VALORI, NORME, REGOLE E BUONE PRATICHE NELLO SPORT PER UNA CITTADINANZA SOLIDALE E INCLUSIVA - CLASSE 3ªA SPORT - ITET "A. CAPITINI", PERUGIA
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VALORI, NORME, REGOLE E BUONE PRATICHE NELLO SPORT PER UNA CITTADINANZA SOLIDALE E INCLUSIVA CLASSE 3ªA SPORT – ITET «A. CAPITINI», PERUGIA
LO SPORT È MOLTO IMPORTANTE PER TUTTA LA SOCIETÀ: BAMBINI, RAGAZZI, ADULTI E ANZIANI Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in licenza da CC BY-NC-ND
LO SPORT PROMUOVE IL BENESSERE PSICO-FISICO, FAVORENDO LA PREVENZIONE DI MALATTIE COME, AD ESEMPIO, L’OBESITÀ O LE MALATTIE CARDIO-VASCOLARI Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in licenza da CC BY-NC-ND
PROMUOVE ANCHE IL BENESSERE SOCIALE E VA INTESO NON SOLO COME PERFORMANCE VOLTA AL RAGGIUNGIMENTO DI RISULTATI… Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in licenza da CC BY-NC-ND
… MA ANCHE COME STRUMENTO DI INTEGRAZIONE SOCIALE Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in licenza da CC BY-SA-NC
È UN OTTIMO STRUMENTO DI INTEGRAZIONE PER PERSONE CON DISABILITÀ FISICA O PSICHICA Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in licenza da CC BY-NC-ND
E UN VALIDO STRUMENTO PER REALIZZARE PARI OPPORTUNITÀ Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in licenza da CC BY-NC-ND
È UNA SCUOLA DI VITA DOVE SI IMPARA A RISPETTARE LE REGOLE E A CONVIVERE CON GLI ALTRI Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in licenza da CC BY-SA-NC
CREA UN RAPPORTO ALLA PARI TRA TUTTI I PARTECIPANTI ED ELIMINA OGNI TIPO DI DISCRIMINAZIONE Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in licenza da CC BY-NC-ND
LO SPORT RICOPRE UN’IMPORTANTE FUNZIONE EDUCATIVA PER BAMBINI E ADOLESCENTI, IN QUANTO INSEGNA LORO AD ASCOLTARE, OSSERVARE LE REGOLE, RISPETTARE I COMPAGNI E SOCIALIZZARE.
La diffusione dello sport Lo sport da sempre contribuisce per garantire unione e rispetto tra le persone. La più importante organizzazione sportiva italiana è il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano). Intrattiene rapporti direttamente con il governo in rappresentanza di tutto il mondo sportivo, comprendendo sia professionismo che dilettantismo. Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in licenza da CC BY-SA
SPORT E SALUTE Per lo sviluppo dello sport in Italia, il CONI ha fondato la società SPORT E SALUTE S.p.A. (già CONI Servizi S.p.A.), la cui azione istituzionale è finalizzata alla promozione del benessere fisico e psichico, della salute e della qualità della vita di tutti i cittadini, con particolare attenzione verso tutti coloro che vivono in condizioni di disagio e svantaggio. Tramite organismi sportivi, destina fondi a centri federali colpiti da calamità naturali o che versano in condizioni di particolare degrado. In seguito al lock down, ha previsto risorse per sostenere la certificazione degli screening medico-sportivi (in particolare per le attività giovanili, delle persone fragili, anziane, disabili e residenti in aree con elevato disagio sociale). Tra gli importanti progetti finanziati vi sono: SPORT E PERIFERIE SPORT PER TUTTI Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in licenza da CC BY-NC-ND
SPORT E PERIFERIE Tale progetto si occupa: della realizzazione o rigenerazione degli impianti sportivi, finalizzati ad attività agonistica nelle periferie urbane o nelle aree svantaggiate del Paese. della diffusione di attrezzature sportive (alle persone meno abbienti) allo scopo di eliminare gli squilibri economici e sociali esistenti. del completamento o adeguamento di impianti sportivi già esistenti per destinarli ad attività agonistiche nazionali e internazionali.
SPORT DI TUTTI Tale progetto intende supportare le associazioni e società sportive dilettantistiche che svolgono attività di carattere sociale sul territorio, attraverso progetti che utilizzano lo sport come strumento educativo e di prevenzione del disagio sociale e psicofisico. lo scopo che si prefigge è lo sviluppo, l'inclusione sociale e il recupero di gruppi a rischio di emarginazione. In particolare, queste attività sono destinate a ragazzi e adulti appartenenti alle seguenti categorie: soggetti a rischio di dipendenze giovanili come la tossicodipendenza, l'alcolismo, la dipendenza digitale, i disturbi del comportamento alimentare, ecc.; bambine, ragazze, donne, soggetti a rischio di criminalità e povertà educativa; detenuti nel sistema carcerario minorile o per adulti.
LO SPORT COME STRUMENTO DI CONTRASTO ALLA VIOLENZA
LA VIOLENZA NELLO SPORT - LA RESPONSABILITA’ SPORTIVA Si ha la responsabilità sportiva nei casi in cui l’attività sportiva violi le regole dello sport in modo da causare danni agli atleti o a terzi. Tale violazione può nascere: ● dal mancato rispetto dei principi di lealtà e di correttezza; ● dall’inosservanza delle specifiche regole previste per ciascuna disciplina sportiva.
LA CLASSIFICAZIONE DEGLI SPORT La responsabilità nell’attività sportiva non è uguale per tutte le discipline sportive: alcuni sport consentono un vigorosco contatto fisico, mentre in altri sport il contatto fisico è proibito. Per analizzare il concetto di violenza sportiva bisogna classificare gli sport in base al rischio di procurare lesioni.
GLI SPORT A VIOLENZA NECESSARIA Si basano sul contatto fisico e sull’impiego della violenza fisica, secondo quanto previsto dal regolamento che disciplina ciascuna di queste discipline sportive. Si ha, quindi, responsabilità quando l’atleta viola le regole di condotta stabilite.
