Alcuni limiti nell'analisi sul linguaggio dei segni nel canto del Muu igala Massimo Squillacciotti
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Alcuni limiti nell’analisi sul linguaggio dei segni nel canto del Muu igala Massimo Squillacciotti In occasione della commemorazione di Claude Lévi-Strauss ripropongo qui un mio saggio di analisi critica dell’interpretazione del maestro riguardo all’efficacia simbolica nel canto del parto Muu igala dei cuna di Panamá là dove la sola analisi di un testo, senza riferimento al suo contesto etnografico, non solo è limitata ma diventa anche fuorviante sia rispetto alla pratica rituale realmente messa in atto, sia rispetto al sapere che quello stesso canto contiene e sia, ancora, al ruolo che il medico tradizionale svolge in questo contesto e situazione di parto a rischio1. I bambini ripetono i nomi dei loro morti e, attaccati al petto della loro madre, annunciano che vivranno per sempre qualunque sia la durezza della vita. Io canto questa speranza del mio popolo raccogliendola nelle parole di questi versi che furono già annunciati dal padre di mio padre. Questo non è il tempo dell'ultima morte perché l'anima si vestirà d'oro nella casa di Paba. (traduzione libera da una poesia di Aiban Wagua) 1. Premessa Intendo argomentare l'inefficacia scientifica di analisi antropologiche del simbolico svolte solo in termini di "testo", cioè di analisi avulse dal "contesto" storico-culturale e della comunicazione, nel cui ambito avviene la produzione del testo in questione o, per meglio dire, l'esecuzione della prova con tutto lo spessore della pratica (che è pratica sociale), oggetto dell'interesse dell'antropologo. Mi riferisco in particolare al Muu igala o "Canto del parto", che fa parte del sapere medico tradizionale dei cuna del Panamá e la cui versione scritta è stata fornita dal cuna Guillermo Haya ai due ricercatori dell’Università di Göteborg, Nils 1 Il saggio è stato pubblicato con il titolo “I linguaggi dei segni nel canto del Muu igala” nella mia monografia, I Cuna di Panamá. Identità di popolo tra storia ed antropologia, L’Harmattan Italia, Torino, 1988, pp. 123-147, testo riveduto dell’intervento al “Convegno Internazionale di Studi sul Simbolo”, Siena, novembre 1994, con il titolo “L’interpretazione antropologica dei ‘simboli’ altrui, ovvero del “Canto del parto” dei Cuna”. 1
Holmer ed Henry Wassén, che nel 1947 ne hanno curata la prima versione a stampa, tradotta e commentata2. La mia proposta di lettura vuole individuare i termini metodologici di un percorso analitico corretto di questo testo postulando la sua non autonomia e non autosufficienza al di fuori del contesto che lo esprime, sia nel senso storico-culturale che della comunicazione nella sua esecuzione rituale. Al contrario, il modo di procedere limitato nell'analisi di questo testo cuna è qui esemplificato dalla proposta di lettura operata da Claude Lévi-Strauss nel suo saggio L'efficacia simbolica del 1949, ripreso nel 1966 nel volume Antropologia strutturale3. 2. La lettura di Lévi-Strauss Il Muu igala è un canto di 535 versetti, nella versione a stampa, che viene eseguito dal nele, uno dei due tipi di medico tradizionale, durante il parto quando questo presenta una qualche difficoltà. Lévi-Strauss, sulla scia del commento al testo da parte dei ricercatori svedesi, presenta il Muu igala come «il primo grande testo magico-religioso che si conosca delle culture sudamericane»4 e su di esso opera in cinque momenti, distinti per successione temporale e analitica: 1) presentando il testo; 2) interpretando il contenuto del rito rappresentato nel testo; 3) individuando una definizione ed una concatenazione dei termini linguistici implicati nel canto, con valenza magico- religiosa legata all'esecuzione della prestazione medica; 4) argomentando sulla funzione simbolica del testo per quanto riguarda l'efficacia curativa del canto nel rito del parto difficile; 5) stabilendo una relazione tra la cura sciamanica e la terapia psicanalitica. In primo luogo, lo studioso francese presenta l'andamento del canto, che «inizia con un quadro della confusione» della levatrice rispetto alle difficoltà del parto, «descrive la sua visita allo sciamano [ovvero il nele tra i cuna5 - ndr], la 2 Holmer N. M., Wassén H., “Mu-igala or the way of Muu. A medicine song from the cuna indians of Panama, after an original record by the cuna indian Guillermo Haya”, in Göteborgs Kungl. Vetenskaps – och. Vitterhets-Samahälles, Göteborg, 1947. Per altri interventi sul tema della gravidanza e del parto presso i cuna, vedi: Torres de Araúz R., Consideraciones etnográficas sobre embarazo y parto entre los indios cunas, Panama, 1972. – Prestan Simon A., Problemas confrontados en la aplicación de la medicina moderna en el cuidado del embarazo de las mujeres kunas de Panamá, Panama, 1979. 3 Lévi-Strauss C., “L'efficacia simbolica”, in Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano, 1966, pp. 210-230. Ediz. orig. del saggio 1949. 4 Lévi-Strauss C., 1966, pp. 210. 5 Al di là dei problemi di traduzione e di eventuale concordanza tra i due termini sciamano e nele, mi 2
partenza di costui per la capanna della partoriente, il suo arrivo, i suoi preparativi in suffumigi di fave di cacao bruciate, invocazioni e confezione di immagini sacre o nuchu. Tali immagini, scolpite in essenze prescritte che ne costituiscono l'efficacia, rappresentano gli spiriti protettori, che lo sciamano rende suoi assistenti, e che egli prende per la testa e conduce alla dimora di Muu, potenza responsabile della formazione del feto. Il parto difficile si spiega col fatto che Muu è andata oltre le sue attribuzioni e si è impadronita del purba o "anima" della futura madre. Così, il canto consiste interamente in una ricerca del purba perduto, e che sarà restituito dopo svariate peripezie [...] Vinta, Muu lascia scoprire e liberare il purba dell'ammalata; il parto avviene e il canto termina con l'enunciazione delle precauzioni prese perché Muu non possa sfuggire al seguito dei visitatori. La lotta non si è svolta contro la stessa Muu, indispensabile alla procreazione, ma solo contro i suoi abusi; una volta corretti questi, le relazioni tornano amichevoli e l'addio di Muu allo sciamano equivale quasi a un invito: "Amico nele, quando verrai di nuovo a trovarmi?" (v. 412)»6. In secondo luogo, Lévi-Strauss manifesta tutto il suo interesse per il canto in quanto tra i cuna «la cura non sembra esigere, da parte dell’officiante, un’estasi o un passaggio a un secondo stato» nonostante «la stessa classificazione cuna, che distingue fra parecchi tipi di medici, mostra chiaramente che il potere del nele ha origini soprannaturali»7. Allora Lévi-Strauss spiega la sostanza "culturale" del canto in questi termini: «il malato soffre perché ha perduto il suo doppio spirituale, o più esattamente uno dei doppi particolari il cui insieme costituisce la sua forza vitale […] lo sciamano, assistito dai suoi spiriti protettori, inizia un viaggio nel mondo soprannaturale per preme qui ricordare che la definizione di "sciamano" deriva dal tunguso shaman (della famiglia linguistica altaica, diffusa in Asia e in Europa orientale) e significa "colui che è sconvolto, trascinato". Il dizionario di etnologia di Panoff M., Perrin M. (Newton Compton Editori, Roma, 1975, p. 192) così recita in proposito: «personaggio socialmente riconosciuto, prete o guaritore, i cui poteri soprannaturali risiedono nella padronanza di due tecniche caratteristiche: 1) l’estasi, 2) la possessione da parte degli spiriti. Il mezzo attraverso il quale si presume che lo sciamano venga in aiuto ai membri della comunità, che gli riconoscono la sua funzione sociale specifica, è il "viaggio" in cielo, nel corso del quale egli si procura la guarigione o la divinazione combattendo o sottomettendo déi e spiriti». 