AVCP e Corte dei conti : sinergie in tema di trasparenza dei contratti pubblici.

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AVCP e Corte dei conti : sinergie in tema
              di trasparenza dei contratti pubblici.

                                     di Fernanda Fraioli
                          (V. Proc. Gen. Corte dei conti per l’Umbria)

La volontà legislativa di far collaborare Autorità di Vigilanza e Corte dei conti in
materia di contratti pubblici la ritroviamo manifestata già nel Codice del 2006 che
all’ultimo comma dell’art. 6 dispone “ qualora l’Autorità accerti che dall’esecuzione dei
contratti pubblici derivi pregiudizio per il pubblico erario, gli atti ed i rilievi sono trasmessi
anche ai soggetti interessati ed alla Procura Generale della Corte dei conti”.

Ed ora, con la legge 6 novembre 2012, n. 190, nel dettare disposizioni finalizzate alla
prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica
Amministrazione, al comma 32, si prevede che entro il 30 aprile di ciascun anno,
l’Autorità inoltri alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno
omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni ivi previste in
formato digitale standard aperto, prevedendo l’irrogazione della medesima sanzione
pecuniaria (da 25.822,00 a 51.545,0 euro), già contenuta nel codice dei contratti per
quei soggetti che, se richiesti, non forniscono le informazioni ed i documenti
domandati con provvedimento dall’Autorità medesima nello svolgimento della
propria attività istituzionale.

A tal proposito, va ricordato che l’Autorità ha osservato che “ai sensi dell’art. 1, co.34
della legge n. 190/12, gli adempimenti in questione sono dovuti dalle amministrazioni
pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, del D.L.vo n. 165/2001, dagli enti pubblici nazionali, dalle
società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate, ai sensi dell’art.
2359 c.c., limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto
nazionale o dell’Unione europea” e che, nel caso in cui i contratti che rivestono pubblico
interesse siano stipulati da soggetti privati “la natura del contratto attrae nella sfera
pubblicistica anche quei soggetti che, per loro natura giuridica, andrebbero collocati al di fuori
di essa”.

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Con ciò evidenziando che la natura pubblica del contratto – a prescindere da quella
giuridica della stazione appaltante – è dirimente in quanto comporta l’impegno di
risorse economiche pubbliche a cui deve essere assicurata la massima trasparenza
nell’affidamento dei relativi contratti1.

In una parola difesa ad oltranza del patrimonio pubblico e rivalutazione del nostro
Paese agli occhi degli osservatori europei, atteso che nel rapporto sulla corruzione
elaborato e diffuso dalla Commissione Europea, nelle grandi opere pubbliche, la
corruzione pesa per il 40% dell’intero valore degli appalti che è considerato il settore
sempre più a rischio corruzione.

A dimostrazione di quanto affermato rileva le percentuali di ricorso alle procedure
senza gara che nel nostro Paese si attestano nel 14% a fronte di una media europea