SPORT A VIOLENZA EVENTUALE L’illecito e, quindi, la responsabilità derivano dalla volontarietà dell’atto, in violazione delle regole di gioco.
GLI SPORT PERICOLOSI Si ha un comportamento illecito e, quindi, responsabilità, quando l’atela esce dai normali rischi, per arrecare danno ad altri atleti.
GLI SPORT ESTREMI In tali sport l’atleta si commisura direttamente soltanto con i propri limiti fisici e non con gli altri atleti, pertanto mette a rischio soltanto la propria incolumità.
GLI SPORT A CONTATTO PROIBITO L’llecito e, quindi, la responsabilità si hanno quando l’atleta non rispetta volontariamente le norme penali, violando i principi di lealtà e correttezza sportiva.
VIOLENZA TRA I TIFOSI
UN CASO DI VIOLENZA TRA TIFOSI: L’OMICIDIO DI GABRIELE SANDRI Si tratta di un fatto di cronaca nera verificatosi l'11 novembre 2007 a seguito di alcuni scontri tra tifoserie calcistiche avvenuti sul’autostrada A1 presso Badia al Pino (Arezzo), che ebbe un tragico epilogo in quanto costò la vita ad un giovane di 26 anni di Roma, Gabriele Sandri.
L’ OMICIDIO Gabriele Sandri dormiva sul sedile posteriore La mattina dell'11 novembre 2007 Sandri e altri dell’auto, il secondo proiettile oltrepassò la rete quattro amici si trovavano sull'A1, diretti a Milano divisoria fra le carreggiate e raggiunse la Mégane, per assistere all'incontro di calcio tra Inter e Lazio che nel frattempo si era messa in movimento, in programma alle 15:00. I cinque, a bordo di una centrando al collo Sandri che sedeva al centro del Renault Mégane, si fermarono all'area di servizio sedile posteriore. I compagni di viaggio di Gabriele "Badia al Pino" all'altezza di Civitella in Val di si resero immediatamente conto delle sue gravi Chiana (Arezzo) per attendere l'arrivo di altri amici condizioni e si fermarono perciò in un'altra area di che viaggiavano su una Renault Clio. servizio pochi chilometri più avanti per allertare sia Attorno alle 9:00, i tifosi laziali entrarono in le forze dell'ordine che il soccorso sanitario, ma contatto con alcuni sostenitori della Juventus e quando l'ambulanza giunse sul posto il ragazzo era tra i due gruppi scoppiò una rissa. ormai già deceduto. I tafferugli attirarono l'attenzione di una pattuglia della Polizia Stradale che si trovava sul lato opposto della carreggiata e che, azionata la sirena, si portò a bordo strada; mentre il gruppo di amici di Sandri risaliva in auto e si apprestava a ripartire, L’agente Luigi Spaccarotella scese dall'auto di servizio, prese la mira e da una distanza di circa cinquanta metri esplose due colpi di pistola.
REAZIONI E CONSEGUENZE Alla diffusione della notizia seguì la scelta, da parte Per ragioni di sicurezza pubblica, anche il posticipo tra della FIGC, di rinviare la gara tra Inter e Lazio: per le Roma e Cagliari in programma alle 20:30 nella capitale altre partite, fu disposto l'inizio con 10 minuti di fu rinviato. ritardo] per il successivo week-end, la FIGC dispose la sospensione di serie B e serie C. Come misura immediata, la FIGC espresse l'idea di Diversi stadi furono teatro di incidenti, causati dalle vietare le trasferte ritenute più pericolose e di rendere tifoserie in segno di protesta contro le forze obbligatorio il riconoscimento all'entrata degli stadi. dell'ordine: a Bergamo, l'incontro tra Atalanta e Già dal 2008 fu poi promossa la tessera del tifoso. Milan venne sospeso dopo pochi minuti per le Nonostante le misure adottate, il problema della intemperanze dei supporter dell’Atalanta. Altre violenza negli stadi e tra le tifoserie non sia mai stato reazioni violente si ebbero a Parma e Taranto. A completamente risolto. Lavello (Pz) la tifoseria del Brindisi si rese protagonista di alcuni episodi di violenza contro le forze dell'ordine e sei tifosi pugliesi furono tratti in arresto, mentre Milano e Roma furono invase da cortei di tifosi che aggredirono le caserme e gli agenti.
LA CONDANNA DELL’AGENTE Nel luglio 2009, Spaccarotella fu condannato a 6 anni di reclusione per omicidio colposo con colpa cosciente: la sentenza fu poi riformata in appello nel dicembre 2010 e tramutata in omicidio volontario, declassando il dolo a eventuale, e inasprendo la pena a 9 anni e 5 mesi di reclusione. Nel 2012 la Corte di Cassazione, cui la difesa di Spaccarotella aveva fatto ricorso, ribadì il verdetto di secondo grado della Corte d’Assise d’Appello di Firenze, confermando la condanna per omicidio volontario. A dieci anni dal delitto, nell'autunno 2017, all'agente fu concessa la semilibertà, per poter svolgere attività di volontariato.
