Apprendenti universitari e profili di competenza nella scrittura accademica

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Apprendenti universitari e profili di competenza nella scrittura accademica
Quaderns d’Italià 26, 2021 217-240

Apprendenti universitari e profili di competenza
nella scrittura accademica
Paola Polselli
Università di Bologna
paola.polselli@unibo.it

Alice Fatone
Universitat de València
alice.fatone@uv.es

Riassunto

Nell’ambito delle ricerche sulle competenze linguistiche degli studenti universitari in Italia,
il contributo indaga le pratiche di comunicazione scritta e le relative difficoltà espresse da
studenti di un corso di recupero OFA in corsi di laurea triennale. L’indagine è parte di un
progetto di rilevazione più ampio ed è stata realizzata somministrando un questionario
informatizzato. I dati raccolti permettono di sviluppare alcune riflessioni utili sul pro-
filo linguistico-comunicativo di apprendenti dalle competenze definite “fragili”; la loro
autorappresentazione in termini di biografia linguistica; i bisogni linguistico-comunicativi
espressi in rapporto ai compiti di scrittura, e il senso di autoefficacia percepita in rapporto
alle abilità di scrittura funzionale richieste. Nell’insieme, il divario tra il panorama lingui-
stico delle matricole in esame e quello del nuovo contesto di studio avallano le indicazioni
circa la necessità di prevedere una specifica formazione linguistica in ambito universitario
superando l’impostazione rimediale per una prospettiva più strutturale e continuativa.
Parole chiave: educazione linguistica; scrittura all’università; studenti e senso di autoeffi-
cacia; biografia linguistica; profilo accademico degli apprendenti.

Abstract. College learners and academic writing proficiency profiles

In the context of research on the linguistic competences of university students in Italy,
this contribution investigates the written communication practices and related difficulties
expressed by students in an OFA remedial course of BA degree programmes. The survey
was carried out by administering a computerised questionnaire and is part of a wider
university project. It aims to define the linguistic-communicative profile of these learners,
their representation of their linguistic abilities required in the academic environment. On
the whole, the collected data highlight the gap between the linguistic landscape of newly
enrolled students and that of the new study context endorsing the indications about the
need to provide specific language training in the university environment and to overcome
the remedial approach for a more structural educational perspective.
Keywords: language education; writing at university; students and sense of self-efficacy;
language biography; learners’ academic profile.

https://doi.org/10.5565/rev/qdi.508                ISSN 1135-9730 (paper), ISSN 2014-8828 (digital)
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1. Competenze linguistiche e scrittura accademica1
All’inizio degli anni Novanta, introducendo uno dei primi studi sistematici
sulle questioni poste dall’educazione linguistica degli studenti universitari
(Lavinio & Sobrero, 1991), Sobrero avanzava l’ipotesi che le carenze di scrit-
tura di laureandi e laureati fossero “da addebitare soprattutto alla mancanza
di pratiche di scrittura ‘assistita’ che caratterizzino tutto l’arco degli studi uni-
versitari” (Sobrero, 1991, p. 5) e auspicava un’offerta formativa caratterizzata
da maggiori occasioni di scrittura legate a processi di ricerca e a contenuti
disciplinari in un’ottica trasversale alle varie discipline. Per definire un’efficace
formazione universitaria sulla scrittura, concludeva, l’università avrebbe dovuto
assumersi le “pesanti responsabilità che le competono” (Sobrero, 1991, p. 6).
     Da allora, gli studi sul discorso accademico hanno visto svariati contri-
buti che si sono soffermati sull’analisi della dimensione comunicativa orale e,
soprattutto, sulla comprensione e produzione scritta di studenti universitari
italiani considerandone campioni di lingua tratti da testi funzionali allo studio
accademico o da comunicazioni formali (tra gli altri, Andorno, 2014; Brusco
et al., 2014; Ciliberti & Anderson, 1999; Desideri & Tessuto, 2011; Fioren-
tino, 2015; Fusari & Luporini, 2016; Grandi, 2018; Lavinio, 2011; Sposetti,
2008; Valentini, 2002; Voghera, Giordano & Guerriero, 2009). Altre ricerche
hanno riguardato in modo specifico la consapevolezza metalinguistica degli
studenti di area umanistica, futuri insegnanti di materie linguistiche (Lavi-
nio, 2011; Viale, 2011); di recente, il campo d’indagine si è esteso oltre le
produzioni in L1 fino a comprendere quelle in L2 e l’analisi di testi scritti da
studenti stranieri, attori della nuova università internazionalizzata (Lubello,
2019; Lubello & Nobili, 2019; Martari, 2019; Pugliese & Della Putta, 2017,
2020). In proposito un dato che emerge nella realtà accademica coeva riguarda
proprio l’eterogeneità dei profili di apprendente: anche solo considerando i
cosiddetti “studenti stranieri”, Grassi (2018) ne distingue almeno tre (italofoni
nativi con scolarizzazione in italiano, italofoni non nativi con scolarizzazione
e diploma all’estero, italofoni non nativi con diploma italiano).
     Se guardiamo agli studi sviluppati nell’arco temporale di questo trentennio,
osserviamo, dunque, due tratti distintivi del dibattito: da una parte, si rileva il
perdurare delle denunce/aspettative circa una (in)compiuta padronanza delle
competenze necessarie per il discorso accademico al termine della scuola secon-
daria; dall’altra, emerge il continuo lavoro su dati empirici per documentare
le debolezze linguistiche dei giovani italiani e chiedere di affrontare in modo
sistematico la formazione linguistica nel terzo ciclo.
     Nel primo caso, oggetto del confronto è la responsabilità di sviluppare le
“competenze chiave” (raccomandazione europea 2006/962/CE) e in partico-
lare la “competenza alfabetica funzionale” nella lingua di scolarizzazione (rac-
comandazione 2018/C 189/01). Infatti, se molti accademici la attribuiscono
1. Il contributo e la relativa ricerca sono stati realizzati in collaborazione tra le autrici. Nella
   stesura, Paola Polselli ha scritto i parr.1, 2, 5, 6; Alice Fatone ha scritto i parr. 3, 4. I parr.
   7, 8 sono a cura di entrambe.
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alla scuola dell’obbligo, molti linguisti la includono nei doveri di formazione
linguistica che dovrebbero caratterizzare tutti i livelli d’istruzione in un’ottica
di apprendimento permanente. Di tale contrapposizione è stata un esempio
emblematico la diatriba conseguente alla lettera aperta firmata da 600 docenti
universitari che nel 2017 ha denunciato le incompetenze degli studenti uni-
versitari imputandole al mancato raggiungimento degli obiettivi formativi
della scuola dell’obbligo. L’evento, che ha guadagnato gli onori della cronaca
grazie a una vasta eco mediatica, ha visto la risposta di molti accademici di
area linguistica, in primis di Lo Duca (2017), che hanno affermato come una
prospettiva realistica sui fatti di lingua debba rifuggire da nostalgie anacro-
nistiche e richieda proposte specifiche e una lettura più attenta delle “spinte
che le forze in gioco nella realtà sociale esercitano sulla lingua e che finiscono
per modificare il modo in cui parliamo e scriviamo” (De Santis & Fiorentino,
2018, p. 9).
    In quest’ottica, l’offerta formativa dovrebbe essere improntata a un approc-
cio olistico ed ecologico che intervenga in riferimento al più ampio quadro
delle esperienze linguistiche e testuali degli studenti perché la “separatezza
tra lavoro grammaticale e lavoro sui testi non permette di creare una gram-
matica capace di seguire i movimenti della lingua nei vari generi e contesti”
mentre appare fondamentale operare affinché gli studenti possano costruirsi
“una grammatica attiva […] modellata sui bisogni comunicativi reali e quindi
in continua crescita e movimento”, superare gli “steccati disciplinari (e acca-
demici)” (Voghera et al., 2009, p. 107). È dunque opportuno considerare le
ricerche svolte come base di attente analisi dei bisogni e stimolo per insegna-
menti che superino i tradizionali metodi didattici trasmissivi (cfr. Lavinio,
2011; Pagliara, 2018).
    Circa i dati empirici della ricerca sulla scrittura all’università, come
abbiamo visto nella rassegna delle principali ricerche svolte, oggi disponiamo
di una buona base conoscitiva i cui dati provengono sostanzialmente dal
“filone che descrive lo stato delle (in)competenze linguistiche degli studenti”
(Pugliese, 2021, p. 178), una base di dati costituita da corpora di elaborati
scritti raccolti all’inizio, nel corso o al termine di un percorso di studi univer-
sitario. Di contro, sono scarsi i dati relativi a come gli studenti universitari
vedono la scrittura e vivono le pratiche comunicative scritte. In proposito, è
rilevante il concetto di rapport à l’écriture (Barré-De Miniac, 2002), definito
in quell’area della ricerca francofona che indaga la rete dei legami esistenti tra
lo studente-scrivente e l’attività di scrittura, vista come pratica individuale e
sociale, esperienziale e accademica, situata localmente e determinata cultural-
mente. Barré-De Miniac sottolinea, oltre alla rilevanza dei fattori cognitivi,
l’incidenza degli aspetti affettivi, culturali e sociali e concettualizza il rapporto
che un apprendente ha con la scrittura in 4 dimensioni: investimento nella
scrittura; opinioni e atteggiamenti rispetto alla scrittura; concezione della scrit-
tura e del suo apprendimento; modalità di investimento o “la manière dont
les scripteurs parlent de leur écriture, et plus exactement de leurs procédures
et de leurs démarches, tant en matière d’écriture proprement dite qu’en ce
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qui concerne leur apprentissage de l’écrit.” (Barré-De Miniac, 2002, p. 37).
Indagare in tale direzione permette dunque sia di rilevare alcuni tratti trasver-
sali del contesto educativo e storico-culturale sia di operare nel senso di un
approfondimento individualizzato dello sviluppo delle competenze di scrittura
nei singoli apprendenti nell’ottica dello sviluppo di littéracies di livello univer-
sitario. In altri termini, rilevare le prospettive degli studenti nella fase iniziale
di un corso di scrittura non permette soltanto di raccogliere informazioni utili,
fornisce anche alcune indicazioni fondamentali “per l’accompagnamento alla
scrittura” come strumento di costruzione del sapere disciplinare e rappresenta
“una buona illustrazione della dinamica interattiva tra ricerca e pratica didat-
tica” sulla scrittura accademica (Desoutter, 2021, p. 24).