1 In perfetta sintonia con quanto statuito dalla Cassazione in occasione del riconoscimento della giurisdizione della Corte dei
conti nell’ormai lontano 2006, quando con più pronunce (SS.UU. 25 gennaio 2006, n. 1378; SS.UU. 2 marzo 2006, n. 4582 ed,
infine, SS.UU. 1 marzo 2006, n. 4511) ha conferito valore assorbente alla pubblicità del danaro, piuttosto che a quella
dell’operatore.
Con l’ultima delle pronunce – la n. 4511 del 1 marzo 2006 – le Sezioni Unite individuano la linea di demarcazione tra la
giurisdizione ordinaria e giurisdizione contabile in tema di danno erariale.
Prendendo le mosse da un ricorso presentato dalla Procura Regionale della Corte dei conti per l’Abruzzo avente ad oggetto
l’indebita richiesta e conseguente corresponsione del finanziamento ad una società per la realizzazione di un impianto per
l’innevamento programmato da eseguirsi in una località sciistica della Regione, la Cassazione statuisce che ormai il baricentro
per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è spostato dalla qualità del soggetto (che può ben essere un
privato od un ente pubblico non economico) alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, per sue
scelte, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla Pubblica Amministrazione, alla cui realizzazione
egli è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, e l’incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento
dalle finalità perseguite, egli realizza un danno per l’ente pubblico (anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altre imprese il
finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione del piano così come concretizzato ed approvato dall’ente pubblico
con il concorso dello stesso imprenditore), di cui deve rispondere dinanzi al giudice contabile (ex plurimis Cass. SS.UU. 8450/98,
926/99, 11309/95).
Con atto di citazione in data 8 maggio 2003, la Procura Regionale della Corte dei Conti, infatti,, contestava l’illegittima
erogazione di fondi pubblici, intervenuta nel luglio 1999, nell’ambito del finanziamento finalizzato all’attuazione del
programma operativo multiregionale Patti territoriali per l’occupazione, a valere sugli accordi con l’Unione Europea nel
contesto dell’obiettivo 1, sottoprogramma n. 9 Sangro ‐ Aventino di cui al decreto 967/99 del 29/1/99 del Ministero del tesoro,
bilancio e programmazione economica, già approvato dalla commissione della comunità europea.
In particolare, le contestazioni della Procura avevano ad oggetto l’indebita richiesta e conseguente corresponsione del
finanziamento di lire 355.200.000 alla società S. per la realizzazione di un impianto per l’innevamento programmato da eseguirsi
in una località sciistica del luogo.
Dagli accertamenti eseguiti era, infatti, emerso che, nonostante il progetto ammesso al finanziamento prevedesse l’installazione
di macchinari nuovi di fabbrica, 24 macchine erano state, invece, acquistate dalla S. sin dal 2 dicembre 1997 e, successivamente,
previo finalizzato ristorno, simulatamene riacquistate in data 23 novembre 1996.
Ciò premesso, considerato che il danno denunciato era stato reso possibile anche per la carente attività di controllo dell’istituto
di credito concessionario, il Procuratore Regionale conveniva in giudizio la società S. quale responsabile diretta a titolo di dolo e
l’Intesa Bci Mediocredito Spa quale responsabile in via sussidiaria, chiedendone la condanna al pagamento, in favore della
Regione Abruzzo, ciascuno della medesima somma di euro 183.455,50.
Con atto notificato il 10 dicembre 2003 la società S. ha proposto istanza di regolamento di giurisdizione, deducendo
l’insussistenza della giurisdizione contabile stante la sua estraneità all’organizzazione amministrativa e, comunque, ritenendo
escluso il rapporto di servizio in quanto l’erogazione di fondi pubblici costituiva semplicemente lo strumento per lo
svolgimento di un’attività privata, in tale modo sovvenzionata.

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pari al 6% e, addirittura, imputando al nostro Paese il 50% circa del costo della
corruzione nell’intera Unione, ricordando, altresì, che la corruzione comporta un
prezzo per l’economia di circa 120 miliardi di euro, pari all’1% di PIL dell’Unione
Europea, di cui 60 miliardi circa sono a noi riconducibili.

A dire il vero il rapporto non si ferma qui, ma procede con valutazioni non certo
edificanti in merito ai compiti di coordinamento affidati dal legislatore nazionale alla
CIVIT che non avrebbe le capacità di adempiere a detto ruolo potendo contare
soltanto su un numero limitato di addetti (solo 3 membri) ed uno staff (di circa 30
persone) troppo spesso mutevole nella sua composizione.

Il tutto unito alle critiche che rivolge anche alla legge n. 190/2012 rea, secondo la
Commissione, di aver assegnato alla CIVIT un’attività ispettiva, piuttosto scarsa e
poteri sanzionatori praticamente inesistenti.

Per questo in tale sede raccomanda di agire per altra via, quella dell’incentivazione
della trasparenza degli appalti pubblici mediante la messa a disposizione dei
documenti e dei dati ad essi relativi in modo che vengano eseguiti in base al mercato
ed all’insegna della più sana competitività delle offerte, magari garantiti da
professionalità maggiormente capaci e preparate.

