Commento Settimanale - Niche Asset Management

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12/04/2021

Commento Settimanale
Fascinosamente generici

Il 1984 vide la nascita del trend dei generici, un potente trend che dura tutt’ora. In quell’anno
fu infatti introdotto negli USA il Drug Price Competition and Patent Term Restoration Act,
comunemete conosciuto come Hatch-Waxman, che riduceva significativamente i costi per
lanciare un prodotto bio-equivalente a uno già approvato ed in commercio il cui brevetto era
scaduto. Questo portò dal 38% al 100% l’utilizzo di generici per le molecole la cui esclusiva era
scaduta. In Europa la normativa sui generici arrivò circa 10 anni dopo. L’utilizzo dei generici fa
risparmiare allo Stato e ai pazienti decine di miliardi di dollari all’anno e rende disponibili
farmaci prima inaccessibili a molti. L’elemento di utilità sociale del generico è indubbio. Negli
USA vengono spesi circa 70 bln usd per i generici all’anno e 270 bln usd medicinali “branded”.
Eppure i generici rappresentano quasi il 90% dei volumi. Questo fa capire quanto i generici
siano essenziali alla società e le aziende coinvolte nella loro produzione siano strumentali al
raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Tuttavia in borsa l’andamento delle
società del settore non è così lineare. Una serie di escamotage per ritardare l’entrata in
commercio del generico veniva (e in parte viene) messa in pratica dalla casa farmaceutica in
possesso del brevetto. Questo portava ad enormi spese legali che pochi grossi produttori di
generici potevano permettersi. Alcune grosse realtà pure si svilupparono, quali Valeant e
Myland negli USA, Teva in Israele e Rambaxy in India. Più una serie di società minori
specializzate sui mercati emergenti e le divisioni generiche delle grandi case farmaceutiche
(Upjohn, Sandoz, etc). Tra il 2009 e il 2015 assistemmo a un significativo aumento della crescita
degli utili di queste aziende. I significativi costi nell’entrare in mercati di nicchia (investire per
un medicinale generico per una patologia poco diffusa implica grande rischio), insieme alla
lentezza della FDA a fornire nuovi permessi, permise a queste società di aumentare i prezzi di
alcuni medicinali generici e bio-similari a livelli non dissimili dai prezzi del medicinale originale
il cui brevetto era scaduto, creando una crescita degli utili notevole, difficilmente sostenibile.
Ciò creò una vera e propria bolla nel settore, bolla che esplose, come spesso avviene, quando
la politica ed il regolatore intervengono e le anomalie vengono corrette. La FDA fu rafforzata
e, sotto la pressione dell’opinione pubblica, iniziò ad approvare più generici. Intanto il
Dipartimento di Giustizia aprì delle inchieste per un presunto cartello (mai provato), mettendo
pressione sulle società per ridurre i prezzi. Le aspettative di crescita si sgonfiarono e così i titoli.
Oggi il settore, sebbene vitale per la società, è tornato ad un livello di competitività alto e i titoli
valgono tra il 60 e il 90% in meno del picco raggiunto nel 2015. Viatris, il risultato della fusione
tra Mylan e la divisione generica di Pfizer (Upjohn), tratta a 6x l’EBITDA e meno di 4x gli utili. E’
una storia di conversione di debito (ora significativo a 4x l’EBITDA) in equity, grazie a free cash
flow yield del 20% che la società produce. Avendo un alto debito, Viatris è per definizione
volatile ed una riduzione per motivi, oggi non identificabili, dei flussi di cassa potrebbe creare
ulteriore forte pressione al ribasso sull’equity. Al contrario, se i flussi di cassa rimangono solidi,
come crediamo, in 3 anni la società potrebbe raddoppiare.

Come accennato, oggi circa l’88% dei medicinali consumati negli USA è generico. Oltre 2/3 sono
prodotti in India. La Cina controlla il 90% delle materie prime per questi medicinali. Il Covid
dimostra che quando gli interessi nazionali collidono con il commercio, il commercio ha la
peggio. Alla luce del Covid e delle tensioni con la Cina è probabile che in futuro medicinali siano
ritenuti strategici. Viatris può contare sulla più grossa rete manifatturiera di generici negli USA.
Infine, degli oltre 500 siti manifatturieri di generici in India la FDA riesce a controllarne solo il
5% all’anno. Casi di negligenza emergono continuamente. Un medicinale generico per il
controllo della pressione, il Valsartan, fu ritirato nel 2019 per “impurita’” presenti nel
preparato che è emerso essere cancerogene. Questo preparato era prodotto dalla Zhejiang
Huahai Pharma, in Linhai, una cittadina cinese. Altri incidenti simili (Losartan, Irbesartan,
Lipitor) dimostrano che è fondamentale per motivi politici e medici riportare la manifattura dei
generici entro i confini domestici. Non cambia che le fabbriche siano americane se sono basate
in Cina o in India. E’ difficile mantenere alto il monitoraggio della qualità in quei paesi e, in caso
di necessità interne al paese produttore o tensioni geopolitiche, la supply chain per prodotti
così importanti potrebbe venire meno. Valutazioni, trend, catalyst e beneficio per la comunità.
What else?
Il fondo NEF SDG ha un’esposizione dell’1% a Viatris nel trendSDG “La Medicina per Tutti”.

