AVCP e Corte dei conti : sinergie in tema di trasparenza dei contratti pubblici.
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AVCP e Corte dei conti : sinergie in tema di trasparenza dei contratti pubblici. di Fernanda Fraioli (V. Proc. Gen. Corte dei conti per l’Umbria) La volontà legislativa di far collaborare Autorità di Vigilanza e Corte dei conti in materia di contratti pubblici la ritroviamo manifestata già nel Codice del 2006 che all’ultimo comma dell’art. 6 dispone “ qualora l’Autorità accerti che dall’esecuzione dei contratti pubblici derivi pregiudizio per il pubblico erario, gli atti ed i rilievi sono trasmessi anche ai soggetti interessati ed alla Procura Generale della Corte dei conti”. Ed ora, con la legge 6 novembre 2012, n. 190, nel dettare disposizioni finalizzate alla prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione, al comma 32, si prevede che entro il 30 aprile di ciascun anno, l’Autorità inoltri alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni ivi previste in formato digitale standard aperto, prevedendo l’irrogazione della medesima sanzione pecuniaria (da 25.822,00 a 51.545,0 euro), già contenuta nel codice dei contratti per quei soggetti che, se richiesti, non forniscono le informazioni ed i documenti domandati con provvedimento dall’Autorità medesima nello svolgimento della propria attività istituzionale. A tal proposito, va ricordato che l’Autorità ha osservato che “ai sensi dell’art. 1, co.34 della legge n. 190/12, gli adempimenti in questione sono dovuti dalle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, del D.L.vo n. 165/2001, dagli enti pubblici nazionali, dalle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate, ai sensi dell’art. 2359 c.c., limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea” e che, nel caso in cui i contratti che rivestono pubblico interesse siano stipulati da soggetti privati “la natura del contratto attrae nella sfera pubblicistica anche quei soggetti che, per loro natura giuridica, andrebbero collocati al di fuori di essa”. 1
Con ciò evidenziando che la natura pubblica del contratto – a prescindere da quella giuridica della stazione appaltante – è dirimente in quanto comporta l’impegno di risorse economiche pubbliche a cui deve essere assicurata la massima trasparenza nell’affidamento dei relativi contratti1. In una parola difesa ad oltranza del patrimonio pubblico e rivalutazione del nostro Paese agli occhi degli osservatori europei, atteso che nel rapporto sulla corruzione elaborato e diffuso dalla Commissione Europea, nelle grandi opere pubbliche, la corruzione pesa per il 40% dell’intero valore degli appalti che è considerato il settore sempre più a rischio corruzione. A dimostrazione di quanto affermato rileva le percentuali di ricorso alle procedure senza gara che nel nostro Paese si attestano nel 14% a fronte di una media europea 1 In perfetta sintonia con quanto statuito dalla Cassazione in occasione del riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti nell’ormai lontano 2006, quando con più pronunce (SS.UU. 25 gennaio 2006, n. 1378; SS.UU. 2 marzo 2006, n. 4582 ed, infine, SS.UU. 1 marzo 2006, n. 4511) ha conferito valore assorbente alla pubblicità del danaro, piuttosto che a quella dell’operatore. Con l’ultima delle pronunce – la n. 4511 del 1 marzo 2006 – le Sezioni Unite individuano la linea di demarcazione tra la giurisdizione ordinaria e giurisdizione contabile in tema di danno erariale. Prendendo le mosse da un ricorso presentato dalla Procura Regionale della Corte dei conti per l’Abruzzo avente ad oggetto l’indebita richiesta e conseguente corresponsione del finanziamento ad una società per la realizzazione di un impianto per l’innevamento programmato da eseguirsi in una località sciistica della Regione, la Cassazione statuisce che ormai il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è spostato dalla qualità del soggetto (che può ben essere un privato od un ente pubblico non economico) alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, per sue scelte, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla Pubblica