'articolo
           180, che definisce in maniera puntuale le varie configurazioni che può assumere il rischio
           operativo, che viene declinato secondo differenti modalità (vedi articolo a parte, sempre a firma
           Mangani).

           L'equilibrio economico-finanziario.
           L'equilibrio economico – finanziario è quello che potremmo definire un prerequisito per
           l'efficace funzionamento di qualunque operazione di partenariato pubblico privato. Secondo la
           definizione contenuta alla lettera fff) del comma 1 dell'articolo 3 esso si compone di due
           elementi, uno di natura più strettamente economica e l'altro di carattere finanziario.

           Così la convenienza economica è la capacità del progetto di creare valore durante il periodo di
           durata del contratto e di generare un livello di redditività adeguato rispetto al capitale investito.
           La sostenibilità finanziaria è invece la capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti
           a garantire il rimborso del finanziamento.

           In sostanza, la gestione dell'opera o del servizio realizzati con la formula del partenariato
           pubblico privato deve garantire, proprio assicurando l'equilibrio economico – finanziario, una
           redditività che offre sufficienti garanzie sia sotto il profilo economico (capacità di generare
           reddito) che sotto quello finanziario (capacità di rimborsare il finanziamento).

           Per garantire il raggiungimento dell'equilibrio economico – finanziario l'ente committente può
           stabilire anche il riconoscimento di un contributo a favore dell'operatore privato ovvero la
           cessione di beni immobili che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico. Questa
           previsione riecheggia quella esaminata più sopra che fa riferimento alla possibilità che l'ente
           committente corrisponda all'operatore privato una diversa utilità economica.

           La concessione di lavori pubblici
           Sulla base delle caratteristiche sopra analizzate vanno esaminate le diverse tipologie contrattuali

http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/print/AEhFqtgE/0                                                                              2/4
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           riconducibili al partenariato pubblico privato.
           La prima è la concessione di lavori pubblici che ha per oggetto la progettazione e la
           realizzazione dell'opera, a fronte della quale è riconosciuto al concessionario a titolo di
           corrispettivo il diritto di gestire l'opera realizzata eventualmente accompagnato da un prezzo,
           fermo restando che sul concessionario deve gravare il rischio operativo.
           Si tratta della figura più tradizionale di partenariato pubblico – privato, che si caratterizza per il
           fatto che la fonte esclusiva o quanto meno prevalente del corrispettivo del concessionario è
           costituita dai proventi della gestione, a loro volta conseguenti all'offerta di un servizio a una
           massa indistinta di utenti.
           In realtà accanto a questa figura negli ultimi anni se ne è collocata un'altra, sempre nell'ambito
           della concessione. Si tratta della concessione relativa alle così dette opere fredde, contrapposta a
           quella sopra esaminata relativa alle così dette opere calde.
           La differenza sta nel fatto che mentre nelle opere calde vi è un mercato degli utenti nell'ambito
           del quale può trovare spazio la gestione del servizio (l'esempio classico è costituito dalle
           concessioni autostradali), nelle opere fredde tale mercato manca. In quest'ultima ipotesi il
           corrispettivo per il concessionario è normalmente rappresentato da un canone pagato dall'ente
           concedente, a fronte dello svolgimento di un servizio di cui l'ente concedente è l'unico fruitore.
           Gli esempi tipici sono rappresentati da quelle opere, quali gli ospedali o le carceri, in cui a fronte
           dell'ente concedente fruitore, vi sono degli utilizzatori ultimi dei relativi servizi che
           evidentemente non pagano alcun corrispettivo. E' quindi l'ente concedente che, ponendosi in
           una posizione intermedia tra concessionario e fruitori ultimi dei servizi, corrisponde al
           concessionario stesso una canone per la gestione. Come si vedrà meglio parlando delle diverse
           tipologie di rischio, è comunque necessario che a fronte del pagamento sia garantito un certo
           livello qualitativo, cui corrisponde appunto l'assunzione del rischio da parte del privato.

           La concessione di servizi
           In termini sostanzialmente analoghi si pone la concessione di servizi. In essa il concessionario
           fornisce e gestisce un servizio ricevendo come corrispettivo il diritto di gestire il servizio stesso
           eventualmente accompagnato da un prezzo. L'elemento differenziale rispetto alla concessione
           di lavori è che in quest'ultima vi è la realizzazione dell'opera da parte del concessionario, che
           invece manca nella concessione di servizi. Analogamente a quanto avviene nella concessione di
           lavori il servizio viene gestito a favore di una massa indifferenziata di utenti, per cui sul
           concessionario grava il rischio operativo.

           Il contratto di disponibilità
           In termini innovativi rispetto alle figure concessorie si pone il contratto di disponibilità. In esso
           al privato è affidata la costruzione e la messa a disposizione a favore dell'ente pubblico di
           un'opera che resta privata, a fronte del pagamento di un corrispettivo. La messa a disposizione
           implica la fruibilità dell'opera secondo standard di funzionalità individuati nel contratto, il che
           implica il corrispondente onere del privato di provvedere alla manutenzione e alla gestione
           tecnica dell'immobile.
           A fronte della messa a disposizione dell'immobile al privato è riconosciuto il canone di
           disponibilità, che è ridotto o annullato a fronte di ridotta o nulla disponibilità dell'opera. A tale
           canone può essere aggiunto un contributo in corso d'opera, nonché un prezzo finale di
           trasferimento.
           Sono evidenti le affinità tra questa figura contrattuale e la concessione di opera fredda, posto che
           in entrambi i casi si ha la messa a disposizione di un'opera a fronte del pagamento di un
           corrispettivo da parte dell'ente pubblico.