6 Lévi-Strauss C., 1966, pp. 210-211. 7 Lévi-Strauss C., 1966, p. 211. Anche Severi C. (La memoria rituale, La Nuova Italia, Firenze, 1993) riporta la credenza che il nele sia predestinato e che il segno di questo destino si verifichi quando un neonato si presenta alla nascita avvolto, ancora in parte, nel velo della placenta. Piuttosto sono propenso a ritenere che questo segno sia realmente vissuto solo come buon auspicio, equivalente del nostro "nascere con la camicia", anche se ci sarà sempre qualcuno pronto a ricordarsi che quella persona, divenuta adulta e fatta la scelta di diventare nele, era effettivamente nata in quella maniera. 3
strappare il doppio allo spirito maligno che l’ha catturato e, restituendolo al suo proprietario, ne assicura la guarigione»8. In questa sua opera, lo sciamano è aiutato dai nuchu «spiriti protettori che si incarnano, su chiamata dello sciamano, nelle figurine da lui scolpite, ricevono dallo sciamano, con l’invisibilità e la veggenza, alcune niga, “vitalità”, “resistenza”9, che li rendono nelegan (plurale di nele), cioè “per il servizio degli uomini", esseri a "immagine degli uomini" (vv. 235-237), ma dotati di poteri eccezionali»10. In terzo luogo, Lévi-Strauss, sempre sulla scia dei due antropologi svedesi, asserisce che «l’interesse eccezionale del nostro testo non consiste tanto in questo assetto formale, ma nella scoperta […] che Mu-Igala, ossia “la strada di Muu”, e la dimora di Muu, non sono, per il pensiero indigeno, un itinerario e una dimora mitici, ma rappresentano letteralmente la vagina e l'utero della donna incinta, che lo sciamano e i nuchu esplorano, e nelle cui profondità disputano la loro vittoriosa battaglia»11. Questa interpretazione si fonda principalmente sull'analisi del concetto di purba, «principio spirituale diverso da niga […] Al contrario del primo, il secondo non può essere sottratto al suo possessore; e solo gli uomini e gli animale ne sono dotati. […] Sembra dunque che si possa, senza eccessiva inesattezza, tradurre niga con forza vitale", e purba con "doppio" o "anima"»12. «Infatti, lo sciamano non solo ricupera il nigapurbalele13: la sua scoperta è immediatamente seguita da quella, posta sullo stesso piano, di altri purba che sono quelli del cuore, delle ossa, dei denti, dei capelli, delle unghie, dei piedi (vv. 401-408 e 435-442)»14. Inoltre «Muu e le sue figlie […]sono […] le forze che presiedono allo sviluppo del feto e che gli conferiscono le sue kurngin, o capacità15. Ebbene il testo 8 Lévi-Strauss C., 1966, p. 212. 9 Lévi-Strauss C., 1966, p. 212. 10 Lévi-Strauss C., 1966, p. 212. 11 Lévi-Strauss C., 1966, p. 212. 12 Lévi-Strauss C., 1966, p. 212. 13 Il nigapurbalele è tradotto da N. Holmer con “l’anima della sua vita”, cioè letteralmente la forza fisica della sua anima, di tutte le anime che compongono un organismo. Riferimento bibliografico dello stesso Lévi-Strauss: Holmer N. M., Wassén H., “Mu-igala or the way of Muu. A medicine song from the cuna indians of Panama, after an original record by the cuna indian Guillermo Haya”, in Göteborgs Kungl. Vetenskaps – och. Vitterhets-Samahälles, Göteborg, 1947, pp. 78-79. 14 Lévi-Strauss C., 1966, p. 213. 15 Riferimento bibliografico dello stesso C. Lévi-Strauss: Nordenskiöld E., “A historical and ethnological survey of the cuna Indians”, in collaboration with the cuna indian Ruben Perez Kantule, arranged and edited from the posthumous manuscript and notes and original indian documents at the 4
non fa nessun riferimento a tali attributi positivi»16. In quarto luogo, in altri termini rispetto agli studiosi da lui stesso citati e sulla base di questo suo percorso, Lévi-Strauss conclude che «il testo che abbiamo analizzato porta un eccezionale contributo alla soluzione del problema [delle cure sciamanistiche – ndr]. Costituisce una medicazione puramente psicologica, poiché lo sciamano non tocca il corpo della ammalata e non le somministra nessun rimedio; ma, nello stesso tempo, mette direttamente ed esplicitamente in causa lo stato patologico e la sua sede: diremmo volentieri che il canto costituisce una manipolazione psicologica dell'organo malato, e che proprio da tale manipolazione ci si attende una guarigione»17. In che modo agirebbe questa manipolazione, operata simbolicamente, per una sua efficacia curativa? In più punti successivi Lévi-Strauss, sulla base dei caratteri dell'oralità cuna, quali la ripetitività dei termini e della metafora utero-via di Muu, afferma: «la tecnica del racconto mira dunque a restituire una esperienza reale, in cui il mito si limita a sostituire i protagonisti»18, oppure «il canto sembra avere come principale scopo quello di descriverli [i mali del travaglio – ndr] all’ammalata, e di nominarglieli, di rappresentarglieli in una forma che possa essere afferrata dal pensiero cosciente o inconscio»19. Ancora, «la cura consisterebbe quindi nel rendere pensabile una situazione che in partenza si presenta in termini affettivi: nel rendere accettabile alla mente dolori che il corpo si rifiuta di tollerare. Che la mitologia dello sciamano non corrisponda a una realtà oggettiva è un fatto privo di importanza: l'ammalata ci crede, ed è un membro di una società che ci crede. Gli spiriti protettori e gli spiriti maligni, i mostri soprannaturali e gli animali magici, fanno parte di un sistema coerente che Gothenburg Ethnographical Museum by H. Wassén, Göteborg, in Comparative Ethnographical Studies, 10, 1938, pp. 364 sgg. 16 Lévi-Strauss C., 1966, p. 213. 17 Lévi-Strauss C., 1966, pp. 215-216. 18 Lévi-Strauss C., 1966, p. 218. 19 Lévi-Strauss C., 1966, p. 219. A prosieguo della citazione, nel corso di questa "narrazione" del male si verificano momenti di lotta e di azione del nele contro gli spiriti maligni, chiamati nia. Tralascio qui i particolari narrati e le spiegazioni delle metafore, di cui alle pp. 220-221, ricordo solo il seguente brano, omogeneo a quanto da me riportato fuori nota: «Ci sarebbero così due offensive lanciate in soccorso dell’ammalata, e spiegabili l’una con una mitologia psicofisiologica, l’altra con una mitologia psicosociale […] Si tratta infatti di costruire un insieme sistematico […] in cui tutti i protagonisti abbiano ritrovato il loro posto e siano rientrati in un ordine sul quale non incombano più minacce» (p. 221). 5
