Università LUMSA Corso di Economia delle Aziende Familiari

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Università LUMSA
                    Corso di Economia delle Aziende Familiari
                                   Anno Accademico 2020/2021
                                         Prof. Riccardo Tiscini
                                               Simulazione d’esame

Candidato _____________________________ Matricola_________________

       Esempio domanda a risposta multipla (9 domande, 1 punto ciascuna)

    Scegliere ed evidenziare la risposta corretta.

    1. Secondo Corbetta, l’impresa familiare è:
          a) Caratterizzata da relazioni di reciproco condizionamento tra l’azienda e la famiglia
          b) Costituita da una o poche famiglie, legate da vincoli di parentela, di affinità o di
             solide alleanze, che detengono una quota del capitale di rischio necessaria ad
             assicurare il controllo dell’impresa
          c) Costituita da portatori di capitale di rischio e prestatori di lavoro appartenenti ad
             un’unica famiglia o a poche famiglie collegate tra loro da vincoli di parentela o
             affinità

Caso Max Mara (24 punti)

    1. Max Mara storia dell’azienda

Achille Maramotti è stato il fondatore di Max Mara. Nel 1947 Maramotti usciva dal periodo burrascoso della
guerra con in testa il progetto di una casa di moda innovativa, che riuscirà ad avviare solo 4 anni dopo, nel
1951. Una passione che scorreva comunque nel sangue familiare dato che la nonna di Achille, Marina Rinaldi,
era proprietaria di una delle più esclusive boutique di Reggio Emilia già sul finire dell’Ottocento.
Il nome scelto derivava da una felice intuizione: Mara è il diminutivo del cognome del fondatore Maramotti
che vi associò Max, simbolo di potenza e di forza (max in latino è maximus, quindi il massimo) ma anche
suono allitterante che era facilmente memorizzabile.
Bottega artigianale con respiro internazionale: forse questa definizione può, con estrema brevità, spiegare
l’evoluzione del progetto Max Mara.
Maramotti era rimasto presto privo del padre ma la madre aveva dato vita, in continuità con la nonna, ad una
scuola di taglio e sartoria a Reggio Emilia. Achille frequentò il liceo classico e poi si spostò a Roma dove si
iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Nel 1951 rilevò parte della bottega della mamma e proseguì in quella
strana idea che poi divenne il motore del successo di Max Mara: scomporre il lavoro dei sarti per accelerare la
confezione dei vestiti dando vita al moderno pret-à-porter.
Nel 1951 la produzione assommava a solo 550 capi. Il secondo e il terzo anno si passerà già ad una crescita
esponenziale arrivando a 5 mila abiti prodotti nel 1952 e a 15 mila nel 1953 con una bottega che ormai era
diventata un’azienda da 40 lavoranti (passeranno già a 150 nel 1955 e raddoppieranno ulteriormente a 300 nel
1956 fino a superare in pochi anni il migliaio.

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Dopo un periodo critico negli anni Sessanta ecco il boom fino ad arrivare a un giro di affari attuale che passa
il miliardo di euro, con solida presenza nei mercati extra-italiani che oggi rappresentano oltre la metà delle
vendite della holding.
Oculatezza nelle scelte, grande lavoro sia sullo stile ma anche nell’approccio sartoriale puro, con un fondatore
che non si tirava mai indietro e reinvestiva tutto in azienda
Se si considera che Maramotti, prima della morte, diventò anche il quarto italiano più ricco secondo le
rilevazioni Forbes si può capire che la scelta di sacrificare un Bacon per una rifilatrice, per quanto dolorosa
probabilmente a livello personale, era nell’ottica di sviluppo continuo dell’azienda.
Max Mara è oggi un gruppo strutturato e presente in tutto il mondo. Il fatturato 2017 ha segnato:

    •   un utile di 557 milioni di euro con un rialzo del 30% rispetto all’anno prima;

    •   un fatturato totale pari a 1,55 miliardi di dollari (questo nonostante qualche passo falso del marchio
        Marina Rinaldi che ha avuto invece una perdita di 4 milioni);

    •   2250 store nel mondo (è presente in 90 nazioni);

    •   5000 dipendenti totali

La famiglia Maramotti ha partecipazioni importanti anche in Credem, istituto bancario che risente della crisi
internazionale del settore e che per la famiglia è un nervo più scoperto, e in Unicredit.

2. Da Max Mara a Credem: gioie e dolori della famiglia Maramotti
(Business Insider Italia)
Per la famiglia Maramotti le gioie arrivano dalla moda e i dolori dalle banche; o meglio da una banca in
particolare: Unicredit. Questa la fotografia che emerge dai bilanci del gruppo di Reggio Emilia cui fanno capo
i noti marchi dell’abbigliamento Max Mara e la linea più giovane ed economica, Max & co., oltre che
partecipazioni nel capitale dei due istituti di credito Credem e Unicredit.

La scommessa sulla moda si è rivelata vincente. Basti pensare che nel 2016 Max Mara Fashion Group, cui
sono riconducibili le attività della moda, ha totalizzato 109,2 milioni di euro di utili, facendo registrare un
rialzo di quasi il 30% sull’anno precedente, a fronte di un fatturato pari a 1,43 miliardi (in crescita annua del
3,6 per cento). E ciò nonostante i 25 milioni che la cassaforte ha dovuto versare a copertura di future perdite
della controllata Marina Rinaldi, marchio di abbigliamento per taglie comode, che solo nel 2016 ha realizzato
perdite per quasi 4 milioni e che rappresenta un po’ l’anello debole della catena della moda targata Maramotti.