Amministrazione, alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, e l’incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, egli realizza un danno per l’ente pubblico (anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altre imprese il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione del piano così come concretizzato ed approvato dall’ente pubblico con il concorso dello stesso imprenditore), di cui deve rispondere dinanzi al giudice contabile (ex plurimis Cass. SS.UU. 8450/98, 926/99, 11309/95). Con atto di citazione in data 8 maggio 2003, la Procura Regionale della Corte dei Conti, infatti,, contestava l’illegittima erogazione di fondi pubblici, intervenuta nel luglio 1999, nell’ambito del finanziamento finalizzato all’attuazione del programma operativo multiregionale Patti territoriali per l’occupazione, a valere sugli accordi con l’Unione Europea nel contesto dell’obiettivo 1, sottoprogramma n. 9 Sangro ‐ Aventino di cui al decreto 967/99 del 29/1/99 del Ministero del tesoro, bilancio e programmazione economica, già approvato dalla commissione della comunità europea. In particolare, le contestazioni della Procura avevano ad oggetto l’indebita richiesta e conseguente corresponsione del finanziamento di lire 355.200.000 alla società S. per la realizzazione di un impianto per l’innevamento programmato da eseguirsi in una località sciistica del luogo. Dagli accertamenti eseguiti era, infatti, emerso che, nonostante il progetto ammesso al finanziamento prevedesse l’installazione di macchinari nuovi di fabbrica, 24 macchine erano state, invece, acquistate dalla S. sin dal 2 dicembre 1997 e, successivamente, previo finalizzato ristorno, simulatamene riacquistate in data 23 novembre 1996. Ciò premesso, considerato che il danno denunciato era stato reso possibile anche per la carente attività di controllo dell’istituto di credito concessionario, il Procuratore Regionale conveniva in giudizio la società S. quale responsabile diretta a titolo di dolo e l’Intesa Bci Mediocredito Spa quale responsabile in via sussidiaria, chiedendone la condanna al pagamento, in favore della Regione Abruzzo, ciascuno della medesima somma di euro 183.455,50. Con atto notificato il 10 dicembre 2003 la società S. ha proposto istanza di regolamento di giurisdizione, deducendo l’insussistenza della giurisdizione contabile stante la sua estraneità all’organizzazione amministrativa e, comunque, ritenendo escluso il rapporto di servizio in quanto l’erogazione di fondi pubblici costituiva semplicemente lo strumento per lo svolgimento di un’attività privata, in tale modo sovvenzionata. 2
pari al 6% e, addirittura, imputando al nostro Paese il 50% circa del costo della corruzione nell’intera Unione, ricordando, altresì, che la corruzione comporta un prezzo per l’economia di circa 120 miliardi di euro, pari all’1% di PIL dell’Unione Europea, di cui 60 miliardi circa sono a noi riconducibili. A dire il vero il rapporto non si ferma qui, ma procede con valutazioni non certo edificanti in merito ai compiti di coordinamento affidati dal legislatore nazionale alla CIVIT che non avrebbe le capacità di adempiere a detto ruolo potendo contare soltanto su un numero limitato di addetti (solo 3 membri) ed uno staff (di circa 30 persone) troppo spesso mutevole nella sua composizione. Il tutto unito alle critiche che rivolge anche alla legge n. 190/2012 rea, secondo la Commissione, di aver assegnato alla CIVIT un’attività ispettiva, piuttosto scarsa e poteri sanzionatori praticamente inesistenti. Per questo in tale sede raccomanda di agire per altra via, quella dell’incentivazione della trasparenza degli appalti pubblici mediante la messa a disposizione dei documenti e dei dati ad essi relativi in modo che vengano eseguiti in base al mercato ed all’insegna della più sana competitività delle offerte, magari garantiti da professionalità maggiormente capaci e preparate. Del pari, uno studio di Transparency International (che, per la verità, ha avuto sempre parole di stima ed apprezzamento per l’operato della Corte dei conti) ha individuato preoccupanti fenomeni di corruzione in alcuni Paesi europei riconducibili proprio alla mancanza di trasparenza – più o meno assoluta nei differenti Paesi – alla mancanza di tutela di chi denuncia i casi di corruzione, alla mancanza di pubblicazione e pubblicità, nonché alla mancanza di organismi di controllo per il monitoraggio delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Inducendola a proporre, quali soluzioni ritenute fiduciosamente risolutive: una maggiore trasparenza; una legislazione chiara ed efficace; un rafforzamento degli organismi di controllo, nonché gare d’appalto aperte e massimamente pubblicizzate. 3