fonda la concezione indigena dell'universo. La malata li accetta, o, più esattamente, non li ha mai messi in dubbio. Quel che non accetta, sono i dolori incoerenti e arbitrari, che, invece, costituiscono un elemento estraneo al suo sistema, ma che, grazie al ricorso al mito, vengono sostituiti dallo sciamano in un insieme in cui tutto ha una ragione d'essere»20. Infine «l’ammalata, avendo capito, non si limita a rassegnarsi: guarisce21 […] Lo sciamano fornisce alla sua ammalata un linguaggio nel quale possono esprimersi immediatamente certi stati non formulati, e altrimenti non formulabili. E proprio il passaggio a questa espressione verbale […] provoca lo sbloccarsi del processo fisiologico, ossia la riorganizzazione, in un senso favorevole, della sequenza in cui l’ammalata subisce lo svolgimento»22. In sostanza «le rappresentazioni evocate dallo sciamano determinano una modificazione delle funzioni organiche della partoriente»23 e questo è reso possibile per il fatto che «il subconscio è il lessico individuale in cui ciascuno di noi accumula il vocabolario della propria storia personale, ma […] tale vocabolario acquista significato […] solo nella misura in cui esso esercita la propria attività e per tutti gli individui […] Il vocabolario importa meno della struttura. […] il mito […] attinge dalle sue fonti […] solo il materiale d'immagini che impiega; ma la struttura resta la stessa, e solo grazie a essa si compie la funzione simbolica»24. In quinto luogo Lévi-Strauss stabilisce un parallelo tra cura sciamanica, come operata dal nele presso i cuna attraverso questo canto, e la terapia psicanalitica. Espressamente egli afferma: «la cura sciamanistica si colloca a metà strada fra la nostra medicina organica e certe terapie psicologiche come la psicoanalisi. […] Si tratta di suscitare una esperienza, e, nella misura in cui tale esperienza si organizza, certi meccanismi posti al di fuori del controllo del soggetto si regolano spontaneamente per dar luogo a un funzionamento ordinato. Lo sciamano adempie lo stesso duplice ruolo dello psicanalista: un primo ruolo [...] stabilisce una relazione 20 Lévi-Strauss C., 1966, pp. 221-222. 21 A prosieguo della citazione: «Niente di simile avviene ai malati delle nostre società, quando si è ben spiegato loro la causa delle loro disfunzioni invocando secrezioni, microbi o virus. […] la ragione di ciò sta nel fatto che i microbi esistono, mentre i mostri non esistono. Eppure la relazione fra microbo e malattia è esterna alla mentalità del paziente, è una relazione di causa ed effetto; mentre la relazione fra mostro e malattia è interna a quella stessa mentalità, ne sia essa consapevole o meno: è una relazione fra simbolo e cosa simbolizzata, o [...] fra significante e significato» (p. 222). 22 Lévi-Strauss C., 1966, p. 222. 23 Lévi-Strauss C., 1966, p. 225. 24 Lévi-Strauss C., 1966, p. 228. 6
immediata con la coscienza - e mediata con l'inconscio - del malato. [...] [In un secondo ruolo] egli si incarna, come lo psicanalista oggetto del transfer, per diventare, grazie alle rappresentazioni indotte nello spirito del malato, il reale protagonista del conflitto che quest'ultimo esperimenta a metà strada fra il mondo organico e il mondo psichico. [...] la partoriente indigena supera un disordine organico vero identificandosi a uno sciamano miticamente idealizzato»25. In questa prospettiva, lo studioso, al di là delle differenze individuate tra i due metodi di cura, tira delle conclusioni a riguardo della relazione tra inconscio e mito, sulla base di due argomentazioni. La prima riguarda il riconoscimento esplicito (o presupposto implicito?) dell'uguaglianza dello "spirito umano": «l’inconscio […] si riduce a un termine con il quale designiamo una funzione: la funzione simbolica, specificamente umana, certo, ma che si esercita in tutti gli uomini, secondo le stesse leggi; e che si riduce, in realtà, all’insieme di queste leggi»26. La seconda argomentazione riguarda la differenza sostanziale tra subconscio ed inconscio, il loro il diverso ordine di statuto: «il subconscio è il lessico individuale in cui ciascuno accumula il vocabolario della propria storia personale, ma acquista significato, per noi stessi e per gli altri, solo nella misura in cui l’inconscio lo organizza secondo le sue leggi, rendendolo così un discorso. Siccome tali leggi sono le stesse, in tutte le occasioni in cui esso esercita la propria attività e per tutti gli individui, il problema posto nel paragrafo precedente [la soluzione organica dell'intervento psichico-mitico - ndr] può facilmente risolversi. Il vocabolario importa meno della struttura. Che il mito sia ricreato dal soggetto o preso dalla tradizione, sta di fatto che esso attinge dalle sue fonti, individuali e collettive, [...] solo il materiale d'immagini che impiega; ma la struttura resta la stessa, e solo grazie a essa si compie la funzione simbolica. [...] La forma mitica, infatti, precede il contenuto del racconto»27. 3. Alcune questioni di metodo Allo stato attuale delle conoscenze della cultura cuna, mentre risulta corretto il primo momento della lettura levistraussiana del Muu igala (punto 1), cioè la 25 Lévi-Strauss C., 1966, pp. 222-223. 26 Lévi-Strauss C., 1966, p. 227. 27 Lévi-Strauss C., 1966, pp. 228-229. 7
presentazione del testo nel suo svolgimento tematico, i quattro successivi momenti interpretativi (punti 2-4) risultano più una esercitazione metodologica in sé, che capaci di riportare un'effettiva rispondenza della realtà etnografica cuna, nella dimensione specifica medica e generale della cultura, pur contenendo dei passaggi analitici di rilievo. Mi riferisco più che all'interpretazione del contenuto del rito rappresentato nel testo, soprattutto alla definizione e concatenazione dei termini linguistici implicati nel canto, con valenza magico-religiosa legata alla sola esecuzione della prestazione medica, ed all'argomentazione sulla funzione simbolica del testo per quanto riguarda l'efficacia curativa del canto nel rito del parto difficile. Mentre l'ultimo punto (punto 5), che riguarda la relazione tra cura sciamanica e terapia psicanalitica, sembra paradossalmente esulare da qualsiasi riferimento etnografico, ancorché invocato, e scaturire piuttosto da inferenze e/o presupposti ideologici impliciti nel percorso del