Del pari, uno studio di Transparency International (che, per la verità, ha avuto
sempre parole di stima ed apprezzamento per l’operato della Corte dei conti) ha
individuato preoccupanti fenomeni di corruzione in alcuni Paesi europei
riconducibili proprio alla mancanza di trasparenza – più o meno assoluta nei
differenti Paesi – alla mancanza di tutela di chi denuncia i casi di corruzione, alla
mancanza di pubblicazione e pubblicità, nonché alla mancanza di organismi di
controllo per il monitoraggio delle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici.

Inducendola a proporre, quali soluzioni ritenute fiduciosamente risolutive: una
maggiore trasparenza; una legislazione chiara ed efficace; un rafforzamento degli
organismi di controllo, nonché gare d’appalto aperte e massimamente pubblicizzate.

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Così in ambito europeo, come in quello nazionale.

Focalizzazione, quindi, della trasparenza quale metodo principe per la lotta alla
corruzione, ma in via preventiva piuttosto che repressiva.

Nel dare atto, infatti, del considerevole apporto alla politica anticorruzione in Italia
dato dall’azione della Corte dei conti “grazie ad un’efficace attività operativa di controllo
associata ad eccezionali poteri di esercizio dell’azione di danno erariale della procura
contabile”, lamenta, purtuttavia, che per troppo tempo nel nostro Paese la lotta alla
corruzione è stata affidata unicamente ad interventi repressivi ad opera, per
l’appunto, della magistratura.

Per questo la Commissione suggerisce, tra i vari aspetti, di dare attenzione a rendere
più trasparenti gli appalti pubblici, prima e dopo l’aggiudicazione come richiesto
dalle raccomandazioni rivolte all’Italia nel luglio scorso nel quadro del semestre
europeo, suggerendo di prevedere l’obbligo per tutte le strutture amministrative di
pubblicare online, oltre ai conti ed ai bilanci annuali, la ripartizione dei costi per i
contratti pubblici di opere, forniture e servizi in linea con la normativa
anticorruzione.

Per questo riconosce alla legge n. 190/2012 la funzione di riequilibrare la strategia
rafforzandone l’aspetto preventivo e potenziando la responsabilità dei pubblici
ufficiali, nonchè validità al piano d’azione basato sulla valutazione del rischio di
corruzione che si concentra principalmente sulle misure preventive e di trasparenza
all’interno della Pubblica Amministrazione, anche se manifesta forti dubbi sulla
concreta capacità di incidere efficacemente nell’attuazione di tutta la serie di
indicatori delle prestazioni che contiene.

                                        §§§§§§§§§§

Ed è proprio in quest’ottica di raccomandazioni e suggerimenti, che si inquadra la
previsione del legislatore della legge n. 190 contenuta nel comma 32 dell’unico
articolo di cui si compone la legge il quale affida all’AVCP la trasmissione alla Corte
dei conti, entro il 30 aprile di ciascun anno, dell’elenco delle Amministrazioni che

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hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni relative
ad ogni singolo appalto in materia di lavori, servizi e forniture, nella convinzione che
soltanto lo strumento della trasparenza possa essere un valido baluardo alla
corruzione nel settore in cui maggiormente si annida.

Trasparenza ed anticorruzione due facce della medesima medaglia che il legislatore
ha voluto disciplinare distintamente, ma con provvedimenti ravvicinati nel tempo
che, purtuttavia, si completano a vicenda proprio per la funzione ausiliaria svolta
dalla trasparenza al contrasto al fenomeno corruttivo.

Non a caso, infatti, la trasparenza è intesa dal legislatore come accessibilità totale
delle informazioni concernenti l’attività delle P.A., allo scopo di favorire forme
diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle
risorse pubbliche che concorre ad attuare il principio democratico ed i principi
costituzionali di uguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità,
efficacia, efficienza nell’utilizzo di risorse comuni, integrità e lealtà al servizio della
nazione.

Oltre che ad integrare il diritto ad una buona amministrazione e concorrere alla
realizzazione di un’amministrazione aperta, al servizio del cittadino.

Finalità del successivo decreto 14 marzo 2013, n. 33 che, per l’appunto, riordina la
disciplina in materia di obblighi di pubblicità e trasparenza in capo alle Pubbliche
Amministrazioni, è proprio quello di consentire la massima diffusione delle
informazioni in modo da attivare il conseguente controllo da parte dei cittadini sulle
attività svolte, ma soprattutto di misurare la loro efficienza ed imparzialità in modo
da scongiurare ogni possibile intromissione volta a favorire comportamenti contrari
alla legalità.

