EFFETTO SERRA E CAMBIAMENTI CLIMATICI: EVIDENZE SCIENTIFICHE E NORMATIVA INTERNAZIONALE

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EFFETTO SERRA E CAMBIAMENTI CLIMATICI: EVIDENZE SCIENTIFICHE E NORMATIVA INTERNAZIONALE
EFFETTO SERRA E CAMBIAMENTI CLIMATICI: EVIDENZE SCIENTIFICHE E
                                  NORMATIVA INTERNAZIONALE

INTRODUZIONE
        L’effetto serra è un fenomeno senza il quale la vita sulla terra non potrebbe esistere. Questo processo
consiste in un riscaldamento del pianeta per l’effetto dei cosiddetti gas-serra, composti presenti nell’aria a
concentrazioni relativamente basse (anidride carbonica, vapor acqueo, metano, ecc.). I gas-serra fanno sì che le
radiazioni solari passino attraverso l’atmosfera, mentre ostacolano il passaggio verso lo spazio di parte delle
radiazioni infrarosse provenienti dalla superficie della Terra e dalla bassa atmosfera.

                     Fig. 1:Effetto dei gas-serra sulla radiazione entrante e uscente dal sistema Terra.

         In pratica, questi gas agiscono proprio come i vetri di una serra (da cui il nome): fanno passare la luce
solare e trattengono il calore. Questo comporta che la temperatura media della Terra sia di circa 16°C, un valore
notevolmente più alto di quanto non sarebbe in assenza di questi gas (-17°C).
         Tuttavia, solitamente, con il termine di “effetto serra”, l’opinione pubblica indica l’incremento anomalo
della temperatura della Terra avvenuto in particolare negli ultimi 50 anni e che può essere la causa di disastri
ambientali di proporzioni notevoli.
         L’innalzamento della temperatura, e quindi dell’evaporazione dai grandi bacini idrici, comporta un
incremento corrispondente della quantità d’acqua in atmosfera, e perciò delle precipitazioni (liquide e solide).
Sebbene non ci sia un’unanimità di vedute da parte del modo scientifico, ciò nonostante si è quasi tutti concordi
nel ritenere che le temperature, su tutti i continenti, siano cresciute di più dell’uno per cento nell’ultimo secolo.
         In particolare è stata rilevata, soprattutto alle medie latitudini, una maggiore intensità delle piogge e dei
fenomeni meteorologici estremi (tempeste, uragani, tifoni, ecc) con un relativo aumento delle inondazioni.

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Fig. 2: Un’immagine della violenza degli eventi alluvionali, causate dal passaggio di eventi meteorologici estremi.
 A questi fenomeni vengono solitamente dati nomi diversi, a seconda della regione geografica in cui si manifestano:
      Typhoon nel Pacifico, Hurricane nell’Atlantico, Cicloni in Europa (ed alla medie latitudini in generale).

Fig. 2b: Un’ immagine da Satellite dell’uragano Elena, che investi nel Settembre 1995, con venti medi di oltre 125
 miglia all’ora, le coste dell’Alabama, del Missisipi e della Florida. Il 2004 è stato l’anno con il maggior numero di
uragano dell’ultimo secolo. Molti paesi Caraibici e gli Stati Uniti (alcuni stati come la Florida sono stati colpiti da 4
 uragani diversi in meno di due mesi) hanno dovuto subire ingenti danni materiali e numerose vittime (piu’ di 700
                                        persone sono morte solo nei Caraibi).

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Allo stesso tempo, in molte aree tropicali, si è evidenziata una crescita degli eventi di siccità, con
conseguente aumento delle aree desertiche (fig. 3).

          Fig. 3: Un esempio di progressiva desertificazione di alcuni ecosistemi, ad esempio la savana, presenti nelle zone
                                                          tropicali.

        Il riscaldamento globale comporta anche una diminuzione complessiva delle superfici glaciali. Le grandi
banchise della Groenlandia e della Siberia, così come i ghiacciai continentali, stanno riducendosi notevolmente.