metodo e nella prospettiva teorica dello studioso, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra psicanalisi ed etnologia. E' bene ricordare che si tratta qui di verificare sul terreno etnografico l'impraticabilità dell'analisi di Lévi-Strauss, che non regge nell'affermazione di "efficacia curativa simbolica" del Muu igala proprio nel confronto con il complesso realmente operante. Ad esempio, si potrebbe insistere sull'opportunità, oggi possibilità conoscitiva reale dal punto di vista etnografico, di presentazione dei simboli più certi e ricorrenti nella tradizione orale dei canti sia specifici medici che socio-religiosi, come quelli del complesso del Pab'igala (trattato o cammino di dio e dell'identità cuna) con cui tutto il complesso del sapere specialistico è comunque rapportato. Infatti, da questo punto di vista sarebbe da sottolineare che se nel Muu igala i nele vegliano e percuotono i loro bastoni per quattro giorni (vv. 505-535), o che se il procedere dei nele al termine del viaggio si svolge non più in fila ma "a quattro a quattro" (v. 388), ciò indica la difesa e la riaffermazione della condizione dell'esistenza della vita umana, che nella cosmologia e nella fondazione del sistema di numerazione cuna si svolge, appunto, al quarto livello28. Ancora, si potrebbe spiegare che altri termini portatori di significato simbolico e presenti nel testo del Muu igala sono i colori, che scandiscono e caratterizzano le diverse fasi della lotta, del tempo, del cambiamento, dell'aspettativa 28 Mentre la casa di Dio è collocata all'ottavo livello in quanto il numero 8, base dello stesso sistema di 8
di successo, della celebrazione del successo. Ancora, rispetto all'articolazione specialistica dei ruoli tecnici della medicina, suddivisi nelle figure dei nele e degli ina tuledi, gli absogedi di cui parla Lévi- Strauss non costituiscono un tipo a parte di specialisti, ma sono sempre dei nele anche se conoscitori di particolari canti (absoget igala29) e diagnosi delle epidemie: è messa qui in evidenza la sola competenza nel "sapere" tradizionale medico e non quella di ruolo "tecnico" di operatore. D'altronde è ciò che avviene, parallelamente, anche per le figure sociali del settore socio-religioso (saila ed argar; a parte i swar ibedi, guardiani) con il riconoscimento di kantule, attribuito in base alla quantità e qualità di competenza conoscitiva dei canti30 e non in base alla distinta e specifica funzione operativa di ognuna di queste figure di "capo". D'altronde gli stessi medici, al di là della loro articolazione interna in nele ed ina tuledi e del riconoscimento per alcuni di essere conoscitori di canti medici specifici (absoget), prendono posto nella capanna della riunione del popolo31 (onmakket nega) accanto a saila ed argar non impegnati direttamente nella conduzione dell'assemblea, ed ai vari tipi di maestri ed esperti della pratica e dei canti del proprio ramo del sapere artigianale e di mestiere (igargan wisit): tutti questi sono accomunati dall'unico riconoscimento di tule tummat, di sapienti. Intendo muovermi, piuttosto, partendo dalla dichiarazione di intenti delle procedure conoscitive, preliminari all'analisi interna al testo, necessarie per la giusta collocazione dello stesso nel suo contesto e per l'assunzione di una prospettiva che tenga conto, in scala allo specifico, di cosa realmente sia il fatto a cui il testo si accompagna: il parto nella cultura cuna. Le procedure da seguire sono, per lo meno: 1) ricollocare il testo nel suo genere di appartenenza e sapere quali sono gli numerazione, è Dio stesso. 29 Absoget igala è il trattato, canto o cammino per guidare il nele, in caso di epidemia, verso gli strati interni e profondi della natura nell'approfondimento della sua veggenza. Viene cantato per "otto" giorni in una cerimonia collettiva. 30 Il kantule è, in particolare, il saila conoscitore dei canti della pubertà, quali: kammu igala, usu yae igala, tisla igala. 31 La casa dei cuna è formata, in genere, da un recinto di canne al cui interno si erigono due capanne, collegate da un patio (magabasogak): quella del giorno (soonega), con il focolare, gli strumenti e le suppellettili d'uso quotidiano, e quella della notte (neitummat), con le amache ed i ripostigli per il vestiario. In ogni villaggio vi sono, poi, alcune capanne "pubbliche" in cui, cioè, si svolgono momenti di vita e di interesse sociale e collettivo: la onmakket nega, o casa del Congresso, è per le riunioni e le assemblee del popolo; la inna nega, o casa della festa, per la celebrazioni festive quali il capodanno, la festa dell’'anello della neonata, della pubertà femminile e del taglio dei capelli; la muu ibya kwagwen, o casa del parto. 9
altri generi adiacenti; 2) individuare il codice ed il registro linguistico usato in questo tipo di canti, la diffusione sociale dell'intelligibilità di questi diversi codici e registri, come delle variazioni tra i sessi in proposito; 3) tener conto del contesto di esecuzione in cui il canto prende corpo e delle modalità del suo svolgimento, ricercandovi i nessi con le concezioni ideali ed il rapporto reale con la vita, il corpo, la malattia e la morte, come con la natura ed i suoi rapporti con l'uomo; 4) individuare il ruolo dei "giocatori" nell'esecuzione; 5) fare un inventario di ricorrenza e di appartenenza dei significati dei termini generici usati nel canto e verificarli in altri contesti d'uso; 6) individuare la specificità dei termini specialistici usati nel canto e verificarli in altri contesti d'uso; 7) tener conto dei processi, delle abilità e delle competenze etno-cognitive; 8) tener conto dei processi di trasformazione della cultura tradizionale come di quelli di "invenzione della tradizione"32 e di acculturazione nel rapporto città/villaggio. Proverò a seguire questo andamento, sperando di risolvere tutti i punti enunciati, anche se non così distinti tra loro, tenendo comunque presente la distanza cronologica che ci separa oggi dall'analisi di Lévi-Strauss e l'eventualità di un mutamento del quadro in questione per i processi di innovazione e tradizione nella cultura cuna nella dialettica del contatto con la cultura urbana ed occidentale... 4. Tradizione, letteratura e scienza Il testo del Muu igala fa parte, come ho già detto in apertura, del sapere medico dei cuna: è chiamato igala, cioè "canto, trattato, cammino" e, come genere, appartiene al complesso della tradizione orale. Più in generale, poi, il sapere tradizionale è un patrimonio composto per un verso da conoscenza, pratica ed esperienza e per un altro verso da una tradizione "letteraria" orale di cui una parte è costituita appunto dai "trattati, canti, cammini" della cosmogonia, della religione, 32 Cfr. Stefanoni S., “La dialettica del contatto: il caso dei Cuna. 2) Il ruolo della donna”, in Latinoamerica, 29, 1988, pp. 110-112; ristampa in M. Squillacciotti (a cura di), 1942-1992. L’altra storia: la conquista dell’America. Saggi sulle culture ed i movimenti indigeni latino-americani, Quaderno della rivista Latinoamerica, Roma, 1991, pp. 120-123. 10