Così in ambito europeo, come in quello nazionale. Focalizzazione, quindi, della trasparenza quale metodo principe per la lotta alla corruzione, ma in via preventiva piuttosto che repressiva. Nel dare atto, infatti, del considerevole apporto alla politica anticorruzione in Italia dato dall’azione della Corte dei conti “grazie ad un’efficace attività operativa di controllo associata ad eccezionali poteri di esercizio dell’azione di danno erariale della procura contabile”, lamenta, purtuttavia, che per troppo tempo nel nostro Paese la lotta alla corruzione è stata affidata unicamente ad interventi repressivi ad opera, per l’appunto, della magistratura. Per questo la Commissione suggerisce, tra i vari aspetti, di dare attenzione a rendere più trasparenti gli appalti pubblici, prima e dopo l’aggiudicazione come richiesto dalle raccomandazioni rivolte all’Italia nel luglio scorso nel quadro del semestre europeo, suggerendo di prevedere l’obbligo per tutte le strutture amministrative di pubblicare online, oltre ai conti ed ai bilanci annuali, la ripartizione dei costi per i contratti pubblici di opere, forniture e servizi in linea con la normativa anticorruzione. Per questo riconosce alla legge n. 190/2012 la funzione di riequilibrare la strategia rafforzandone l’aspetto preventivo e potenziando la responsabilità dei pubblici ufficiali, nonchè validità al piano d’azione basato sulla valutazione del rischio di corruzione che si concentra principalmente sulle misure preventive e di trasparenza all’interno della Pubblica Amministrazione, anche se manifesta forti dubbi sulla concreta capacità di incidere efficacemente nell’attuazione di tutta la serie di indicatori delle prestazioni che contiene. §§§§§§§§§§ Ed è proprio in quest’ottica di raccomandazioni e suggerimenti, che si inquadra la previsione del legislatore della legge n. 190 contenuta nel comma 32 dell’unico articolo di cui si compone la legge il quale affida all’AVCP la trasmissione alla Corte dei conti, entro il 30 aprile di ciascun anno, dell’elenco delle Amministrazioni che 4
hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni relative ad ogni singolo appalto in materia di lavori, servizi e forniture, nella convinzione che soltanto lo strumento della trasparenza possa essere un valido baluardo alla corruzione nel settore in cui maggiormente si annida. Trasparenza ed anticorruzione due facce della medesima medaglia che il legislatore ha voluto disciplinare distintamente, ma con provvedimenti ravvicinati nel tempo che, purtuttavia, si completano a vicenda proprio per la funzione ausiliaria svolta dalla trasparenza al contrasto al fenomeno corruttivo. Non a caso, infatti, la trasparenza è intesa dal legislatore come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’attività delle P.A., allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche che concorre ad attuare il principio democratico ed i principi costituzionali di uguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia, efficienza nell’utilizzo di risorse comuni, integrità e lealtà al servizio della nazione. Oltre che ad integrare il diritto ad una buona amministrazione e concorrere alla realizzazione di un’amministrazione aperta, al servizio del cittadino. Finalità del successivo decreto 14 marzo 2013, n. 33 che, per l’appunto, riordina la disciplina in materia di obblighi di pubblicità e trasparenza in capo alle Pubbliche Amministrazioni, è proprio quello di consentire la massima diffusione delle informazioni in modo da attivare il conseguente controllo da parte dei cittadini sulle attività svolte, ma soprattutto di misurare la loro efficienza ed imparzialità in modo da scongiurare ogni possibile intromissione volta a favorire comportamenti contrari alla legalità. E, con particolare riferimento al settore degli appalti (definiti settori speciali), prevede (art. 37) l’obbligo di pubblicazione delle informazioni relative alle procedure per l’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, in aggiunta agli altri obblighi di pubblicità legale di cui al co. 32 dell’art. 1 della legge n. 190/2012, nonché un generale obbligo di pubblicazione (art. 23) con riferimento ai 5