2. L’indagine
Come ricorda Guerriero (2021), saper scrivere è un’abilità multidimensio-
nale in cui intervengono sia la capacità di costruire un testo definendolo nei
suoi diversi livelli microlinguistici, macrolinguistici e pragmatici (cioè nei suoi
aspetti semantici, sintattici e semantico-testuali; relativi a finalità transazionali
e relazionali, ai riceventi e al quadro sociale della comunicazione scritta), sia
la capacità di gestire a livello procedurale le diverse fasi che caratterizzano il
processo di scrittura (come ideare, pianificare, redigere e revisionare un testo).
Che il compito della scrittura non sia banale, lo ricorda Piemontese (2002
(2021), p. 33) allorché sottolinea “la necessità di sviluppare negli studenti una
maggiore consapevolezza nel perseguire […] gli obiettivi che essi vogliono dare
al testo” ed evidenzia l’importanza della rappresentazione che gli apprendenti
hanno di tale attività. “Obiettivo della didattica della scrittura è dare agli stu-
denti la percezione della scrittura come problem solving per cui sono necessarie
autodisciplina, capacità di valutazione, diagnosi e riflessione”. Consapevolezza,
percezione, capacità riflessiva e di auto/valutazione sono appunto alcune delle
parole centrali nell’indagine che presentiamo.
    Progettare un’offerta di formazione linguistica efficace che coadiuvi lo
sviluppo di competenze comunicativo-accademiche nell’apprendimento dei
saperi disciplinari in una data popolazione studentesca presuppone infatti di
operare a partire da un’analisi che renda conto dello scarto osservabile tra gli
usi comunicativi diffusi e le capacità di scrittura richieste in contesto univer-
sitario. In questa prospettiva, la nostra ricerca mirava a delineare il profilo
linguistico, il rapporto con la scrittura e le relative pratiche da parte degli
studenti universitari nonché la loro percezione dei propri bisogni formativi.
    I dati che discuteremo fanno parte di un progetto di indagine più esteso
e tuttora in corso: è stato intrapreso nell’a.a. 2017/2018 e comprende i que-
stionari di circa cento studenti universitari di vario tipo. Si tratta di studenti
italiani con e senza OFA, studenti universitari internazionali che studiano
in Italia o che partecipano a programmi di scambio internazionale, appren-
denti della lingua italiana in un’università spagnola. In particolare, il corpus
di dati qui analizzato si sofferma su apprendenti che non hanno raggiunto la
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soglia minima prevista nel test d’accesso all’università, cioè studenti che intra-
prendono un corso di studi all’università con un “debito formativo” (OFA -
Obbligo Formativo Aggiuntivo) e le cui competenze linguistiche di base sono
state giudicate insufficienti per l’accesso a un corso di studi di laurea triennale.
    A livello nazionale, l’istituzione degli Obblighi Formativi Aggiuntivi
(OFA)2 ha risposto all’esigenza di allineare le percentuali dei laureati italiani
a quelli europei, di ridurre i tassi di abbandono nei primi anni di studio uni-
versitario e di colmare i dislivelli lamentati dai docenti rispetto alle compe-
tenze linguistico-comunicative richieste dal discorso accademico e disciplinare.
Concettualmente, però, un’offerta formativa nell’area linguistica che ponga
al centro il concetto di “fragilità” piuttosto che quello dell’eterogeneità delle
competenze oggi riscontrabile in ingresso nel mondo universitario e delle con-
nesse implicazioni formative per il terzo ciclo educativo ha evidenti ricadute
didattiche. La dimensione “rimediale”, infatti, tradisce il respiro breve dell’of-
ferta di formazione linguistica a livello universitario e incide negativamente
sulla motivazione all’apprendimento specifico anche in quei corsi di studi in
cui tali competenze dovrebbero apparire professionalmente cruciali (cfr. Barré-
De-Miniac, 2003, Pugliese, 2021).
    Il corpus consta delle risposte a un questionario informatizzato di 44 stu-
dentesse con OFA di due corsi di laurea triennale nell’a.a. 2018/2019. 3 Le
domande da cui è partita l’indagine sono le seguenti:
    • qual è il panorama linguistico di questi apprendenti? E quali sono gli usi
    delle (varietà di) lingue conosciute?
    • quali attività di scrittura sono frequenti nella pratica quotidiana? Qual
    è il rapporto con la scrittura e qual è il senso della propria autoefficacia?
    • quali testi sono percepiti come difficili e perché? Quali argomenti di
    lavoro propongono?
Il questionario informatizzato proposto è stato organizzato in 4 sezioni: dopo
una prima parte anagrafica, la seconda sezione mira a delineare la biografia
linguistica dell’apprendente e a ricostruirne il panorama degli usi linguistici
ricorrenti o saltuari; la terza indaga le pratiche scritte e l’ultima richiede di
valutare diversi compiti di scrittura esplicitando la propria percezione di auto-
efficacia (Bandura, 1994) e le coordinate del proprio rapporto con la scrittura.
    Una precisazione utile per inquadrare le risposte fornite riguarda il
momento in cui si è svolta l’indagine. Il questionario è stato somministrato nel
febbraio 2019,4 cioè in un’epoca in cui le matricole avevano realizzato le prime
esperienze di studio in ambito universitario e avevano già avuto l’opportu-
nità di impostare delle abitudini di studio e di scrittura relative ai compiti
2. V. in particolare il D.M. n. 509 del 3/11/1999 e il D.M. n. 270 del 22/10/2004.
3. Corsi di Laurea Triennale in Educatore sociale e culturale e in Educatore nei servizi per
   l’infanzia del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna (sede di
   Bologna).
4. Per comprendervi gli studenti trasferitisi da altri corsi di studio, i corsi OFA si sono svolti
   nel II semestre.
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comunicativi previsti in contesto accademico. In questo senso, le risposte for-
nite nel questionario non rendono conto soltanto del profilo delle matricole,
ma consentono anche di rilevare alcune routine e usi della scrittura in atto
nelle attività di studio a metà del primo anno accademico.

