Alcuni limiti nell'analisi sul linguaggio dei segni nel canto del Muu igala Massimo Squillacciotti

Pagina creata da Valentina Mele
 
CONTINUA A LEGGERE
Alcuni limiti nell’analisi sul linguaggio dei segni nel canto del Muu igala

Massimo Squillacciotti

        In occasione della commemorazione di Claude Lévi-Strauss ripropongo qui
un mio saggio di analisi critica dell’interpretazione del maestro riguardo all’efficacia
simbolica nel canto del parto Muu igala dei cuna di Panamá là dove la sola analisi di
un testo, senza riferimento al suo contesto etnografico, non solo è limitata ma diventa
anche fuorviante sia rispetto alla pratica rituale realmente messa in atto, sia rispetto
al sapere che quello stesso canto contiene e sia, ancora, al ruolo che il medico
tradizionale svolge in questo contesto e situazione di parto a rischio1.

                                      I bambini ripetono i nomi dei loro morti
                                      e, attaccati al petto della loro madre,
                                      annunciano che vivranno per sempre
                                      qualunque sia la durezza della vita.
                                      Io canto questa speranza del mio popolo
                                      raccogliendola nelle parole di questi versi
                                      che furono già annunciati dal padre di mio padre.
                                      Questo non è il tempo dell'ultima morte
                                      perché l'anima si vestirà d'oro
                                      nella casa di Paba.
                                      (traduzione libera da una poesia di Aiban Wagua)

1. Premessa

        Intendo argomentare l'inefficacia scientifica di analisi antropologiche del
simbolico svolte solo in termini di "testo", cioè di analisi avulse dal "contesto"
storico-culturale e della comunicazione, nel cui ambito avviene la produzione del
testo in questione o, per meglio dire, l'esecuzione della prova con tutto lo spessore
della pratica (che è pratica sociale), oggetto dell'interesse dell'antropologo.
        Mi riferisco in particolare al Muu igala o "Canto del parto", che fa parte del
sapere medico tradizionale dei cuna del Panamá e la cui versione scritta è stata
fornita dal cuna Guillermo Haya ai due ricercatori dell’Università di Göteborg, Nils

1
 Il saggio è stato pubblicato con il titolo “I linguaggi dei segni nel canto del Muu igala” nella mia
monografia, I Cuna di Panamá. Identità di popolo tra storia ed antropologia, L’Harmattan Italia,
Torino, 1988, pp. 123-147, testo riveduto dell’intervento al “Convegno Internazionale di Studi sul
Simbolo”, Siena, novembre 1994, con il titolo “L’interpretazione antropologica dei ‘simboli’ altrui,
ovvero del “Canto del parto” dei Cuna”.

                                                 1
Holmer ed Henry Wassén, che nel 1947 ne hanno curata la prima versione a stampa,
tradotta e commentata2.
        La mia proposta di lettura vuole individuare i termini metodologici di un
percorso analitico corretto di questo testo postulando la sua non autonomia e non
autosufficienza al di fuori del contesto che lo esprime, sia nel senso storico-culturale
che della comunicazione nella sua esecuzione rituale. Al contrario, il modo di
procedere limitato nell'analisi di questo testo cuna è qui esemplificato dalla proposta
di lettura operata da Claude Lévi-Strauss nel suo saggio L'efficacia simbolica del
1949, ripreso nel 1966 nel volume Antropologia strutturale3.

2. La lettura di Lévi-Strauss

        Il Muu igala è un canto di 535 versetti, nella versione a stampa, che viene
eseguito dal nele, uno dei due tipi di medico tradizionale, durante il parto quando
questo presenta una qualche difficoltà.
        Lévi-Strauss, sulla scia del commento al testo da parte dei ricercatori svedesi,
presenta il Muu igala come «il primo grande testo magico-religioso che si conosca
delle culture sudamericane»4 e su di esso opera in cinque momenti, distinti per
successione temporale e analitica: 1) presentando il testo; 2) interpretando il
contenuto del rito rappresentato nel testo; 3) individuando una definizione ed una
concatenazione dei termini linguistici implicati nel canto, con valenza magico-
religiosa legata all'esecuzione della prestazione medica; 4) argomentando sulla
funzione simbolica del testo per quanto riguarda l'efficacia curativa del canto nel rito
del parto difficile; 5) stabilendo una relazione tra la cura sciamanica e la terapia
psicanalitica.
        In primo luogo, lo studioso francese presenta l'andamento del canto, che
«inizia con un quadro della confusione» della levatrice rispetto alle difficoltà del
parto, «descrive la sua visita allo sciamano [ovvero il nele tra i cuna5 - ndr], la

2
  Holmer N. M., Wassén H., “Mu-igala or the way of Muu. A medicine song from the cuna indians of
Panama, after an original record by the cuna indian Guillermo Haya”, in Göteborgs Kungl. Vetenskaps
– och. Vitterhets-Samahälles, Göteborg, 1947. Per altri interventi sul tema della gravidanza e del parto
presso i cuna, vedi: Torres de Araúz R., Consideraciones etnográficas sobre embarazo y parto entre
los indios cunas, Panama, 1972. – Prestan Simon A., Problemas confrontados en la aplicación de la
medicina moderna en el cuidado del embarazo de las mujeres kunas de Panamá, Panama, 1979.
3
  Lévi-Strauss C., “L'efficacia simbolica”, in Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano, 1966,
pp. 210-230. Ediz. orig. del saggio 1949.
4
  Lévi-Strauss C., 1966, pp. 210.
5
  Al di là dei problemi di traduzione e di eventuale concordanza tra i due termini sciamano e nele, mi

2
partenza di costui per la capanna della partoriente, il suo arrivo, i suoi preparativi in
suffumigi di fave di cacao bruciate, invocazioni e confezione di immagini sacre o
nuchu. Tali immagini, scolpite in essenze prescritte che ne costituiscono l'efficacia,
rappresentano gli spiriti protettori, che lo sciamano rende suoi assistenti, e che egli
prende per la testa e conduce alla dimora di Muu, potenza responsabile della
formazione del feto. Il parto difficile si spiega col fatto che Muu è andata oltre le sue
attribuzioni e si è impadronita del purba o "anima" della futura madre. Così, il canto
consiste interamente in una ricerca del purba perduto, e che sarà restituito dopo
svariate peripezie [...] Vinta, Muu lascia scoprire e liberare il purba dell'ammalata; il
parto avviene e il canto termina con l'enunciazione delle precauzioni prese perché
Muu non possa sfuggire al seguito dei visitatori. La lotta non si è svolta contro la
stessa Muu, indispensabile alla procreazione, ma solo contro i suoi abusi; una volta
corretti questi, le relazioni tornano amichevoli e l'addio di Muu allo sciamano
equivale quasi a un invito: "Amico nele, quando verrai di nuovo a trovarmi?" (v.
412)»6.