E, con particolare riferimento al settore degli appalti (definiti settori speciali),
prevede (art. 37) l’obbligo di pubblicazione delle informazioni relative alle procedure
per l’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, in
aggiunta agli altri obblighi di pubblicità legale di cui al co. 32 dell’art. 1 della legge n.
190/2012, nonché un generale obbligo di pubblicazione (art. 23) con riferimento ai

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provvedimenti amministrativi soggetti ad un aggiornamento semestrale aventi ad
oggetto la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche
con riferimento alle modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti,
relativi a lavori, servizi e forniture di cui al medesimo codice.

Gli obblighi, quindi, a carico delle stazioni appaltanti previsti dal combinato disposto
normativo, si riconducono sostanzialmente:

       alla pubblicazione sul proprio sito web delle informazioni sugli appalti che
vanno dalla determina di aggiudicazione definitiva, all’oggetto del bando,
all’importo, all’aggiudicatario, alle modalità di selezione del contraente, alla
procedura seguita, ai tempi di realizzazione dell’opera, all’ammontare delle somme
liquidate, ai costi unitari, alla pubblicazione annuale di un indicatore dei propri
tempi medi di pagamento, alle modifiche contrattuali;

       alla trasmissione di tutte queste informazioni, dopo la pubblicazione sul
proprio sito, all’AVCP con le modalità operative ed i tempi di cui al comunicato n.
26/2013 e successiva nota del Presidente, la quale provvede a pubblicarle sul proprio
sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base
alla tipologia di stazione appaltante e per Regione.

Le informazioni da pubblicare, in tabelle riassuntive con riferimento agli appalti
aggiudicati nell’anno solare precedente, soggiacciono al termine del 31 gennaio
successivo che, per quello appena trascorso (in virtù della novità della prescrizione) il
termine ultimo, inizialmente fissato al 15 giugno 2013, è stato differito al 31 gennaio
2014.

Il medesimo decreto prevede, poi, delle specifiche sanzioni per la violazione degli
obblighi di trasparenza, derivanti dall’inadempimento agli obblighi di pubblicazione
previsti   dalla   normativa       che   costituiscono   elemento   di   valutazione   della
responsabilità     dirigenziale,     nonché     di   quella   per   danno     all’immagine
dell’Amministrazione e sono valutati ai fini della corresponsione della retribuzione
di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei
responsabili.

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La prova che tale inadempimento non gli sia riconducibile in quanto dipeso da causa
a lui non imputabile, esonera il responsabile dal risponderne.

Sanzioni e poteri ispettivi dell’AVCP, propri e distintamente previsti da quelli della
Corte dei conti, ma, pur sempre connessi o quantomeno conseguenti.

Se è vero, com’è vero che il legislatore della 190 prevede la comunicazione alla Corte
dei conti genericamente indicata, altrettanto vero è che i dati così trasmessi possono
essere differentemente letti dai due uffici di cui si compone l’organo contabile.

Se l’ufficio di controllo ne farà un uso divulgativo e illustrativo nelle proprie
relazioni più o meno annuali (con conseguenti indicazioni), l’ufficio di Procura potrà
approfondirlo onde rilevare ipotesi (magri occulte) di danno erariale.

La comunicazione a carico dell’AVCP, d’altronde, non è neppure l’unica visto che
anche il Dipartimento della Funzione Pubblica deve trasmettere ogni anno alla Corte
dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere le
informazioni secondo i prescritti canoni di trasparenza (D.l.vo n. 165/2001) così come
la CIVIT (art. 45, d.l.vo n. 33/2013) ai fini dell’attivazione delle “altre forme di
responsabilità”.

Procedendo con ordine, già di per sé, il mancato adempimento all’obbligo di
pubblicazione dei dati è sicuramente e semplicemente fonte di responsabilità per il
responsabile della trasparenza che ha il preciso compito di provvedere in merito
incorrendo, in caso contrario, in forme di responsabilità disciplinare, dirigenziale e
amministrativa come evidenziato dall’art. 46 del d.l.vo n. 33/2013.