           La locazione finanziaria

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Consiglio Nazionale dei Geologi - 1-2 maggio 2018
2/5/2018                                          Dossier Linee guida/2. Il Ppp nel Codice: i vari contratti e gli introiti della gestione

           L'ultima figura contrattuale tipica del partenariato pubblico – privato è la locazione finanziaria.
           Si tratta del contratto che ha ad oggetto la prestazione dei servizi finanziari e la realizzazione
           dell'opera. Il legislatore ha in realtà esplicitamente previsto che tale contratto costituisca un
           appalto di lavori pubblici, anche se la struttura e il funzionamento presentano dei significativi
           tratti differenziali rispetto all'appalto. Nella locazione finanziaria, infatti, a fronte del
           finanziamento dell'opera e della successiva realizzazione – ed eventualmente della gestione
           tecnica - da parte del privato (locatore) l'ente pubblico paga un canone di locazione. A fronte di
           questa ipotesi vi è anche quella in cui il locatore acquista l'opera – già realizzata – che risponde
           alle esigenze dell'ente pubblico e la offre poi in locazione a quest'ultimo. In entrambi i casi vi è
           quindi una differenza sostanziale rispetto all'appalto, mentre elementi di assonanza si trovano
           con il contratto di disponibilità.

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2/5/2018                                         Dossier Linee guida/3. Rischio operativo solo per le opere con «rischio di domanda»

           01 Mag 2018

           Dossier Linee guida/3. Rischio operativo
           solo per le opere con «rischio di domanda»
           Remo Dalla Longa (*)

           (*) Professore all'Università Bocconi/SDA, coordinatore scientifico dell'Osservatorio PREM – Public
           Real Estate Management di SDA Bocconi e coordinatore di GePROPI – Gestione dei Processi
           Realizzativi di Opere Pubbliche ed Infrastrutture

           La recente approvazione del 28 marzo delle linee Guida n. 9 da parte dell'ANAC, poco
           commentate, ma importanti per sancire un passaggio sull'attuazione del PPP, ci permettono di
           fare alcune considerazioni generali sulla partizione IV del D.lgs 50 del 2016 e sulle stesse Linee
           Guida.

           Il D.lgs 50 nel comma 4 dell'art. 181 indicava, per il soggetto pubblico, la necessità di utilizzare
           sistemi di monitoraggio per il PPP sull'attività dell'operatore economico secondo modalità
           definite da linee guida adottate dall'ANAC, entro novanta giorni dall'entrata in vigore del codice
           (quindi scadenza 18 luglio 2016), verificando in particolare la permanenza in capo all'operatore
           economico dei rischi trasferiti.
           Sono passati non novanta giorni ma quasi due anni per la delibera definitiva di ANAC, ritardo
           non da attribuire espressamente o prevalentemente ad ANAC (cfr. fig. 1) ma, si presume, alla
           difficoltà del tema e all'intreccio con i pareri del Consiglio di Stato.

           Si veda Figura 1

           Gli articoli 180, 181 e 182, avendo, chi scrive, contribuito a redigerli, avevano come elemento
           sotteso:
           a) una scissione tra infrastruttura economica e sociale, con il tentativo di porre rimedio alla non
           distinzione precedente tra tariffa e canone applicata alla finanza di progetto (ex. art. 153 del
           D.lgs 163 del 2006). La distinzione mette in chiaro la differente tipologia di rischio
           espressamente quello di "domanda", per l'infrastruttura economica, e di "disponibilità" per
           l'infrastruttura sociale;
           b) il PPP come congegnato negli articoli 180, 181 e 182 si riferisce sia alle concessioni che agli
           appalti; il riferimento sono le categorie del diritto comunitario rappresentate dalle direttive del
           2014/23,24,25. Lo sviluppo del PPP nel D.lgs è intenzionalmente demandato allo sviluppo di
           contratti ‘adhocratici', i quali sono chiamati a dar vita e corpo al PPP rispettando le regole
           generali di riferimento.

           La direttiva comunitaria 2014/23 (concessione) introduce il concetto di ‘rischio operativo',
           collegato alla domanda e all'alea del mercato, che fa in modo che se trasferito, tale rischio, non
           sia garantito per l'operatore economico il recupero dell'investimento effettuato. Vale a dire non
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           vi è recupero se l'offerta del ‘servizio' non è rispondente alla domanda espressa dagli utenti, così
           come avviene del resto per tutti gli investimenti che hanno il mercato come riferimento. Il D.lgs
           50, riprendendo le categorie da Eurostat, introduce anche altre tre macro tipologie di rischi quali
           quello di costruzione, di disponibilità e di domanda indicate nel art. 3 comma 1 lettere (aaa),
           (bbb), (ccc).