provvedimenti amministrativi soggetti ad un aggiornamento semestrale aventi ad oggetto la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alle modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti, relativi a lavori, servizi e forniture di cui al medesimo codice. Gli obblighi, quindi, a carico delle stazioni appaltanti previsti dal combinato disposto normativo, si riconducono sostanzialmente: alla pubblicazione sul proprio sito web delle informazioni sugli appalti che vanno dalla determina di aggiudicazione definitiva, all’oggetto del bando, all’importo, all’aggiudicatario, alle modalità di selezione del contraente, alla procedura seguita, ai tempi di realizzazione dell’opera, all’ammontare delle somme liquidate, ai costi unitari, alla pubblicazione annuale di un indicatore dei propri tempi medi di pagamento, alle modifiche contrattuali; alla trasmissione di tutte queste informazioni, dopo la pubblicazione sul proprio sito, all’AVCP con le modalità operative ed i tempi di cui al comunicato n. 26/2013 e successiva nota del Presidente, la quale provvede a pubblicarle sul proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base alla tipologia di stazione appaltante e per Regione. Le informazioni da pubblicare, in tabelle riassuntive con riferimento agli appalti aggiudicati nell’anno solare precedente, soggiacciono al termine del 31 gennaio successivo che, per quello appena trascorso (in virtù della novità della prescrizione) il termine ultimo, inizialmente fissato al 15 giugno 2013, è stato differito al 31 gennaio 2014. Il medesimo decreto prevede, poi, delle specifiche sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza, derivanti dall’inadempimento agli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa che costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, nonché di quella per danno all’immagine dell’Amministrazione e sono valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili. 6
La prova che tale inadempimento non gli sia riconducibile in quanto dipeso da causa a lui non imputabile, esonera il responsabile dal risponderne. Sanzioni e poteri ispettivi dell’AVCP, propri e distintamente previsti da quelli della Corte dei conti, ma, pur sempre connessi o quantomeno conseguenti. Se è vero, com’è vero che il legislatore della 190 prevede la comunicazione alla Corte dei conti genericamente indicata, altrettanto vero è che i dati così trasmessi possono essere differentemente letti dai due uffici di cui si compone l’organo contabile. Se l’ufficio di controllo ne farà un uso divulgativo e illustrativo nelle proprie relazioni più o meno annuali (con conseguenti indicazioni), l’ufficio di Procura potrà approfondirlo onde rilevare ipotesi (magri occulte) di danno erariale. La comunicazione a carico dell’AVCP, d’altronde, non è neppure l’unica visto che anche il Dipartimento della Funzione Pubblica deve trasmettere ogni anno alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere le informazioni secondo i prescritti canoni di trasparenza (D.l.vo n. 165/2001) così come la CIVIT (art. 45, d.l.vo n. 33/2013) ai fini dell’attivazione delle “altre forme di responsabilità”. Procedendo con ordine, già di per sé, il mancato adempimento all’obbligo di pubblicazione dei dati è sicuramente e semplicemente fonte di responsabilità per il responsabile della trasparenza che ha il preciso compito di provvedere in merito incorrendo, in caso contrario, in forme di responsabilità disciplinare, dirigenziale e amministrativa come evidenziato dall’art. 46 del d.l.vo n. 33/2013. Le sanzioni, come ricordato nella circolare n. 2/2013 dall’allora Ministro per la Funzione Pubblica, riguardano tutti i soggetti che sono tenuti a contribuire agli adempimenti e, quindi, non solo il responsabile della trasparenza per le sue attribuzioni specifiche, ma anche i dirigenti e gli organi politici che devono fornire i dati per realizzare la pubblicazione. 7