          In secondo luogo, Lévi-Strauss manifesta tutto il suo interesse per il canto in
quanto tra i cuna «la cura non sembra esigere, da parte dell’officiante, un’estasi o un
passaggio a un secondo stato» nonostante «la stessa classificazione cuna, che
distingue fra parecchi tipi di medici, mostra chiaramente che il potere del nele ha
origini soprannaturali»7.
          Allora Lévi-Strauss spiega la sostanza "culturale" del canto in questi termini:
«il malato soffre perché ha perduto il suo doppio spirituale, o più esattamente uno dei
doppi particolari il cui insieme costituisce la sua forza vitale […] lo sciamano,
assistito dai suoi spiriti protettori, inizia un viaggio nel mondo soprannaturale per

preme qui ricordare che la definizione di "sciamano" deriva dal tunguso shaman (della famiglia
linguistica altaica, diffusa in Asia e in Europa orientale) e significa "colui che è sconvolto, trascinato".
Il dizionario di etnologia di Panoff M., Perrin M. (Newton Compton Editori, Roma, 1975, p. 192) così
recita in proposito: «personaggio socialmente riconosciuto, prete o guaritore, i cui poteri
soprannaturali risiedono nella padronanza di due tecniche caratteristiche: 1) l’estasi, 2) la possessione
da parte degli spiriti. Il mezzo attraverso il quale si presume che lo sciamano venga in aiuto ai membri
della comunità, che gli riconoscono la sua funzione sociale specifica, è il "viaggio" in cielo, nel corso
del quale egli si procura la guarigione o la divinazione combattendo o sottomettendo déi e spiriti».
6
  Lévi-Strauss C., 1966, pp. 210-211.
7
  Lévi-Strauss C., 1966, p. 211. Anche Severi C. (La memoria rituale, La Nuova Italia, Firenze, 1993)
riporta la credenza che il nele sia predestinato e che il segno di questo destino si verifichi quando un
neonato si presenta alla nascita avvolto, ancora in parte, nel velo della placenta. Piuttosto sono
propenso a ritenere che questo segno sia realmente vissuto solo come buon auspicio, equivalente del
nostro "nascere con la camicia", anche se ci sarà sempre qualcuno pronto a ricordarsi che quella
persona, divenuta adulta e fatta la scelta di diventare nele, era effettivamente nata in quella maniera.

                                                     3
strappare il doppio allo spirito maligno che l’ha catturato e, restituendolo al suo
proprietario, ne assicura la guarigione»8. In questa sua opera, lo sciamano è aiutato
dai nuchu «spiriti protettori che si incarnano, su chiamata dello sciamano, nelle
figurine da lui scolpite, ricevono dallo sciamano, con l’invisibilità e la veggenza,
alcune niga, “vitalità”, “resistenza”9, che li rendono nelegan (plurale di nele), cioè
“per il servizio degli uomini", esseri a "immagine degli uomini" (vv. 235-237), ma
dotati di poteri eccezionali»10.

        In terzo luogo, Lévi-Strauss, sempre sulla scia dei due antropologi svedesi,
asserisce che «l’interesse eccezionale del nostro testo non consiste tanto in questo
assetto formale, ma nella scoperta […] che Mu-Igala, ossia “la strada di Muu”, e la
dimora di Muu, non sono, per il pensiero indigeno, un itinerario e una dimora mitici,
ma rappresentano letteralmente la vagina e l'utero della donna incinta, che lo
sciamano e i nuchu esplorano, e nelle cui profondità disputano la loro vittoriosa
battaglia»11.
        Questa interpretazione si fonda principalmente sull'analisi del concetto di
purba, «principio spirituale diverso da niga […] Al contrario del primo, il secondo
non può essere sottratto al suo possessore; e solo gli uomini e gli animale ne sono
dotati. […] Sembra dunque che si possa, senza eccessiva inesattezza, tradurre niga
con forza vitale", e purba con "doppio" o "anima"»12.
        «Infatti, lo sciamano non solo ricupera il nigapurbalele13: la sua scoperta è
immediatamente seguita da quella, posta sullo stesso piano, di altri purba che sono
quelli del cuore, delle ossa, dei denti, dei capelli, delle unghie, dei piedi (vv. 401-408
e 435-442)»14.
        Inoltre «Muu e le sue figlie […]sono […] le forze che presiedono allo
sviluppo del feto e che gli conferiscono le sue kurngin, o capacità15. Ebbene il testo

8
  Lévi-Strauss C., 1966, p. 212.
9
  Lévi-Strauss C., 1966, p. 212.
10
   Lévi-Strauss C., 1966, p. 212.
11
   Lévi-Strauss C., 1966, p. 212.
12
   Lévi-Strauss C., 1966, p. 212.
13
   Il nigapurbalele è tradotto da N. Holmer con “l’anima della sua vita”, cioè letteralmente la forza
fisica della sua anima, di tutte le anime che compongono un organismo. Riferimento bibliografico
dello stesso Lévi-Strauss: Holmer N. M., Wassén H., “Mu-igala or the way of Muu. A medicine song
from the cuna indians of Panama, after an original record by the cuna indian Guillermo Haya”, in
Göteborgs Kungl. Vetenskaps – och. Vitterhets-Samahälles, Göteborg, 1947, pp. 78-79.
14
   Lévi-Strauss C., 1966, p. 213.
15
    Riferimento bibliografico dello stesso C. Lévi-Strauss: Nordenskiöld E., “A historical and
ethnological survey of the cuna Indians”, in collaboration with the cuna indian Ruben Perez Kantule,
arranged and edited from the posthumous manuscript and notes and original indian documents at the

4
non fa nessun riferimento a tali attributi positivi»16.

         In quarto luogo, in altri termini rispetto agli studiosi da lui stesso citati e sulla
base di questo suo percorso, Lévi-Strauss conclude che «il testo che abbiamo
analizzato porta un eccezionale contributo alla soluzione del problema [delle cure
sciamanistiche – ndr]. Costituisce una medicazione puramente psicologica, poiché lo
sciamano non tocca il corpo della ammalata e non le somministra nessun rimedio;
ma, nello stesso tempo, mette direttamente ed esplicitamente in causa lo stato
patologico e la sua sede: diremmo volentieri che il canto costituisce una
manipolazione psicologica dell'organo malato, e che proprio da tale manipolazione ci
si attende una guarigione»17.
         In che modo agirebbe questa manipolazione, operata simbolicamente, per una
sua efficacia curativa?
         In più punti successivi Lévi-Strauss, sulla base dei caratteri dell'oralità cuna,
quali la ripetitività dei termini e della metafora utero-via di Muu, afferma: «la tecnica
del racconto mira dunque a restituire una esperienza reale, in cui il mito si limita a
sostituire i protagonisti»18, oppure «il canto sembra avere come principale scopo
quello di descriverli [i mali del travaglio – ndr] all’ammalata, e di nominarglieli, di
rappresentarglieli in una forma che possa essere afferrata dal pensiero cosciente o
inconscio»19.
         Ancora, «la cura consisterebbe quindi nel rendere pensabile una situazione
che in partenza si presenta in termini affettivi: nel rendere accettabile alla mente
dolori che il corpo si rifiuta di tollerare. Che la mitologia dello sciamano non
corrisponda a una realtà oggettiva è un fatto privo di importanza: l'ammalata ci crede,
ed è un membro di una società che ci crede. Gli spiriti protettori e gli spiriti maligni, i
mostri soprannaturali e gli animali magici, fanno parte di un sistema coerente che