           La genesi delle quattro macro tipologie di rischio (operativo, costruzione, disponibilità,
           domanda) hanno caratteri differenti e di questo bisogna tenerne conto.

           Non è stato semplice in fase di scrittura del D.lgs 50 distinguere la natura dei diversi rischi, la
           stessa difficoltà la si ritrova qualche mese dopo nelle prime bozze di Linee Guida sul PPP
           pubblicate (giugno 2016) e sottoposte agli stakeholders in cui ANAC nel punto 1 secondo
           capoverso indicava – non senza qualche criticità - alcune tipologie di sintesi dei PPP, poi
           ricordava i tre macro rischi (costruzione, disponibilità, domanda) per poi far rientrare questi nel
           rischio operativo, il quale si riferisce alle sole concessioni ma è limitativo, e non corretto, se
           esteso a tutte le categorie di PPP (espressamente, ma non solo, le infrastrutture sociali). Questo
           errore, o semplificazione, faceva rientrare tutto il PPP all'interno della concessione e non anche
           negli appalti. Elemento questo già in passato segnalato dalle pagine di questo quotidiano (Remo
           Dalla Longa, Edilizia e Territorio del 28 aprile 2016).

           Le Linee guida definitive del 28 marzo 2018correggono l'errore originale quando, nell'ultimo
           capoverso del punto 5.8, sostengono: devono essere trasferiti all'operatore economico il rischio
           di costruzione, di disponibilità o, nei casi di attività redditizia verso l'esterno, il rischio di
           domanda dei servizi resi, e per i contratti di concessione il rischio operativo.
           Con questo passaggio si ristabilisce qualche cosa che non era stato pienamente compreso ma
           che era implicito negli articoli 180, 181 e 182. L'art. 180 comma 3 indica infatti il trasferimento
           del rischio in capo all'operatore economico, termine generico di rischio e non di quello operativo
           altrimenti il riferimento sarebbe stato di ricondurre il PPP all'interno delle concessioni con tutto
           quello che ciò avrebbe comportato, in termini limitativi, per lo sviluppo del PPP nel nostro
           paese.

           L'ANAC nella descrizione della tipologia dei rischi presenti nelle Linee Guida n 9, approvata
           definitivamente, indica i macro rischi di riferimento presenti nel D.lgs 50 (operativo, di
           costruzione, di domanda, di disponibilità) aggiungendo a questi altri rischi che possiamo
           definire ‘minori' o caduchi (punto 2.8).
           Diviene utile partire dai macro rischi e trovare attorno a questi una strutturazione, una matrice
           dei rischi come quella indicata nel punto 5.7 delle Linee Guida, che seppur presentata come
           esempio, può apparire riduttiva in quanto non è in grado di dimensionare correttamente le tre
           principali categorie dei rischi, semmai la matrice indicata è un qualche cosa che si aggiunge alla
           macro categoria e cessa con il passaggio da una categoria all'altra. Senza una precisazione di
           questo tipo si rischia di depotenziare soprattutto il concetto di rischio di disponibilità e di
           domanda.
           Con qualche semplificazione, se si riprende la scissione tra le infrastrutture economiche e quelle
           sociali e si applicano i rischi le prime hanno come riferimento principale il rischio di domanda.
           Vale a dire che gli errori sulla costruzione o sulla disponibilità finiscono per organizzare male
           l'erogazione del servizio e allontanare l'utenza. Per le infrastrutture sociali il riferimento
           principale è invece il rischio di disponibilità in quanto può esservi nella riduzione di canone, in
           merito alla non disponibilità di prestazioni, anche una parte del rischio di costruzione.
           Quest'ultima può ripercuotersi sull'erogazione qualora qualche disfunzione realizzativa finisce
           per incidere sul grado di disponibilità di un'erogazione. Ciò non vuol dire che il rischio di

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           costruzione debba essere declassato, ma contestualizzato.

           Alcuni errori, o incongruenze, devono essere intercettati in fase di collaudo. Altri minori e di
           difficile intercettazione potrebbero emergere con il rischio di disponibilità sempre se esso è ben
           presidiato.

           Una vera differenza è che l'operatore economico, per entrambi i tipi di infrastrutture, è chiamato
           ad organizzare l'offerta, con l'enorme differenza sul lato della domanda.
           Nel caso dell'infrastruttura economica, che spesso coincide con la concessione, organizzare
           l'offerta vuol dire dimensionarsi da parte dell'operatore economico all'utenza e alla
           ‘molecolarizzazione' (e segmentazione) che questa può assumere con le sue scelte. Il riferimento
           è il mercato, per definizione ben conosciuto dall'operatore economico.
           Per l'infrastruttura sociale è l'operatore pubblico che organizza la domanda attraverso
           elaborati, documenti di gara e contratti, mentre l'operatore economico è chiamato ad
           organizzare l'offerta. Una domanda organizzata male (da parte del pubblico) sul versante della
           quantità o che non tenga conte dell'evoluzione temporale della domanda per l'infrastruttura
           sociale incide notevolmente sull'offerta dell'operatore economico e sulla distribuzione dei rischi.