Quindi, l’inadempimento agli obblighi di pubblicazione è elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, nonché eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine della P.A. e valutazione ai fini della corresponsione della retribuzione accessoria di risultato e di quella accessoria collegata alla perfomance individuale del responsabile. In ogni caso foriere tutte di responsabilità erariale, non solo intuitiva come quella all’immagine della P.A.2, ma anche da determinare come le restanti, atteso che la rottura del sinallagma contrattuale che si configurerebbe nelle due restanti ipotesi è l’elemento essenziale della responsabilità amministrativo‐contabile di cui si risponde avanti al giudice contabile. Qualora, infatti, l’Amministrazione erogasse una retribuzione accessoria a fronte della violazione di un preciso obbligo di legge che incarna l’in sé (essenza) dell’ulteriore prebenda si configurerebbe un ingiustificata locupletazione ai danni delle risorse pubbliche. Una tale lettura, tuttavia, non vuole essere un inno all’incremento delle denunce3, finalizzato ancora agli interventi risolutivi (in un senso o nell’altro) della magistratura, bensì, al contrario, ad un’efficace attuazione dei principi costituzionalmente enunciati del buon andamento e dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione. 2 Il danno all’immagine – in merito al quale è chiamato a pronunciarsi il giudice contabile – si sostanzia nel pregiudizio all’immagine, al decoro ed al prestigio dell’Amministrazione specifica interessata, ma anche dell’intero settore pubblico ed è considerato in relazione al comportamento tenuto dal soggetto nell’espletamento di un’attività di pubblico servizio relativa all’erogazione di prestazioni cui è preposto. In particolare sotto il profilo del danno all’immagine ed al prestigio, va tenuto conto delle esigenze di credibilità e di affidamento da parte della comunità in una istituzione che dovrebbe tutelare, in condizioni di massima trasparenza e correttezza, un diritto di rilevanza primaria e costituzionale, diritto messo in evidente pericolo dagli eventuali comportamenti infingardi ed altamente superficiali posti in essere dagli operatori pubblici. Tale tipo di danno che, a partire dalla nota sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU. del 21 marzo 1997, n. 5668, rientra a pieno titolo nella giurisdizione della Corte dei conti, ha subito nel tempo vari aggiustamenti a partire dalla sua natura pretoria, passando attraverso le configurazioni ricevute di danno‐conseguenza, prima, e di danno‐evento, poi, (per ritornare alla prima definizione, ma con considerazioni differenti), al c.d. Lodo Bernardo (L. n. 141/2009), e recentemente, proprio ad opera della legge anticorruzione (co. 62 che ha introdotto il co.1‐sexies all’art. 1 della L. 20/94) è stata affrancata un poco dal vincolo con il giudizio in sede penale, non avendo riproposto il condizionamento della sussistenza della condanna, il che apre scenari di un certo rilievo anche per la tutela di questa ulteriore posta di danno a carico della collettività che nel settore dei pubblici appalti non è, certo, di poco momento. Non è un caso, infatti, che il legislatore della 190 ha espressamente quantificato il danno all’immagine in una misura pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita. 3 Per quanto sia stata introdotta anche nel nostro ordinamento la figura, e conseguente tutela, del Wistelblower. 8