         Fig. 4: Questa foto mostra lo stato attuale del ghiacciaio del Kilimangiaro (Kenya, Africa). Uno dei numerosi
esempi di progressivo scioglimento dei ghiacciai continentali.

         Lo scioglimento dei ghiacci e l’aumento delle precipitazioni hanno provocato anche l’innalzamento del
livello medio del mare, che negli ultimi cento anni è cresciuto di 10 –15 cm.
         Tutti gli effetti sopraccitati, largamente comprovati da numerosi dati rilevati negli ultimi decenni in tutte
le zone del globo, potrebbero aumentare ulteriormente nel caso in cui le concentrazioni dei gas–serra (vedi
sotto) non diminuissero. Lo scenario, ipotizzato dalla maggior parte del mondo scientifico, è inquietante: in un
periodo lunghissimo le foreste diminuirebbero ulteriormente la loro estensione, i deserti si espanderebbero nelle
aree semiaride, interi stati, soprattutto quelli in via di sviluppo, non avrebbero più risorse idriche ed agricole a
disposizione.

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EVIDENZE SCIENTIFICHE

E FFETTI SULL’ AMBIENTE

          La crescente attenzione internazionale, sul tema del “climate change”, ha portato l’WMO (World
Meteorological Org) e l’UNEP (United Nations Enviroment Program, Programma delle Nazioni Unite per
l’ambiente) alla creazione alla fine degli anni ’80 di un gruppo intergovernativo sul cambiamento del clima
(IPCC – Intergovernamental Panel on Climate Change). L’IPCC è composto da 3000, tra i maggiori esperti
internazionali di clima, ed è nato con la finalità di valutare le informazioni disponibili in numerosi campi:
scientifico, tecnico,economico e sociale, legate ai cambiamenti climatici, e da queste dedurre i futuri scenari
climatici e le migliori opzioni di mitigazione ed adattamento.
          In particolare, nell’ultimo Rapporto dell’IPCC, reso pubblico all’inizio del 2001, gli scienziati hanno, in
maniera concorde, ribadito che il clima terrestre si sta riscaldando e che la maggior causa di questo
riscaldamento è antropogenica, attribuibile in modo particolare alla crescita delle emissioni di gas-serra.

        Fig. 5: Aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera (in parti per milione) dal 1870 al 2000.
(United Nations Enviroment Programme, 2000). Il grafico evidenzia la correlazione esistente tra le emissioni
antropogeniche e l’aumento della concentrazione atmosferica.

       Guardando ai prossimi decenni, l’IPCC sottolinea che un ulteriore aumento delle emissioni di gas-serra,
potrebbe causare modificazioni climatiche più significative di quelle avvenute in passato:
       •        accelerazione dello scioglimento della calotta Antartica;
       •        cambiamento della frequenza e della quantità degli eventi meteorologici (cicloni, siccità) in
modo particolare alle medie latitudini;
       •        aumento del livello del mare.

         Lo scenario, proposto dal rapporto dell’IPCC, parla di una temperatura terrestre, che potrebbe
aumentare, assecondando gli ultimi “trend” misurati, di 1 – 5 °C nei prossimi 50 anni. Questo riscaldamento
sarebbe maggiormente concentrato sulle aree continentali ed alle alte latitudini, causando un aumento
dell’evaporazione dai bacini e quindi un incremento delle precipitazioni; mentre nelle aree tropicali e
subtropicali il riscaldamento atteso è inferiore alla media globale.
         L’IPCC sottolinea, inoltre, il rischio (non trascurabile purtroppo) che un ulteriore riscaldamento porti
all’innesco di reazioni climatiche non prevedibili ed improvvise, quali lo scioglimento completo delle calotte
Artica ed Antartica, l’interruzione (completa o parziale) delle correnti oceaniche Atlantiche e Pacifiche (ad
esempio la corrente del Golfo), il cambiamento di frequenza di fenomeni come El Niño, La Niña e la QBO
(Quasi Biennial Observation).
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Fig. 6: Una foto del collasso della piattaforma Larsen B in Antartide. Questa piattaforma di ghiaccio, prospiciente
la punta più meridionale del continente Sud Americano,si è, nell’ultimo decennio, sciolta ad un ritmo cinque volte maggiore
di quanto succedeva precedentemente. Lo scioglimento è causato principalmente dall’aumento della Temperatura dell’aria
(2.5 °C negli ultimi quaranta anni).

