Cambiamenti climatici: se l'allarme degli scienziati viene ascoltato solo dai giovani

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Cambiamenti climatici: se
l’allarme degli scienziati
viene ascoltato solo dai
giovani
Secondo gli organismi internazionali siamo di fronte a
un’emergenza globale. Ma finora a preoccuparsi sembrano solo i
giovani: da Greta Thunberg agli studenti che il venerdì
saltano la scuola per protestare contro la mancanza di
politiche adeguate a contrastare il fenomeno. Mentre i governi
tacciono.

Se lo scenario che ha portato all’Accordo di Parigi era
preoccupante, la realtà è anche peggio. L’Intergovernmental
Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite, il
principale organismo internazionale per la valutazione dei
cambiamenti climatici, ha pubblicato un nuovo report che
rivaluta gli impatti del riscaldamento globale: l’uomo ha
distrutto l’equilibrio climatico del pianeta e il tempo a
disposizione per porvi rimedio, riducendo le emissioni di gas
serra e cercando alternative ai combustibili fossili, ormai è
agli sgoccioli.

Nonostante la pubblicazione di numerosi studi che confermano i
dati e le previsioni dell’IPCC, i Paesi firmatari dell’Accordo
di Parigi non hanno ancora iniziato a tradurre le
dichiarazioni di intenti in politiche concrete. Nemmeno la
Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop24), che
si è tenuta il 15 dicembre 2018 in Polonia, è riuscita, per il
momento, a produrre azioni reali. In questo contesto sono nati
gli scioperi e le manifestazioni dei giovani studenti di tutto
il mondo che negli ultimi mesi stanno chiedendo con sempre
maggiore insistenza ai loro governi di adottare le misure
necessarie per contrastare i cambiamenti climatici e salvare
così il loro futuro.

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L’Accordo di Parigi
Durante la Conferenza sul clima di Parigi (COP21) tenutasi nel
dicembre 2015, 195 Paesi hanno adottato il primo accordo
universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale che
definisce un piano d’azione globale per evitare cambiamenti
climatici pericolosi. I governi hanno concordato di mantenere
l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto di
2°C rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo
termine, ma di puntare a limitare l’aumento a 1,5°C. Questo,
infatti, è il valore che si riteneva necessario per ridurre in
misura significativa i rischi e gli impatti dei cambiamenti
climatici.

Inoltre, gli Stati firmatari si sono impegnati a riunirsi ogni
cinque anni per stabilire obiettivi più ambiziosi in base alle
nuove conoscenze scientifiche e di riferire in modo
trasparente agli altri Paesi membri e all’opinione pubblica
cosa stanno facendo per raggiungere gli obiettivi fissati e i
progressi compiuti. I Paesi sviluppati hanno promesso di
mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per
raggiungere gli obiettivi fissati e di fornire ai Paesi in via
di sviluppo un sostegno internazionale continuo.

Il report dell’IPCC
Su richiesta delle Nazioni Unite, il Gruppo Intergovernativo
sul Cambiamento Climatico ha analizzato le conseguenze del
riscaldamento globale sul pianeta se venisse rispettato
l’obiettivo di 1,5°C in più rispetto ai livelli preindustriali
fissato con l’Accordo di Parigi. Il report pubblicato alla
fine del 2018 lancia un chiaro allarme: gli obiettivi
stabiliti nel 2015 non sono sufficienti per evitare
conseguenze catastrofiche.

La commissione scientifica, formata da 91 scienziati di 40
diversi Stati, ha esaminato oltre 6mila studi scientifici ed è
arrivata alla conclusione che, ai ritmi attuali di emissioni
di gas serra, l’aumento della temperatura media globale
supererà l’1,5 °C, ritenuto la soglia massima di sicurezza per
avere effetti contenuti e gestibili, già entro il 2030.