3. Le autobiografie linguistiche nel questionario
Le autobiografie linguistiche (AL) rappresentano il riferimento soggiacente
alla prima parte del questionario in cui si vuole ricostruire il profilo linguistico
delle rispondenti. L’indagine non ambisce all’ampiezza e alla profondità prati-
cata con strumenti come l’AL proposta nel Portfolio Europeo delle Lingue (PEL)
ma vuole essere un’occasione di riflessione sulle abitudini e le competenze
linguistiche delle rispondenti e sulle loro pratiche comunicative. Analizzare
le proprie competenze linguistiche trasversali alle diverse lingue conosciute,
infatti, assume ricadute positive sulle capacità metalinguistiche. Per questo,
rappresentare la gamma linguistica delle rispondenti ha un valore profondo
non solo per l’AL ma anche in relazione con il successivo corso OFA. Prima di
discutere i dati relativi alla prima sezione del questionario, dove sono indagate
le AL delle 44 apprendenti, consideriamo l’importanza di questo strumento a
cui la prima parte del questionario fa riferimento.
    Gli studi di Pineau (1983) hanno evidenziato le potenzialità dell’AL come
strumento formativo studiato e sperimentato soprattutto nell’ambito delle
scienze dell’educazione e della formazione degli adulti.
    Nell’ultimo decennio, sul territorio nazionale e internazionale, l’ampia
letteratura (tra gli altri Lambert, 2005; Lüdi, 2005; Molinié, 2006; Perregaux,
2007; Van den Avenne, 2005) e numerosi progetti europei, in particolare in
contesti francofoni e tedescofoni, evidenziano come l’uso di questo strumento
linguistico sia ormai un campo di indagine ricco e in espansione, tanto per
nuove prospettive di ricerca che dal punto di vista applicativo in contesto
educativo-formativo con diverse tipologie di pubblici.
    In Italia, l’AL, nel contesto dell’apprendimento/insegnamento delle lingue,
ha iniziato a diffondersi in particolare grazie al PEL, considerato un efficace
strumento (auto) valutativo di analisi della propria esperienza linguistica,
capace di riflettere e descrivere le modalità di apprendimento e le esperienze
di contatto interculturale in contesto formale e non.
    In ambito anglo-americano si intendono le AL come narrazioni autobio-
grafiche che presentano l’esperienza degli apprendenti di una L2 o di parlanti
che vivono a contatto con più di una lingua. Esse sono usate a scopi di ricerca
come risorsa per la comprensione dei processi di acquisizione e dell’uso di
una lingua seconda (Kramsch, 2004). In ambito europeo, invece, prevalgono
le definizioni di autobiografia/biografia linguistica, in accordo con il PEL, o
di “racconto delle lingue”, che si soffermano maggiormente sull’importanza
dell’aspetto narrativo e della prospettiva del soggetto narrante (Cognigni,
2014, p. 3).
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    Il legame tra madrelingua e identità è intricato e inscindibile (Sofia &
Favero, 2018, p. 50) e, come hanno sottolineato diverse ricerche (tra gli altri
Cognigni, 2014; Levy, 2009; Gohard-Radenkovic & Rachédi, 2010; Sofia &
Favero, 2018), le AL, oltre a valorizzare il patrimonio linguistico personale in
un’ottica metalinguistica, sono efficaci per la (ri)costruzione identitaria e per
l’emersione della dimensione emotivo-affettiva nel rapporto con le diverse
lingue e culture che compongono la competenza plurilingue e pluriculturale
di ciascuno.
    Nello specifico Cognigni (2014) sintetizza due fondamentali funzioni
dell’AL: una diagnostica o conoscitiva e un’altra legata alla possibilità di eli-
citare le rappresentazioni sociali degli alunni circa le proprie lingue-culture.
    Nel contesto di classi plurilingui e pluriculturali, soprattutto, il docente
può avvalersi della narrazione scritta o orale per approfondire la conoscenza
dei repertori plurilingui degli apprendenti, i contesti d’uso dei diversi codici e
i metodi didattici legati alla storia di acquisizione/apprendimento linguistico
lungo il percorso di vita.
    La condivisione in aula dei racconti delle proprie lingue-culture attiva una
maggiore consapevolezza linguistica (Language Awareness) che permette all’ap-
prendente di rendersi conto dell’esistenza di lingue differenti dalla propria e di
prendere coscienza di possedere più lingue. Il discente, inoltre, si rende conto
del processo di apprendimento linguistico (Language Learning Awareness) e
della variazione linguistica (Variation Awareness) intesa come consapevolezza
della presenza di diverse varietà di una medesima lingua e dei loro diversi usi
sociali.
    L’AL diventa, quindi, strumento conoscitivo e operativo (Sofia & Favero,
2018), capace di creare un ponte tra studente e docente e tra lo studente e il
repertorio di lingue possedute o presenti nel gruppo di apprendenti.
    Nel nostro caso, il questionario proposto serviva anche ad orientare il
lavoro dell’insegnante, a raccogliere informazioni sui bisogni formativi, a cono-
scere le apprendenti e avere informazioni utili ai fini del corso.