Gothenburg Ethnographical Museum by H. Wassén, Göteborg, in Comparative Ethnographical
Studies, 10, 1938, pp. 364 sgg.
16
   Lévi-Strauss C., 1966, p. 213.
17
   Lévi-Strauss C., 1966, pp. 215-216.
18
   Lévi-Strauss C., 1966, p. 218.
19
   Lévi-Strauss C., 1966, p. 219. A prosieguo della citazione, nel corso di questa "narrazione" del male
si verificano momenti di lotta e di azione del nele contro gli spiriti maligni, chiamati nia. Tralascio qui
i particolari narrati e le spiegazioni delle metafore, di cui alle pp. 220-221, ricordo solo il seguente
brano, omogeneo a quanto da me riportato fuori nota: «Ci sarebbero così due offensive lanciate in
soccorso dell’ammalata, e spiegabili l’una con una mitologia psicofisiologica, l’altra con una
mitologia psicosociale […] Si tratta infatti di costruire un insieme sistematico […] in cui tutti i
protagonisti abbiano ritrovato il loro posto e siano rientrati in un ordine sul quale non incombano più
minacce» (p. 221).

                                                    5
fonda la concezione indigena dell'universo. La malata li accetta, o, più esattamente,
non li ha mai messi in dubbio. Quel che non accetta, sono i dolori incoerenti e
arbitrari, che, invece, costituiscono un elemento estraneo al suo sistema, ma che,
grazie al ricorso al mito, vengono sostituiti dallo sciamano in un insieme in cui tutto
ha una ragione d'essere»20.
         Infine «l’ammalata, avendo capito, non si limita a rassegnarsi: guarisce21 […]
Lo sciamano fornisce alla sua ammalata un linguaggio nel quale possono esprimersi
immediatamente certi stati non formulati, e altrimenti non formulabili. E proprio il
passaggio a questa espressione verbale […] provoca lo sbloccarsi del processo
fisiologico, ossia la riorganizzazione, in un senso favorevole, della sequenza in cui
l’ammalata subisce lo svolgimento»22.
         In sostanza «le rappresentazioni evocate dallo sciamano determinano una
modificazione delle funzioni organiche della partoriente»23 e questo è reso possibile
per il fatto che «il subconscio è il lessico individuale in cui ciascuno di noi accumula
il vocabolario della propria storia personale, ma […] tale vocabolario acquista
significato […] solo nella misura in cui esso esercita la propria attività e per tutti gli
individui […] Il vocabolario importa meno della struttura. […] il mito […] attinge
dalle sue fonti […] solo il materiale d'immagini che impiega; ma la struttura resta la
stessa, e solo grazie a essa si compie la funzione simbolica»24.

         In quinto luogo Lévi-Strauss stabilisce un parallelo tra cura sciamanica, come
operata dal nele presso i cuna attraverso questo canto, e la terapia psicanalitica.
         Espressamente egli afferma: «la cura sciamanistica si colloca a metà strada
fra la nostra medicina organica e certe terapie psicologiche come la psicoanalisi. […]
Si tratta di suscitare una esperienza, e, nella misura in cui tale esperienza si
organizza, certi meccanismi posti al di fuori del controllo del soggetto si regolano
spontaneamente per dar luogo a un funzionamento ordinato. Lo sciamano adempie lo
stesso duplice ruolo dello psicanalista: un primo ruolo [...] stabilisce una relazione

20
   Lévi-Strauss C., 1966, pp. 221-222.
21
   A prosieguo della citazione: «Niente di simile avviene ai malati delle nostre società, quando si è ben
spiegato loro la causa delle loro disfunzioni invocando secrezioni, microbi o virus. […] la ragione di
ciò sta nel fatto che i microbi esistono, mentre i mostri non esistono. Eppure la relazione fra microbo e
malattia è esterna alla mentalità del paziente, è una relazione di causa ed effetto; mentre la relazione
fra mostro e malattia è interna a quella stessa mentalità, ne sia essa consapevole o meno: è una
relazione fra simbolo e cosa simbolizzata, o [...] fra significante e significato» (p. 222).
22
   Lévi-Strauss C., 1966, p. 222.
23
   Lévi-Strauss C., 1966, p. 225.
24
   Lévi-Strauss C., 1966, p. 228.

6
immediata con la coscienza - e mediata con l'inconscio - del malato. [...] [In un
secondo ruolo] egli si incarna, come lo psicanalista oggetto del transfer, per
diventare, grazie alle rappresentazioni indotte nello spirito del malato, il reale
protagonista del conflitto che quest'ultimo esperimenta a metà strada fra il mondo
organico e il mondo psichico. [...] la partoriente indigena supera un disordine
organico vero identificandosi a uno sciamano miticamente idealizzato»25.
        In questa prospettiva, lo studioso, al di là delle differenze individuate tra i due
metodi di cura, tira delle conclusioni a riguardo della relazione tra inconscio e mito,
sulla base di due argomentazioni.
        La prima riguarda il riconoscimento esplicito (o presupposto implicito?)
dell'uguaglianza dello "spirito umano": «l’inconscio […] si riduce a un termine con il
quale designiamo una funzione: la funzione simbolica, specificamente umana, certo,
ma che si esercita in tutti gli uomini, secondo le stesse leggi; e che si riduce, in realtà,
all’insieme di queste leggi»26.
        La seconda argomentazione riguarda la differenza sostanziale tra subconscio
ed inconscio, il loro il diverso ordine di statuto: «il subconscio è il lessico individuale
in cui ciascuno accumula il vocabolario della propria storia personale, ma acquista
significato, per noi stessi e per gli altri, solo nella misura in cui l’inconscio lo
organizza secondo le sue leggi, rendendolo così un discorso. Siccome tali leggi sono
le stesse, in tutte le occasioni in cui esso esercita la propria attività e per tutti gli
individui, il problema posto nel paragrafo precedente [la soluzione organica
dell'intervento psichico-mitico - ndr] può facilmente risolversi. Il vocabolario
importa meno della struttura. Che il mito sia ricreato dal soggetto o preso dalla
tradizione, sta di fatto che esso attinge dalle sue fonti, individuali e collettive, [...]
solo il materiale d'immagini che impiega; ma la struttura resta la stessa, e solo grazie
a essa si compie la funzione simbolica. [...] La forma mitica, infatti, precede il
contenuto del racconto»27.