DA DOVE NASCE TUTTA QUESTA VIOLENZA? La violenza è un fenomeno diffuso in attività sportive e non solo nei giorni nostri. Già nell'antichità se ci pensiamo (la storia europea comincia dalla Grecia) c'erano gare di lotta, dove uccidere il proprio avversario era l'unico modo per vincere. Non soltanto nella lotta o in discipline irruente, ma anche in discipline come l’atletica, dove non si esigeva la morte, i giudici erano comprati e minacciati per una vittoria sicura. Oggi però, a differenza del passato, la violenza è frequente anche tra i tifosi. Questi atteggiamenti sono particolarmente evidenti nel calcio, in cui si può addirittura assistere a partite giocate da ragazz, i cui I genitori sugli spalti imprecano contro l'arbitro o contro un giocatore in un modo scurrile. Ciò avviene, però, anche in molte altre discipline sportive: nelle gare di karate, ad esempio, i tifosi sugli spalti, incitano i ragazzi a far male all'avversario, a stenderlo, senza contare ciò che viene detto agli arbitri. Chi frequenta un'attività sportiva sa benissimo che la sopraffazione e la violenza, la furbizia e il trucco a volte vengono premiate a discapito della correttezza, del rispetto per l'avversario e dell'osservanza delle regole. Certo si può pensare che sia più facile vincere, i trucchi è la violenza li impari in un attimo, mentre la tecnica, il movimento, la creazione dell'azione vanno preparate nel tempo, negli anni, con duro allenamento. È brutto pensare che la violenza nello sport sia difficile da combattere poiché la giustificazione "Mi è stato fatto e non si può continuare a subire quindi ti ripago con la stessa moneta", non rappresenta lo sport. Il problema va certamente affrontato all'origine, nello sport giovanile, dove bisogna insegnare ai ragazzi i valori fondamentali dello sport quali, in primo luogo, la lealtà, la correttezza e il rispetto dell’avversario. Tutti quando siamo piccoli sentiamo il bisogno di confrontarci, competere e perchè no, anche vincere, ma ricordiamolo sempre il vecchio detto "L'importante è partecipare".
DA DOVE NASCE TUTTA QUESTA VIOLENZA? La violenza è un fenomeno diffuso in attività sportive e non solo nei giorni nostri. Già nell'antichità (la storia europea comincia dalla Grecia) c'erano gare di lotta, dove uccidere il proprio avversario era l'unico modo per vincere. Ma non solo nella lotta o in discipline irruente, anche in atletica dove non si esigeva la morte, i giudici erano comprati e minacciati per una vincita sicura. Oggi però, a differenza di allora, la violenza si vede anche tra i tifosi, basta accendere la TV e ascoltare per dieci minuti il TG. Questi atteggiamenti sono particolarmente evidenti nel calcio, in cui si può addirittura assistere a partite giocate da ragazzini, i cui I genitori sugli spalti imprecano contro l'arbitro o contro un giocatore in un modo scurrile. Ciò avviene, però, anche in molte altre discipline sportive: nelle gare di Karate ad esempio - e si parla di gare di atleti che non sono agonisti - i tifosi sugli spalti, incitano i ragazzi a far male all'avversario, a stenderlo, senza contare ciò che viene detto agli arbitri. Chi frequenta un'attività sportiva sa benissimo che la sopraffazione e la violenza, la furbizia e il trucco a volte vengono premiate a discapito della correttezza, del rispetto per l'avversario e dell'osservanza delle regole. Certo si può pensare che sia più facile vincere, i trucchi è la violenza li impari in un attimo, mentre la tecnica, il movimento, la creazione dell'azione vanno preparate nel tempo, negli anni, con duro allenamento.
QUALI POSSONO ESSERE LE CAUSE? CONDIZIONAMENTO Lo psicologo Jeffrey H. Goldstein afferma: "Le persone che assistono a uno sport aggressivo tendono a diventare a loro volta aggressive; in questo modo la sequenza di eventi tende a perpetuarsi per forza propria: i tifosi si sentono aggressivi, vedono o sentono aggressione e quindi agiscono aggressivamente. Questa spiegazione tiene presenti alcune leggi di psicologia della folla secondo cui chi si trova in un certo gruppo, in genere, é portato a comportarsi come gli altri membri anche quando non é del tutto convinto, il che significa che gli istinti sono contagiosi tanto più quanto più sono le persone coinvolte: il gruppo tende a condizionare l'individuo fino a fargli perdere la sua identità. RICERCA DI IDENTITA’ Il personaggio del tifoso, infatti, può essere il punto di approdo di una disperata ricerca di identità di un ragazzo che non é riuscito a trovare altri modi di esprimersi; allora il tifoso rappresenta un modello di eroe, con un suo caratteristico abbigliamento, con i suoi slogan, con le sue dimostrazioni di virilità e di coraggio; nelle interviste agli ultras, infatti, alcuni hanno detto: "è meglio essere tifosi d'assalto e cattivi piuttosto che nessuno!"; si può dire che chi entra nel ruolo di tifoso ultras trova un'identità già predisposta con il suo corredo di norme, valori e ragioni.
EFFETTO PROTAGONISTICO Il processo di etichettamento, nella cronaca giornalistica, ufficializzando l'immagine del tifoso forte, duro, passionale, temuto, solidale, ha un "effetto pubblicitario" affascinante che attira tanti giovani influenzabili. Ciò è evidente nel continuo aumento di clubs dei tifosi con nomi che si commentano da sè: Sturm Truppen Como, SS Stabia, Commandos, Brigaden, Achtung Viking e così via. RICERCA DI ECCITAZIONE. La caratteristica del tifo, dei cosiddetti "ultras", diventa la ricerca della tensione emotiva, piuttosto che la riduzione. Infatti é evidente che niente di meglio delle eccitazioni provocate dalle situazioni antagonistiche, aleatorie e coinvolgenti della partita, può offrire a molte persone l'occasione di potersi dare alla disinibita emozione eccitatoria. L'aggressività, le zuffe, i vandalismi, gli scontri costituiscono , quindi, gli effetti di un bisogno psicologico domato dalla ricerca di forti sensazioni. SFOGO DELLE PROPRIE EMOZIONI Un altra teoria, detta "catartica", attribuirebbe al tifoso il bisogno di uno sfogo di emozioni, possibile grazie all'identificazione con gli atleti e mediante un conflitto simbolico o ritualizzato coi tifosi avversari ("devi morire !"). Quando questa forma di elaborazione dei vissuti aggressivi risulta inadeguata alla pressione istintiva o reattiva, allora si avrebbe il passaggio all'atto vandalico. Lo sport, in questo caso, consentirebbe un'occasione di sfogo dell' eccesso di carica aggressiva accumulati nella realtà lavorativa o familiare: frustrazioni quotidiane represse.