4. Il profilo linguistico delle apprendenti
Analizziamo ora i dati delle prime sezioni (A e B) del questionario. Inizial-
mente, le rispondenti precisano la propria madrelingua: sono per il 92% di
madrelingua italiana e per il restante 8% di madrelingua albanese, araba, filip-
pina e francese.
    Nella sezione A del questionario “l’italiano e le altre lingue” si chiedeva di
indicare il numero di lingue conosciute scegliendo tra 1-2 o 3-4 lingue/dialetti.
Nel grafico 1 si mostra la distribuzione percentuale in termini di ampiezza di
lingue conosciute oltre quella materna.
    I dati riflettono scelte di politica linguistica del sistema scolastico italiano
che ha previsto, in seguito alla legge 53/2003, l’insegnamento obbligatorio
dell’inglese dal primo anno della scuola primaria e il successivo bilinguismo
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Grafico 1- Distribuzione percentuale del numero di L2 conosciute oltre alla L1
degli Istituti superiori di primo e secondo grado. Chi parla due lingue specifica
di non usare più una lingua perché “la usavo a scuola e ora non la uso più”
(in 3 occorrenze: questionario 3, 5, 19). Un altro elemento che scaturisce dai
dati è una certa confusione nella distinzione tra L1 e L2. In 4 occorrenze, le
rispondenti descrivono come L2 la loro madrelingua ed è interessante osservare
che, per la metà di questi casi, si tratta di madrelingue diverse dall’italiano.
È difficile interpretare questa scelta, forse si potrebbe ipotizzare l’esigenza di
rappresentare la competenza nella propria madrelingua.
    La sezione B “le lingue del mio panorama” definiva in dettaglio le com-
petenze linguistico-comunicative delle apprendenti. I dati raccolti, presentati
nella tabella 1, intendevano fotografare le lingue conosciute dalle rispondenti
oltre alla L1. In termini assoluti la prima L2 nota è prevedibilmente l’inglese,
la seconda lo spagnolo, la terza il francese. Con una sola occorrenza, ci sono
poi altre L2 come l’albanese, l’italiano e un dialetto.
 Lingue seconde (L2)        Prima L2     Seconda L2     Terza L2        Quarta L2
 Albanese                   1
 Arabo                                   1              1
 Dialetto                   1            2                              1
 Francese                   6            7              1
 Inglese                    29           4              3
 Italiano                   1            2
 Spagnolo                   6            5              3
 Tedesco

Tabella 1- Numero di occorrenze delle L2 conosciute
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Circa la seconda L2 conosciuta, il ventaglio è molto più ampio e comprende
diverse lingue: il francese, l’inglese, lo spagnolo, l’italiano, il dialetto e l’arabo.
Continuando un’analisi in termini assoluti, osserviamo che il 18% dichiara
di conoscere una terza lingua e che una sola studentessa dichiara di conoscere
una quarta L2 (un dialetto).
    Ricostruire il panorama delle lingue ha in Italia un particolare interesse
alla luce del plurilinguismo storico che affianca all’italiano la presenza di un
dialetto imparato e parlato in contesto famigliare. Per descrivere questa situa-
zione nella nostra indagine, osserviamo i dati disaggregati: come presupposto,
il dialetto è nel 14% dei casi parte costitutiva della biografia linguistica delle
rispondenti e, in un caso, risulta essere l’unica lingua parlata oltre la madre-
lingua. Nel 7% dei casi le intervistate specificano che si tratta del dialetto
romagnolo. I livelli di competenza raggiunti sono diversi: elementare in 3 casi,
intermedio in uno e avanzato in 2. Il dialetto è appreso da piccole e continua
ad essere usato in famiglia per comunicare.
    La seconda domanda indagava i momenti d’uso della prima L2 conosciuta.
Per lo più, le rispondenti indicano usi diversificati che riassumiamo nel grafico
2 dove predominano come ambiti d’uso il viaggio, il tempo libero e la famiglia.

Grafico 2 – Distribuzione percentuale degli ambiti d’uso delle L2 conosciute
Nello specifico, le risposte libere indicano in 3 occorrenze che la prima L2
era usata alle scuole superiori, in un’occorrenza era usata “per test” (q. 10), “al
termine delle medie e poi non ho più avuto occasione” (q. 14), “l’ho studiata
quando avevo 8 anni” (q. 41) “la uso quando devo” (q. 42). L’inglese, prima
lingua conosciuta, è usato come lingua franca in viaggio con una competenza
comunicativa informale e senza un apprendimento più strutturato o in contesti
di studio (dove spesso l’apprendimento della lingua inizia, continua e poi si
ferma). L’apprendimento informale è quello della lingua usata nel tempo libero
dove dominano lingue come l’inglese e lo spagnolo per usi legati al web (in
particolare serie televisive su piattaforme digitali) e/o alla musica. Le occasioni
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d’uso affettivo e intimo della lingua si limitano alla descrizione della lingua
madre o del dialetto.
    Circa gli ambiti d’uso, una studentessa dichiara di “usare poco” (q.17)
la seconda L2. La terza L2 (che, ricordiamo, è posseduta solo dal 18% delle
rispondenti) è usata prevalentemente nel tempo libero. La rispondente che
possiede una quarta L2 dichiara di usarla solo in famiglia.
    È interessante evidenziare come le seconde e terze L2 vengano usate prefe-
ribilmente per il tempo libero o in viaggio e inoltre come il contesto scolastico
sia sempre più relegato a un passato in cui la lingua lì appresa non trova altri
contesti d’uso. Un apprendimento troppo focalizzato sulla competenza lin-
guistica e poco incentrato sulle occasioni d’uso comunicativo mostra fragilità
perché le lingue non evolvono. Questi dati sottolineano che il focus esclusivo
sulla competenza linguistica nella formazione, a scapito della più ampia com-
petenza comunicativa e della competenza pragmatica5, può più facilmente
portare alla perdita delle conoscenze linguistiche conosciute.
    La terza domanda indagava gli usi linguistici di ogni lingua conosciuta. Il
grafico 3 riassume i risultanti delle dichiaranti.