3. Alcune questioni di metodo

        Allo stato attuale delle conoscenze della cultura cuna, mentre risulta corretto
il primo momento della lettura levistraussiana del Muu igala (punto 1), cioè la

25
   Lévi-Strauss C., 1966, pp. 222-223.
26
   Lévi-Strauss C., 1966, p. 227.
27
   Lévi-Strauss C., 1966, pp. 228-229.

                                             7
presentazione del testo nel suo svolgimento tematico, i quattro successivi momenti
interpretativi (punti 2-4) risultano più una esercitazione metodologica in sé, che
capaci di riportare un'effettiva rispondenza della realtà etnografica cuna, nella
dimensione specifica medica e generale della cultura, pur contenendo dei passaggi
analitici di rilievo.
           Mi riferisco più che all'interpretazione del contenuto del rito rappresentato nel
testo, soprattutto alla definizione e concatenazione dei termini linguistici implicati
nel canto, con valenza magico-religiosa legata alla sola esecuzione della prestazione
medica, ed all'argomentazione sulla funzione simbolica del testo per quanto riguarda
l'efficacia curativa del canto nel rito del parto difficile.
           Mentre l'ultimo punto (punto 5), che riguarda la relazione tra cura sciamanica
e terapia psicanalitica, sembra paradossalmente esulare da qualsiasi riferimento
etnografico, ancorché invocato, e scaturire piuttosto da inferenze e/o presupposti
ideologici impliciti nel percorso del metodo e nella prospettiva teorica dello studioso,
soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra psicanalisi ed etnologia.
           E' bene ricordare che si tratta qui di verificare sul terreno etnografico
l'impraticabilità dell'analisi di Lévi-Strauss, che non regge nell'affermazione di
"efficacia curativa simbolica" del Muu igala proprio nel confronto con il complesso
realmente operante.
           Ad esempio, si potrebbe insistere sull'opportunità, oggi possibilità conoscitiva
reale dal punto di vista etnografico, di presentazione dei simboli più certi e ricorrenti
nella tradizione orale dei canti sia specifici medici che socio-religiosi, come quelli
del complesso del Pab'igala (trattato o cammino di dio e dell'identità cuna) con cui
tutto il complesso del sapere specialistico è comunque rapportato. Infatti, da questo
punto di vista sarebbe da sottolineare che se nel Muu igala i nele vegliano e
percuotono i loro bastoni per quattro giorni (vv. 505-535), o che se il procedere dei
nele al termine del viaggio si svolge non più in fila ma "a quattro a quattro" (v. 388),
ciò indica la difesa e la riaffermazione della condizione dell'esistenza della vita
umana, che nella cosmologia e nella fondazione del sistema di numerazione cuna si
svolge, appunto, al quarto livello28.
           Ancora, si potrebbe spiegare che altri termini portatori di significato
simbolico e presenti nel testo del Muu igala sono i colori, che scandiscono e
caratterizzano le diverse fasi della lotta, del tempo, del cambiamento, dell'aspettativa

28
     Mentre la casa di Dio è collocata all'ottavo livello in quanto il numero 8, base dello stesso sistema di

8
di successo, della celebrazione del successo.
         Ancora, rispetto all'articolazione specialistica dei ruoli tecnici della medicina,
suddivisi nelle figure dei nele e degli ina tuledi, gli absogedi di cui parla Lévi-
Strauss non costituiscono un tipo a parte di specialisti, ma sono sempre dei nele
anche se conoscitori di particolari canti (absoget igala29) e diagnosi delle epidemie: è
messa qui in evidenza la sola competenza nel "sapere" tradizionale medico e non
quella di ruolo "tecnico" di operatore.
         D'altronde è ciò che avviene, parallelamente, anche per le figure sociali del
settore socio-religioso (saila ed argar; a parte i swar ibedi, guardiani) con il
riconoscimento di kantule, attribuito in base alla quantità e qualità di competenza
conoscitiva dei canti30 e non in base alla distinta e specifica funzione operativa di
ognuna di queste figure di "capo". D'altronde gli stessi medici, al di là della loro
articolazione interna in nele ed ina tuledi e del riconoscimento per alcuni di essere
conoscitori di canti medici specifici (absoget), prendono posto nella capanna della
riunione del popolo31 (onmakket nega) accanto a saila ed argar non impegnati
direttamente nella conduzione dell'assemblea, ed ai vari tipi di maestri ed esperti
della pratica e dei canti del proprio ramo del sapere artigianale e di mestiere (igargan
wisit): tutti questi sono accomunati dall'unico riconoscimento di tule tummat, di
sapienti.
         Intendo muovermi, piuttosto, partendo dalla dichiarazione di intenti delle
procedure conoscitive, preliminari all'analisi interna al testo, necessarie per la giusta
collocazione dello stesso nel suo contesto e per l'assunzione di una prospettiva che
tenga conto, in scala allo specifico, di cosa realmente sia il fatto a cui il testo si
accompagna: il parto nella cultura cuna.
         Le procedure da seguire sono, per lo meno:
         1) ricollocare il testo nel suo genere di appartenenza e sapere quali sono gli

numerazione, è Dio stesso.
29
   Absoget igala è il trattato, canto o cammino per guidare il nele, in caso di epidemia, verso gli strati
interni e profondi della natura nell'approfondimento della sua veggenza. Viene cantato per "otto"
giorni in una cerimonia collettiva.
30
   Il kantule è, in particolare, il saila conoscitore dei canti della pubertà, quali: kammu igala, usu yae
igala, tisla igala.
31
   La casa dei cuna è formata, in genere, da un recinto di canne al cui interno si erigono due capanne,
collegate da un patio (magabasogak): quella del giorno (soonega), con il focolare, gli strumenti e le
suppellettili d'uso quotidiano, e quella della notte (neitummat), con le amache ed i ripostigli per il
vestiario. In ogni villaggio vi sono, poi, alcune capanne "pubbliche" in cui, cioè, si svolgono momenti
di vita e di interesse sociale e collettivo: la onmakket nega, o casa del Congresso, è per le riunioni e le
assemblee del popolo; la inna nega, o casa della festa, per la celebrazioni festive quali il capodanno, la
festa dell’'anello della neonata, della pubertà femminile e del taglio dei capelli; la muu ibya kwagwen,
o casa del parto.

                                                    9
altri generi adiacenti;
        2) individuare il codice ed il registro linguistico usato in questo tipo di canti,
la diffusione sociale dell'intelligibilità di questi diversi codici e registri, come delle
variazioni tra i sessi in proposito;
        3) tener conto del contesto di esecuzione in cui il canto prende corpo e delle
modalità del suo svolgimento, ricercandovi i nessi con le concezioni ideali ed il
rapporto reale con la vita, il corpo, la malattia e la morte, come con la natura ed i suoi
rapporti con l'uomo;
        4) individuare il ruolo dei "giocatori" nell'esecuzione;
        5) fare un inventario di ricorrenza e di appartenenza dei significati dei termini
generici usati nel canto e verificarli in altri contesti d'uso;
        6) individuare la specificità dei termini specialistici usati nel canto e
verificarli in altri contesti d'uso;
        7) tener conto dei processi, delle abilità e delle competenze etno-cognitive;
        8) tener conto dei processi di trasformazione della cultura tradizionale come
di quelli di "invenzione della tradizione"32 e di acculturazione nel rapporto
città/villaggio.
        Proverò a seguire questo andamento, sperando di risolvere tutti i punti
enunciati, anche se non così distinti tra loro, tenendo comunque presente la distanza
cronologica che ci separa oggi dall'analisi di Lévi-Strauss e l'eventualità di un
mutamento del quadro in questione per i processi di innovazione e tradizione nella
cultura cuna nella dialettica del contatto con la cultura urbana ed occidentale...