della tradizione, della politica, della scienza e della medicina. Accanto a questo ampio genere, considerato comunque unitario nei suoi fondamenti, vi è poi una tradizione "narrativa": patrimonio composto di racconti, favole, leggende, frasi proverbiali, ninne nanne... dalla circolazione varia e dal duplice valore di ammaestramento ed intrattenimento. La trasmissione del sapere letterario e scientifico alle nuove generazioni è affidata alle diverse figure di esperti che ne sono, quindi, i custodi, gli interpreti, i maestri. Inoltre, la diversificazione della conoscenza del sapere poggia sulla diversità dei livelli di profondità, competenza ed intervento, anche su di uno stesso campo del reale, da parte dei diversi "operatori", ma non sulla diversità di ruoli gerarchici della conoscenza né sulla separazione del rapporto conoscenza/intervento sul reale. Così i giovani che vogliano diventare argar o saila, ina tuledi o nele, al di là delle credenze sulla disposizione innata nel soggetto verso una di queste figure ed al di là dei modi di dire a riguardo, devono "andare a scuola" da uno di questi "maestri" ed intraprendere con lui il cammino della conoscenza tecnica e della memoria del sapere dei trattati: strada sempre e comunque legata alla coerenza e continuità con la vita personale, sottoposta al vaglio del maestro e del villaggio. I trattati di argomento socio-religioso e collettivo vengono "cantati" durante la riunione quotidiana del popolo nella grande capanna (onmakket nega) da due saila: il primo porta avanti la narrazione ed il secondo si limita a rispondere ad ogni fine di strofa "Così è" (teegiye). Al termine dell'esecuzione un altro capo (saila od argar) interpreta ed espone con linguaggio quotidiano il significato del canto. Alla base di ogni trattato c'è sempre la presenza di dio (Paba), la comprensione ed il rispetto delle forze della natura, il ripristino dell'ordine sconvolto dagli spiriti del male (nia), la riflessione sull'esperienza delle figure mitiche della cultura cuna33. La consapevolezza della circolarità ed unicità di questi trattati è costante sia nell'esecuzione di ciascuno di essi da parte delle diverse figure, sia nel loro insegnamento e nella trasmissione ai giovani che si dichiarano pronti a seguire la scuola del maestro. I trattati della medicina sono di pertinenza di specifiche figure di esperti: ina 33 Il complesso del Pab'igala si suddivide in tre raggruppamenti a seconda del contenuto predominante e della funzione narrativa: 1) contenuto religioso e carattere storico-mitico: la creazione del mondo, la malvagità dell'uomo, la salita dell'anima a dio, i castighi dell'umanità, i canti sui diversi elementi della natura. 2) contenuto storico-mitico e carattere ammaestrativo: le figure di grandi eroi, saila e nele, i ricordi delle loro gesta, lotte ed azioni da cui trarre ispirazione. 3) contenuto didascalico e carattere esortativo, anche in momenti di festa: consigli per il popolo, ammonimenti, orientamenti 11
tuledi e nele e vengono eseguiti singolarmente sia durante la ricerca e la preparazione delle erbe necessarie per la terapia, sia durante il trattamento in presenza del malato. L'ina tuledi è il medico terapeuta, che ha conoscenza e tratta gli spiriti e le erbe necessarie alle terapie; il nele è il medico diagnostico, uomo o donna con facoltà di diagnosticare le malattie di ogni "genere" e fare da intermediario tra la natura e l'uomo, per ristabilire un equilibrio turbato. Un esempio di trattati della medicina di pertinenza dell'ina tuledi è costituito dalla lista seguente, anche se parziale: abgan nunmakket reumatismi; saban nunmakket stomaco; kammu nunmakket bocca; disegat saadip diarrea; ibya isgwet infiammazione degli occhi; wili eczema; karpisgwet fratture; poni ostarat tubercolosi; yae naibe puna ulcera; gala nukki poliomielite. Un esempio di trattati della medicina di pertinenza del nele, è costituito da quest'altra lista: kabur igala malaria; sia igala febbre; kurkin igala mal di testa, fatica psichica; purua igala epilessia; manigar maniacalità; akkwaler igala febbre; muu igala parto; absoget igala epidemia; masar igala guida per lo spirito dopo la morte; nergan igala potenziamento della visione del nele; nia igala follia; serkan igala sogni cattivi. Altre occasioni, ma anche altri contesti d'esposizione dei canti sono i riti di passaggio femminili ed i riti funerari: il contesto non è più quello della onmakket nega, ma, a seconda dei casi, quello della capanna della ragazza o della capanna del defunto o della capanna della festa (inna nega) in presenza, comunque, dei familiari e del resto del popolo. Questo tipo di riti vede anche un cambio parziale nella persona che canta: in alcune fasi dei riti di passaggio e nei riti funerari il compito di conduzione spetta al nele, mentre in altre fasi dei riti di passaggio tale compito spetta al saila denominato kantule. In particolare, interviene il nele per la parte di competenza relativa e che riguarda, rispettivamente, la perforazione del naso della neonata per l'inserimento dell'anello ed il canto funebre per la guida dello spirito dopo la morte (masar igala). Mentre al saila spetta il canto e la guida della cerimonia della pubertà sia nella presentazione di una "nuova" donna adulta al villaggio che nella sua accettazione collettiva nell'altra grande capanna del villaggio (inna nega), dove si svolge la festa. In sostanza, da questo secondo gruppo di contesti rituali appare forse più per la coltivazione della terra ed in genere per le diverse attività lavorative dell'uomo e della donna. 12