Grafico 3- Distribuzione percentuale degli usi linguistici prevalenti delle L2
I dati presentati nel grafico 3 continuano ad essere allineati con le risposte
precedenti: le lingue, anche le prime conosciute, hanno obiettivi comunicativi

5. Da questo momento ci si riferisce alla competenza comunicativa e a quella pragmatica
   nell’ottica del Quadro Comune Europeo delle Lingue (cfr. pp. 140-141 QCER, 2002) che
   presenta scale di descrittori per gli aspetti della competenza linguistico-comunicativa orga-
   nizzate in competenza linguistica, competenza sociolinguistica e competenza pragmatica
   (flessibilità, turni di parola, sviluppo tematico, coerenza e coesione, precisione e fluenza).
Apprendenti universitari e profili di competenza             Quaderns d’Italià 26, 2021  227

molto più legati all’oralità e alla velocità (parlare, ascoltare, guardare) che a una
riflessione più lenta e riflessiva (leggere, scrivere).
     La quarta domanda interrogava sui luoghi d’uso e gli interlocutori tipici e
proponeva tra le possibili scelte: persone straniere, il web, i parenti, l’università,
il contesto scolastico e il lavoro (grafico 4).
     Le lingue per le rispondenti sono legate ad apprendimenti informali, inci-
dentali e l’uso nel contesto accademico e scolastico o formale è limitato a un
quarto delle rispondenti e alla prima L2 (che è per lo più l’inglese). Le lingue,
ancora una volta, sono abbandonate nel corso del tempo (sono materia di
studio fino alla scuola secondaria) e poi sono ad esse affidati ruoli comunicativi
informali (in famiglia, a casa o con amici) o fini ludici, di divertimento, di
informazione privata (usate nel web).

Grafico 4- Distribuzione percentuale dei principali luoghi d’uso e interlocutori tipici
La quinta domanda indagava le modalità di apprendimento delle lingue cono-
sciute. I dati relativi a questa domanda sono informativi: la prima L2 è stata
appresa in contesto scolastico dall’82% delle rispondenti, il 32% ha imparato
la prima L2 da piccola o in viaggio, il 12% in famiglia e il 7% da sola. Anche
per la seconda L2 domina l’apprendimento formale (52% occorrenze), seguito
dal contesto informale del viaggio (18%), dall’apprendimento da piccola (14%
occorrenze), da sola e in famiglia (4%) e da grande (1 occorrenza). La terza
e la quarta L2, invece, sono solo il frutto dell’apprendimento in contesto
informale.
    L’ultima domanda voleva far riflettere sulla competenza comunicativa e
rilevare la percezione delle rispondenti sulla propria padronanza linguistica.
In termini assoluti la prima L2 è conosciuta a livelli di competenza intermedia
228  Quaderns d’Italià 26, 2021                               Paola Polselli, Alice Fatone

(41%) e medio/bassa (sommando elementare e principiante con il 39%); il
livello avanzato è dichiarato solo dal 14% delle studentesse. Anche per la
seconda L2 prevalgono le dichiarazioni circa una competenza intermedia
(29%) o generalmente medio-bassa (25%). Per la terza L2 la competenza è
decisamente più bassa; il 16% delle rispondenti sceglie principiante-elemen-
tare, in un caso livello intermedio e in uno da madrelingua.
    È interessante l’ordine di presentazione delle lingue conosciute che, contra-
riamente alle aspettative, non è stato quello relativo al livello di competenza/
padronanza nella lingua. Cerchiamo di fare alcune ipotesi e confrontiamole
con i dati raccolti: l’ordine gerarchico delle L2 potrebbe rispondere a criteri
di ordine temporale (la prima L2 appresa), di rilevanza d’uso, di prestigio. Per
lo più, dai dati registrati e dalle risposte sugli usi linguistici dichiarati, sembra
che il prestigio e la dimensione affettiva alla lingua (maggiore uso, vicinanza
emotiva) siano le principali motivazioni che giustificano l’ordine delle lingue
scelto. Sembrano dunque prevalere criteri quali la frequenza d’uso e, appunto,
le dimensioni affettive.
    È importante anche sottolineare che le lingue apprese in contesto formale
e non formale registrano una bassa frequenza d’uso e una percezione di com-
petenza che si colloca tra livello principiante e elementare. Come prevedibile,
oltre alla lingua madre, le lingue apprese in contesto famigliare sono princi-
palmente i dialetti. Tra le lingue acquisite in modo informale, lo spagnolo
risulta essere la lingua maggiormente appresa, in particolare in autonomia (in
viaggio o da autodidatta) in cui le apprendenti riescono a raggiungere discreti
risultati di competenza.
    Con la formulazione di questi quesiti, ci interessava da un lato studiare
il primo contatto dell’apprendente con la lingua distinguendo un apprendi-
mento esperienziale, da uno formale, non formale e informale (Rogers, 2014;
Schugurensky, 2000) e dall’altro la percezione di adeguatezza o meno rispetto
alle competenze linguistiche di ogni lingua segnalata. Durante i loro studi
accademici, le rispondenti saranno chiamate in diverse occasioni a autovalu-
tare le proprie produzioni, è così importante osservare come rappresentino le
proprie competenze linguistiche.

5. Le pratiche di scrittura
Nella sezione C del questionario si chiedeva di descrivere le proprie prati-
che di scrittura da più prospettive, declinandole in base a scopi, destinatari
e situazioni di comunicazione, cioè di rappresentarle in termini quantitativi,
situazionali, qualitativi, contenutistici, funzionali e dei riceventi tipici.
    Nel quantificare le proprie attività di scrittura complessive, il 36% del
campione dichiara di scrivere almeno 500 parole al giorno, il 21% afferma di
scrivere almeno 1500 parole al giorno e poco meno di un sesto (16%) indica
almeno 2500 parole scritte al giorno. Di contro, un quarto delle intervistate
non arriva a scrivere 500 parole in una settimana e una matricola riconosce di
non scrivere regolarmente.
Apprendenti universitari e profili di competenza        Quaderns d’Italià 26, 2021  229

     Nella seconda domanda, era richiesto di esplicitare le occasioni in cui ricor-
rono le attività di scrittura. Ne erano proposte quattro, due situazioni interat-
tive di cui una più informale e una formale (cioè comunicazioni con segreterie
e docenti) e due occasioni in cui la scrittura assolve anche compiti cognitivi
profondi o intimi (studio e introspezione). Prevedibilmente, è preponderante
il ricorso alla scrittura per le attività di studio dentro e fuori l’aula, dato che
accomuna il 95% delle rispondenti così come lo è scrivere per comunicare
con amici e familiari (82%) mentre più della metà comunica con i docenti
e il personale universitario in forma scritta (66%). Poco più dei due quinti,
infine, ricorre alle potenzialità trasformative dello scrivere praticando attività
autoriflessive private su emozioni e pensieri.
     Definire le proprie pratiche di scrittura in termini di tipi testuali signi-
fica riflettere sulle forme di comunicazione scritta praticate in riferimento ai
limiti o alle opportunità presupposti dalle diverse condizioni di mezzo, profon-
dità e ampiezza, intenzioni dell’emittente e aspettative del ricevente, margini
di libertà espressiva e stilistica ecc. Tra le forme proposte, alcune rientrano
nell’ambito della scrittura breve o “spedita” (Pistolesi, 2004) e sono tenden-
zialmente meno controllate e di registro colloquiale. Tra queste, predominano
i messaggi digitali brevi (sms, post ecc.), praticati dal 98% delle rispondenti,
cui seguono le lettere ed e-mail informali (52%), le cartoline e i bigliettini
(43%), le risposte a questionari (34%). Nella scrittura formale di tipo funzio-
nale, invece, prevalgono le lettere ed e-mail formali (73%) mentre solo la metà
dichiara di avere familiarità con la scrittura di tesine e relazioni, cui seguono
i temi scolastici (48%) e testi tipicamente accademici come saggi, articoli e
recensioni (32%). Relativamente poco praticate sono le forme espressive e
narrative, con un quarto delle rispondenti che scrive testi di tipo diaristico
(25%) e il 14% che scrive testi narrativi.