4. Tradizione, letteratura e scienza

        Il testo del Muu igala fa parte, come ho già detto in apertura, del sapere
medico dei cuna: è chiamato igala, cioè "canto, trattato, cammino" e, come genere,
appartiene al complesso della tradizione orale. Più in generale, poi, il sapere
tradizionale è un patrimonio composto per un verso da conoscenza, pratica ed
esperienza e per un altro verso da una tradizione "letteraria" orale di cui una parte è
costituita appunto dai "trattati, canti, cammini" della cosmogonia, della religione,

32
   Cfr. Stefanoni S., “La dialettica del contatto: il caso dei Cuna. 2) Il ruolo della donna”, in
Latinoamerica, 29, 1988, pp. 110-112; ristampa in M. Squillacciotti (a cura di), 1942-1992. L’altra
storia: la conquista dell’America. Saggi sulle culture ed i movimenti indigeni latino-americani,
Quaderno della rivista Latinoamerica, Roma, 1991, pp. 120-123.

10
della tradizione, della politica, della scienza e della medicina.
         Accanto a questo ampio genere, considerato comunque unitario nei suoi
fondamenti, vi è poi una tradizione "narrativa": patrimonio composto di racconti,
favole, leggende, frasi proverbiali, ninne nanne... dalla circolazione varia e dal
duplice valore di ammaestramento ed intrattenimento.
         La trasmissione del sapere letterario e scientifico alle nuove generazioni è
affidata alle diverse figure di esperti che ne sono, quindi, i custodi, gli interpreti, i
maestri. Inoltre, la diversificazione della conoscenza del sapere poggia sulla diversità
dei livelli di profondità, competenza ed intervento, anche su di uno stesso campo del
reale, da parte dei diversi "operatori", ma non sulla diversità di ruoli gerarchici della
conoscenza né sulla separazione del rapporto conoscenza/intervento sul reale.
         Così i giovani che vogliano diventare argar o saila, ina tuledi o nele, al di là
delle credenze sulla disposizione innata nel soggetto verso una di queste figure ed al
di là dei modi di dire a riguardo, devono "andare a scuola" da uno di questi "maestri"
ed intraprendere con lui il cammino della conoscenza tecnica e della memoria del
sapere dei trattati: strada sempre e comunque legata alla coerenza e continuità con la
vita personale, sottoposta al vaglio del maestro e del villaggio.
         I trattati di argomento socio-religioso e collettivo vengono "cantati" durante
la riunione quotidiana del popolo nella grande capanna (onmakket nega) da due
saila: il primo porta avanti la narrazione ed il secondo si limita a rispondere ad ogni
fine di strofa "Così è" (teegiye). Al termine dell'esecuzione un altro capo (saila od
argar) interpreta ed espone con linguaggio quotidiano il significato del canto.
         Alla base di ogni trattato c'è sempre la presenza di dio (Paba), la
comprensione ed il rispetto delle forze della natura, il ripristino dell'ordine sconvolto
dagli spiriti del male (nia), la riflessione sull'esperienza delle figure mitiche della
cultura cuna33. La consapevolezza della circolarità ed unicità di questi trattati è
costante sia nell'esecuzione di ciascuno di essi da parte delle diverse figure, sia nel
loro insegnamento e nella trasmissione ai giovani che si dichiarano pronti a seguire la
scuola del maestro.
         I trattati della medicina sono di pertinenza di specifiche figure di esperti: ina

33
    Il complesso del Pab'igala si suddivide in tre raggruppamenti a seconda del contenuto
predominante e della funzione narrativa: 1) contenuto religioso e carattere storico-mitico: la creazione
del mondo, la malvagità dell'uomo, la salita dell'anima a dio, i castighi dell'umanità, i canti sui diversi
elementi della natura. 2) contenuto storico-mitico e carattere ammaestrativo: le figure di grandi eroi,
saila e nele, i ricordi delle loro gesta, lotte ed azioni da cui trarre ispirazione. 3) contenuto didascalico
e carattere esortativo, anche in momenti di festa: consigli per il popolo, ammonimenti, orientamenti

                                                    11
tuledi e nele e vengono eseguiti singolarmente sia durante la ricerca e la preparazione
delle erbe necessarie per la terapia, sia durante il trattamento in presenza del malato.
L'ina tuledi è il medico terapeuta, che ha conoscenza e tratta gli spiriti e le erbe
necessarie alle terapie; il nele è il medico diagnostico, uomo o donna con facoltà di
diagnosticare le malattie di ogni "genere" e fare da intermediario tra la natura e
l'uomo, per ristabilire un equilibrio turbato.
         Un esempio di trattati della medicina di pertinenza dell'ina tuledi è costituito
dalla lista seguente, anche se parziale: abgan nunmakket reumatismi; saban
nunmakket stomaco; kammu nunmakket bocca; disegat saadip diarrea; ibya isgwet
infiammazione degli occhi; wili eczema; karpisgwet fratture; poni ostarat
tubercolosi; yae naibe puna ulcera; gala nukki poliomielite.
         Un esempio di trattati della medicina di pertinenza del nele, è costituito da
quest'altra lista: kabur igala malaria; sia igala febbre; kurkin igala mal di testa, fatica
psichica; purua igala epilessia; manigar maniacalità; akkwaler igala febbre; muu
igala parto; absoget igala epidemia; masar igala guida per lo spirito dopo la morte;
nergan igala potenziamento della visione del nele; nia igala follia; serkan igala
sogni cattivi.
         Altre occasioni, ma anche altri contesti d'esposizione dei canti sono i riti di
passaggio femminili ed i riti funerari: il contesto non è più quello della onmakket
nega, ma, a seconda dei casi, quello della capanna della ragazza o della capanna del
defunto o della capanna della festa (inna nega) in presenza, comunque, dei familiari
e del resto del popolo. Questo tipo di riti vede anche un cambio parziale nella
persona che canta: in alcune fasi dei riti di passaggio e nei riti funerari il compito di
conduzione spetta al nele, mentre in altre fasi dei riti di passaggio tale compito spetta
al saila denominato kantule. In particolare, interviene il nele per la parte di
competenza relativa e che riguarda, rispettivamente, la perforazione del naso della
neonata per l'inserimento dell'anello ed il canto funebre per la guida dello spirito
dopo la morte (masar igala).
         Mentre al saila spetta il canto e la guida della cerimonia della pubertà sia
nella presentazione di una "nuova" donna adulta al villaggio che nella sua
accettazione collettiva nell'altra grande capanna del villaggio (inna nega), dove si
svolge la festa.
         In sostanza, da questo secondo gruppo di contesti rituali appare forse più

per la coltivazione della terra ed in genere per le diverse attività lavorative dell'uomo e della donna.

12
chiaro che queste due diverse figure di operatori (saila, nele) esprimono in primo
luogo una stessa funzione di base nel realizzare il rapporto del villaggio con dio, la
natura e gli uomini, e che quindi non vi è tra loro una distinzione del tipo pubblico e
privato, collettivo ed individuale, salute e malattia... Poi, e solo in secondo luogo,
esprimono una diversa competenza di sfera rituale che riguarda: per il primo, il
rapporto con dio, l'identità, la storia; per il secondo, il rapporto con gli spiriti, la
natura e l'anima.