SFOGO DI FRUSTRAZIONI SOCIALI L’attivazione di condotte aggressive, pur essendo apparentemente occasionate dalle manifestazioni sportive o da passione tifosa, in realtà sono l'esplosione di profonde frustrazioni sociali; gli stadi sarebbero parafulmini per scaricarle servendo quindi gli interessi della classe politica dominante, per spostare la scarica emotiva dal terreno degli scontri politici e sociali al terreno degli stadi. Pertanto, le manifestazioni sportive sarebbero "bersagli sostitutivi" per frustrazioni motivate da problemi economico-sociali molto più grandi della frustrazione derivante da una sconfitta ludica. CONDIZIONAMENTI SOCIALI Secondo un'altra teoria il tifoso sarebbe la conseguenza degenerativa di una società che evidenzia, esalta e premia solo colui che vince o che ottiene successo, a prescindere dai mezzi impiegati per raggiungerlo, adottando il principio discutibile secondo cui " il fine giustifica i mezzi ". Occorre quindi vaccinarsi contro i germi della violenza sociale educando ai valori di pace, di convivenza civile, di cooperazione più che di competizione (lo spirito competitivo va ben dosato e tenuto sotto controllo). L’ESSENZA DELLO SPORT AGONISTICO Alcuni autori ritengono lo sport direttamente responsabile della violenza, in pratica secondo questi sarebbe meglio eliminare lo sport perché non può esistere sport agonistico senza violenza; la logica seguita è questa: lo sport prevede la competizione, lo spirito competitivo implica il desiderio di superare l'avversario col massimo impegno, e questo significa anche, quando é necessario, ricorrere a qualsiasi mezzo per vincere.
I POSSIBILI PROVVEDIMENTI ● Vietare l'ingresso negli stadi di quei tifosi che siano stati protagonisti di un qualche fatto violento, con l'obbligo di presentarsi in questura il giorno della partita (vietare le trasferte delle tifoserie organizzate) ● Implementare l’impiego di telecamere che riprendano costantemente le tribune e gli spalti ● Interdire certi clubs di tifosi, offrendo loro anche la diretta televisiva dell'incontro nelle loro sedi ● Svolgere indagini approfondite sui veri rapporti tra club e le organizzazioni dei tifosi ● Proibire qualsiasi forma di sovvenzionamento da parte delle società sportive ai loro tifosi ● impedire l'uso degli striscioni "offensivi" negli stadi ● Al primo accenno di infrazione di una di queste regole, far giocare le squadre al chiuso e senza pubblico
COSA POSSIAMO FARE? La violenza nello sport è un grande problema, ogni domenica ci sono episodi di violenza, cattiveria, cori discriminatori e irrispettosi verso il prossimo, questo non è sport! Il divertimento, l’amicizia, l’unione l’onestà sono caratteristiche fondamentali su cui è stato fondato lo sport. le ingiustizie si possono combattere, tutti noi possiamo farlo, magari, con una stretta di mano a un tifoso della squadra rivale invece che insultarlo, oppure consolando un ufficiale di gara piuttosto che offenderlo o, come accade spesso, alzargli le mani solo per un fallo non fischiato o un rigore non visto. Tutti possiamo fare qualcosa, dentro uno stadio o dentro una palestra, affinchè lo sport ricominci, finalmente, a essere chiamato tale. Il problema si deve affrontare all’origine, a partire dallo sport giovanile, insegnando ai ragazzi a competere con correttezza, lealtà e rispetto dell’avversario, ricordando sempre il detto di de Coubertin che «L’importante non è vincere, ma partecipare».
Contro la violenza, la xenofobia e il razzismo
Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Art. 24. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. Lo sport è stato inserito nella Costituzione con la Riforma costituzionale del 2001: all’articolo 117, tra le materie di legislazione concorrente Stato-Regioni, è menzionato espressamente l’«ordinamento sportivo».
È una emanazione del Consiglio d’Europa composta da membri indipendenti il cui scopo principale è la pubblicazione di relazioni periodiche sul diffondersi di fenomeni di xenofobie, razzismo e antisemitismo negli stati membri del Consiglio d’Europa. Ha anche il compito di diffondere tali raccomandazioni tra i rappresentanti della società civile, nonché tra Governi direttamente interessati. Per quanto riguarda l'Italia, qui viene espressa soddisfazione per le iniziative legislative e l’aumento del numero dei procedimenti penali avviati a carico degli autori di discorsi di incitamento all’odio. Sono inoltre riconosciuti i notevoli sforzi compiuti per soccorrere e accogliere i migranti e i richiedenti asilo. Persistono delle lacune nella legislazione antidiscriminazione e desta preoccupazione la continuazione degli sgomberi forzati dei Rom dai loro insediamenti, senza che siano loro proposte soluzioni durevoli per rialloggiarli.
Il Quarto Rapporto dell’ECRI sull’Italia è stato adottato il 6 dicembre 2011 e reso pubblico il 21 febbraio 2012. In generale, la tale Commissione ha messo in evidenza una serie di sviluppi incoraggianti rispetto al precedente ciclo di monitoraggio, sottolineando, in particolare, il rafforzamento della normativa antidiscriminazioni e il progressivo aumento delle attività e del ruolo dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR); nel contempo, viene espressa preoccupazione riguardo a una serie di questioni particolarmente critiche, quali, ad esempio, l’uso di discorsi razzisti e xenofobi in politica e nei media, gli episodi di violenza razzista, le misure normative che colpiscono gli stranieri e il trattamento di taluni gruppi vulnerabili, in particolare rom, sinti, migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Nel Quinto Rapporto sull’Italia, adottato il 18 marzo 2016 e pubblicato il 7 giugno 2016, l’ECRI ha valutato positivamente le ulteriori iniziative legislative contro il razzismo e la discriminazione razziale adottate dal nostro Paese negli anni successivi al precedente Rapporto. Tuttavia, ha evidenziato, al tempo stesso, alcune lacune nella legislazione italiana antidiscriminazione, in particolare laddove non considera reato penalmente perseguibile la discriminazione fondata sul colore o sulla lingua e che non sempre prevede una pena efficace, commisurata e dissuasiva.