           Non è paragonabile quanto indicato all'offerta in capo alla responsabilità dell'operatore
           economico quando organizza l'offerta cercando di intercettare la domanda dell'utente e la
           dinamica che questa assume nel tempo. In quest'ultimo caso il riferimento è l'applicazione del
           rischio operativo. Si tratta per le infrastrutture sociali ed economiche di due culture differenti
           che devono essere separate e con pesi diversi essere riorganizzate.

           Tuttavia la suddivisione in infrastrutture economiche e sociali e quindi nel privilegiare il rischio
           di domanda e di disponibilità nella realtà non si dimostra così semplice ed univoco.
           Vi sono alcune infrastrutture economiche come la costruzione di una centrale di produzione di
           energia trigenica (dal gas metano l'ottenere calore - MWHt; oppure elettricità - MWHe) che ha
           un rischio (operativo) di domanda quando i consumatori finali sono utenti. La stessa
           infrastruttura assume un forte rischio di disponibilità quando la stessa centrale viene pagata con
           il canone pubblico, quando la sua costruzione e funzionamento ha come unico utente per es. un
           ospedale; vale a dire è l'operatore pubblico che stabilisce per ogni vano l'erogazione (es. gradi di
           calore, o raffreddamento, per tipologia di vano), calcolando l'uso di una quantità rilevante di
           vani e il mantenimento del livello di erogazione per vano nel tempo, prefigurando in forma
           dinamica l'evoluzione di utilizzo di questi. In realtà, nonostante i ricavi siano coperti da un
           canone rimane vivo anche il rischio di domanda. Vale a dire la Pubblica Amministrazione si
           impegna ad acquistare MWHe nel tempo solo se questa è ad un costo inferiore a quella venduta
           da un altro vettore che opera sul mercato, al netto degli impianti costruiti che vengono poi
           trasferiti dall'operatore economico all'operatore pubblico dopo 20 o 30 anni. Vi è però per questi
           impianti un'alta obsolescenza economica. Si tratta di valutare se il risparmio energetico (e di
           costi) del nuovo investimento rimanga comunque vantaggioso per tutto il ciclo del contratto di
           Long Term Contract (LTC); possibile ma da dimostrare.

           I due pilastri del rischio trasferito rimangono quelli di domanda (o operativo) e quello di
           disponibilità. Per il rischio di costruzione permane ancora aperta una contraddizione con l'art.
           179 del D.lgs 50 laddove si indica la nomina del Direttore dei Lavori (DL). La perplessità è su chi
           nomina il DL, se rimane in capo all'operatore pubblico si riduce la responsabilità dell'operatore
           economico in capo al rischio di costruzione, con alte implicazioni sul off balance calcolate da
           Eurostat.

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2/5/2018                                         Dossier Linee guida/3. Rischio operativo solo per le opere con «rischio di domanda»

           Siamo solo all'inizio dell'attivazione di PPP vi sono una quantità rilevante di tipologie da poter
           sperimentare, diviene però importante poter iniziare con coerenza partendo proprio da una
           chiara identificazione e trasferimento dei rischi.

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2/5/2018                                       Dossier Ppp/4. Linee guida Anac importanti, ma non prive di errori economico-finanziari

           01 Mag 2018

           Dossier Ppp/4. Linee guida Anac importanti,
           ma non prive di errori economico-finanziari
           Veronica Vecchi (*)

           (*) Associate Professor of Practice, SDA Bocconi School of Management, coordinatore scientifico di
           Bocconi MP3 (l'osservatorio dell'Università Bocconi dedicato alle partnership pubblico-privato)

           Le Linee Guida ANAC sul Monitoraggio dei Contratti di PPP, approvate il 28 marzo 2018,
           rappresentano un importante passo in avanti per assicurare l'utilizzo adeguato del Partenariato
           Pubblico Privato in Italia. Esse forniscono principi fondamentali, non solo per il monitoraggio,
           ma anche e soprattutto per la corretta strutturazione di questi contratti complessi. Infatti, solo
           una strutturazione robusta, basata su una allocazione rigorosa dei rischi, incardinata nel
           contratto e nel Piano Economico e Finanziario (PEF), consentono il conseguimento del Value for
           Money (efficienza, efficacia ed economicità) e, quindi, del valore aggiunto di una operazione di
           PPP.

           Prima di commentare le Linee Guida, specie da un punto di vista economico e finanziario, è utile
           analizzare le direttrici attorno cui un contratto di PPP deve essere strutturato. Direttrici che
           rendono questi contratti complessi, ma anche, se ben concepiti, un fondamentale volano per
           riattivare la capacità del nostro Paese, delle nostre imprese e delle nostre Istituzioni, di
           realizzare investimenti, offrendo una "classe di investimento" per trattenere in Italia
           l'importante liquidità disponibile. A titolo di esempio si ricorda che oltre il 90% delle risorse dei
           fondi pensione Italiani investite in Equity vanno all'estero. Si tratta di un dato estremamente
           negativo, poiché significa che la liquidità dei nostri cittadini, di coloro che usano e che
           necessiterebbero di migliori infrastrutture e servizi, non trova impiego in Italia, ma altrove.
           Questo dovrebbe richiamare l'attenzione della classe politica verso un "rilancio del PPP", non
           solo come strumento contrattuale ma anche come politica economica.