5. Il codice linguistico

         Una seconda area di problemi riguarda l'individuazione del codice e del
registro linguistico usato in questo tipo di canti, la diffusione sociale della
intellegibilità di questi diversi codici linguistici orali, come delle variazioni tra i
sessi.
         Al di là dell'uso della pittografia, come mnemotecnica per la registrazione del
patrimonio specialistico, nella lingua cuna sono distinguibili diverse varietà
linguistiche applicate a diversi contesti della comunicazione.
         Inoltre, accanto alle differenze di campo d'applicazione, le differenze di
ordine stilistico, morfologico, sintattico e lessicale34 sembrano produrre in realtà veri
e propri linguaggi distinti35. Abbiamo così un linguaggio colloquiale della
comunicazione quotidiana (tule kaya), un linguaggio della tradizione usato dalle
diverse figure dei conoscitori della tradizione e dai leader in occasione delle
assemblee (sakla kaya), un linguaggio degli spiriti e della medicina padroneggiato
dai nele e dagli ina tuledi (suar mimmi kaya). A questi linguaggi, J. Sherzer aggiunge
a parte il linguaggio dei riti e dei canti della pubertà (kantule kaya).
         Per fare un esempio, nel Tad'Ibe o "Canto del sole"36 - una parte del
Pab'igala di lode a dio ed esortazione agli uomini per l'inizio del nuovo giorno - gli
elementi della natura vengono antropomorfizzati: di essi si parla in e con termini di
parentela oppure con i nomi di personaggi della tradizione connessa all'identità ed
alla storia dei cuna ed in genere vengono trattati con termini diminutivi. Le piante
sono donne (puna) o ragazze (waka); gli animali sono ragazzi (machi) od amici (ay);

34
   Cfr. Kramer F. W., “Literature among the cuna Indians”, in Etnologiska Studier, 30, 1970.
35
   Cfr. Sherzer J., Linguaggio e cultura. Il caso dei Kuna, Sellerio, Palermo, 1987, pp. 44-53. Ediz.
orig. Kuna ways of speaking, University of Texas Press, Austin, 1983.
36
   Vedi “I linguaggi della tradizione nel canto del Tad'ibe”, in Squillacciotti M., I Cuna di Panamà.
Identità di popolo tra storia ed antropologia, L’Harmattan Italia, Torino, 1998, pp. 101-121.

                                                 13
il sole ora è Olowaibippi ora Olokunnibe oppure Ibaokinyappi, Pugasuit ed altri
personaggi ancora.
        Frequenti sono le metafore: alcune facilmente intellegibili e ricorrenti, come
tuttu (fiore) per donna, altre più difficili non solo nel passaggio dal significato
quotidiano del termine a quello metaforico o specifico della tradizione dei canti:
nana tummat è la "nonna" nel linguaggio quotidiano affettuoso, diventa "la grande
madre" nel parlare figurato e poetico, fa riferimento alla "fecondità" nel canto.
D'altronde un elemento in proposito importante e caratterizzante la lingua cuna è che
il linguaggio dei canti, proprio perché "tradizionali", ricorre all'uso frequente di
parole arcaiche o cadute in disuso o di parole che nel corso del tempo hanno assunto
nuovi significati nell'uso quotidiano, mantenendo però la parte di significato
ereditato e fondato nel tempo a livello della sola competenza specialistica.
        Da notare inoltre che per ogni parlante è prevista la possibilità di operare un
intervento personale nell'uso della lingua, soprattutto in contesti pubblici ed ufficiali
nei quali un "buon parlatore" è colui che dimostra la sua abilità linguistica
"trattando" la lingua e ricorrendo alla formulazione di forme contratte del parlare.
Così, ad esempio, il concetto che "la casa di Dio è all'ottavo posto" viene espresso
con pillipaabakki pammaye, cioè con la forma contratta di pillipaabakkagine paba
maye.
        In conclusione, possiamo dire che il linguaggio dei canti, al di là della loro
classificazione in generi linguisticamente diversi, si presenta con diversi livelli di
significazione a seconda dell'utente del canto: cioè lo stesso canto può essere
interpretato nel suo linguaggio profondo da parte di chi ne conosce il genere
specifico, ma anche semplicemente nel suo significato più consueto e socialmente
condiviso da parte del popolo, ma ancora può essere compreso in suo significato
particolare da parte dei soggetti implicati per qualche motivo nella ritualità del canto
stesso. Può essere, ad esempio, il caso del "canto della pubertà" o del "canto del
parto" compreso, interpretato ed usato differentemente, nello stesso tempo, da parte
del cantore, della gente che assiste al rito e della ragazza di cui si celebra il menarca
o della donna che partorisce.

6. L'evento del parto

        Una terza area di problemi riguarda il contesto di esecuzione del Muu igala e

14
più in generale dello svolgimento dell'evento del parto.
       Quando la donna deve partorire, anche sulla base del calcolo della luna
effettuato dalle donne anziane che la assisteranno durante il parto, viene
accompagnata dalla madre o dalla nonna ed ospitata in una capanna apposita,
decentrata rispetto alle altre abitazioni. Questa è la capanna del parto, chiamata "la
casa della nonna da un occhio solo" (muu ibya kwagwen), con parole che incutono
soggezione per tenere lontana la curiosità dei bambini e degli uomini, compreso il
marito della donna che deve partorire.
       La capanna è formata da un solo ambiente al cui interno è ricavato un piccolo
recinto di canne (surba) foderato con foglie di banano, al pari di quanto avviene nella
capanna della notte (neitummat) per ospitare la ragazza al momento del menarca.
       Nei villaggi più grandi, i recinti nella capanna del parto possono essere due
per l'eventuale verificarsi di due parti in concomitanza. All'interno del recinto, un
palo orizzontale serve come appoggio alla donna che partorisce accovacciata: appena
il bambino nasce, viene deposto in terra tra le gambe della madre, appoggiato su un
letto di foglie di banano in attesa del taglio del cordone ombelicale.
       Presenti ed "assistenti" del parto sono solo quattro donne anziane, che
abbiano acquisito pratica di ostetricia, e poche altre più giovani in qualità di
apprendiste. Elementi materiali presenti all'interno della capanna sono le amache per
le donne anziane e per la puerpera, un focolare (in terra vicino all'entrata), legna da
ardere, recipienti pieni d'acqua, sostanze vegetali da bruciare sul fuoco (come il
cacao e l'aglio) per invocazione agli spiriti e per affumicare l'ambiente ed alleviare le
sofferenze della partoriente, piante aromatiche da mettere nell'acqua e con cui lavare
il neonato e la puerpera, pezze di stoffa, sostanze medicinali per l'occorrenza (come
una polvere rossa che serve da emostatico), forbici per il taglio del cordone
ombelicale, kana o sgabelli per sedersi nell'attesa e per l'eventuale nele, tabacco da
pipa (tutte le presenti devono fumare durante l'attesa una miscela di tabacco ed erbe).
       All'approssimarsi del parto, vengono bruciate sul fuoco sostanze forti, come
cacao ed aglio, mentre la donna beve un sostanza sciolta in acqua per facilitare le
contrazioni. Contemporaneamente la donna anziana le massaggia la pancia con un
liquido medicinale (sakkua) preparato dall'ina tuledi con il lattice di un albero.
       Quando le doglie si fanno più forti, la partoriente viene aiutata a spostarsi
dall'amaca al recinto, dove rimane solo con le donne anziane mentre tutte le altre
escono dalla capanna ed aspettano fuori.

