Analisi dell'ascesa del regime fascista secondo le teorie di Antonio Gramsci - ESAME DI STATO
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Isis” G. Natta” a.s. 2013-2014 ESAME DI STATO Classe 5°b lst Candidato: Alemanno Davide Analisi dell’ascesa del regime fascista secondo le teorie di Antonio Gramsci 1
Indice 3. Premessa 4. Introduzione 5. Marx e il materialismo storico 7. Critica al materialismo storico 9. La guida intellettuale italiana 11. La cultura popolare 13. Conclusioni 14. Fonti 2
Premessa Durante i cinque anni delle scuole superiori, io come tanti altri abbiamo imparato concetti e metodologie nell’ambiente scolastico, contemporaneamente siamo cresciuti e abbiamo iniziato a interessarci a ciò che ci succede intorno: l’economia, la politica e la storia contemporanea. Queste due strade hanno fatto molta fatica ad incontrarsi, fino a quando, durante il quinto anno, con la filosofia moderna, abbiamo incominciato a confrontarci con varie idee di strutture economiche e politiche, tra questi Marx spicca per l’interesse che ha dato allo studio di questi aspetti molto concreti. Proprio per questo mi sono interessato particolarmente a questo pensatore, notando l’errore di predizione da lui commesso e interrogandomi sulle cause di questo errore e sui problemi riscontrabili in un analisi storico-politica. Cercando tra le critiche delle argomentazioni che possano spiegare l’errore di Marx e contemporaneamente possano aiutarmi a giustificare, comprendere e valutare le azioni politiche dei vari gruppi sociali, così mi sono imbattuto nel pensiero di Gramsci. 3
Introduzione Il pensiero di Antonio Gramsci, vero oggetto di questa tesina, studia, tra le altre cose, i principali errori che sono stati svolti dai sui predecessori e dai suoi contemporanei nelle analisi storiche, egli definisce quali possano essere le cause di errori; critica in particolar modo l’aspetto deterministico del materialismo storico marxista. Di fatti Gramsci nota nell’aspetto volontaristico un fattore importante e indispensabile, da studiare e analizzare ma soprattutto da guidare, attribuisce all’intellettuale il compito di segnare la strada da percorrere, di giustificare le azioni svolte e di creare una coscienza comune. Nel nostro percorso di studi possiamo notare che la figura dell’intellettuale è meglio rappresentata dal letterato, è perciò sfruttabile lo studio del pensiero letterario di un momento storico per capire e analizzare l’ascesa di un gruppo sociale. Proprio questo è il compito che mi assumo: cercare di analizzare la relazione che c’è tra gli autori più apprezzati in un periodo storico e le strutture che ne derivano. A Gramsci non è stato concessa l’analisi dei regimi europei del suo tempo a causa dell’arresto, perciò cercherò di sostituirmi al pensatore e analizzare lo sviluppo dei soprascritti, studiando la cultura diffusa durante lo sviluppo dell’ideologia fascista in Italia. 4
Marx e il materialismo storico Marx , filosofo di metà Ottocento, è vissuto nel periodo di sviluppo del capitalismo e sotto la grande influenza hegeliana; contemporanea è la formazione dei socialisti francesi con i quali egli si confronta criticamente. Queste tre influenze caratterizzano il suo pensiero. Egli concentra i suoi studi su questi argomenti: l’economia, con lo studio degli economisti classici inglesi; la filosofia, sia sul fronte materialista che sul fronte romantico; e la politica con l’analisi del nascente partito socialista francese. Negli studi economici marxisti si trova una forte critica agli economisti del tempo, che consideravano il capitalismo una struttura assoluta e indipendente dalla storia e il liberismo una conseguenza inevitabile; viceversa Marx equipara il capitalismo a tutte le precedenti strutture economiche, che sono momentanee e dipendenti dalla storia del tempo. Studiando la struttura economica del suo tempo Marx nota quantomeno un’incongruenza che porterà alla fine del capitalismo; essa si basa sull’incremento del capitale a seguito di investimenti, e per fare in modo che il valore del capitale aumenti è necessario vendere a un prezzo maggiore rispetto a quello di produzione, cioè retribuire gli operai meno del valore che essi stessi hanno creato, portando ad un accentramento del capitale e a una relativa