           Quando si struttura una operazione di PPP è necessario, in primis, definirne i suoi obiettivi, che
           devono essere per loro natura di tipo strategico. Infatti, solo la necessità di perseguire obiettivi
           strategici, e non ordinari, è alla base, da un punto di vista manageriale, della scelta di una forma
           di partnership in luogo di un tradizionale appalto. Se gli obiettivi da perseguire sono quindi
           strategici e non ordinari, ne deriva che l'operatore economico deve essere incentivato verso il
           co-perseguimento, con la PA, di questi obiettivi. La responsabilizzazione passa attraverso
           l'allocazione di rischi, che, se non gestiti, devono generare delle perdite economico-finanziarie
           per l'operatore economico. Esattamente come avviene in una normale attività di impresa: il
           driver alla base di una continua capacità di adattamento, di innovazioni e investimenti è
           l'incremento del valore dell'impresa e la sua profittabilità.
           Questi incentivi, che passano attraverso l'allocazione di rischi, che se non gestiti comportano
           l'impossibilità di coprire i costi di gestione e di investimento, richiamano il concetto di rischio
           operativo, elemento che distingue un appalto da una concessione. Pertanto, un vero PPP deve
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           necessariamente essere concepito come concessione.

           Come ribadito da ANAC (punto 2.1), il rischio operativo non è un rischio a sé stante, come
           spesso capita di leggere in alcune matrici di rischio prodotte negli ultimi mesi. Esso è il
           combinato disposto di una serie di rischi, tra cui quello di costruzione, di domanda, di
           disponibilità e finanziario.
           ANAC presenta una lunga disamina, a carattere esemplificativo, dei principali rischi di una
           operazione di PPP, con il forte limite, però, di concentrare la propria analisi sulle infrastrutture
           "hard" (con una forte componente di lavori). Da questo punto di vista, è importante, che le
           amministrazioni e gli operatori economici sappiano cogliere i principi essenziali di queste linee
           guida, per intraprendere un percorso di puntuale definizione del significato di rischio operativo
           riferito a ciascuna operazione, perché solo in questo modo si potranno raggiungere quegli
           obiettivi strategici alla base della scelta dello strumento del PPP.

           Peraltro, sarebbe fondamentale, che ogni operazione di PPP venisse corredata da una
           quantificazione del rischio operativo, affinché si abbia la prova numerica che questo rischio
           operativo esiste effettivamente. In questo, la necessità di iniziare a "riflettere" sulla probabilità
           di manifestazione e sui costi associati alla manifestazione del rischio è un input fondamentale
           fornito dalle linee guida. Sarà un cammino da intraprendere in considerazione del fatto che oggi
           i dati a disposizione, sia nel mercato sia nella PA, sono abbastanza scarsi.

           L'allocazione del rischio operativo, ampiamente inteso e da declinare e sartorializzare caso per
           caso, come detto, è alla base di due elementi fondamentali per una corretta gestione degli
           investimenti pubblici.
           In primis, una operazione di PPP deve essere conveniente. L'Italia, come molti altri paesi, ha
           sempre e sta continuando a guardare (si vedano per esempio le raccomandazioni della Corte dei
           Conti in relazione agli investimenti sanitari – Deliberazione 9 marzo 2018, n. 4/2018/G), in
           modo erroneo e parziale, all'esperienza anglosassone nel PPP. Questo è avvenuto anche con il
           recepimento, tel quel, della metodologia anglosassone per l'analisi di Value for Money, disegnata
           per rispondere all'assetto di governance anglosassone. Quindi, l'efficacia, intesa come capacità
           di risposta ai fabbisogni, veniva interiorizzata dagli inglesi attraverso la scelta di un tasso di
           attualizzazione di tipo sociale; oppure il comparatore tradizionale (PSC – Public Sector
           Comparator) era basato sull'assunzione che l'alternativa finanziaria al PPP fosse l'utilizzo di
           entrate erariali (modello pay as you go).

           Le competenze peculiari sviluppate in questo paese in materia di PPP hanno portato nel tempo a
           concepire analisi ben più sofisticate di Value for Money, in modo sartorializzato rispetto agli
           specifici progetti, perché, anche rispetto all'analisi di convenienza, non è possibile pensare di
           applicare tel quel un rigido schema valutativo, pena la scelta ex ante del PPP come soluzione
           ottimale che poi, in fase di esecuzione, si mostra non sostenibile. Esattamente come è accaduto
           nel Regno Unito.

           Peccato che molti guardino ancora al modello anglossassone, da questo punto di vista, come un
           faro, senza accorgersi dell'accumulo di competenze avvenuto anche in Italia, anche grazie alla
           "ristrutturazione" di molti progetti per renderli più sostenibili e convenienti.