Colui che indica la strada

Un collega e amico mi chiama all’indomani dell’implosione dell’hedge fund (travestito da
family office) Archegos, che ha visto spazzare via miliardi di dollari dei suoi prime brokers (in
primis CS e Nomura). Questa persona che, come me, ha qualche capello bianco, manifestava
timori che questo evento potesse rappresentare un catalyst per un significativo pull back del
mercato. E la cosa aveva assolutamente senso. Non tanto per le poche decine di miliardi di
asset del fondo da liquidare, ma per un repentino cambiamento del profilo di rischio delle
migliaia di hedge funds, family office e prime broker in giro per il mondo. Questo ha
sicuramente comportato, nelle scorse 2 settimane, una riduzione massiccia di leverage.
Risultati sul mercato e in particolare sul settore finanziario? Nessuno. Mercati stabili. Questo a
nostro avviso è un segnale da non trascurare. L’affare Archegos ci dipinge un settore finanziario
solido (nessuna banca ha dovuto ricorrere ad un aumento di capitale nonostante le grandi
perdite) che vanta presso il mercato una significativa fiducia (no sell off) nonostante quanto
avvenuto. Questo è frutto di cambiamenti strutturali del settore maturati in quasi 15 anni, di
un sottopeso qui generalizzato degli investitori, di una regolamentazione che diviene giorno
dopo giorno più benigna e della stabilizzazione dei tassi figlia degli sviluppi macroeconomici. Il
settore è destinato inevitabilmente a guadagnare il suo costo del capitale, prima o poi. Oggi
tratta, escludendo gli USA, tra le 0,3x e le 0,7x il patrimonio netto tangibile. Archegos è un altro
di questi hedge fund che ha scelto un nome epico greco. La mancanza di fantasia ci dice che i
soldi risparmiati sulla funzione di risk management non sono stati allocati al marketing. Il
significato di Archegos è “colui che indica la strada”. La strada che ci indica la vicenda Archegos
è molto costruttiva per le banche.

Dal punto di vista ESG/SDG non possiamo che rilevare il newsflow che indica il crescente
supporto del sistema bancario verso gli investimenti socialmente ed ambientalmente
sostenibili e la graduale uscita dal finanziamento di attività legate ai carburanti fossili. Solo il
5% delle grandi banche occidentali ha visto peggiorare il proprio rating ESG negli ultimi 2 anni
mentre il 70% è migliorata. Il cammino non può che essere graduale, ne siamo consci, in quanto
oggi la società in cui viviamo si affida ancora ai carburanti fossili e un taglio netto dei
finanziamenti porterebbe inevitabilmente ad un crollo dell’offerta ed una successiva crisi
energetica. Non bisogna quindi, a nostro avviso, assumere posizioni estreme. Anche gli
ambientalisti delle associazioni più oltranziste usano per lo più gas per il riscaldamento e
benzina per le auto. Inoltre, non si può pensare che nei paesi emergenti interrompano l’utilizzo
di una fonte quale il carbone da un momento all’altro. Il carbone è economico e dà lavoro a
molte persone in queste aree. Col carbone i paesi occidentali hanno inquinato per decenni
l’atmosfera. Quello che bisogna fare e fornire alternative, attraverso finanziamenti e
investimenti diretti, al fine di rendere la transizione in questi paesi benefica per l’economia e
gli abitanti. Questo è quello che vediamo fare dalle grandi istituzioni finanziarie. E siamo
comunque grati alle associazioni ambientalistiche per mantenere la pressione alta sul settore
bancario affinché’ gli sforzi continuino nonostante la non trascurabile perdita di reddito che le
istituzioni finanziarie registreranno nel breve a causa di queste politiche.
Il fondo NEF SDG ha un’ esposizione del 12% al settore bancario nel trendSDG La Buona Banca,
ben diversificato per geografia e tipologia di specializzazione. Il fondo Pharus Asian Niches ha
un’esposizione al settore bancario nella Nicchia Internet Victims, sotto-Nicchia Finanziari, del
2,5%.