                                           15
Anche qui la donna continua a bere lo stesso liquido medicinale di prima e ad
essere bagnata con il sakkua. Se, in questa fase prossima al parto, i dolori sono molto
forti, il corpo della partoriente viene strofinato con foglie di ortica per alleviare la
sofferenza. Al prolungarsi della fase espulsiva del parto, il viso della donna viene
affumicato con la miscela di tabacco, soffiata dalla bocca delle ostetriche.
        Se il parto si presenta rischioso, a questo punto viene chiamato il nele che,
seduto sul kana nella capanna ma fuori dal recinto della partoriente, canta il Muu
igala stando a testa bassa ed avendo davanti a sé i nuchu, le statuine di legno già
trattate con bagni di erbe e canti, perché questi segnino con la loro presenza il legame
simbolico della forza curativa delle sostanze naturali, preparate prima dall'ina tuledi
e somministrate ora dalle ostetriche, con l'armonia creativa dell'opera di Dio e
l'armonia sociale del popolo.
        Di tanto in tanto il nele si informa dalle ostetriche sulla situazione e
sull'andamento del parto. Se queste vedono che il parto non si risolve, ricollocano la
donna sull'amaca, le somministrano medicine (akkwanusa), la bagnano e le fanno
mangiare polvere d'ossa di animali finché questa non vomiti e non espella il neonato.
Ma, se a questo punto le donne anziane vedono che non c'è più nulla da fare, urlano
invocazioni a Muu ed a Paba tummat (dio grande) alzando le mani al cielo. Se la
partoriente comincia a delirare e dà chiari segni che sta per morire, le ostetriche
dicono che "vede gli spiriti dei morti che vogliono trascinarla via" ed allora bruciano
ancora gran quantità di cacao e di aglio fino a che la capanna è piena di fumo quasi al
punto di togliere il respiro.
        Se la donna è in procinto di morire, viene immediatamente trasportata nella
sua capanna perché è da lì che deve cominciare il suo cammino dopo la morte. Se
invece il parto è andato a buon fine, il neonato viene posto sul letto di foglie in terra
mentre la puerpera pronuncia un'invocazione a Muu e le ostetriche tagliano il
cordone ombelicale con le apposite forbici (anticamente veniva eseguito con un
coltello di pietra).
        Il neonato viene poi visitato da una delle ostetriche, lavato con acqua
aromatica di bichep, per igiene e perché reagisca con il pianto, poi gli viene
cicatrizzato il cordone ombelicale con la polvere rossa e, infine, viene messo in una
piccola amaca o in un apposito cesto, vicino al fuoco perché prenda calore.
        Le altre ostetriche pensano, invece, alla puerpera: la fanno sedere e le lavano
tutto il corpo, poi l'aiutano a coprirsi ed a coricarsi sull'amaca perché si riposi e,

16
infine, le viene fatta bere acqua e limone ed una piccola quantità di chiara d'uovo
perché si riprenda, mentre con erbe e chiara d'uovo viene massaggiata sul ventre.
        La placenta viene riposta in un involucro di foglie per essere poi sotterrata per
tre o quattro giorni sotto l'amaca della puerpera, nella sua capanna, finché questa non
sia sicuramente fuori pericolo. In seguito la placenta viene ricoperta di polvere di
cacao e sotterrata sulla terraferma sotto un albero: un cocco se il neonato è maschio,
un banano se il neonato è femmina.
        Nel caso che la creatura nasca morta, o muoia appena nata, ugualmente
vengono svolte le stesse pratiche ed il suo corpo posto accanto alla madre, come se
fosse vivo.

7. Interpreti e protagonisti; la nonna e gli spiriti

        Dalla descrizione del contesto e dell'evento del parto già risultano alcuni
punti di precisione a riguardo dei diversi ruoli dei "giocatori", del significato e del
ruolo del canto, del rapporto tra evento ed intervento; ma qui cominciano anche a
presentarsi le difformità con l'interpretazione levistraussiana ed i limiti di
quest'ultima. Procediamo per punti focali successivi.
        In primo luogo partiamo dal significato linguistico del nome Muu igala: il
canto prende nome da muu, la nonna, come la capanna del parto è chiamata "la casa
della nonna da un occhio solo" (muu ibya kwagwen). Inoltre la sua forma composta
muu tummat indica la bisnonna (grande nonna) e muukkua la sorella del nonno
paterno (nonna rotonda)37.
        Il Muu igala è il canto della fertilità e della continuità della vita, intonato dal
nele, solo e proprio quando la vita della partoriente è a rischio. E questo è una
determinazione di spazio preciso che configura l'appartenenza del Muu igala alla
parte della tradizione cuna che guarda verso la natura e gli spiriti a partire dall'ambito
dell'identità cuna di popolo: riguarda, cioè, la vita e la discendenza, piuttosto che una
terapia medica.
        Che poi esista un genere di tradizione orale, che Lévi-Strauss chiama mito, in
cui la figura di muu, la nonna già metafora della trasmissione della vita, possa
nuovamente essere traslata al significato di un personaggio «Muu, potenza

37
  Il termine muu, oltre che la nonna, è anche il mare e tada, il nonno paterno, è anche il sole. Nella
pratica del parto altre occorrenze dei termini presenti con la denominazione di parentela sono: sia,
cacao e figlia del fratello; ammor, vagina e zia materna.

                                                 17
responsabile della formazione del feto»38, è altra questione e riguarda per un verso i
fondamenti del "mito", i suoi caratteri come "discorso e linguaggio", e per un altro
verso il rapporto tra categorie di lingua e categorie di pensiero. Ma su questo
torneremo in seguito.
           In secondo luogo, a ciò fa riscontro il fatto che l'intervento del nele nel parto
si esaurisce nel ruolo di cantore, non entrando mai nelle questioni del rapporto
salute/malattia: il nele si rivolge agli spiriti della vita e della morte piuttosto che alla
partoriente ed alle ostetriche, che non sono sue interlocutrici, o meglio si rivolge
all'anima della partoriente che rischia di morire.
           Il potere evocativo della parola cantata dal nele si svolge rispetto alla
vita/morte della partoriente e della comunità, in un circuito parallelo e distinto da
quello dell'individuo donna che sta partorendo e delle ostetriche che l'assistono.
D'altronde, se esaminiamo il contesto dell'esecuzione, abbiamo da una parte il nele
con la funzione di "interprete" delle istanze dell'anima e della vita della donna
partoriente, in relazione di continuità con la comunità dei vivi e dei morti; da un'altra
le "protagoniste" del parto: la donna, stremata dalla difficoltà del parto, in uno stato
di semi-incoscienza per lo sforzo e per la terapia in corso, ed intorno a questa le
ostetriche che trattano il corpo della donna con sostanze medicamentose di vario
genere.
           Come dire che il nele, interprete socialmente autorizzato del canto, si rivolge
agli spiriti: i suoi interlocutori sono gli spiriti della vita quanto della morte, tenendo
presente la particolare condizione di rischio della partoriente che potrebbe anche
morire. Non a caso, anche se in altro contesto, è pur sempre il nele ad accompagnare
con il suo canto la veglia funebre (masar igala), perché l'anima del defunto inizi con
la morte il cammino che conduce a Paba (Pab'neg'igar).
           Ancora, dobbiamo ricordare anche che, quando le ostetriche vedono la donna
prossima a morire, questa viene immediatamente trasportata nella sua capanna
perché è da lì che deve cominciare il suo cammino dopo la morte e non dalla
"capanna della nonna", del parto in quanto continuità della vita.
           In terzo luogo, sulla base di quanto affermato prima sui caratteri
dell'articolazione del codice linguistico della lingua cuna, possiamo anche ritenere
che il canto abbia più livelli di significazione e che venga prodotto e fruito con
diverso atteggiamento d'ascolto e di intendimento da parte dei presenti (almeno di