           L'analisi di convenienza deve essere un processo interattivo e non un esercizio teorico. Essa deve
           poter influenzare la strutturazione del contratto, in termini di definizione del perimetro
           contrattuale, di allocazione dei rischi e di strutturazione del PEF (definizione dei costi e del
           meccanismo di pagamento). Nell'analisi di convenienza, come ricorda il Codice, all'art. 182

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           comma 3, vi deve essere anche una analisi degli impatti. E questo si ricollega strettamente al
           raggiungimento di obiettivi strategici del PPP, che deve chiaramente generare una addizionalità
           sociale non possibile con un contratto tradizionale.

           Il secondo elemento da considerare, collegato all'allocazione del rischio, è la contabilizzazione
           del PPP. E' evidente che per molto tempo le amministrazioni si sono affacciate al PPP come
           modalità per superare i vincoli di bilancio e per contabilizzare non a debito l'investimento. La
           contabilizzazione off-balance delle operazioni di PPP, specie quelle in cui il principale pagatore
           è la PA, va a braccetto con il modo in cui i rischi sono modellizzati nel contratto. Un elemento
           essenziale alla base del manuale Eurostat è il concetto di risk & rewards, che spesso cozza con
           una impostazione più conservativa del PPP, volta a limitare la capacità di profitto dell'operatore
           economico. Il principio è chiaro: l'operatore economico deve assumersi dei rischi, veri, e questo deve
           comportare conseguenze, positive o negative, in termini di profittabilità.

           Se questo concetto non viene interiorizzato, dal mercato e dalle PA, sarà sempre più difficile
           poter contabilizzare queste operazioni off-balance per le amministrazioni.

           Da questo punto di vista, un importante strumento di soft law, sarà presto disponibile: la bozza
           di convenzione della Ragioneria Generale dello Stato, redatta nell'ambito di un gruppo di
           lavoro multidisciplinare che ha portato nel lavoro, in modo rigoroso, l'esperienza sul campo e le
           raccomandazioni delle istituzioni comunitarie, tra cui Eurostat ed Epec. La bozza di
           convenzione limita in modo significativo le cause di rinegoziazione del PEF e da questo punto di
           vista le linee guida di ANAC potrebbero in parte risultare superate, in quanto, in più parti si
           legge nella rinegoziazione del PEF il principale driver per la riduzione del rischio in capo
           all'operatore economico durante l'esecuzione del contratto.

           ANALISI ECONOMICO-FINANZIARIA DELLE LINEE GUIDA ANAC
           Fatte queste premesse, di public management, si passa ora ad analizzare da un punto di vista
           economico e finanziario lelinee guida di Anac.
           Come già scritto, i principi contenuti devono guidare la strutturazione del contratto e non solo il
           suo monitoraggio.
           Ciò significa che nella concettualizzazione del contratto, deve essere chiaro che il rischio deve
           essere un elemento dinamico, deve, cioè, permanere nel contratto.
           Vi sono alcuni rischi che si esauriscono nel tempo, come per esempio quello di costruzione, ma
           anche quello finanziario. Con riferimento a quest'ultimo, esso assume il suo massimo picco nel
           periodo che intercorre dall'aggiudicazione del contratto alla stipula del financial close, quando
           generalmente viene fissato un tasso fisso per il finanziamento del progetto. Da questo punto di
           vista, è molto importante quanto affermato al punto 2.8.2, basato sulle osservazioni giunte in
           fase di consultazione, ovvero che le amministrazioni devono valutare che il costo del debito e
           dell'equity siano appropriati e non sovrastimati, onde evitare un "annacquamento" del rischio
           finanziario.
           Di tenore analogo è un'altra importante raccomandazione, quella del punto 2.7 riferita alla
           stima dei ricavi. Se i ricavi sono sottostimati, o se la domanda è rigida, non vi sarà alcun rischio
           di domanda. Alcuni operatori economici, specie su progetti greenfield, potrebbero essere restii
           ad assumersi il rischio di domanda, oppure vi potrebbe essere una diversa percezione del rischio
           di domanda tra PA e mercato. Una soluzione a questo problema non può essere la garanzia di
           minimo ricavo, che automaticamente obbligherebbe la contabilizzazione on-balance, oltre a
           creare un forte disincentivo all'efficienza da parte dell'operatore economico. In tali casi è
           preferibile, eventualmente, laddove possibile, un sostegno al progetto mediante un contributo a
           fondo perduto con una clausola di revenue sharing, nel caso in cui i ricavi effettivi dovessero

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           essere superiori a quelli previsti.

           Punto critico è il 5.6 riferito al fatto che le amministrazioni possono richiedere agli operatori
           economici di riportare nel PEF i costi di copertura e di gestione dei rischi. Questo elemento va
           ben capito. Da un punto di vista finanziario il rischio consiste nella variabilità di un valore
           atteso. Se nel PEF i costi sono corretti per tenere conto delle azioni necessarie per prevenire o
           gestire i rischi, significa che l'operatore economico non si assume alcun rischio, proprio perché
           l'equilibrio economico e finanziario è stato definito in modo risk-adjusted. Pertanto, quanto
           scritto dall'ANAC va interpretato nel senso che un allegato al PEF, e quindi alla relazione, deve
           contenere una simulazione delle conseguenze sull'equilibrio economico e finanziario della
           manifestazione dei rischi. Questa è esattamente quella quantificazione del rischio operativo di
           cui si faceva cenno sopra. E va anche detto che non possono essere considerati, in questo
           esercizio, tutti i rischi in modo cumulato, in considerazione del fatto che sarà assai improbabile
           che tutti i rischi si verifichino contemporaneamente.