E FFETTI SULLA BIOSFERA E SULL’ UOMO

        Anche la salute, ed in alcuni casi la sopravvivenza, di molte specie animali e vegetali, e dell’uomo stesso,
può essere influenzata dall’aumento di temperatura determinato dall’incremento della concentrazione dei gas-
serra.
        Le temperature estremamente calde aumentano la possibilità di problematiche patologiche soprattutto
nelle persone che presentano problemi cardiaci. Queste sono, infatti, più vulnerabili perché, in condizioni
termiche elevate, il sistema cardiovascolare deve lavorare maggiormente per stabilizzare la temperatura
corporea.
        Il clima più caldo aumenterebbe inoltre la diffusione dei problemi respiratori, e renderebbe più
frequenti i ”colpi di calore”.
        Le statistiche sulla mortalità e sui ricoveri ospedalieri dimostrano chiaramente che la mortalità annuale,
specialmente tra le persone anziane o affette da malattie cardio-polmonari, è direttamente correlata con il
numero annuo di giorni caldi.
        Inoltre l’aumento della temperatura del pianeta porterebbe ad un’estensione delle zone d’influenza di
molte malattie infettive potenzialmente mortali, come:

         •        malaria;
         •        febbre gialla;
         •        encefalite.

          Queste per adesso sono circoscritte nelle zone tropicali e sub-tropicali, ma le zanzare e gli altri insetti,
che le diffondono, potrebbero trovare condizioni climatiche adatte alla loro riproduzione anche alle medie
latitudini.
          Una parte del mondo scientifico ritiene inoltre che l’inasprirsi dell’effetto serra comporterebbe un
aumento del fenomeno dell’eutrofizzazione delle acque, con tutti i danni biologici, economici e sanitari che
questo comporterebbe. Problemi questi ultimi che sarebbero di difficile soluzione anche per i paesi occidentali,
nonostante il loro enorme patrimonio economico ed industriale. Molti degli impatti del cambiamento climatico
potrebbero comunque essere risolti tramite l’organizzazione ed il mantenimento di adeguati livelli a difesa della
salute pubblica e dell’ambiente. Invece nel Terzo mondo, l’inasprimento delle condizioni ambientali (ad
esempio la progressiva desertificazione delle risorse agricole vedi figura 7) provocherebbe situazioni sanitarie e
sociali insostenibili, che porterebbero in breve tempo a carestie e guerre civili.

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Fig. 7: Mappa delle regioni soggette al rischio di una progressiva desertificazione nel corso del prossimo secolo. In
particolare vediamo come gran parte delle regioni che rischiano di tramutarsi in terre aride ritrovano in prossimità delle
cinque principali aree desertiche mondiali: il deserto di Sonora (Messico, USA), il deserto di Atacama (Sud America), i
deserti del Nord Africa e dell’ Asia Minore (il Sahara, l’Arabico, l’Iraniano ed il Gobi), il Kalahari (Sud Africa) ed il deserto
Australiano.

LE POLITICHE A SCALA GLOBALE SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI.