Se la temperatura media globale raggiungesse la soglia di 2
°C, fino a qualche anno fa era ritenuta ancora gestibile, le
conseguenze sarebbero drammatiche: i ghiacciai si
scioglierebbero ancora più rapidamente; il livello del mare si
alzerebbe di circa 10 centimetri allagando molte zone costiere
e facendo aumentare la siccità in diverse zone del mondo; il
processo di    acidificazione degli oceani si intensificherebbe
causando la    distruzione delle barriere coralline, di diversi
ecosistemi    marini e di molte specie di flora e la fauna
marina; si      verificherebbero eventi climatici estremi e
catastrofi    naturali, aumenterebbero carestie e povertà in
buona parte   del mondo, causando migrazioni forzate.

Nel report, l’IPCC indica anche i nuovi obiettivi da stabilire
per scongiurare questo scenario: raggiungere entro il 2050
l’equilibrio tra emissioni e assorbimento del carbonio. Per
farlo è necessario ridurre le emissioni globali di CO2 del 45%
entro il 2030; produrre l’85% dell’energia elettrica da fonti
rinnovabili entro il 2050; portare il consumo di carbone a
zero il prima possibile. Gli investimenti necessari per
raggiungere questi obiettivi sono stimati in circa 2mila
miliardi di euro tra il 2016 e il 2035.

La Conferenza mondiale sul clima
(Cop24)
Lo scopo della Conferenza mondiale sul clima di Katowice, in
Polonia, era innanzitutto quello di valutare le azioni
intraprese per ridurre le emissioni di gas serra dai Paesi
firmatari dell’Accordo dopo la Conferenza di Parigi di tre
anni prima e di discutere le nuove strategie da adottare per
fermare il cambiamento climatico. Il principale motivo di
scontro      è   stato     proprio     l’ultimo     rapporto
dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle
Nazioni Unite: Arabia Saudita, Kuwait, Russia e Stati Uniti si
sono opposti all’adozione delle sue conclusioni da parte della
COP24, che alla fine ha ufficialmente solo riconosciuto
l’importanza dello studio realizzato senza riconoscerne le
conclusioni.

Dopo due settimane di intense e faticose iniziative, i 196
Stati partecipanti si sono accordati su un nuovo insieme di
regole comuni per mettere in pratica, entro il 2020, gli
obiettivi stabiliti durante la conferenza sul clima di Parigi
del 2015; sono stati enunciati i nuovi obiettivi a lungo
termine per ridurre le emissioni di carbonio, passare da fonti
energetiche fossili a energie rinnovabili e raggiungere entro
il 2050 l’equilibrio tra emissioni e assorbimento del
carbonio; e infine sono stati decisi i criteri con cui
misurare le emissioni di anidride carbonica e valutare le
misure per contrastare il cambiamento climatico dei singoli
Paesi. Ma, per il momento, mancano le azioni concrete.

Greta Thunberg e lo                           sciopero
mondiale degli studenti
Greta Thunberg, una ragazza svedese di 15 anni, ha iniziato
nell’agosto 2018 una protesta solitaria davanti al Parlamento
a Stoccolma: ogni venerdì, invece di andare a scuola, si
sedeva in strada con un cartello che chiedeva ai governanti di
agire concretamente per adempiere quello che era stato sancito
negli Accordi di Parigi. L’iniziativa di Greta si è diffusa
sui social e sempre più suoi coetanei da tutto il mondo hanno
iniziato ad aderire spontaneamente a questi #FridaysforFuture.
Il 15 marzo 2019 centinaia di migliaia di giovani in oltre
2.000 città e 123 Paesi di tutto mondo hanno aderito a un
massiccio sciopero coordinato, il Global Climate Strike for
Future, trasformandolo in un movimento globale di lotta per il
clima.

Per il suo impegno per salvare il pianeta dalle devastazioni
dei cambiamenti climatici, l’8 marzo la giovane attivista è
stata scelta come “Donna dell’anno” nel suo Paese, la Svezia.
Appena qualche giorno dopo è stata indicata per il Premio
Nobel per la Pace da un gruppo di deputati socialisti
norvegesi con la motivazione che “il movimento di massa che ha
innescato è un contributo molto importante per la pace”.
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