           In relazione alle modalità di definizione dell'equilibrio economico e finanziario, il precedente
           testo dell'ANAC correttamente faceva riferimento sia agli indicatori riferiti al progetto nel suo
           complesso (VAN e TIR di progetto) sia a quelli riferiti all'equity (VAN e TIR di azionista). Nel
           testo adottato, invece, si fa riferimento solo agli indicatori di equilibrio calcolati con riferimento
           ai flussi di cassa del progetto. Si tratta di una interpretazione, purtroppo, non corretta, in quanto
           un'analisi ottimale del PEF e dell'equilibrio economico e finanziario deve tenere conto della
           "bottom line" del progetto, ovvero i flussi liberi per la remunerazione dell'azionista. Se un PEF è
           strutturato solo con riferimento ai flussi unlevered (e quindi senza tener conto della struttura
           finanziaria) non è possibile analizzare in modo puntuale le dinamiche finanziarie del progetto,
           che sono solo parzialmente catturate dal costo medio ponderato del capitale (WACC). A tal
           proposito, infatti, potrebbe accadere che il VAN di progetto sia maggiore di quello dell'azionista,
           e nel tentativo di "portare" a zero il VAN del progetto, si potrebbe generare un VAN dell'azionista
           negativo, ovvero un rendimento previsionale (TIR) dell'equity inferiore al rendimento target
           atteso dagli azionisti.

           Tra l'altro questa definizione di equilibrio economico e finanziario è corretta quando il modello
           di società di progetto adottato è di tipo passante, ovvero tutte le attività sono gestite da
           subcontraenti, ai quali è riconosciuto un margine industriale e quindi il margine della società di
           progetta è finalizzato a remunerare solo il debito e l'equity. Nel caso in cui la società di progetto
           gestisse direttamente il servizio, potrebbe essere che i costi quotati nel PEF non tengano conto
           del margine industriale e questo necessariamente richiedebbe una diversa concezione
           dell'equilibrio economico e finanziario.

           Anche in relazione alla rinegoziazione del PEF quanto scritto al punto 3.2 potrebbe portare a
           interpretazioni erronee. Infatti, in fase di rinegoziazione, possibile ora in casi eccezionali e
           residui, potranno essere inseriti nel PEF solo i maggiori (o minori) costi riconducibili a rischi
           trattenuti dalla PA, che dovranno essere compensati (procedura di riequilibrio) attraverso
           alcune modalità, tra cui un contributo a fondo perduto, una integrazione/riduzione del canone
           o della tariffa e, in via residuale (specie se dovesse essere un allungamento), una modifica della
           durata del contratto.

           Il PEF sul quale operare deve essere quello contrattuale in modo da evitare che accadimenti
           riconducibili a rischi trattenuti dal privato possano inquinare la rinegoziazione e l'allocazione
           dei rischi. Se il PEF sul quale dovessero essere apportate le modifiche, finalizzate a ricreare
           l'equilibrio, non fosse quello contrattuale ma interiorizzasse gli accadimenti avvenuti al progetto

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           fino al momento del riequilibrio/revisione, l'amministrazione opererebbe in un contesto di forte
           asimmetria informativa, in quanto sarebbe in grado di valutare solo alcuni dei modificati dati di
           input del PEF pre-riequilibrio/revisione, quali per esempio eventuali decurtazioni e/o penali,
           ma non sarebbe in grado di conoscere tutti gli altri accadimenti del progetto rientranti nella
           sfera della responsabilità dell'operatore economico.

           Quest'ultimo, chiamato a presentare il PEF pre-equilibrio, potrebbe chiaramente indicare valori
           "non reali" attinenti alla manifestazione di rischi rientranti nella sua responsabilità con
           l'obiettivo di indicare un valore di VAN/TIR influenzato da eventuali comportamenti di azzardo
           morale e quindi funzionale a estrarre un maggior valore dalla rinegoziazione.

           A tal proposito, è molto importante chiarire un "black dot" generato dal Codice dei Contratti e in
           particolare dall'art. 175, in cui si legge che una modifica del contratto non può alterare
           l'equilibrio economico e finanziario del PEF in modo non previsto dal contratto. E' evidente che
           a fronte di maggior costi generati da una modifica, richiesta dalla PA, è necessario intervenire
           per ripristinare i valori di equilibrio. Questo può essere fatto in modo abbastanza automatico,
           quando ben articolato nel contratto, fugando ogni rischio di una maggiore redditività per
           l'operatore economico, specie se si ancorano i maggiori costi (di costruzione e/o gestione) a
           benchmark di mercato, attraverso procedure di value testing da condurre in modo aperto e
           trasparente.