UNHCR È l'agenzia delle Nazioni Unite specializzata nella gestione dei rifugiati; fornisce loro protezione internazionale ed assistenza materiale, e persegue soluzioni durevoli per la loro drammatica condizione. È la principale organizzazione al mondo impegnata in prima linea a salvare vite umane e a proteggere i diritti di milioni di rifugiati. È stata fondata il 14 dicembre 1950 dall'Assemblea generale, iniziando ad operare dal 1º gennaio del 1951. Assiste oltre 60 milioni di persone e ha vinto due premi Nobel per la pace, rispettivamente nel 1954 e nel 1981.
Il 31 luglio 2020 a Roma è stato siglato il protocollo d’intesa tra il Direttore dell’UNAR Triantafillos Loukarelis, il Presidente della Uisp Vincenzo Manco ed il Vice Presidente dell’associazione Lunaria Duccio Zola, per la nascita dell’Osservatorio Nazionale contro le discriminazioni nello sport. Presente anche in videoconferenza Beatrice Ion, atleta paraolimpica della nazionale di basket femminile, aggredita nei giorni precedenti con minacce e insulti razzisti. La nascita dell’Osservatorio rappresenta una novità anche in Europa, attualmente sprovvista di un organismo dotato di strumenti adeguati per monitorare e fornire un’analisi precisa sulle discriminazioni in ambito sportivo. Ciò consente al nostro Paese di proporre strategie efficaci e all’avanguardia e attraverso un’attività di sensibilizzazione e formazione, promuovere nei giovani, la cultura del rispetto e dell’inclusione, nonché la prevenzione e il contrasto di ogni tipo di violenza e di discriminazione nell’ambito sportivo.
È uno strumento di inclusione sociale, integrazione e sviluppo delle pari opportunità. Promuove un senso comune di appartenenza e partecipazione. Contribuisce alla coesione sociale e all’inserimento sociale delle categorie vulnerabili. Favorisce l’integrazione degli immigrati e delle persone di origine straniera, e il dialogo interculturale. Può favorire la prevenzione e la lotta contro il razzismo e la violenza
«Lo sport è uno degli ultimi luoghi in cui il razzismo si esprime pubblicamente e, troppo spesso, impunemente», afferma il professor Patrick Clastres, specialista internazionalmente riconosciuto di sport e olimpismo. Intervista
Tutto è cominciato negli Stati Uniti, con la fondamentale opera «The Revolt of the Black Athlete» pubblicata da Harry Edwards nel 1969. Nel suo libro, il regista della ribellione degli atleti afroamericani alle Olimpiadi del Messico del 1968, spiega come la competizione sportiva alimenti il razzismo riducendo i neri al ruolo di animali da reddito. Questo libro ispirerà la ricerca europea, dapprima, negli anni 1990, in Inghilterra, poi, dieci anni più tardi, in Germania e in Francia. In Francia si è dovuto attendere fino al 2015 per avere un testo di riferimento: «Le sport en France à l’épreuve du racisme», un’opera collettiva che ho avuto l’onore di codirigere. Incoraggio vivamente i miei colleghi sociologi e storici, specialisti di sport o meno, a occuparsi di più di questo tema sociale fondamentale.
Mentre le espressioni razziste sono sempre meno tollerate nella sfera pubblica (lavoro, scuola ecc.), lo sport è uno degli ultimi bastioni in cui il razzismo può esprimersi liberamente e, troppo spesso, impunemente. Perché? Perché il mondo dello sport si presenta come una società ideale, neutra e ugualitaria con regole e leggi proprie. Così, un atleta che aggredisce verbalmente o fisicamente un avversario crede di dover rispondere delle sue azioni soltanto dinanzi alla sua federazione, non dinanzi alla giustizia ordinaria. Ma questa lex sportiva molto spesso finisce per essere omertà. Lo sport classifica gli individui secondo le loro prodezze fisiche e questo tende già di per se a razzializzare lo sguardo. Di fatto, le qualità strategiche e psicologiche degli atleti neri sono spesso occultate. Nella maggior parte dei casi, nello sport il razzismo non è un costrutto razionale: fondato sulle emozioni e sull’identificazione di ciascuno in un collettivo, lo sport disinibisce e libera pulsioni di violenza e rifiuto dell’altro.
Da circa 20 anni si assiste dappertutto a una nazionalizzazione dell’immagine dello sport. Succede in particolare in occasione dei Giochi Olimpici. Per garantirsi l’audience, i media si concentrano sugli atleti del proprio Paese. Lo sport come veicolo di pace, caro a de Coubertin, non è più che un mito. Questa riesumazione del nazionalismo sportivo è tutt’altro che innocua ed è un terreno fertile per il razzismo.
Nello sport sono chiaramente presenti tutte e quattro le categorie. Il razzismo comportamentale è il più visibile in campo e sulle tribune. Il razzismo ideologico si ritrova negli slogan dei più radicalizzati degli hooligans. Il razzismo pregiudiziale si esprime per esempio negli stereotipi ancora largamente diffusi della maggior potenza e velocità degli atleti neri, dell’agilità e disciplina degli atleti asiatici e del senso tattico e della correttezza degli atleti bianchi, tutti retaggio dell’epoca coloniale e dello schiavismo. Quanto al razzismo istituzionale, si riflette nell’assenza dei gruppi minoritari in seno agli organi dirigenti, come denunciava Edwards nel 1969. Tutte queste forme di razzismo affiorano in numerosi discorsi e sulla stampa.
Sono concetti molto diffusi tra i dirigenti e i giornalisti sportivi. I giocatori africani sono visti come eterni bambini o selvaggi che bisogna educare: la spensieratezza africana contro la razionalità europea. Discorsi razzialisti di questo tipo – per altro ben intenzionati, in quanto sottolineano un’ascesa sociale – non sono meno insidiosi e difficili da smontare.