           I rapporti dell’IPCC (1990,1995,2000), che hanno sottolineato la relazione tra le emissioni di gas-serra
ed i cambiamenti climatici in atto, sono stati il “background” scientifico per i negoziati della Convenzione
Quadro sui cambiamenti Climatici (United Nations Framew ork Convention on Climate Change).
           Questa Convenzione, adottata a New York nel Maggio del 1992 e successivamente sottoscritta a Rio de
Janeiro (Vertice della Terra, 1992) dai delegati di 154 paesi, più l’ Unione Europea, è entrata in vigore nel Marzo
del 1994.
           La Convenzione, che promuove diverse tipologie d’intervento sia a livello nazionale che a livello
internazionale per la stabilizzazione delle concentrazioni di gas-serra per la protezione del sistema climatico, non
prevede, tuttavia, vincoli per i paesi sottoscriventi per la riduzione dell’emissione di gas-serra, ma solo un
impegno di massima per riportare entro il 2000 le proprie emissioni di gas ai livelli del 1990.
           Tutti gli interventi, effettuati alla luce della Convenzione e dei rapporti dell’IPCC, vengono valutati e
ratificati, con cadenza annuale, dalla Conferenza delle Parti (COP).
           Nella prima COP, svoltasi nel 1995 a Berlino ed a cui hanno partecipato circa 180 paesi, i delegati
hanno concluso che gli impegni concordati nella Convenzione non erano sufficienti ed hanno aperto un nuovo
ciclo di negoziati (Mandato di Berlino).
           Sicuramente, però, il momento della svolta per la politica sui cambiamenti climatici si è avuto durante la
COP 3, svoltasi nel 1997 a Kyoto, con l’introduzione del cosiddetto Protocollo di Kyoto.
           Nel Protocollo, infatti, sono sancite regole molto più restrittive per l’emissione dei gas-serra soprattutto
per i paesi industrializzati: come la riduzione delle emissioni nel periodo 2008-2012 del 5% rispetto al 1990.
           Per ridurre le emissioni di gas, il Protocollo permette ai paesi industrializzati di fare uso degli
assorbimenti di CO2 da foreste e terreni agricoli (i cosiddetti carbon sink) e dei meccanismi di cooperazione
internazionale.
           Il Protocollo di Kyoto riconosce, infatti, alle foreste ed ai suoli agricoli un ruolo importante nelle
strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici, attraverso tre diverse tipologie di azioni:
           creazione di nuove foreste;
           appropriata gestione delle foreste esistenti e dei suoli agricoli;
           uso delle biomasse per la produzione di energia, in sostituzione delle fonti fossili.
           In modo particolare, il testo del Protocollo sottolinea il fatto che i paesi firmatari possono servirsi degli
assorbimenti di carbonio derivanti dalle nuove piantagioni forestali (reforestation) e su terreni non forestali
(afforestation), al netto delle emissioni, legati ai processi di deforestazione (deforestation), sempre che si siano
verificati dal 1990 in poi.

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I dettagli operativi relativi all’uso di questi strumenti sono stati definiti solo dalla COP 7, svoltasi a
Marrakesh nel novembre 2001.
         La COP 9 (Milano, 2003) ha invece completato le attività preparatorie per l’attuazione del Protocollo,
definendo le modalità di realizzazione degli interventi di cooperazione internazionale nel settore agricolo e
forestale. Tuttavia, nonostante tutto il lavoro politico e diplomatico svolto dalla comunità internazionale, il
Protocollo non è ancora entrato in vigore, a causa della defezione di alcuni paesi (ad esempio gli Stati Uniti
d’America) firmatari. Infatti il Protocollo entrerà in vigore solo dopo la ratifica da parte di almeno 55 paesi
firmatari della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, responsabili di almeno il 55% delle emissioni di
CO2 nel 1990.

          Fig. 8: Emissioni pro capite di anidride carbonica (in tonnellate annue) per il 1997 di alcuni paesi industrializzati
(International Energy Agency, 1999).