chiaro che queste due diverse figure di operatori (saila, nele) esprimono in primo luogo una stessa funzione di base nel realizzare il rapporto del villaggio con dio, la natura e gli uomini, e che quindi non vi è tra loro una distinzione del tipo pubblico e privato, collettivo ed individuale, salute e malattia... Poi, e solo in secondo luogo, esprimono una diversa competenza di sfera rituale che riguarda: per il primo, il rapporto con dio, l'identità, la storia; per il secondo, il rapporto con gli spiriti, la natura e l'anima. 5. Il codice linguistico Una seconda area di problemi riguarda l'individuazione del codice e del registro linguistico usato in questo tipo di canti, la diffusione sociale della intellegibilità di questi diversi codici linguistici orali, come delle variazioni tra i sessi. Al di là dell'uso della pittografia, come mnemotecnica per la registrazione del patrimonio specialistico, nella lingua cuna sono distinguibili diverse varietà linguistiche applicate a diversi contesti della comunicazione. Inoltre, accanto alle differenze di campo d'applicazione, le differenze di ordine stilistico, morfologico, sintattico e lessicale34 sembrano produrre in realtà veri e propri linguaggi distinti35. Abbiamo così un linguaggio colloquiale della comunicazione quotidiana (tule kaya), un linguaggio della tradizione usato dalle diverse figure dei conoscitori della tradizione e dai leader in occasione delle assemblee (sakla kaya), un linguaggio degli spiriti e della medicina padroneggiato dai nele e dagli ina tuledi (suar mimmi kaya). A questi linguaggi, J. Sherzer aggiunge a parte il linguaggio dei riti e dei canti della pubertà (kantule kaya). Per fare un esempio, nel Tad'Ibe o "Canto del sole"36 - una parte del Pab'igala di lode a dio ed esortazione agli uomini per l'inizio del nuovo giorno - gli elementi della natura vengono antropomorfizzati: di essi si parla in e con termini di parentela oppure con i nomi di personaggi della tradizione connessa all'identità ed alla storia dei cuna ed in genere vengono trattati con termini diminutivi. Le piante sono donne (puna) o ragazze (waka); gli animali sono ragazzi (machi) od amici (ay); 34 Cfr. Kramer F. W., “Literature among the cuna Indians”, in Etnologiska Studier, 30, 1970. 35 Cfr. Sherzer J., Linguaggio e cultura. Il caso dei Kuna, Sellerio, Palermo, 1987, pp. 44-53. Ediz. orig. Kuna ways of speaking, University of Texas Press, Austin, 1983. 36 Vedi “I linguaggi della tradizione nel canto del Tad'ibe”, in Squillacciotti M., I Cuna di Panamà. Identità di popolo tra storia ed antropologia, L’Harmattan Italia, Torino, 1998, pp. 101-121. 13
il sole ora è Olowaibippi ora Olokunnibe oppure Ibaokinyappi, Pugasuit ed altri personaggi ancora. Frequenti sono le metafore: alcune facilmente intellegibili e ricorrenti, come tuttu (fiore) per donna, altre più difficili non solo nel passaggio dal significato quotidiano del termine a quello metaforico o specifico della tradizione dei canti: nana tummat è la "nonna" nel linguaggio quotidiano affettuoso, diventa "la grande madre" nel parlare figurato e poetico, fa riferimento alla "fecondità" nel canto. D'altronde un elemento in proposito importante e caratterizzante la lingua cuna è che il linguaggio dei canti, proprio perché "tradizionali", ricorre all'uso frequente di parole arcaiche o cadute in disuso o di parole che nel corso del tempo hanno assunto nuovi significati nell'uso quotidiano, mantenendo però la parte di significato ereditato e fondato nel tempo a livello della sola competenza specialistica. Da notare inoltre che per ogni parlante è prevista la possibilità di operare un intervento personale nell'uso della lingua, soprattutto in contesti pubblici ed ufficiali nei quali un "buon parlatore" è colui che dimostra la sua abilità linguistica "trattando" la lingua e ricorrendo alla formulazione di forme contratte del parlare. Così, ad esempio, il concetto che "la casa di Dio è all'ottavo posto" viene espresso con pillipaabakki pammaye, cioè con la forma contratta di pillipaabakkagine paba maye. In conclusione, possiamo dire che il linguaggio dei canti, al di là della loro classificazione in generi linguisticamente diversi, si presenta con diversi livelli di significazione a seconda dell'utente del canto: cioè lo stesso canto può essere interpretato nel suo linguaggio profondo da parte di chi ne conosce il genere specifico, ma anche semplicemente nel suo significato più consueto e socialmente condiviso da parte del popolo, ma ancora può essere compreso in suo significato particolare da parte dei soggetti implicati per qualche motivo nella ritualità del canto stesso. Può essere, ad esempio, il caso del "canto della pubertà" o del "canto del parto" compreso, interpretato ed usato differentemente, nello stesso tempo, da parte del cantore, della gente che assiste al rito e della ragazza di cui si celebra il menarca o della donna che partorisce. 6. L'evento del parto Una terza area di problemi riguarda il contesto di esecuzione del Muu igala e 14
più in generale dello svolgimento dell'evento del parto. Quando la donna deve partorire, anche sulla base del calcolo della luna effettuato dalle donne anziane che la assisteranno durante il parto, viene accompagnata dalla madre o dalla nonna ed ospitata in una capanna apposita, decentrata rispetto alle altre abitazioni. Questa è la capanna del parto, chiamata "la casa della nonna da un occhio solo" (muu ibya kwagwen), con parole che incutono soggezione per tenere lontana la curiosità dei bambini e degli uomini, compreso il marito della donna che deve partorire. La capanna è formata da un solo ambiente al cui interno è ricavato un piccolo recinto di canne (surba) foderato con foglie di banano, al pari di quanto avviene nella capanna della notte (neitummat) per ospitare la ragazza al momento del menarca. Nei villaggi più grandi, i recinti nella capanna del parto possono essere due per l'eventuale verificarsi di due parti in concomitanza. All'interno del recinto, un palo orizzontale serve come appoggio alla donna che partorisce accovacciata: appena il bambino nasce, viene deposto in terra tra le gambe della madre, appoggiato su un letto di foglie di banano in attesa del taglio del cordone ombelicale. Presenti ed "assistenti" del parto sono solo quattro donne anziane, che abbiano acquisito pratica di ostetricia, e poche altre più giovani in qualità di apprendiste. Elementi materiali presenti all'interno della capanna sono le amache per le donne anziane e per la puerpera, un focolare (in terra vicino all'entrata), legna da ardere, recipienti pieni d'acqua, sostanze vegetali da bruciare sul fuoco (come il cacao e l'aglio) per invocazione agli spiriti e per affumicare l'ambiente ed alleviare le sofferenze della partoriente, piante aromatiche da mettere nell'acqua e con cui lavare il neonato e la puerpera, pezze di stoffa, sostanze medicinali per l'occorrenza (come una polvere rossa che serve da emostatico), forbici per il taglio del cordone ombelicale, kana o sgabelli per sedersi nell'attesa e per l'eventuale nele, tabacco da pipa (tutte le presenti devono fumare durante l'attesa una miscela di tabacco ed erbe). All'approssimarsi del parto, vengono bruciate sul fuoco sostanze forti, come cacao ed aglio, mentre la donna beve un sostanza sciolta in acqua per facilitare le contrazioni. Contemporaneamente la donna anziana le massaggia la pancia con un liquido medicinale (sakkua) preparato dall'ina tuledi con il lattice di un albero. Quando le doglie si fanno più forti, la partoriente viene aiutata a spostarsi dall'amaca al recinto, dove rimane solo con le donne anziane mentre tutte le altre escono dalla capanna ed aspettano fuori. 15