Dipende dalle reazioni di dirigenti e giornalisti, che però spesso menano il can per l’aia invece di prendere chiaramente posizione contro il razzismo quotidiano, perché se l’argomento non vende, sono pochi i giornali sportivi ad affrontarlo. D’altra parte, le esplosioni di violenza palesemente razziste possono provocare mobilitazioni salutari del pubblico e degli attori. Ma queste reazioni sono ancora troppo marginali ed effimere per far progredire davvero la causa dell’antirazzismo.
A parte il calcio, sono poche le federazioni che hanno avviato un esame di coscienza e adottato misure concrete. Gli organi internazionali del calcio hanno reagito tardivamente, all’inizio degli anni 2000, in seguito all’indignazione provocata dai lanci di banane e dal verso delle scimmie indirizzati ai giocatori neri negli stadi. Alcuni giocatori neri hanno avuto la forza di ribellarsi; trattandosi di atleti che valgono milioni, la loro voce ha un certo peso. Ma le risposte degli organi dirigenti sono state motivate da ragioni di marketing piuttosto che da una vera volontà di riforma: infatti, sono rimaste in superficie e hanno soltanto sfiorato lo sport amatoriale.
Innegabilmente. Nello sport i presidenti di club e gli allenatori appartenenti a gruppi minoritari si contano sulle dita di una mano. Aiutare gli sportivi con retroterra migratorio a seguire le formazioni necessarie per assumere responsabilità è davvero sufficiente? Non sarebbe il caso di passare, senza attendere oltre, a una politica di discriminazione positiva, come fanno gli Stati Uniti?
L’arsenale giuridico repressivo non è abbastanza incisivo. Questo perché la posizione dei club è delicata. Infatti, se da una parte non sono responsabili del comportamento dei tifosi, dall’altra devono saperli gestire, in quanto contribuiscono al loro equilibrio finanziario.
In generale, lo sport amatoriale occidentale soffre del razzismo ancor più dello sport professionistico. L’utilizzazione delle categorie di razza nel linguaggio quotidiano è totalmente banalizzata e le espressioni discriminatorie sono sistematicamente negate dalle vittime, che tradiscono così il loro senso d’impotenza. Gli arbitri e gli educatori non sono preparati ad affrontare il problema e si sentono abbandonati.
Si tratta innanzitutto di un problema della società. Ciò nonostante, i dirigenti sportivi, i politici competenti dello sport e i giornalisti hanno il dovere morale di dare l’esempio. Con questo non voglio dire che questi attori non fanno niente, ma anche loro spesso sono disarmati di fronte al problema. Combattere il razzismo nello sport è al contempo un’opportunità unica e una sfida difficilissima.
Auspico corsi di formazione per tutti coloro che hanno una responsabilità nello sport, che si tratti di dirigenti, allenatori o giornalisti. Invece di spendere milioni in campagne di sensibilizzazione planetarie senza futuro, le federazioni farebbero meglio a investire il loro denaro nella formazione dei propri dirigenti, dai primi agli ultimi della scala gerarchica. Le associazioni per la lotta al razzismo sono pronte ad assumerne la gestione. Circoscrivere i gruppuscoli di hooligans che istigano all’odio in realtà è abbastanza facile. Molto più difficile è, invece, risolvere il doloroso problema del razzismo quotidiano. Sono convinto che è nel settore dello sport amatoriale che ci attendono le battaglie più dure e le vittorie più belle.
Il razzismo è stato sempre evidente nel calcio e lo è negli atteggiamenti sia dei giocatori che dei tifosi, difatti, quando vogliono lanciare insulti agli avversari, spesso fanno commenti basati sul colore della pelle o sul paese di provenienza. L’Europa è il focolaio del razzismo, come si può evincere dal comportamento dei tifosi Italiani che negli ultimi anni hanno dato prova del razzismo peggiore. Tra i vari episodi ricordiamo: Verona: gli ultras cantano “Niente negri, niente negri” Moise Kean: fischi razzisti da parte della curva Sud del Cagliari. Pierre Webo: il quarto uomo l’ha definito con l’espressione “quello negro” per identificarlo.
Il cestista Lebron James, parlando della morte di George Floyd, afroamericano morto soffocato da un poliziotto durante un arresto, ha scritto: “Ora capite adesso? O non è ancora chiaro per voi?”. E al fianco della foto del povero Floyd ha postato un'immagine in cui si vede Colin Kaeprnick, giocatore dell'NFL, inginocchiarsi mentre c'era l'inno nazionale – una protesta di qualche anno fa contro la violenza razziale e contro Trump che è costata il posto a Kaeprnick. L’allenatore dei Golden State Warriors, Steve Kerr, leggenda del basket, ha scritto: "Questo è un omicidio. Disgustoso. Seriamente, cosa cavolo c’è di sbagliato negli Usa?". Il famoso campione Magic Johnson ha affermato: «Le persone di colore vengono trattate come animali.» Su Twitter ha scritto: "George Floyd è stato chiaramente ucciso da un agente di polizia di Minneapolis. Quante altre volte ancora dobbiamo vedere uomini di colore uccisi in tv nazionale? Questa storia è andata avanti già troppo. Dobbiamo iniziare a guardare alle persone di colore come esseri umani e non come ad animali nelle strade". Stephen Jackson, ex giocatore di San Antonio Spurs e Golden State Warriors che Floyd lo conosceva personalmente e in un video social ha detto: "Tutti sanno che ci chiamavamo l’un l’altro ‘gemello’. Era andato in Minnesota per cambiare la sua vita guidando camion, gli avevo mandato due o tre scatole di vestiti, stava facendo la cosa giusta. E voi avete ucciso mio fratello. Ora andrò a Minneapolis, farò tutto ciò che mi è possibile per non far passare la vicenda sotto silenzio".