Grafico 5- Testi praticati dalle apprendenti.
230  Quaderns d’Italià 26, 2021                                Paola Polselli, Alice Fatone

Per vagliare l’ampiezza del repertorio delle singole matricole, è utile conside-
rare la quantità di tipi testuali praticati dalle apprendenti per suddividerli in
sottogruppi. Possiamo così notare che il 39% rientra nel sottogruppo in cui
la scrittura è circoscritta a 2-4 tipi di testo; la maggioranza delle rispondenti
(52%) appartiene a quello in cui sono praticate da 5 a 7 tipi testuali e solo il
9% dichiara pratiche di scrittura molto variate a livello testuale (8-10 tipi).
     La domanda successiva, che verteva sui contenuti di scrittura, evidenzia
l’atteso predominio delle risposte relative agli argomenti di studio e/o lavoro
(98%). Anche qui, è pertinente focalizzare l’attenzione sul ventaglio di argo-
menti trattati, riflessione che permette di notare come, per il 36% delle rispon-
denti, gli argomenti di studio siano gli unici di cui si scrive, a fronte di un 7%
che dichiara di scrivere unicamente di sentimenti ed emozioni. Suddividendo
le scelte proposte in base alle categorie “scrittura funzionale” e “scrittura pri-
vata”, infine, si può notare che poco meno della metà delle rispondenti (48%)
dichiara di scrivere in riferimento a entrambi i sottogruppi.
     Considerando gli scopi sociali, espressivi o funzionali per cui possono essere
praticate, risultano familiari le forme di scrittura con un forte valore di rielabora-
zione cognitiva e mnemonica (86% delle matricole), così come sono prevalenti
gli altri scopi ricorrenti nella scrittura funzionale (informare, 75%; raccon-
tare, 61%; descrivere, 59%). Le forme meno praticate sono quelle di scrittura
persuasiva (25%), di relazione amicale e socializzazione (25%), con intenti
ludici e di intrattenimento (20%) o di tipo intimista e introspettivo (18%).
     Con la domanda successiva, si rilevava la varietà dei destinatari tipici e
si invitava a riflettere sulle differenze comunicative proponendo situazioni
di comunicazione simmetrica o asimmetrica, familiare e poco controllata o
pianificata e sostenuta, ristretta a pochi destinatari noti o rivolta a un pubblico
ampio di riceventi non identificati. Le risposte indicano l’ampiezza delle occa-
sioni di comunicazione simmetrica tra pari (86%) o comunque con persone
della cerchia familiare (64%), affettiva e sociale (32%). Tra le possibili occa-
sioni di comunicazione asimmetrica, pianificata e sostenuta, prevedibilmente,
è la comunicazione con docenti e personale universitario a rendere conto delle
esperienze del 45% delle rispondenti e in soli due casi la comunicazione scritta
avviene anche con pubblici ampi e indifferenziati.

6. Scrittura e riflessività
L’ultima sezione del questionario era incentrata sull’analisi riflessiva nelle atti-
vità di scrittura ricorrenti. La quasi totalità delle domande era a risposta aperta
così da lasciare ampia possibilità di formulazione e poter rilevare le categorie
utilizzate dalle rispondenti.
    La prima domanda, di tipo generale, chiedeva di indicare il livello di soddi-
sfazione rispetto ai testi prodotti. La maggioranza delle rispondenti si dichiara
“abbastanza soddisfatta” (57%) rispetto a un 23% che è “molto soddisfatto”
e a un 18% che è solitamente “poco soddisfatto” da quanto scrive. Solo in un
caso, il grado di soddisfazione è massimo.
Apprendenti universitari e profili di competenza               Quaderns d’Italià 26, 2021  231

    Le risposte alla richiesta di indicare che cosa risulti più o meno convin-
cente nei testi scritti possono essere raggruppate in 5 categorie: ideazione dei
contenuti; testualità; elementi microlinguistici; esecuzione; aspetti psicologici
o affettivi. Tra i punti di forza dichiarati, prevalgono gli aspetti relativi alla
testualità (come scorrevolezza, coerenza e organizzazione discorsiva, capacità
di sintesi ecc., con un 27% di risposte) seguiti da aspetti riconducibili a stati
d’animo o facoltà dello spirito (come sincerità, impegno, fantasia, capacità
ironica o di esprimere emozioni, senso di benessere nello scrivere ecc., con
un 18% di risposte) e, con pari percentuale (14% di risposte), da elementi
microlinguistici (come correttezza grammaticale, repertorio lessicale di base,
punteggiatura, ortografia e sintassi) e aspetti dell’ideazione e pianificazione
del testo (quali chiarezza, ricchezza e originalità dei contenuti). In ultimo,
sono segnalati tratti della capacità manuale e della presentazione visiva (come
calligrafia e scrittura ordinata, con il 9%).
    Rispetto ai punti deboli, le segnalazioni preponderanti, con il 41%, riguar-
dano gli aspetti microlinguistici (come povertà lessicale, difficoltà verbali, sin-
tattiche, ortografiche e di punteggiatura) e, a seguire con il 36%, gli elementi
testuali (quali scrittura prolissa o involuta, testi macchinosi, poco scorrevoli,
poco coerenti o comprensibili). Con la stessa percentuale complessiva (7%)
seguono sia le segnalazioni relative all’esecuzione (es., lentezza dovuta a scarsa
pratica scrittoria) sia quelle riguardanti la dimensione psicologica (problemi
di fantasia, ripetitività e paura di sbagliare).
    Alla richiesta di precisare le difficoltà incontrate, il 48% delle rispondenti
indica problemi di sintassi, incertezze grammaticali ecc., con una netta preva-
lenza delle segnalazioni su difficoltà lessicali di base e terminologiche (23%)
mentre il 36% delle risposte riporta problemi macrolinguistici con segnalazioni
sulla complessità del lavoro di sintesi (16%) e, in subordine, di tenuta di un
livello espressivo adeguato (11%). Gli impedimenti a livello affettivo (11%)
riguardano principalmente l’effetto demotivante e di disimpegno che può
risultare dal dover scrivere di contenuti considerati poco interessanti mentre
le indicazioni sulle difficoltà di esecuzione riguardano aspetti quali la gestione
del tempo negli esami (7%) e l’ideazione (4%).
 Testi da scrivere                                             facili           difficili
 risposte a questionari (Q)                                    91%              9%
 pagine di diario (D)                                          89%              11%
 lettere ed e-mail formali (LE)                                70%              30%
 narrazioni (N)                                                55%              45%
 presentazioni, recensioni di libri, progetti ecc. (PR)        41%              59%
 saggi brevi e tesine (ST)                                     39%              61%
 resoconti e relazioni (RR)                                    30%              70%