POLITICHE CLIMATICHE IN ITALIA

          Fin dall'inizio degli anni novanta, l'Italia è stata fra le nazioni più attive nel promuo vere una politica di
protezione             dell'atmosfera,          assumendo             importanti         impegni         internazionali.
I passi principali della politica italiana sul clima sono stati i seguenti:
          il 29 ottobre 1990, su proposta e sotto la presidenza italiana, l'UE ha assunto l'impegno di
stabilizzazione delle emissioni di anidride carbonica ai livelli del 1990 entro il 2000 e di controllo delle emissioni
degli altri gas-serra;
          con la legge 15 gennaio 1994 n. 65, l'Italia ha ratificato la Convenzione quadro sui cambiamenti
climatici (entrata poi ufficialmente in vigore il 21 marzo 1994);
          con il "Programma nazionale per il contenimento delle emissioni di anidride carbonica", approvato dal
CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) il 25 febbraio 1994, l'Italia ha emanato il
primo provvedimento nazionale in attuazione degli impegni della Convenzione;
          il 16 gennaio 1995 l'Italia ha trasmesso alle Nazioni Unite e all'Unione Europea la Prima
Comunicazione Nazionale alla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici;
          alla "Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici, energia e trasporti", tenutasi a Roma dal 13 al 15
novembre 1997 (due settimane prima di Kyoto), è stata presentata la Seconda Comunicazione Nazionale alla
Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, in cui viene fatto il punto sulla situazione nel raggiungimento
dell'obiettivo della stabilizzazione al 2000 e si individua un elenco di misure coerenti con il raggiungimento
dell'obiettivo del -7% al 2010;
          con la legge n. 120 del 1° giugno 2002, l’Italia ha ratificato il Protocollo di Kyoto. Da un punto di vista
finanziario, nel triennio 2002-2004, questa legge di ratifica destina 25 milioni di Euro/anno alla realizzazione di
progetti pilota, a livello nazionale e internazionale, finalizzati alla riduzione delle emissioni e all’aumento degli
assorbimenti di carbonio.

         La revisione delle “Linee-guida” del 19 novembre 1998 ed il relativo Piano di Azione Nazionale per la
riduzione delle emissioni dei gas-serra (PAN), trasmessi dal “Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio” (MATT), sono stati approvati dal CIPE nel dicembre 2002. La nuova delibera e il relativo Piano di
Azione tengono conto degli elementi delle decisioni negoziali assunte dalla COP 7 di Marrakech. Tali elementi

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riguardano la possibilità di “contabilizzare”, come riduzione delle emissioni, il carbonio assorbito dalle nuove
piantagioni forestali e dalle attività agroforestali e di utilizzare in maniera sostanziale i meccanismi flessibili
(Clean Development Mechanism, Joint Implementation, Emissions Trading, previsti dal Protocollo di Kyoto).
Il PAN individua i programmi e le misure da attuare per rispettare l’obiettivo di riduzione delle emissioni dei
gas-serra attribuito all’Italia, secondo il quale nel periodo 2008-2012 le emissioni dovranno essere ridotte del
6,5%, rispetto al 1990, ossia non potranno superare i 487 Mt CO2 equivalente. In particolare il PAN individua
tre diversi gruppi di misure:
         le misure incluse nello scenario di riferimento;
         le misure da attuare nel settore agricolo e forestale per aumentare la capacità di assorbimento del
carbonio;
         le ulteriori misure di riduzione, sia a livello interno, sia mediante i meccanismi di cooperazione
internazionale CDM e JI.
         In particolare l’elenco delle misure incluse nello scenario di riferimento è riportato in tabella 1. Sulla
base dello scenario di riferimento la delibera definisce i livelli massimi di emissione per i diversi settori, ovvero
gli obblighi di riduzione che i settori dovranno rispettare nel periodo 2008-2012.

         Tabella 1 - Misure incluse nello scenario di riferimento per la riduzione delle emissioni
         Tipologia delle misure                                                    Riduzione(MtCO2/anno)
         Industria elettrica                                                       26,0
         Espansione cicli combinati per 3200 MW                                    8,9
         Espansione capacità import per 2300 MW                                    10,6
         Ulteriore crescita fonti rinnovabili per 2800 MW                          6,5
         Civile - Decreti efficienza usi finali                                    6,3
         Trasporti                                                                 7,5
         Autobus e veicoli privati con carburanti a minor densità di
                                                                                   1,5
carbonio (Gpl, metano)
         Sistemi di ottimizzazione e collettivizzazione del trasporto
privato                                                                            2,1
Rimodulazione                                            dell’imposizione
Attivazione sistemi informatico-telematici
         Sviluppo infrastrutture nazionali e incentivazione del
                                                                                   3,9
trasporto combinato su rotaia e del cabotaggio
         Totale misure nazionali                                                   39,8
         Crediti di carbonio da CDM e JI                                           12,0
         TOTALE MISURE                                                             51,8
         Fonte: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, 2003