Anche qui la donna continua a bere lo stesso liquido medicinale di prima e ad essere bagnata con il sakkua. Se, in questa fase prossima al parto, i dolori sono molto forti, il corpo della partoriente viene strofinato con foglie di ortica per alleviare la sofferenza. Al prolungarsi della fase espulsiva del parto, il viso della donna viene affumicato con la miscela di tabacco, soffiata dalla bocca delle ostetriche. Se il parto si presenta rischioso, a questo punto viene chiamato il nele che, seduto sul kana nella capanna ma fuori dal recinto della partoriente, canta il Muu igala stando a testa bassa ed avendo davanti a sé i nuchu, le statuine di legno già trattate con bagni di erbe e canti, perché questi segnino con la loro presenza il legame simbolico della forza curativa delle sostanze naturali, preparate prima dall'ina tuledi e somministrate ora dalle ostetriche, con l'armonia creativa dell'opera di Dio e l'armonia sociale del popolo. Di tanto in tanto il nele si informa dalle ostetriche sulla situazione e sull'andamento del parto. Se queste vedono che il parto non si risolve, ricollocano la donna sull'amaca, le somministrano medicine (akkwanusa), la bagnano e le fanno mangiare polvere d'ossa di animali finché questa non vomiti e non espella il neonato. Ma, se a questo punto le donne anziane vedono che non c'è più nulla da fare, urlano invocazioni a Muu ed a Paba tummat (dio grande) alzando le mani al cielo. Se la partoriente comincia a delirare e dà chiari segni che sta per morire, le ostetriche dicono che "vede gli spiriti dei morti che vogliono trascinarla via" ed allora bruciano ancora gran quantità di cacao e di aglio fino a che la capanna è piena di fumo quasi al punto di togliere il respiro. Se la donna è in procinto di morire, viene immediatamente trasportata nella sua capanna perché è da lì che deve cominciare il suo cammino dopo la morte. Se invece il parto è andato a buon fine, il neonato viene posto sul letto di foglie in terra mentre la puerpera pronuncia un'invocazione a Muu e le ostetriche tagliano il cordone ombelicale con le apposite forbici (anticamente veniva eseguito con un coltello di pietra). Il neonato viene poi visitato da una delle ostetriche, lavato con acqua aromatica di bichep, per igiene e perché reagisca con il pianto, poi gli viene cicatrizzato il cordone ombelicale con la polvere rossa e, infine, viene messo in una piccola amaca o in un apposito cesto, vicino al fuoco perché prenda calore. Le altre ostetriche pensano, invece, alla puerpera: la fanno sedere e le lavano tutto il corpo, poi l'aiutano a coprirsi ed a coricarsi sull'amaca perché si riposi e, 16
infine, le viene fatta bere acqua e limone ed una piccola quantità di chiara d'uovo perché si riprenda, mentre con erbe e chiara d'uovo viene massaggiata sul ventre. La placenta viene riposta in un involucro di foglie per essere poi sotterrata per tre o quattro giorni sotto l'amaca della puerpera, nella sua capanna, finché questa non sia sicuramente fuori pericolo. In seguito la placenta viene ricoperta di polvere di cacao e sotterrata sulla terraferma sotto un albero: un cocco se il neonato è maschio, un banano se il neonato è femmina. Nel caso che la creatura nasca morta, o muoia appena nata, ugualmente vengono svolte le stesse pratiche ed il suo corpo posto accanto alla madre, come se fosse vivo. 7. Interpreti e protagonisti; la nonna e gli spiriti Dalla descrizione del contesto e dell'evento del parto già risultano alcuni punti di precisione a riguardo dei diversi ruoli dei "giocatori", del significato e del ruolo del canto, del rapporto tra evento ed intervento; ma qui cominciano anche a presentarsi le difformità con l'interpretazione levistraussiana ed i limiti di quest'ultima. Procediamo per punti focali successivi. In primo luogo partiamo dal significato linguistico del nome Muu igala: il canto prende nome da muu, la nonna, come la capanna del parto è chiamata "la casa della nonna da un occhio solo" (muu ibya kwagwen). Inoltre la sua forma composta muu tummat indica la bisnonna (grande nonna) e muukkua la sorella del nonno paterno (nonna rotonda)37. Il Muu igala è il canto della fertilità e della continuità della vita, intonato dal nele, solo e proprio quando la vita della partoriente è a rischio. E questo è una determinazione di spazio preciso che configura l'appartenenza del Muu igala alla parte della tradizione cuna che guarda verso la natura e gli spiriti a partire dall'ambito dell'identità cuna di popolo: riguarda, cioè, la vita e la discendenza, piuttosto che una terapia medica. Che poi esista un genere di tradizione orale, che Lévi-Strauss chiama mito, in cui la figura di muu, la nonna già metafora della trasmissione della vita, possa nuovamente essere traslata al significato di un personaggio «Muu, potenza 37 Il termine muu, oltre che la nonna, è anche il mare e tada, il nonno paterno, è anche il sole. Nella pratica del parto altre occorrenze dei termini presenti con la denominazione di parentela sono: sia, cacao e figlia del fratello; ammor, vagina e zia materna. 17
responsabile della formazione del feto»38, è altra questione e riguarda per un verso i fondamenti del "mito", i suoi caratteri come "discorso e linguaggio", e per un altro verso il rapporto tra categorie di lingua e categorie di pensiero. Ma su questo torneremo in seguito. In secondo luogo, a ciò fa riscontro il fatto che l'intervento del nele nel parto si esaurisce nel ruolo di cantore, non entrando mai nelle questioni del rapporto salute/malattia: il nele si rivolge agli spiriti della vita e della morte piuttosto che alla partoriente ed alle ostetriche, che non sono sue interlocutrici, o meglio si rivolge all'anima della partoriente che rischia di morire. Il potere evocativo della parola cantata dal nele si svolge rispetto alla vita/morte della partoriente e della comunità, in un circuito parallelo e distinto da quello dell'individuo donna che sta partorendo e delle ostetriche che l'assistono. D'altronde, se esaminiamo il contesto dell'esecuzione, abbiamo da una parte il nele con la funzione di "interprete" delle istanze dell'anima e della vita della donna partoriente, in relazione di continuità con la comunità dei vivi e dei morti; da un'altra le "protagoniste" del parto: la donna, stremata dalla difficoltà del parto, in uno stato di semi-incoscienza per lo sforzo e per la terapia in corso, ed intorno a questa le ostetriche che trattano il corpo della donna con sostanze medicamentose di vario genere. Come dire che il nele, interprete socialmente autorizzato del canto, si rivolge agli spiriti: i suoi interlocutori sono gli spiriti della vita quanto della morte, tenendo presente la particolare condizione di rischio della partoriente che potrebbe anche morire. Non a caso, anche se in altro contesto, è pur sempre il nele ad accompagnare con il suo canto la veglia funebre (masar igala), perché l'anima del defunto inizi con la morte il cammino che conduce a Paba (Pab'neg'igar). Ancora, dobbiamo ricordare anche che, quando le ostetriche vedono la donna prossima a morire, questa viene immediatamente trasportata nella sua capanna perché è da lì che deve cominciare il suo cammino dopo la morte e non dalla "capanna della nonna", del parto in quanto continuità della vita. In terzo luogo, sulla base di quanto affermato prima sui caratteri dell'articolazione del codice linguistico della lingua cuna, possiamo anche ritenere che il canto abbia più livelli di significazione e che venga prodotto e fruito con diverso atteggiamento d'ascolto e di intendimento da parte dei presenti (almeno di 38 Lévi-Strauss C., 1966, pp. 210-211. 18