Tabella 2- Compiti di scrittura e difficoltà percepita (in ordine crescente).
232  Quaderns d’Italià 26, 2021                              Paola Polselli, Alice Fatone

Con le domande 4 (a risposta chiusa) e 5, si entrava nella discussione di det-
taglio giacché si chiedeva di definire sette forme testuali come facili o difficili
da scrivere e poi di motivare la risposta. L’elenco proposto comprendeva una
selezione di testi distintivi dell’ambito accademico e di uso comune quali
lettere ed e-mail formali (LE); resoconti e relazioni (RR); saggi brevi e tesine
(ST); presentazioni e recensioni di libri, progetti ecc. (PR); risposte a questio-
nari (Q); narrazioni (N); pagine di diario (D).
    Per la difficoltà percepita, primeggiano i resoconti e le relazioni (70%), i
saggi brevi e le tesine (61%), le presentazioni e le recensioni di libri, progetti
ecc. (59%). A seguire, le narrazioni sono considerate impegnative dal 45%
delle rispondenti e le lettere ed e-mail formali dal 30%. La scrittura diaristica
e le risposte a questionari sono generalmente considerate, per quanto non
unanimemente, di facile scrittura (11% e 9%). Per cogliere il carico cogni-
tivo dato dall’insieme dei testi che le matricole faticano a gestire nello studio
universitario, è utile analizzare i dati disaggregati. Ne risulta che, per il 50%
delle matricole, 3 o 4 delle forme testuali proposte sono complesse da scrivere,
poco meno della metà (43%) considera difficili soltanto 1 o 2 tipi di testo e
una ridotta percentuale (7%) dichiara difficoltà nello scrivere la gran parte (5
o 6) delle forme testuali ricorrenti nello studio accademico.
    Alla richiesta di spiegare l’origine delle difficoltà espresse, le rispondenti
le riconducono a carenze individuali (39%, es. q. 34 “Trovo difficoltà nella
scrittura formale, non padroneggio un lessico adatto per lettere ed e-mail
formali; nei saggi bravi e nelle tesine la mia difficoltà è quella di sviluppare un
testo correttamente suddiviso per argomenti e tesi da sviluppare.”), alle diffi-
coltà intrinseche alla scrittura di determinati tipi testuali (32%), all’assenza di
formazione o di pratica adeguata (27%).
    Dovendo indicare come le difficoltà incontrate sono generalmente affron-
tate o superate, molte risposte (32%) appaiono generiche e relative alla sfera
psicologica e affettiva, informative solo sul coinvolgimento e la motivazione
delle rispondenti. Il 68% delle matricole, invece, fornisce indicazioni sulle
strategie di superamento degli ostacoli e le capacità metacognitive di poten-
ziamento delle attività di scrittura a fini di studio. Le pratiche ricorrenti sono
descrivibili secondo tre categorie: l’uso di strumenti cartacei e digitali per
il controllo o l’ampliamento lessicale (20%); il ricorso a un giudizio/aiuto
esperto esterno (36%, in cui si predilige la consultazione tra pari, con affini
e familiari e in un solo caso si interpellano i docenti) e l’attivazione di proce-
dure che mirano a regolare e migliorare il processo e i prodotti della scrittura
(55%). Queste ultime, quando sono specificate, includono il lavoro di docu-
mentazione su esempi e modelli a cui ispirarsi (14%) e la schematizzazione
dei testi da comprendere o da scrivere (7%). È interessante notare come, a
livello individuale, solo il 18% delle matricole segnali un repertorio di strategie
diversificato, con il ricorso ad almeno due delle strategie proposte.
    Focalizzando l’attenzione sul processo più che sul prodotto della scrittura,
la domanda 7 chiedeva di precisare com’è organizzato il lavoro di produzione
dei testi scritti per studio. Scrive di getto il 32% delle rispondenti, di contro,
Apprendenti universitari e profili di competenza          Quaderns d’Italià 26, 2021  233

il 50% dichiara di passare attraverso più fasi di ideazione e ri/definizione dei
contenuti e il 16% delle matricole, che si comporta diversamente a seconda
dei casi, dimostra un’apprezzabile sensibilità alla dimensione pragmatica della
scrittura e alla necessaria attenzione a fattori quali scopi, destinatari, contenuti,
tipi di testo ecc. su cui definire il piano d’azione scrittoria. In un caso, infine,
una studentessa non madrelingua dichiara di tradurre in italiano quanto scrive-
rebbe in L1, con le ricadute che possiamo immaginare sui tempi di esecuzione,
in termini di accuratezza microlinguistica e di adeguatezza macrolinguistica.
     Le ultime domande interrogavano i bisogni formativi percepiti in rapporto
ad abilità e contenuti considerati necessari o utili nel corso OFA. Nell’11% dei
casi, si esprime una generica speranza di poter migliorare la propria capacità
di scrittura mentre nel 9% si auspica un lavoro sui metodi di studio. Più nello
specifico, il 18% delle rispondenti propone obiettivi di lavoro su aspetti micro-
linguistici (in particolare sulla grammatica e il lessico di base), e il 36% segnala
esigenze formative su aspetti macrolinguistici (specie la scrittura di sintesi, i
testi argomentativi, la comprensione scritta e la tenuta di registri formali). Nel
20% dei casi, le indicazioni riguardano entrambi i livelli di intervento. Tra i
casi restanti, infine, è interessante notare le risposte focalizzate sugli esami in
sé, che evidenziano, sì, una motivazione strumentale, ma denotano anche una
riflessione metalinguistica sul test di accesso iniziale o sui “criteri valutativi di
sistema” (q. 18, “Dato che frequentiamo il corso OFA perché non siamo riu-
sciti a pieno a raggiungere il punteggio minimo, penso che sia giusto affrontare
argomenti come sinonimi, punteggiatura e un po’ di grammatica in generale.
(visto che gli argomenti nel test erano questi)”) o all’esame finale per assolvere
il debito formativo (q. 42, “capire come si svolgerà la prova per esercitarmi e
riuscire a superarla, non ho degli argomenti specifici”, q. 42).