diminuzione dell’ampiezza del mercato con una conseguente crisi di sovrapproduzione fino al collasso del sistema stesso. Nell’ambito filosofico Marx punta a giustificare con la dialettica la sua concezione pratica della realtà. Egli rimane sempre legato al concreto, accogliendo sin da giovane le teorie materialiste , adattandole al proprio pensiero e criticando ai materialisti lo scarso interesse per la storia. Fonda così una nuova corrente di pensiero denominata materialismo-storico, essa corregge il fondamento ideologico del romanticismo hegeliano ma ne mantiene la dialettica storica, ad essa Marx lega il carattere deterministico del materialismo. In ambito politico subisce l’influenza dei socialisti francesi, ma li definisce utopisti in quanto la loro attività si limita a progettare una società perfetta, definendola fino all’ultimo dettaglio senza però apportare veri cambiamenti nel concreto. Marx invece definisce le caratteristiche che la società non deve avere per evitare le contraddizioni del capitalismo; egli trova il suo grande nemico nella proprietà privata dei mezzi di produzione che, in mano a pochi, determinano la detenzione del capitale da parte di una minoranza e la conseguente divisione tra proprietari e salariati. 5
Frutto della proprietà e quindi della divisione sociale, secondo Marx, è lo Stato; egli sostiene che lo Stato è venuto a formarsi soltanto per difendere i privilegi delle classi dominanti, che ne hanno bisogno come strumento per organizzare il potere politico a difesa del proprio potere economico. Superando le influenze che ha subito e le critiche che ha mosso, possiamo sintetizzare lo scheletro del pensiero di Marx. Egli basa i suoi studi sul binomio struttura- sovrastruttura: la prima è definita dalla parte economico-produttiva della realtà, mentre la seconda è la parte culturale e istituzionale. Marx sostiene che la sovrastruttura dipenda strettamente dalla struttura, in quanto la classe dominante tende a creare un apparato istituzionale per preservare il proprio predominio, inoltre essa possiede le condizioni necessarie per egemonizzare la cultura e la coscienza del popolo. Procede studiando la struttura economica del suo tempo; egli nota che il capitalismo si differenzia dai sistemi economici altri per l’inversione delle funzioni di merci e capitale: precedentemente il capitale veniva speso per comprare delle merci utili alla sopravvivenza, mentre ora le merci vengono prodotte e vendute per incrementare il capitale, rendendo il capitale il fine anziché il mezzo e viceversa. Sapendo che il capitalista investe del denaro per produrre merci e avere un guadagno, possiamo intuire che gli imprenditori vendano le loro merci a un valore superiore rispetto a quello che hanno speso per produrle, facendo dipendere il loro guadagno dal fatto che l’operaio venga pagato meno del valore che esso stesso produce. Non permettendo neanche ai lavoratori salariati l’acquisto della loro stessa merce, il sistema produce la restrizione del mercato, quindi il relativo abbassamento della domanda e del costo e la conseguente estinzione degli imprenditori più deboli . Secondo Marx crisi come questa, ripetute nel tempo, sarebbero destinate a concludersi con una risoluzione dialettica della storia, quindi con la creazione di una nuova struttura opposta alla precedente in cui non esista il concetto di proprietà e nella quale , quindi, non ci siano le fondamenta per la divisione della società in classi. Marx non si attribuisce il compito di profeta, quindi non si permette di descrivere la società futura ma descrive due aspetti di tale struttura: il primo, come già detto , è l’abolizione della proprietà privata; il secondo si riferisce invece alla classe sociale a cui sarà affidato il compito di risolvere storicamente le contraddizioni : essa è il proletariato in quanto, al momento della crisi, esso sarà in grado di riassumere tutte le necessità del popolo. Nonostante egli non voglia spingersi particolarmente oltre nella previsione della storia futura Marx, produce un pensiero particolarmente determinista, dato che secondo i suoi studi non ci sono alternative alla risoluzione dialettica della storia. Ci concede così, a distanza di decenni, la possibilità di criticarlo in quanto abbiamo assistito a una diversa evoluzione dei fatti. 6