Durante la partita di Liga tra Villarreal e Barcellona, dagli spalti del Madrigal è stata lanciata una banana verso Dani Alves, prima che calciasse un corner. Il brasiliano l'ha raccolta, sbucciata e divorata, prima di battere il calcio d'angolo. Un gesto che ha fatto il giro del mondo in una battaglia contro il razzismo e le discriminazioni. Successivamente, il Villarreal ha individuato il tifoso colpevole del gesto e, dopo avergli ritirato l'abbonamento, l'ha bandito a vita dall'accesso allo stadio.
È stato un lunghista e velocista Statunitense e nei giochi Olimpici di Berlino del 1936 vinse 4 medaglie d’oro. Viene ricordato per il fatto che, in tali Olimpiadi organizzate da Hitler, lui, vincendo contro i Tedeschi nel salto, in lungo suscitò la furia del Fuhrer, che abbandonò lo stadio.
“La vita è breve non ha senso perdere tempo odiando le persone” (Muhammad Alì) “In pista non esiste bianco o nero, ma solo veloce o lento. Non conta nient’altro, né il colore, né il denaro, neanche l’odio ” (Jesse Owens) “Il razzismo farà sempre parte della storia, credo, ma penso anche che noi, le persone che hanno l’opportunità di avere una voce e tutti coloro che hanno la possibilità di influenzare i giovani, dobbiamo guidarli come meglio possiamo.” (Lebron James)
Inclusione dei disabili nello sport
SPORT Lo sport ha un ruolo fondamentale per le persone con disabilità perché permette a loro di esprimere le loro potenzialità. Lo sport è anche un importante strumento di integrazione per le persone disabili perché esso crea una formazione sociale nelle persone. È importante garantire la parità di accesso all’attività sportiva e alle strutture sportive delle persone con disabilità (ragazzi e bambini).
Leggi riguardanti inclusione disabili nello sport ● Legge 104/92 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate). La legge nazionale di riferimento per quanto riguarda la tutela delle persone con disabilità, tratta ampiamente, in più articoli, il tema del diritto allo sport per le persone con disabilità e quello dell’abbattimento delle barriere architettoniche che impediscono l’accesso e la fruizione delle strutture; ● Decreto Legislativo 43 del 27 febbraio 2017. Tale decreto costituisce il Comitato Italiano Paralimpico e gli riconosce il ruolo di ente di riferimento principale per le attività sportive che vengono praticate dalle persone disabili.
ALEX ZANARDI Lo sport italiano, gode di una figura essenziale per l’integrazione dei disabili nello sport, ovvero, Alex Zanardi un noto pilota di F1, che dopo un incidente in una gara ha perso entrambi gli arti inferiori; ma non smise la sua passione per lo sport, e così decise di praticare uno sport per disabili, l’handbike. Alex Zanardi vinse nel paraciclismo quattro medaglie d'oro ai Giochi paralimpici di Londra 2012 e Rio 2016, diventando una vera icona dello sport per disabili. Alex Zanardi ha ispirato, e continua ad ispirare, persone con disabilità a immergersi nel mondo dello sport, soprattutto i giovani.
BEBE VIO Beatrice Maria Adelaide Marzia Vio, nota anche come Bebe Vio nata a Venezia, il 4 marzo 1997, è una schermitrice italiana, campionessa mondiale ed europea in carica di fioretto individuale paralimpico. Nata a Venezia ma cresciuta a Mogliano Veneto, pratica scherma fin dall'età di cinque anni e mezzo. A fine 2008 all'età di 11 anni fu colpita da una meningite fulminante che le causò un'estesa infezione, con annessa necrosi ad avambracci e gambe, di cui si rese necessaria l’amputazione. Nel 2009 la famiglia di Beatrice Vio fondò art4sport, ONLUS di sostegno all'integrazione sociale tramite la pratica sportiva di quei bambini che hanno subìto amputazioni. Nel 2012 fu tra i tedofori ai Giochi Paralimpici di Londra; in occasione di Expo 2015 è stata scelta quale testimonial della Regione Veneto alla rassegna internazionale. Il 18 settembre 2016 ha sfilato come portabandiera dell'Italia in occasoine della cerimonia di chiusura della XV Paralimpiade di Rio 2016. Il 18 ottobre 2016 ha fatto parte della delegazione italiana alla cena di Stato alla Casa Bianca, l'ultima offerta dall'amministrazione Obama. Nel 2017 conduce su Rai 1 il programma «La vita è una figata».. Ha ideato, insieme alla famiglia, l'evento «Giochi senza barriere» insieme alla sua squadra formata da cantanti, sportivi e persone con disabilità. Nel 2018 le viene conferito alla Camera dei Daputati il Premio America della Fondazione Italia USA. Nello stesso anno ha recitato come doppiatrice nel film «Gli Incredibili 2»; le è stata dedicata una Barbie in esemplare unico dalla Mattel.
L’ASSOCIAZIONE ART4SPORT ONLUS L’Associazione art4sport ONLUS, ispirata alla storia di Bebe Vio, crede nello sport come terapia per il recupero fisico e psicologico dei bambini e dei ragazzi portatori di protesi di arto. L’atleta, infatti, nel giro di un anno da quando è stata colpita da meningite meningococcica a seguito della quale ha subito l’amputazione dei quattro arti, è tornata alla sua vita di prima. Uno dei fattori motivanti che l’ha portata a reagire con forza e determinazione è stato il suo desiderio scalpitante di tornare ancora una volta a praticare il suo amato sport, la scherma. Scopo dell’associazione è quello di migliorare la qualità della vita di bambini e ragazzi portatori di protesi di arto e di conseguenza quella delle loro famiglie. La missione: ● utilizzare lo sport come terapia fisica e psicologica per bambini e ragazzi con disabilità fisiche ● promuovere la conoscenza e la pratica dello sport paralimpico in Italia.