7. Discussione
Nell’ambito delle indagini sulle competenze linguistiche degli studenti uni-
versitari in Italia, ci siamo interrogate sul rapporto con la scrittura e su come e
quanto le pratiche di comunicazione scritta caratterizzino la popolazione gio-
vanile per individuarne dei tratti distintivi e rapportarli agli usi scritti ricorrenti
nella comunità di pratica accademica. Le percentuali fornite non hanno valore
statistico giacché non si tratta di questionari anonimi, il campione discusso
è ristretto alle studentesse frequentanti un corso OFA di due corsi di laurea e
la rilevazione è limitata all’anno accademico 2018/2019. Con questi limiti e
senza pretese di rappresentatività, possiamo sviluppare alcune riflessioni utili
sui punti di interesse: il profilo delle apprendenti in esame e le loro autode-
finizioni in termini di biografia linguistica, di pratiche scrittorie, di “bisogni
linguistico-comunicativi” espressi sulla scrittura, e di senso di autoefficacia
percepita circa i prodotti richiesti in ambito accademico.
    Riguardo alla dimensione plurilingue delle rispondenti, i dati rappresen-
tano una gamma di lingue e culture variegata e complessa, ma registrano anche
il progressivo abbandono delle lingue apprese in contesto formale. La lingua
234  Quaderns d’Italià 26, 2021                                         Paola Polselli, Alice Fatone

francese, spagnola e tedesca, acquisite in genere nella scuola secondaria di I
e II grado, non sono usate in contesto accademico e sono relegate a obiettivi
comunicativi privati, legati all’oralità (comunicazione con persone straniere,
spesso in viaggio) o alla velocità di fruizione (ascoltare musica, comunicare nel
web, vedere serie tv). L’uso dell’inglese condivide le stesse caratteristiche, ma se
ne attestano anche impieghi più accademici (studio e test di idoneità). Alcune
L2 (in particolare lo spagnolo), infine, sono apprese anche in età adulta, in
contesti informali (in viaggio) o in autoapprendimento, con risultati di com-
petenza discreti.
     Circa gli apprendimenti linguistici a scuola, si osserva come una focalizza-
zione circoscritta alla competenza linguistica e poco incentrata sulle occasioni
d’uso comunicativo mostri fragilità allorché le lingue non evolvono e si atro-
fizzano nel tempo. Questi dati sottolineano l’importanza di una formazione
linguistica mirata non solo allo sviluppo di competenze linguistiche tout court
ma tesa anche alla crescita di competenze comunicative e pragmatiche in una
relazione dinamica con le realtà interne ed esterne al contesto scolastico. In
un’università che, come principio teorico, vuole internazionalizzarsi offrendo
corsi in altre lingue e richiedendo una competenza plurilingue come requi-
sito di accesso,6 però, il plurilinguismo individuale non appare valorizzato: il
profilo linguistico delle apprendenti plurilingui per cui l’italiano non è la L1
e alle quali è stato attribuito l’OFA emerge soltanto in termini di deficit nelle
competenze linguistiche presupposte in italiano L1.
     Sugli usi linguistici situati nelle attività di produzione/interazione scritta e
il grado di familiarità con generi e tipi di testo praticati in ambito accademico,
alcuni risultati dell’indagine appaiono significativi. I dati sulle pratiche di
scrittura indicano che sono solitamente poco estese e circoscritte al solo ambito
di studio. Circa la dimensione sociale e situazionale delle comunicazioni in
ambito accademico, il passaggio a un maggior grado di formalità atteso e il più
ampio ruolo comunicativo assolto dalla comunicazione scritta nelle università
sono prevedibilmente parte del divario tra le richieste della scuola superiore e
dell’università. Di certo, i dati indicano uno stacco esperienziale che riguarda
non soltanto i contenuti (che rappresentano lo “specifico formativo” della
specializzazione insita negli studi universitari), ma anche e soprattutto il piano
funzionale (scopi della scrittura) e del pubblico a cui ci si rivolge. Sul piano
qualitativo, invece, se globalmente la gamma dei tipi di testo praticati appare
sufficientemente estesa per più della metà delle rispondenti, si rileva che, per il
55% delle studentesse, le forme considerate difficili comprendono solo esempi
di scrittura funzionale nell’ambito accademico e che il 59% dichiara una for-
mazione o una pratica ridotta o nulla.
     Riguardo alle origini delle difficoltà e alla loro percezione, rileviamo
la riflessività dimostrata su prospettive diverse rispetto alle incompetenze
personali dichiarate. Vista la dimensione formativa dell’indagine e le rica-
dute previste sulla definizione del corso in termini di motivazione, sillabo e

6. Nei corsi di laurea qui considerati, è richiesto un livello A2 di inglese.
Apprendenti universitari e profili di competenza          Quaderns d’Italià 26, 2021  235

coinvolgimento nel lavoro previsto, i punti trattati nel questionario si pone-
vano come una serie di domande tese a sollecitare la riflessione sul rapporto
con le lingue note e con le abitudini di scrittura per definire il proprio pro-
filo di apprendente rispetto alle abilità attese nel contesto accademico. Dalle
richieste di autovalutazione sulle competenze linguistiche in sé alle domande
più specifiche sulle forme testuali ricorrenti nei percorsi di studio intrapresi,
i quesiti proposti e le risposte fornite tracciavano un “percorso riflessivo” che
si è poi rispecchiato nella prospettiva da cui le matricole hanno risposto alle
ultime domande aperte. Qui, la riflessione si è focalizzata su alcune delle
coordinate che caratterizzano la scrittura come sistema integrato di azioni e
fasi che precedono o seguono la stesura dei testi. È interessante notare come
emerga sempre più rilevante la dimensione della “grammatica dei testi” e di
quella microlinguistica vista in un’ottica non più assoluta, ma situata. Definire
le proprie pratiche di scrittura in termini di tipi di testo significa riflettere sulle
forme di comunicazione scritta praticate in riferimento ai limiti o alle oppor-
tunità presupposti dalle diverse condizioni di mezzo, profondità e ampiezza,
intenzioni dell’emittente e aspettative del ricevente, margini di libertà espres-
siva e stilistica ecc. Nel contesto specifico, ciò ha significato considerare le
proprie attività di scrittura in riferimento a modelli testuali codificati in una
determinata comunità linguistica e (ri)costruire il panorama linguistico per-
sonale vagliandone le declinazioni e i (nuovi) obiettivi funzionali prevalenti.
Ne risulta un quadro complessivo in cui è predominante il ruolo educativo
che la formazione universitaria svolge o dovrebbe svolgere anche e soprattutto
rispetto a un rapporto più consapevole con le forme e le funzioni che la scrit-
tura incarna in contesto accademico (e professionale).

8. Conclusioni
Considerando in ottica longitudinale i fenomeni di decadimento linguistico
osservabili nel passaggio ai diversi ordini scolastici, De Mauro (De Mauro,
2001 (2018) invitava a riflettere e a ridefinire la formazione linguistica rap-
portandola alla progressione dei cicli di istruzione. Si tratta, dunque, di affian-
care all’attenzione posta sulla lingua “oggetto di acquisizione” (e sul livello di
padronanza atteso al termine della scuola superiore) l’attenzione alla capacità
comunicativa, vista in rapporto all’apprendente che ne esperisce le condizioni
d’uso nel nuovo contesto della comunicazione accademica (e disciplinare).
    Circa la scrittura e la relativa formazione, negli anni, l’attenzione degli stu-
diosi si è spostata dal talento individuale al prodotto di scrittura, dal processo
di produzione al complesso sistema cognitivo e di strutturazione delle cono-
scenze messo in atto dalla scrittura stessa. Nella pratica didattica, ciò ha portato
a critiche argomentate circa la tradizionale tendenza a richiedere di produrre
testi scritti senza la necessaria pratica sulle diverse fasi insite nella stesura di un
buon testo scritto o nell’analisi linguistica, sociolinguistica e pragmatica di una
varietà di tipi e modelli testuali. Questo processo attivo implica sia capacità
manuali sia capacità metacognitive, cognitive e linguistiche, necessarie per
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