Critica al materialismo storico Dopo aver studiato le teorie di Marx e aver constatato che esse non si sono manifestate concretamente, mi sono interrogato su quale errore potesse esser stato commesso dall’economista. Con questo obiettivo ho cercato di evidenziare i momenti dell’analisi storica nei quali si potesse trovare un errore, e ne ho ravvisati tre : quello dell’analisi della struttura economica presente, quello della ricerca delle mutazioni necessarie per la risoluzione delle problematiche attuali e quello della previsione del passaggio tra la prima e la seconda. Avendo constatato che l’analisi della struttura è ciò che di più importante Marx probabilmente ha sviluppato, e notando che la società da lui progettata (ancora da considerarsi utopica) non presenta problematiche, possiamo concludere che il passaggio tra le due strutture è probabilmente la parte più critica delle sue teorie. Tra gli studiosi del materialismo storico quello sul quale ho deciso di puntare la mia attenzione è Gramsci. Egli, condividendo le criticità della società analizzate da Marx e facendo sua l’analisi storica, si è interrogato sulle modalità di transazione tra le diverse strutture e sui possibili errori che si possono commettere nell’analisi storica. Prima di confrontarsi con il pensiero e gli scritti di Gramsci è importante , a mio parere, inquadrarlo storicamente. Egli ha scritto le sue teorie negli anni di carcere che gli sono stati imposti dal fascismo per la sua appartenenza politica e , a causa del controllo del regime , ha preferito nascondere concetti e nomi in formule inusuali che rendono necessario al lettore di oggi cercare di capire a cosa e a chi egli si riferisca nelle sue note. Gramsci evidenzia due aspetti critici delle teorie storiche: il primo, che può essere la causa degli errori di analisi storica, il secondo, che può essere considerato un errore del materialismo storico; il primo di carattere umano e il secondo socio-politico. Per definire il primo possiamo sfruttare una frase dei “Quaderni del carcere” che recita :”la biscia morde il ciarlatano, ossia il demagogo è la prima vittima della sua demagogia”, la quale secondo la spiegazione dell’autore stesso definisce che chiunque proponga un’analisi storica lo fa, consapevolmente o no, al fine di portare il cambiamento che egli stesso desidera; ciò però non è uno stimolo a portare i cambiamenti necessari, ma molto spesso un autoinganno che ci offusca nell’analisi. Lo storicista, infatti, può cadere in due errori: sopravvalutare le cause meccaniche, a causa dell’estrema necessità di un cambiamento, con il rischio di non considerare le 7
cause volontaristiche; viceversa ritenere la volontà sufficientemente elevata da portare un cambiamento e dimenticarsi di considerare le cause meccaniche. Probabilmente proprio il primo di questi è stato un grave errore di Marx, che avendo studiato approfonditamente la struttura e avendo notato le contraddizioni che portava, riteneva che un’economia capitalista non potesse continuare ad esistere. Gramsci, oltre a fare riflessioni circa gli storicisti, crea una sua teoria riguardo i cambiamenti storici che si discosta molto da quella di Marx ed esalta l’aspetto volontaristico. Egli sostiene che le mutazioni storiche si sviluppano seguendo l’andamento del “rapporto delle forze” seguendo tre fasi: La prima, nella quale emergono le contraddizioni caratteristiche della struttura che creano inevitabilmente diversi schieramenti a difesa degli interessi dei due contendenti, i conservatori e gli innovatori. In questa fase i rivoluzionari hanno il compito di interrogarsi sulla presenza o meno delle condizioni necessarie e sufficienti per una trasformazione, e controllare se le ideologie sono attuabili o meno. La seconda, di carattere politico, consiste nella valutazione della coscienza comune al gruppo sociale. In questa fase secondo Gramsci bisogna attraversare vari momenti : acquisire la solidarietà all’interno del gruppo professionale, creare una coscienza condivisa nel gruppo sociale (che porterà alla pretesa di un potere decisionale sulle scelte dello stato), creare un’ideologia che racchiuda le soluzioni ai problemi dell’intera classe. Quest’ideologia è sostanzialmente il prodotto di