quelli in grado di prestare ascolto in questa occasione specifica), in sintonia con il ruolo espresso da ciascuno in questa situazione. Cioè il Muu igala può essere interpretato nel suo linguaggio profondo da parte di chi ne conosce il genere specifico, ma anche semplicemente nel suo significato più consueto e socialmente condiviso da parte del popolo, ma ancora può essere compreso in un suo significato particolare da parte dei soggetti implicati nel contesto rituale del canto stesso. Ma quali i significati di questo canto per le diverse figure in questione e di che livello d'ordine? Così abbiamo: il nele padrone delle conoscenze della natura e dello spirito come del linguaggio "arcaico e specialistico" della tradizione; la partoriente con il suo linguaggio d'uso quotidiano e, magari, la paura dell'incognita e la fatica del parto; le ostetriche depositarie di un sapere tecnico ed impegnate in precise e consapevoli operazioni di assistenza. A ben vedere, questa situazione linguistica ricorda quanto dice A. Gramsci a proposito della comprensione della preghiera del Pater noster, recitato coralmente durante la funzione religiosa della Messa, da parte del sacerdote e del popolo, ed in cui quest'ultimo non solo non conosce il latino ma neanche l'equivalenza di questa preghiera con la sua traduzione in italiano, ancorché memorizzata. Così il dona nobis hodie panem quotidianum, al di là della funzione ideologica dell'uso del latino come lingua separata da quella quotidiana e colloquiale, è prodotto e compreso dal sacerdote per il suo significato italiano di "dacci oggi il nostro pane quotidiano", mentre diventa per il popolo materia di immaginazione e di "mito". Infatti una ricca nobildonna, Donna Bisodia, soleva aiutare i poveri del paese regalando loro il pane, perché avessero almeno quello da mangiare... da qui l'invocazione a "Donna Bisodia per il pane quotidiano", secondo la comprensione popolare. Ma, a certe condizioni, non è lo stesso significato di "preghiera per il pane" che viene investito dal prete e dal popolo? Al di là di tutta una serie di differenze di ruoli simbolici e sociali degli attori e di differenze tra loro riguardo a concezioni ideologiche e teologiche intorno al mondo ed a dio, dal punto di vista letterario la significazione di questo punto della preghiera è lo stesso per entrambi, appunto: la richiesta di pane da parte dei bisognosi a chi, in un mondo di beni limitati, può donarne almeno per la quantità del fabbisogno quotidiano. In quarto luogo, in sintonia con questo nuovo quadro etnografico da me presentato, anche la funzione delle statuine (nuchu) presenti con il nele nella capanna durante l'esecuzione del parto assume una precisazione difforme da quella accreditata 19
da Lévi-Strauss sulla base della sua interpretazione del testo. A mio avviso, infatti, i nuchu sono solo e proprio il segno della presenza del nele e della comunità in armonia con dio e la natura, "segno" del trattamento in corso, legame simbolico della forza curativa delle sostanze naturali, ma anche segno della "parola" in corso con il canto... D'altronde, in caso di epidemia, nuchu più grandi vengono posti all'entrata del recinto dell'abitazione dove vi sono persone malate39 proprio a significare il trattamento in corso, per mantenere lo "spirito" della medicina e della sua efficacia. A scanso di equivoci, riguardo al potere curativo della medicina dei cuna, è bene ricordare che questo popolo, a differenza degli europei, già nel '600 conosceva il principio del vaccino e ne praticava la tecnica40: in caso di epidemia, ad esempio, il malato veniva punto con una piccola freccia che, bagnata così del suo sangue, veniva poi conficcata con un piccolo arco nel corpo delle persone sane per immunizzarle con il germe iniettato in piccola dose, come appare anche nel testo di L. Wafer e nella relativa incisione di I. Savage. Questo avvertimento per dire che, allora, il primo ordine di espressione del ruolo dei nuchu è quello materiale riguardo a ciò che si sta compiendo: per nessuno dei presenti i nuchu vogliono dire altro se non che, appunto, il nele sta operando qualcosa riguardo alla salute di una persona, in genere, e qui riguardo specificamente all'anima di una persona. In sostanza, dato questo contesto della conoscenza e della pratica della medicina, non credo che per i cuna i nuchu «costituiscono l’efficacia, rappresentano gli spiriti protettori, che lo sciamano rende suoi assistenti»41; per quel che riguarda la nostra pratica medicinale, sarebbe come accreditare l'idea che la medicina che assumiamo sia operante ed efficace grazie al foglietto delle "istruzioni per l'uso" accluse alla confezione della medicina stessa... In quinto luogo, infine, anche se materia apparentemente periferica rispetto alle argomentazioni levistraussiane relative alla "efficacia simbolica" del Muu igala, è bene rilevare il complesso delle concezioni cuna relative all'anima, o meglio alle 39 Esistono nuchu di varia grandezza: i più piccoli (nuchu mimmi) misurano circa 10 cm. e vengono donati per augurio ai bambini con l'imposizione del nome; a me, adulto e straniero, è stato dato come riconoscimento del mio lavoro con i maestri cuna e l'attribuzione di un nome indigeno. I nuchu di media grandezza misurano dai 20 ai 30 cm. e vengono usati durante la preparazione della medicina e con la sua somministrazione al paziente. I nuchu più grandi (nuchu tummat) misurano anche un metro di altezza e sono quelli che vengono affissi all'entrata delle capanne dove è in corso un trattamento contro casi di epidemia. Da notare che, con la diffusione di modelli urbani occidentali, le bambine giocano oggi con "bambole" di legno simili ai nuchu di media grandezza e che non solo la statua della Madonna nella chiesa cattolica è vestita come una donna cuna, ma anche i vari santi della religione sono riprodotti in legno secondo gli stereotipi formali degli stessi nuchu. 40 Cfr. Wafer L., A new voyage and description of the Isthmus of America, J. Knapton, London, 1699. 41 Lévi-Strauss C., 1966, pp. 210 e 212. 20
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