           Infine, merita una nota il concetto di rischio di disponibilità (punto 2.4). Va precisato, che in un
           PPP non è ammissibile prevedere fondi per la manutenzione straordinaria, a meno che il
           progetto non preveda lo slittamento nel tempo di interventi adeguatamente pianificati dalla PA:
           infatti, l'assunzione del rischio di disponibilità deve comportare che l'operatore economico sia in
           grado di prevedere, anche mediante una quantificazione dei costi, le manutenzioni predittive e
           programmate. La previsione, nel PEF contrattuale, di accantonamenti per manutenzioni
           straordinarie, generati con i ricavi, è un modo per tener conto di maggiori costi legati alla
           manutenzione dell'infrastruttura/opera/investimento, "annacquando" quindi il rischio di
           disponibilità e generando anche problemi di altra natura, tra cui il fatto che potrebbe non essere
           chiaro il valore sottostante delle effettive manutenzioni straordinarie, nonché un incremento dei
           ricavi presenti (tra cui il canone di disponibilità o le tariffe) per un eventuale futuro ed eventuale
           costo.

           Legare il rischio di disponibilità al conseguimento di parametri tecnici e funzionali deve essere
           fatto in modo strategico onde evitare di incorrere in un sistema di decurtazioni simile a quello
           tipico delle penali in un appalto. Qui va ricordato che la possibilità di generare un reale value for
           money dipende dalla possibilità di conseguire con il PPP dei risultati strategici. Spesso, il
           mantenimento di parametri tecnico funzionali potrebbe non rappresentare una fonte di rischio
           operativo, specie se le decurtazioni sono associate a parametrizzazioni del canone di
           disponibilità sui metri quadri, giusto per fare un esempio. La continua disponibilità e
           funzionalità, specie per le opere/investimenti utilizzate dalla PA per l'erogazione di servizi –
           come in sanità – deve essere funzionale al conseguimento di fini istituzionali e quindi la
           decurtazione deve essere commisurata alla "perdita" per la PA o per i suoi utenti. Un esempio
           può essere utile a comprendere questo concetto: il non corretto funzionamento di un qualsiasi
           elemento che renda indisponibile o parzialmente indisponibile una sala operatoria deve portare
           a una decurtazione del canone in misura pari alla mancata produzione (DRG) previsto per quello
           spazio. Meccanismi analoghi dovrebbero essere previsti, poi, per altre aree critiche di un
           ospedale, tra cui le degenze, laboratori, ambulatori eccetera. Ragionamenti analoghi devono
           valere per altre tipologie di opere, anche per quelle a domanda rigida, altrimenti si corre il

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           rischio che le decurtazioni al canone siano un mero make up che può essere utile solo a
           dimostrare sulla carta un rischio operativo, che nella sostanza, però, non esiste. Se il sistema
           imparasse a concepire questo tipo di sofisticazioni avremmo raggiunto un grande traguardo,
           ovvero l'interiorizzazione dei principi dell'impact investing nel PPP, che significa trovare un
           punto di equilibrio tra ritorno finanziario e ritorno sociale. Solo perseguendo questa strada, in
           parte avviata su piccola scala, attraverso una modello di PPP chiamato social impact bond,
           riusciremo a rendere il PPP un contratto veramente strategico, conveniente e quindi più
           socialmente accettato.

           Le linee guida di Anac rappresentano una milestone molto importante per contribuire alla
           creazione di una cultura sul PPP a patto che le amministrazioni abbiano le capacità di utilizzare
           cum grano salis queste linee guida, ovvero prendendo i principi e cercando di applicarli in modo
           sartorializzato ai singoli progetti.
           In questo senso debbono anche ragionare le Istituzioni centrali.
           Infatti, la previsione di automatizzare il monitoraggio dei contratti di PPP attraverso la banca
           dati delle Amministrazioni Pubbliche, che difficilmente potrà arrivare a un livello di
           sofisticazione tale da riuscire a raccogliere le piccole sfumature dei contratti di PPP, che però
           sono quelle da cui dipende il vero trasferimento del rischio, non può sostituire un processo di
           capacity building diffuso sul territorio, anche basato su uno stock di contratti e matrici dei rischi
           raccolte, necessario per alimentare l'innovazione in questo settore e un processo di
           regolamentazione e attuazione sempre più sofisticato del PPP. In questo senso sarebbe
           auspicabile una maggior collaborazione tra le Istituzioni di regolamentazione, le
           amministrazioni chiamate a strutturare e implementare operazioni di PPP, l'accademia e il
           mercato e un maggior investimento in formazione da parte di tutti i portatori di interesse.
           Formazione vera, radicata negli elementi di management, finanza e diritto. Non solo workshop!

           Infine, oggi gli strumenti e le competenze, seppure a macchia di leopardo, ci sono. Sarebbe
           opportuno che nell'agenda politica del nuovo governo il tema del PPP venisse affrontato in
           modo più serio, per evitare che questo strumento venga utilizzato solo dai più coraggiosi o che
           si perda l'opportunità di apprendere dal passato per costruire un rilancio del Paese. In questo le
           PA dovrebbero saper agire molto di più da buyer sofisticati: strutturare PPP innovativi in Italia
           oggi significa offrire alle nostre imprese le competenze necessarie per operare nel PPP
           internazionale, ben radicato nelle agende politiche di molti paesi, emergenti e maturi.

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