tutte le strutture progettate precedentemente che, scontrandosi e mischiandosi, creano un progetto atto a sostenere la struttura pensata dalla classe innovatrice, ma condivisa e apprezzata da tutte le classi subalterne, che nell’ egemonia della nuova classe dominante vedono tutelato anche il proprio interesse. L’ultima fase viene definita militare, è cioè il momento in cui i due gruppi contrapposti si confrontano per decidere quale debba avere il dominio della struttura; anch’essa è suddivisa in due momenti distinti: il primo in cui c’è un confronto politico-militare nel quale la nuova classe egemone cerca di dividere le forze avversarie e portarle a uno scontro su più fronti; la seconda è l’effettiva presa del potere da parte degli innovatori. Tra le teorie marxiste e il pensiero di Gramsci risulta evidente come il primo lasci trasparire una concezione deterministica e positivista, mentre il secondo dia particolare risalto al fattore volontaristico. Abbandonando il determinismo marxista emerge il bisogno di un ideologia che guidi verso il cambiamento; Gramsci attribuisce alla classe intellettuale il compito di creare la suddetta secondo alcuni criteri poiché, come abbiamo visto nella seconda fase del rapporto delle forze, è necessario che il gruppo sociale si identifichi in un’unica coscienza. Ciò può essere compiuto solo tramite la condivisione di un’ idea trasmessa da un comunicatore di massa, come può essere un giornale, un letterato o un filosofo. 8
La guida intellettuale italiana: il “vate” Secondo le teorie gramsciane, nello sviluppo del rapporto di forze è necessaria la figura dell’intellettuale come guida ideologica delle masse popolari; egli deve avere la forza e i mezzi per poter trasmettere il proprio pensiero, avere buona fama ed essere convinto e deciso nel portare avanti le sue idee. Nel primo Novecento in Italia questa figura era a mio parere ben rappresentata da Gabriele d’Annunzio, considerato il “vate” italiano, appunto per la sua figura quasi “profetica”. Il poeta tra l’Ottocento e il Novecento acquista una buona fama, grazie al suo estetismo e alle relazioni con donne altolocate; da questa posizione egli ha la possibilità di diffondere la sua ideologia nazionalistica e superomistica. D’Annunzio è vissuto a cavallo del XIX e XX secolo, e i due secoli rappresentano anche le fasi della sua vita: la prima in cui si dedica alla poesia e alla vita mondana di Roma,Napoli e Firenze; e la seconda più incentrata sull’attività militare. La seconda parte della sua vita è caratterizzata fortemente dall’attività militare, dietro la quale si ravvisa un costante interesse politico, estraneo ai partiti, ma guidato da una propria ideologia. D’Annunzio è, forse, il più famoso tra i rappresentanti del nazionalismo italiano, vero focus della sua attività propagandistica. Il nazionalismo del poeta non si esprime soltanto attraverso le sue “poesie civili” ma anche attraverso luoghi diversi dell’intera produzione letteraria e soprattutto attraverso la sua attività pubblica. Egli vede nel Nazionalismo un possibile ritorno alla grandezza di Roma, quindi punta ad incentivare l’Imperialismo con Crispi prima e poi con Mussolini. Intorno agli anni ’90 D’Annunzio intraprende una attività propagandistica in favore della politica coloniale della sinistra storica italiana e più tardi ripropone le sue tesi in occasione dell’espansione coloniale ad opera di Mussolini. La sua attività nazionalistica continua con la critica per la mancata entrata in guerra dell’Italia all’inizio del primo scontro mondiale, e la sua successiva partecipazione alle azioni belliche non appena il suo paese entra nel conflitto. L’apice dell’attività politica viene raggiunto da D’Annunzio con un aspro giudizio nei confronti dell’arrendevolezza della classe dirigente e la successiva presa militare della città di Fiume. Va tuttavia sottolineato che il poeta in questa sua azione ebbe una particolare influenza sui sentimenti civili e politici grazie al fatto che egli fosse apolitico, capace così di intercettare le radici cattoliche e rurali del suo popolo che vedeva nella politica una caratteristica troppo materiale. 9