38
     Lévi-Strauss C., 1966, pp. 210-211.

18
quelli in grado di prestare ascolto in questa occasione specifica), in sintonia con il
ruolo espresso da ciascuno in questa situazione. Cioè il Muu igala può essere
interpretato nel suo linguaggio profondo da parte di chi ne conosce il genere
specifico, ma anche semplicemente nel suo significato più consueto e socialmente
condiviso da parte del popolo, ma ancora può essere compreso in un suo significato
particolare da parte dei soggetti implicati nel contesto rituale del canto stesso.
       Ma quali i significati di questo canto per le diverse figure in questione e di
che livello d'ordine? Così abbiamo: il nele padrone delle conoscenze della natura e
dello spirito come del linguaggio "arcaico e specialistico" della tradizione; la
partoriente con il suo linguaggio d'uso quotidiano e, magari, la paura dell'incognita e
la fatica del parto; le ostetriche depositarie di un sapere tecnico ed impegnate in
precise e consapevoli operazioni di assistenza.
       A ben vedere, questa situazione linguistica ricorda quanto dice A. Gramsci a
proposito della comprensione della preghiera del Pater noster, recitato coralmente
durante la funzione religiosa della Messa, da parte del sacerdote e del popolo, ed in
cui quest'ultimo non solo non conosce il latino ma neanche l'equivalenza di questa
preghiera con la sua traduzione in italiano, ancorché memorizzata. Così il dona nobis
hodie panem quotidianum, al di là della funzione ideologica dell'uso del latino come
lingua separata da quella quotidiana e colloquiale, è prodotto e compreso dal
sacerdote per il suo significato italiano di "dacci oggi il nostro pane quotidiano",
mentre diventa per il popolo materia di immaginazione e di "mito". Infatti una ricca
nobildonna, Donna Bisodia, soleva aiutare i poveri del paese regalando loro il pane,
perché avessero almeno quello da mangiare... da qui l'invocazione a "Donna Bisodia
per il pane quotidiano", secondo la comprensione popolare.
       Ma, a certe condizioni, non è lo stesso significato di "preghiera per il pane"
che viene investito dal prete e dal popolo? Al di là di tutta una serie di differenze di
ruoli simbolici e sociali degli attori e di differenze tra loro riguardo a concezioni
ideologiche e teologiche intorno al mondo ed a dio, dal punto di vista letterario la
significazione di questo punto della preghiera è lo stesso per entrambi, appunto: la
richiesta di pane da parte dei bisognosi a chi, in un mondo di beni limitati, può
donarne almeno per la quantità del fabbisogno quotidiano.
       In quarto luogo, in sintonia con questo nuovo quadro etnografico da me
presentato, anche la funzione delle statuine (nuchu) presenti con il nele nella capanna
durante l'esecuzione del parto assume una precisazione difforme da quella accreditata

                                           19
da Lévi-Strauss sulla base della sua interpretazione del testo. A mio avviso, infatti, i
nuchu sono solo e proprio il segno della presenza del nele e della comunità in
armonia con dio e la natura, "segno" del trattamento in corso, legame simbolico della
forza curativa delle sostanze naturali, ma anche segno della "parola" in corso con il
canto... D'altronde, in caso di epidemia, nuchu più grandi vengono posti all'entrata
del recinto dell'abitazione dove vi sono persone malate39 proprio a significare il
trattamento in corso, per mantenere lo "spirito" della medicina e della sua efficacia.
        A scanso di equivoci, riguardo al potere curativo della medicina dei cuna, è
bene ricordare che questo popolo, a differenza degli europei, già nel '600 conosceva
il principio del vaccino e ne praticava la tecnica40: in caso di epidemia, ad esempio, il
malato veniva punto con una piccola freccia che, bagnata così del suo sangue, veniva
poi conficcata con un piccolo arco nel corpo delle persone sane per immunizzarle
con il germe iniettato in piccola dose, come appare anche nel testo di L. Wafer e
nella relativa incisione di I. Savage. Questo avvertimento per dire che, allora, il
primo ordine di espressione del ruolo dei nuchu è quello materiale riguardo a ciò che
si sta compiendo: per nessuno dei presenti i nuchu vogliono dire altro se non che,
appunto, il nele sta operando qualcosa riguardo alla salute di una persona, in genere,
e qui riguardo specificamente all'anima di una persona.
        In sostanza, dato questo contesto della conoscenza e della pratica della
medicina, non credo che per i cuna i nuchu «costituiscono l’efficacia, rappresentano
gli spiriti protettori, che lo sciamano rende suoi assistenti»41; per quel che riguarda la
nostra pratica medicinale, sarebbe come accreditare l'idea che la medicina che
assumiamo sia operante ed efficace grazie al foglietto delle "istruzioni per l'uso"
accluse alla confezione della medicina stessa...
        In quinto luogo, infine, anche se materia apparentemente periferica rispetto
alle argomentazioni levistraussiane relative alla "efficacia simbolica" del Muu igala,
è bene rilevare il complesso delle concezioni cuna relative all'anima, o meglio alle

39
   Esistono nuchu di varia grandezza: i più piccoli (nuchu mimmi) misurano circa 10 cm. e vengono
donati per augurio ai bambini con l'imposizione del nome; a me, adulto e straniero, è stato dato come
riconoscimento del mio lavoro con i maestri cuna e l'attribuzione di un nome indigeno. I nuchu di
media grandezza misurano dai 20 ai 30 cm. e vengono usati durante la preparazione della medicina e
con la sua somministrazione al paziente. I nuchu più grandi (nuchu tummat) misurano anche un metro
di altezza e sono quelli che vengono affissi all'entrata delle capanne dove è in corso un trattamento
contro casi di epidemia. Da notare che, con la diffusione di modelli urbani occidentali, le bambine
giocano oggi con "bambole" di legno simili ai nuchu di media grandezza e che non solo la statua della
Madonna nella chiesa cattolica è vestita come una donna cuna, ma anche i vari santi della religione
sono riprodotti in legno secondo gli stereotipi formali degli stessi nuchu.
40
   Cfr. Wafer L., A new voyage and description of the Isthmus of America, J. Knapton, London, 1699.
41
   Lévi-Strauss C., 1966, pp. 210 e 212.

20
Puoi anche leggere