Le sanzioni, come ricordato nella circolare n. 2/2013 dall’allora Ministro per la
Funzione Pubblica, riguardano tutti i soggetti che sono tenuti a contribuire agli
adempimenti e, quindi, non solo il responsabile della trasparenza per le sue
attribuzioni specifiche, ma anche i dirigenti e gli organi politici che devono fornire i
dati per realizzare la pubblicazione.

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Quindi, l’inadempimento agli obblighi di pubblicazione è elemento di valutazione
della responsabilità dirigenziale, nonché eventuale causa di responsabilità per danno
all’immagine della P.A. e valutazione ai fini della corresponsione della retribuzione
accessoria di risultato e di quella accessoria collegata alla perfomance individuale del
responsabile.

In ogni caso foriere tutte di responsabilità erariale, non solo intuitiva come quella
all’immagine della P.A.2, ma anche da determinare come le restanti, atteso che la
rottura del sinallagma contrattuale che si configurerebbe nelle due restanti ipotesi è
l’elemento essenziale della responsabilità amministrativo‐contabile di cui si risponde
avanti al giudice contabile.

Qualora, infatti, l’Amministrazione erogasse una retribuzione accessoria a fronte
della violazione di un preciso obbligo di legge che incarna l’in sé (essenza)
dell’ulteriore prebenda si configurerebbe un ingiustificata locupletazione ai danni
delle risorse pubbliche.

Una tale lettura, tuttavia, non vuole essere un inno all’incremento delle denunce3,
finalizzato ancora agli interventi risolutivi (in un senso o nell’altro) della
magistratura,           bensì,        al    contrario,         ad      un’efficace          attuazione          dei      principi
costituzionalmente enunciati del buon andamento e dell’imparzialità della Pubblica
Amministrazione.

2 Il danno all’immagine – in merito al quale è chiamato a pronunciarsi il giudice contabile – si sostanzia nel pregiudizio

all’immagine, al decoro ed al prestigio dell’Amministrazione specifica interessata, ma anche dell’intero settore pubblico ed è
considerato in relazione al comportamento tenuto dal soggetto nell’espletamento di un’attività di pubblico servizio relativa
all’erogazione di prestazioni cui è preposto.
In particolare sotto il profilo del danno all’immagine ed al prestigio, va tenuto conto delle esigenze di credibilità e di
affidamento da parte della comunità in una istituzione che dovrebbe tutelare, in condizioni di massima trasparenza e
correttezza, un diritto di rilevanza primaria e costituzionale, diritto messo in evidente pericolo dagli eventuali comportamenti
infingardi ed altamente superficiali posti in essere dagli operatori pubblici.
Tale tipo di danno che, a partire dalla nota sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU. del 21 marzo 1997, n. 5668, rientra a
pieno titolo nella giurisdizione della Corte dei conti, ha subito nel tempo vari aggiustamenti a partire dalla sua natura pretoria,
passando attraverso le configurazioni ricevute di danno‐conseguenza, prima, e di danno‐evento, poi, (per ritornare alla prima
definizione, ma con considerazioni differenti), al c.d. Lodo Bernardo (L. n. 141/2009), e recentemente, proprio ad opera della
legge anticorruzione (co. 62 che ha introdotto il co.1‐sexies all’art. 1 della L. 20/94) è stata affrancata un poco dal vincolo con il
giudizio in sede penale, non avendo riproposto il condizionamento della sussistenza della condanna, il che apre scenari di un
certo rilievo anche per la tutela di questa ulteriore posta di danno a carico della collettività che nel settore dei pubblici appalti
non è, certo, di poco momento.
Non è un caso, infatti, che il legislatore della 190 ha espressamente quantificato il danno all’immagine in una misura pari al
doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita.
3 Per quanto sia stata introdotta anche nel nostro ordinamento la figura, e conseguente tutela, del Wistelblower.