La sua essenza “apolitica” risulta la chiave di lettura delle apparenti contraddizioni del suo pensiero e delle sue opere che vedono, ad esempio, contrapporsi la critica alla borghesia e la funzione classista , o l’appoggio allo squadrismo fascista e il suo sostanziale distacco dal partito. Ovviamente la sua ideologia imperialista traspare anche nell’attività letteraria: creando la figura del superuomo eroico e scrivendo poesie che esaltano la “potenza” imperialista Italiana. I due grandi esempi di poesie nazionalistiche si possono trovare nei libri “Merope” e “Asterope” (pubblicato dopo la morte del poeta) della raccolta delle “Laudi”; gli ultimi due libri delle “Laudi” contengono rispettivamente: dei canti celebrativi dell’impresa Libica, e la raccolta delle esperienze di D’Annunzio nella prima guerra mondiale e nell’esperienza fiumana. Nonostante tali poesie ricevano un giudizio negativo da parte della critica, che preferisce il puro estetismo dannunziano, è innegabile la funzione del Vate nello sviluppo del nazionalismo in Italia; soprattutto prima della marcia su Roma. All’interno delle lettere, che si scambiavano il poeta e Mussolini durante l’esperienza fiumana, si può notare come il primo potesse godere di una posizione migliore nel caso in cui la marcia su Roma si fosse svolta durante l’anno e mezzo di occupazione della città irredente. 10
La letteratura popolare Gramsci, prima di molti altri, rileva un spazio vuoto nella letteratura e nella cultura italiana, e nelle sue lettere dal carcere evidenzia la mancanza di una letteratura popolare, come quella si può leggere in Inghilterra e in Francia. Egli attribuisce a questa mancanza la principale causa dell’assenza di una coscienza comune italiana, e la riflessione permette di far emergere alcune considerazioni: l’Italia non ha mai conosciuto quell’unità tra borghesia e popolo rurale che è stata alla base della rivoluzione francese, e il popolo sarà facilmente conquistabile da una cultura straniera, in quanto quella nazionale l’ha sempre escluso. Gramsci indica quali, secondo lui, possano essere i modelli esteri da seguire, anche senza avere una conoscenza completa di ciò che sta avvenendo nella letterature estera a causa della sua detenzione in carcere. Egli cita il binomio Wallace e Chesterton come percorso verso una buona letteratura popolare. Senza saperlo Gramsci cita due grandi autori che, oltre ad avere le caratteristiche che lui vorrebbe per gli autori italiani, cavalcheranno l’onda dei “pulp magazines”, brevi racconti a puntate inseriti nei giornali, che sono un tipo di letteratura che possiamo pensare essere ciò che più si avvicina alle necessità del popolo. Questa letteratura, inoltre, crea un ponte tra le varie comunità appartenenti alla medesima zona e plasma una coscienza e una morale comune. Nel percorso Wallace-Chesterton Gramsci intravede l’idea di un autore, Wallace, che crea una base culturale sufficiente per l’arrivo di un autore più complesso, Chesterton, il quale continuerà con pubblicazioni destinate al popolo, ma contenenti spunti per riflessioni sulla società. Wallace è un autore di romanzi gialli e polizieschi, generi facilmente compresi e apprezzati, che sono la base per la nascita del Chesterton autore, il quale però, durante la sua attività, contaminerà i suoi scritti con critiche e soluzioni alla struttura capitalistica. Gilbert Keith Chesterton nasce nel 1874 nella Londra protestante, vive i momenti della crescita in un paesaggio molto particolare che caratterizzerà i suoi scritti. Nel passaggio tra l’Ottocento e il Novecento Londra si trova ad essere il centro del più grande impero del tempo, tanto grande quanto vicino alla fine. Londra rappresenta, inoltre, il centro del capitalismo, è stravolta dalla rivoluzione industriale e allo stesso tempo è sfigurata dall’ emergere delle problematiche dell’età vittoriana. 11