         Il secondo gruppo di misure previsto dal PAN prevede un’ulteriore riduzione delle emissioni mediante
interventi di afforestazione e riforestazione, attività di gestione forestale, di gestione dei suoli agricoli e dei
pascoli, di rivegetazione. A tali misure, basate sulla capacità delle piante di assorbire CO2 dall’atmosfera e di
fissarla per periodi più o meno lunghi nei diversi pool degli ecosistemi agricoli e forestali, è riconosciuto un
potenziale di fissazione di 10,2 Mt di CO2 equivalenti (in grado, quindi di compensare emissioni di gas-serra per
una stessa quantità). Per la realizzazione di tali attività il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, di
concerto con il Ministero per le Politiche Agricole e Forestali e d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni,
presenterà al CIPE il Piano dettagliato per il primo triennio 2004-2006. É prevista inoltre la realizzazione
dell’Inventario Forestale Nazionale e degli altri Serbatoi di Carbonio, allo scopo di poter stimare il potenziale
nazionale di fissazione di carbonio derivante dalla gestione forestale, e del Registro Nazionale dei Serbatoi di
Carbonio, al fine di certificare i flussi di carbonio nel periodo 2008-2012 derivanti da attività di afforestazione,
riforestazione, deforestazione, gestione forestale, gestione di suoli agricoli, pascoli e rivegetazione. Per colmare il
gap residuale di circa 30 Mt di CO2 equivalenti, sono state individuate ulteriori misure di riduzione, sia a livello
nazionale che mediante i meccanismi di cooperazione internazionale. Le opzioni indicate consentono una
riduzione delle emissioni compresa tra 55 e 99 Mt CO2 equivalenti. Tra queste opzioni saranno individuate
quelle misure che, al minor costo, consentono di colmare il gap di 30 Mt di CO2 equivalenti.

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Per l’individuazione delle ulteriori misure di riduzione delle emissioni, è stato definito un set aperto di
possibili programmi e iniziative nei settori dell’energia, dei trasporti, dell’industria, dell’agricoltura, della
cooperazione economica e tecnologica internazionale.
          Le possibili opzioni verranno scelte, fermo restando il raggiungimento dell’obiettivo ambientale, con il
criterio dell’aumento dell’efficienza dell’economia italiana. L’elenco delle ulteriori misure è riportato in tabella 2.

        Tabella 2 - Opzioni per ulteriori misure di riduzione delle emissioni
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           Tipologia delle opzioni per settori
                                                                                    potenziale(MtCO2 eq/anno)
        A) OPZIONI PER ULTERIORI MISURE NAZIONALI DI
  RIDUZIONE
        Fonti di energia
        Settore industriale                                                                  6,9 – 13,0
        Settore civile                                                                       3,8 - 6,5
        Settore agricoltura                                                                  0,28 - 0,34
        Settore trasporti                                                                    13,3 – 19,1
        Altre fonti
        Settore industriale                                                                  6,20
        Settore agricoltura                                                                  0,61 – 1,29
        Settore rifiuti                                                                      0,64
        Altro (solventi, fluorurati)                                                         0,76
        B) OPZIONI PER L’IMPIEGO DEI MECCANISMI JOINT
  IMPLEMENTATION             (JI)    E    CLEAN        DEVELOPMENT
  MECHANISM (CDM)
        Assorbimento di carbonio                                                             5 - 10
        Progetti nel settore dell’energia                                                    15,5 - 38
      Fonte: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, 2003

                                                                                                       Carlo Medaglia
                                                                                  Professore di informatica generale
                                                                            presso l’Università La Sapienza di Roma
                                                                              facolta di Scienze delle Comunicazioni

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