Illusioni ottiche

Anche quest’anno il Nasdaq Composite, l’indice tecnologico americano, risulta tonico e, dopo
un febbraio volatile, si presenta ad aprile con un guadagno vicino all’8%. E’ veramente così? I
titoli a forte crescita che il Nasdaq racchiude sono difficilmente valutabili sui multipli
utili/EBITDA/vendite. Impossibile valutarli sugli asset tangibili perché non ne hanno. Visto che
la loro apparentemente grassa valutazione dipende dal predominio in un’area che verrà
incrementalmente monetizzata nell’arco di molti anni, l’unico metodo plausibile è un DCF (lo
sconto dei flussi di cassa futuri). Per calcolare un DCF abbiamo “solo” bisogno dei flussi di cassa
futuri. Implicando che il mercato al 31/12/2020 avesse ben chiare questa variabile potremmo
dire che, visto che il mercato è salito in 3 mesi dell’8%, questo ha rivisto leggermente al rialzo
i flussi di cassa. In effetti dal 31/12/2020 le stime di crescita degli EPS 2021 per il Nasdaq sono
salite proprio dell’8% circa. Tuttavia e’ anche vero che dal 31/12/2020 abbiamo dovuto
sicuramente incorporare un ribasso dei flussi di cassa legato all’atteso rialzo delle imposte
(diciamo prudenzialmente solo un 7% sebbene la riforma Biden sembra prendere di mira anche
gli asset immateriali e le giurisdizioni con tassazioni basse in cui spesso i big tech si basano
all’estero). Semplificando, questo fattore ci porta ad un ribasso della valutazione dei titoli
dell’8% (nel lungo periodo) che si elide proprio con il rialzo delle stime di crescita EPS per il
2021. Essendo il Nasdaq gia’ salito del quasi 7% vuol dire che: 1) i flussi di cassa attesi rispetto
a fine dicembre sono aumentati del 15% (non dell’8%), oppure 2) che il mercato ha beneficiato
di un rerating dell’7% grazie ad una riduzione del ritorno richiesto per detenere questa
tipologia di asset di rischio (i tecnologici) o infine 3) che il mercato non crede ad un rialzo delle
imposte. Il mercato ha sempre ragione fino a che non cambia idea. Ma sapere dove si è e come
ci si sposta può sempre aiutarci ad avere dei riferimenti e sviluppare le nostre strategie.

Champagne on the rocks

Disastro in Francia e in Nord Italia. Vigneti gelati in piena fioritura. Annata rovinata.
Completamente un disastro? Al netto degli aiuti statali e delle assicurazioni crediamo che la
notizia non sia disastrosa per i produttori di champagne che vedranno i loro magazzini (enormi)
acquistare valore. Ancora difficile verificare entità di aiuti statali, coperture assicurative e
inflazione di magazzino. Ma nel frattempo meglio fare scorta di champagne (e di nebbiolo)
fisico. Il fondo Pharus Asian Niches ha un’esposizione alle maison dello Champagne e di vini di
lusso per il 2%, all’interno della Nicchia Neglected Luxury, sotto-Nicchia Champagne&Grandi
Vini. Ricordiamo che le case dello Champagne trattano al circa 0,3x il patrimonio netto tangibile
una volta che il magazzino è stato valutato al prezzo di realizzo.

Giallo giallo

Momento cruciale per il futuro del mercato giapponese. Il fondo di private equity CDC lancia
un’offerta amichevole su Toshiba col 30% di premio. L’attuale CEO di Toshiba, sotto pressione
da parte di attivisti occidentali che possiedono un bella fetta della societa’, ha lavorato in
passato per CDC e nel board di Toshiba siede un altro manager della societa’ di PE inglese. Se
la Francia blocca serenamente un bid da parte di una societa’ canadese francofona su una
societa’ francese che vende pasta, formaggio e pelati (Carrefour) non ci dovrebbe sconvolgere
se il governo giapponese bloccasse l’acquisto di Toshiba, esposta al nucleare, alle batterie al
litio, alle rinnovabili, all’idrogeno e ai semiconduttori e strategica per il paese. Tuttavia qui la
situazione e’ delicata. Il mercato azionario giapponese e’ seduto su fiumi di cash. Oltre il 60%
delle societa’ giapponesi e’ net cash e tutto il cash detenuto dalle societa’ quotate eccede il
50% dei circa 7 trilioni di usd a cui quota. E’ come miele per i PE che possono comprare, senza
tirare fuori un soldo, societa’ di grande livello a prezzi da saldo. Toshiba al prezzo dell’offerta
presenta un upside, solamente basato sulla somma delle parti e multipli di mercato (senza
ipotesi di crescita), tra il 50 e il 100%. Il Giappone, immerso in una deflazione e un pessimismo
senza fine, ha bisogno di un mercato che salga. Tra il 2016 e il 2020, nonostante il buon
rimbalzo del mercato dal 2012, investitori retail domestici e istituzioni finanziarie estere e
giapponesi hanno venduto circa 250 miliardi di dollari di equity netto, proprio quello che la BOJ
ha comprato, insieme a qualche banca e a qualche keiretsu. L’investitore in Giappone rimane
con un mindset da mercato orso: non ho fiducia nel futuro e le fasi di forza non sono che
rimbalzi del gatto morto. Ora le banche devono vendere per motivi regolamentari. Bisogna
quindi riattivare gli animal spirits e per questo niente sarebbe meglio di una stagione di M&A,
senza poison pills e tutti i giochetti visti negli ultimi 20 anni. Se il governo giapponese non
blocca il bid del “gaijin” inglese potrebbe aprirsi una positiva fase per il mercato del sol levante.
Un’altra opportunita’ dopo 30 anni. Questa vicenda che ha del racconto giallo dovrebbe
concludersi in poche settimane. Fingers crossed.

Il fondo Pharus EMN detiene per il 6% Toshiba nella Nicchia Celle al Litio. Il fondo NEF SDG e’
investita per circa l’1,8% in Toshiba, nel Tema Mobilita’ e nel TrendSDG Mobilita’ Elettrica.
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