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Non va, infatti, dimenticato che alla poca trasparenza si connette spessissimo la
carenza di etica che oltre ad incidere sulla mancanza di credibilità del nostro Paese
all’esterno, condiziona fortemente il modo di interagire degli utenti con la Pubblica
Amministrazione atteso che, come recita il co. 15 dell’art. 1 della legge n. 190/12, “la
trasparenza dell’attività amministrativa costituisce il livello essenziale delle prestazioni
concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione
mediante la pubblicazione, nei siti web delle P.A. delle informazioni relative ai procedimenti
amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di
consultazione”.

La trasparenza, allora, si appalesa quale irrinunciabile strumento di realizzazione
dell’efficienza dell’azione amministrativa che sola consente la sensibile riduzione
(fino ad un auspicabile azzeramento) di non corrette gestioni a vantaggio (illecito) di
pochi ed a danno di molti, attuata mediante il controllo operato dai diretti interessati
che sono i cittadini.

Controllo e presidio della magistratura quale garante dell’ordine e della legalità,
senza dubbio, ma da leggere in chiave certamente succedanea a tutto vantaggio del
controllo da operarsi da parte dei consociati nei cui confronti si esplica l’attività
amministrativa.

A fondamento dell’innovazione legislativa su tutta l’attività amministrativa fatta di
molteplici istituti si rinviene la responsabilizzazione degli operatori pubblici, ma
anche dell’utenza a vantaggio della quale il legislatore ha previsto – tra gli altri –
proprio l’obbligo di pubblicazione sul sito web delle procedure relative agli appalti
pubblici, affinchè la repressione e la prevenzione della corruzione e dell’illegalità sia
effettuata, primariamente, dalla collettività a carico della quale, finora sono stati posti
gli alti costi di tutte le pratiche illegali.

Se il fiore all’occhiello e chiave di volta per la lotta al fenomeno corruttivo sono,
secondo la legge n. 190/12, primo, la formazione del personale e, secondo, la cultura
dell’integrità e della trasparenza, sensibilizzazione e rapporto con la società civile con
una chiara funzione ausiliaria della trasparenza al contrasto alla corruzione, deve
necessariamente arguirsene che la pubblicazione sul web ha il solo significato – forse

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ambizioso – di riformare profondamente (dall’esterno e dall’interno) soprattutto dal
lato etico.

Non è un caso, infatti, che il decreto n. 33/2013, all’art. 1, co. 1, parli di “una forma
diffusa di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse
pubbliche”, per consentire lo svolgimento di un ruolo attivo e di controllo da parte
della collettività mediante uno strumento on‐line aperto a tutti.

Un’iniziativa in linea con i principi dell’open governement che mira a rafforzare la
trasparenza e l’accountability delle amministrazioni nonché la collaborazione e
partecipazione del cittadino al processo di trasparenza il cui obiettivo principale è,
non soltanto quello di accompagnare le amministrazioni, anche attraverso il
coinvolgimento diretto dei cittadini in un processo di ottimizzazione della qualità
delle informazioni on‐line (come nel caso dell’istituzione dell’istituto della Bussola)4,
ma anche di effettivo controllo sull’operato concreto a fini di contrasto al dilagante
fenomeno corruttivo.

Attuazione reale, quindi, del principio costituzionale dell’esercizio democratico della
sovranità da parte dell’effettivo titolare.

Conclusivamente, allora, “il vero risanamento, più che dalle norme di contabilità e dagli
assetti di bilancio, deve prendere l’avvio dal senso civico della comunità degli amministrati
che, in ambito pubblicistico, altro non è che l’imparzialità ed il buon andamento di cui all’art.
97 Cost.

È questo il senso ultimo e profondo della democrazia, che richiede ai cittadini di divenire attori
nel contrasto alla corruzione ed interpreti del cambiamento etico, necessario per invertire la
tendenza.

Le recenti disposizioni della legge 190/12 sembrano di buon auspicio, nel senso che tessono
una fitta rete di interrelazioni e collegamenti, le quali a loro volta dovrebbero facilitare la
correttezza delle procedure e i controlli fisiologici.

4   Circ. n. 2/2013 del Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione.

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Il vero ed importante obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre il ruolo di supplenza della
magistratura, restituendo alla politica e all’amministrazione delle proprie funzioni”5.

5   Relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2013 del P.R. della Corte dei conti del Veneto.

                                                                                                       11
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