PARALIMPIADI – LA STORIA I Giochi paralimpici sono l'equivalente dei Giochi Olimpici per atleti con disabilità fisiche. Essi traggono origine da un iniziativa del neurochirurgo tedesco Guttmann il quale, nel 1948, organizzò una competizione sportiva per veterani della Seconda Guerra Mondialecon danni alla colonna vertebrale o varie menomazioni; nel 1952 anche atleti olandesi parteciparono ai giochi, dandogli un carattere internazionale. I primi Giochi paralimpici riconosciuti come tali si disputarono nel 1960 in Italia.
COMITATO PARALIMPICO INTERNAZIONALE Il Comitato Paralimpico Internazionale (CPI, a livello internazionale International Paralympic Committee o IPC) è l'organizzazione internazionale no-profit che governa lo sport paralimpico. Il CPI organizza i Giochi paralimpici estivi ed invernali, e funge da Confederazione Internazionale per 12 sport, di cui quindi supervisiona e coordina l'organizzazione dei Campionati mondiali e altre competizioni. La missione del Comitato Paralimpico Internazionale è quella di permettere agli atleti disabili di raggiungere eccellenze sportive e di creare opportunità sportive per tutti a qualsiasi livello. Inoltre il CPI si pone come fine la promozione dei valori paralimpici, che includono il coraggio, la determinazione, l'ispirazione e l'uguaglianza.
COMITATO PARALIMPICO ITALIANO Il Comitato Italiano Paralimpico (CIP), è un Ente autonomo di diritto pubblico costituito il 17 febbraio 2017, con lo scopo di curare, organizzare e potenziare lo sport italiano per disabili. È, di fatto e di diritto, la Confederazione delle Federazioni e Discipline Sportive Paralimpiche, sia a livello centrale che territoriale, alla stregua del CONI per le discipline olimpiche, e riconosciuta dal Comitato Paralimpico Internazionale (International Paralympic Committee, IPC). Precedentemente lo sport per disabili era a cura di una federazione sportiva, la Federazione Italiana Sport Disabili (FISD).
FRASI CELEBRI DI BEBE VIO «Da solo non sei nessuno, ma insieme si può arrivare dappertutto. Ci avete mai pensato?» "È bello far vedere il futuro agli altri in momenti in cui a loro sembra che il futuro non ci sia più.»
LA PARITÀ DI GENERE NELLO SPORT
COME È VISTO LO SPORT FEMMINILE DALLA SOCIETÀ?
UGUAGLIANZA… ART. 3 DELLA COSTITUZIONE ART. 51 DELLA COSTITUZIONE SPORT: LEGGE 91, 1981 LA DONNA HA DIRITTO A: MATRIMONIO, LAVORO, VITA PUBBLICA E MATERNITÀ
ART. 3 DELLA COSTITUZIONE «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.»
ART. 51 DELLA COSTITUZIONE «Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini…»
LEGGE N. 91/1981 La legge abolisce il vincolo sportivo e sperimenta una prima regolamentazione del rapporto di lavoro sportivo. Minore tutela Nessuna disciplina sanitaria, femminile assicurativa, qualificata come previdenziale e professionistica. salariale
VALENTINA VEZZALI «Oggi le atlete donne si vedono costrette a gareggiare per il nostro paese da dilettanti e, proprio perché lo sport è rispetto di genere, bisogna portare avanti la battaglia per una riforma dell’attuale legge 91 del 1981.»
PRINCIPESSA NEL PALLONE Quante volte ti hanno detto che non è un gioco adatto a te? Quante volte uno sguardo al cielo chiedendoti perché Non hai mai smesso di lottare con altre ragazze che Assieme condividono passione, cuore e le scarpette Alzi lo sguardo sugli spalti e c’è quel posto vuoto Mamma non c’ha mai creduto, per lei è solo un gioco Ma tuo padre invece? Pure lui è un calciatore Voleva una figlia principessa, te che invece sei un leone…
STATISTICHE NEL CALCIO UFFICIALI DI TECNICI ATLETI GARA 17% 21% 27% 79% 83% 73% MASCHI FEMMINE MASCHI FEMMINE MASCHI FEMMINE
CHI HA SCRITTO LA STORIA? STEPHANIE FRAPPART REBECCA WELCH MARIA MAROTTA
«LA COSA PIÙ DIFFICILE PER LE CALCIATRICI: RIUSCIRE AD ESSERE ATLETE OLTRE I PREGIUDIZI»
«La donna nel mondo del calcio può essere solo velina o moglie del calciatore. Dico questo senza voler offendere nessuno. Non ci può essere l'opinionista tecnica o la giornalista competente, ma nemmeno una donna nello staff tecnico di una squadra. Questa visione della donna fa sì che la nostra non sia una democrazia piena.» MILENA BERTOLINI DILETTA LEOTTA
«A VOLTE LA RIVALITÀ AUMENTA QUANDO IL VINCITORE È UNA SQUADRA FEMMINILE»
“Nessun ragazzo inviterebbe mai a cena una ragazza con i polpacci più grossi dei suoi."
«Non è soltanto aver raggiunto un ottimo risultato nel campo, è aver raggiunto il cuore delle persone» https://www.youtube.com/watch?v=3wB0JTBzUnc
«LA TUA GRAVIDANZA È UN DANNO»
«LA MATERNITÀ È UN DIRITTO»
LA STRADA È ANCORA LUNGA…
GRAZIE PER L’ATTENZIONE! EMMANUEL AIELLO KELLY FUSCAGNI FRANCESCO MINCHIATTI ALAN BESTIACCI ALESSANDRA GREGORI SAMUELE RAGNI ALESSANDRO CARCIANI FRANCESCO LILLACCI EDOARDO VAGNETTI ALESSANDRO CINTIOLI AURORA MARIOTTI GABRIELE VIGNAROLI TOMMASO CONTE MATTIA MATERA SAMUELE VIGNAROLI LETIZIA FRANCESCHINI SIMONE MENCUCCINI ALESSIA ZOLLI
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