Non va, infatti, dimenticato che alla poca trasparenza si connette spessissimo la carenza di etica che oltre ad incidere sulla mancanza di credibilità del nostro Paese all’esterno, condiziona fortemente il modo di interagire degli utenti con la Pubblica Amministrazione atteso che, come recita il co. 15 dell’art. 1 della legge n. 190/12, “la trasparenza dell’attività amministrativa costituisce il livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione mediante la pubblicazione, nei siti web delle P.A. delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione”. La trasparenza, allora, si appalesa quale irrinunciabile strumento di realizzazione dell’efficienza dell’azione amministrativa che sola consente la sensibile riduzione (fino ad un auspicabile azzeramento) di non corrette gestioni a vantaggio (illecito) di pochi ed a danno di molti, attuata mediante il controllo operato dai diretti interessati che sono i cittadini. Controllo e presidio della magistratura quale garante dell’ordine e della legalità, senza dubbio, ma da leggere in chiave certamente succedanea a tutto vantaggio del controllo da operarsi da parte dei consociati nei cui confronti si esplica l’attività amministrativa. A fondamento dell’innovazione legislativa su tutta l’attività amministrativa fatta di molteplici istituti si rinviene la responsabilizzazione degli operatori pubblici, ma anche dell’utenza a vantaggio della quale il legislatore ha previsto – tra gli altri – proprio l’obbligo di pubblicazione sul sito web delle procedure relative agli appalti pubblici, affinchè la repressione e la prevenzione della corruzione e dell’illegalità sia effettuata, primariamente, dalla collettività a carico della quale, finora sono stati posti gli alti costi di tutte le pratiche illegali. Se il fiore all’occhiello e chiave di volta per la lotta al fenomeno corruttivo sono, secondo la legge n. 190/12, primo, la formazione del personale e, secondo, la cultura dell’integrità e della trasparenza, sensibilizzazione e rapporto con la società civile con una chiara funzione ausiliaria della trasparenza al contrasto alla corruzione, deve necessariamente arguirsene che la pubblicazione sul web ha il solo significato – forse 9
ambizioso – di riformare profondamente (dall’esterno e dall’interno) soprattutto dal lato etico. Non è un caso, infatti, che il decreto n. 33/2013, all’art. 1, co. 1, parli di “una forma diffusa di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, per consentire lo svolgimento di un ruolo attivo e di controllo da parte della collettività mediante uno strumento on‐line aperto a tutti. Un’iniziativa in linea con i principi dell’open governement che mira a rafforzare la trasparenza e l’accountability delle amministrazioni nonché la collaborazione e partecipazione del cittadino al processo di trasparenza il cui obiettivo principale è, non soltanto quello di accompagnare le amministrazioni, anche attraverso il coinvolgimento diretto dei cittadini in un processo di ottimizzazione della qualità delle informazioni on‐line (come nel caso dell’istituzione dell’istituto della Bussola)4, ma anche di effettivo controllo sull’operato concreto a fini di contrasto al dilagante fenomeno corruttivo. Attuazione reale, quindi, del principio costituzionale dell’esercizio democratico della sovranità da parte dell’effettivo titolare. Conclusivamente, allora, “il vero risanamento, più che dalle norme di contabilità e dagli assetti di bilancio, deve prendere l’avvio dal senso civico della comunità degli amministrati che, in ambito pubblicistico, altro non è che l’imparzialità ed il buon andamento di cui all’art. 97 Cost. È questo il senso ultimo e profondo della democrazia, che richiede ai cittadini di divenire attori nel contrasto alla corruzione ed interpreti del cambiamento etico, necessario per invertire la tendenza. Le recenti disposizioni della legge 190/12 sembrano di buon auspicio, nel senso che tessono una fitta rete di interrelazioni e collegamenti, le quali a loro volta dovrebbero facilitare la correttezza delle procedure e i controlli fisiologici. 4 Circ. n. 2/2013 del Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione. 10
Il vero ed importante obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre il ruolo di supplenza della magistratura, restituendo alla politica e all’amministrazione delle proprie funzioni”5. 5 Relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2013 del P.R. della Corte dei conti del Veneto. 11
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