Queste premesse rendono Chesterton un notevole critico del materialismo industriale, ma anche un antagonista del capitalismo del tempo. Egli affronta queste problematiche con la visione Cristiana più convinta, proponendo una teoria di ridistribuzione del potere produttivo che non elimina però la proprietà privata. Viene tuttora ricordato grazie al ciclo di racconti gialli che narrano le indagini di padre Brown, un prete cattolico dell’Essex, descritto come un uomo semplice e un po’ provinciale ma che cela, dietro a questa immagine , un attento analista della psiche umana, caratteristica che lo porterà a risolvere un notevole numero di casi. Gilbert Keith Chesterton was born in 1874 in London, under the influence of Protestantism, and grew up in a strange moment of England. Between the Nineteenth and the Twentieth century ,in fact, London was the centre of the biggest empire of the time, as big as close to its end. London represents the centre of capitalism, changed by the industrial revolution and defaced by the problems of the Victorian age. Chesterton tried to face these problems turning to the catholic moral for help and developed an economical theory which aimed at redistributing the productive power, without cancelling the private property. He is still reminded for his detectives stories based on the investigations of Father Brown, a catholic priest who lives in Essex. Father Brown is a short and stumpy Catholic priest, who is characterised by an uncanny insight into human evil, feature which will allow him to solve lots of cases. L’autore, tra i vari argomenti di cui tratta nelle sue opere, si sofferma sulle problematiche del capitalismo e, sempre fedele alla dottrina cristiana, sviluppa la teoria del distributismo. Tale teoria è in contrasto sia con il socialismo sviluppato dal materialismo sia con il capitalismo in senso stretto; infatti essa ipotizza una miglioria del sistema del tempo grazie all’aumento del numero dei proprietari di macchinari di produzione. A tale proposito celebre è la frase:” Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti”. È difficile pensare che le teorie del distributismo possano esser state condivise da Gramsci, ma egli indubbiamente invidia all’Inghilterra la possibilità per un autore popolare di esprimere giudizi e valutazioni sulla società, criticando apertamente il capitalismo. 12
Conclusione Molto rapidamente ho evidenziato le caratteristiche delle mutazioni storiche secondo Marx e secondo Gramsci e nel mio studio mi è sembrato che le teorie del secondo si siano storicamente concretizzate . Le tre fasi dello sviluppo del rapporto delle forze si possono infatti rintracciare facilmente: durante il biennio rosso la borghesia italiana è mutata raggiungendo una parificazione con il proletariato, trasformazione questa che ha poi favorito l’adesione al nazionalismo visto come unico antagonista del socialismo; il nazionalismo si è poi facilmente mutato in fascismo, in quanto quest’ultimo soddisfaceva sia i nazionalisti “romantici” sia la borghesia in cerca di riscossa. Se poi si prova ad avanzare nell’analisi storica, si noterà come la struttura economica si sia nuovamente modificata alla fine della seconda guerra mondiale, creando un sistema fondato sulla finanza e sul debito, che cambia enormemente le criticità della struttura. Da quest’ultimo concetto possono essere proposti nuovi quesiti altrettanto interessanti: il cambio di struttura, causato dall’eliminazione dei regimi fascisti e dalla divisione del mondo in due fazioni contrapposte, è stato anch’esso guidato da un gruppo intellettuale o si è svolta soltanto la fase militare del rapporto delle forze? Quali sono le problematiche della nuova struttura? L’attuale sovrastruttura dovrà essere rivoluzionata per sostenere una classe dominante diversa? Non è forse il modo migliore per terminare un’analisi, ma dopo tale lavoro ho acquisito una sensibilità diversa ed è impossibile non ammettere che sono più i quesiti che mi si sono aperti rispetto alle certezze che inizialmente credevo avrei acquisito. 13
Fonti: Sitografia: filosofico.net/karlmarx.html en.wikipedia.org it.wikipedia.org http://madrasi.xoom.it/politica/dannunzio0001.htm gramscisource.org http://www.nuovaeconomia.org/tag/capitalismo/ http://gialli-e-geografie.blogspot.it/2013/03/di-saggi-e-saggezza-padre-brown.html http://www.tempi.it/blog/chesterton-meeting-rimini http://www.sitocomunista.it/rossoegiallo/personaggi/padrebrown.html Bibliografia: “Quaderni del carcere” di Antonio Gramsci, a cura di V. Gerratana, Einaudi “Filosofia e cultura” di Antonello La Vergata, Franco Trabattoni, La Nuova Italia “La scrittura e l’interpretazione” di Romano Luperini, Pietro Cataldi, Lidia Marchiani, Franco Marchese, Palumbo Editore 14
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