La Max Mara Fashion Group è una delle finanziarie attraverso le quali la famiglia emiliana controlla il Credem,
una banca che, tanto per citare gli ultimi numeri disponibili, ha archiviato i primi sei mesi del 2017 con utili
netti consolidati a 101,3 milioni, in crescita del 44% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, e con una
percentuale di sofferenze nette su impieghi pari all’1,44%, in calo dall’1,63% del 2016 e al di sotto della media
bancaria italiana (che si aggira sul 4,5 per cento). Il Credem, in particolare, è controllato al 77,3% dalla Credito
Emiliano Holding spa, a sua volta partecipata dalla famiglia Maramotti attraverso tre delle sue finanziarie: la
Cofimar, con quasi il 20%, la Max Mara Finanza srl, con quasi l’8,5%, e appunto la Max Mara Fashion Group
srl, con poco più dell’8%.

Proprio la Cofimar, presieduta da Ignazio Maramotti, fratello di Luigi nonché vicepresidente di Credem, ha
chiuso il bilancio del 2016 in perdita: il rosso si è attestato 63,7 milioni e si confronta con l’utile di 12,5 milioni
che era stato realizzato nel 2015. A pesare sul risultato è stata anche la svalutazione per poco più di 23 milioni
delle azioni Unicredit, banca di cui Luigi Maramotti in passato è stato anche consigliere di amministrazione.
Non solo: altri 52 milioni abbondanti di rettifiche che hanno azzoppato il risultato netto finale sono giunte
dalla controllata lussemburghese Ibef sa, che pure custodisce in portafoglio partecipazioni nella banca guidata
da Jean Pierre Mustier. Le svalutazioni delle azioni Unicredit risultano antecedenti all’aumento di capitale da
13 miliardi chiuso nei primi mesi del 2017.

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Sarà interessante capire se i Maramotti hanno preso parte all’operazione oppure no. Per farlo bisognerà
attendere i bilanci delle finanziarie dell’anno in corso. Nel frattempo, come riferito da Italia oggi all’inizio di
giugno, la famiglia emiliana ha cominciato a sistemare alcuni tasselli in vista del passaggio generazionale. È
in quest’ottica che va letto il progetto di scissione parziale proporzionale di Cofimar a favore della finanziaria
di nuova costituzione Destination Unity, che avrà un capitale di 1,2 milioni di euro e alla quale saranno
trasferite tutta una serie di attività, tra cui il 99% di Società Agricola Maramotti, Istituto Italiano Immobiliare
del Nord, Sviluppi Emiliani Immobiliari e Contemporary Art Management.

La Cofimar, presieduta da Ignazio Maramotti, fratello di Luigi nonché vicepresidente di Credem, ha chiuso il
bilancio del 2016 in perdita: Il rosso si è attestato 63,7 milioni e si confronta con l’utile di 12,5 milioni che era
stato realizzato nel 2015. A pesare sul risultato è stata anche la svalutazione per poco più di 23 milioni delle
azioni Unicredit, banca di cui Luigi Maramotti in passato è stato anche consigliere di amministrazione. Non
solo: altri 52 milioni abbondanti di rettifiche che hanno azzoppato il risultato netto finale sono giunte dalla
controllata lussemburghese Ibef sa, che pure custodisce in portafoglio partecipazioni nella banca guidata da
Jean Pierre Mustier. Le svalutazioni delle azioni Unicredit risultano antecedenti all’aumento di capitale da 13
miliardi chiuso nei primi mesi del 2017.

Sarà interessante capire se i Maramotti hanno preso parte all’operazione oppure no. Per farlo bisognerà
attendere i bilanci delle finanziarie dell’anno in corso. Nel frattempo, come riferito da Italia oggi all’inizio di
giugno, la famiglia emiliana ha cominciato a sistemare alcuni tasselli in vista del passaggio generazionale. È
in quest’ottica che va letto il progetto di scissione parziale proporzionale di Cofimar a favore della finanziaria
di nuova costituzione Destination Unity, che avrà un capitale di 1,2 milioni di euro e alla quale saranno
trasferite tutta una serie di attività, tra cui il 99% di Società Agricola Maramotti, Istituto Italiano Immobiliare
del Nord, Sviluppi Emiliani Immobiliari e Contemporary Art Management.

3. Max Mara: con Luigi Maramotti alla scoperta del gigante silenzioso
(Fashion Network)
Ci siamo incontrati all'interno di un edificio che una volta era tutto un intero impianto di produzione di
abbigliamento e che oggi è diventato un museo d’arte unico. Una finestra temporale concessaci di 10 minuti,
che si è trasformata in una conversazione di 30 minuti nella quale Luigi ha spiegato perché la società ha
sempre sviluppato solo i propri marchi (oggi ne vanta 23), e non ha mai acquisito un marchio esterno, perché
non gli piace il mercato azionario e come ritiene che i marchi di moda creativa dovrebbero essere gestiti.

FNW: Come ha fatto suo padre Achille ad assemblare questa collezione d’arte?

LM: Ha cominciato alla fine degli anni ’30 quando iniziò ad avere un po' di soldi. C'è un bell’aneddoto su una
sera a metà degli anni '60 a Milano: ad un evento gli fu offerto un dipinto di Bacon, di cui ha sempre amato lo
stile. Il quadro gli piaceva molto e doveva prendere una decisione tra comprare il Bacon o una speciale
rifilatrice. Decise di comprare la macchina rifilatrice. Probabilmente oggi con quel Bacon si potrebbero
comprare diverse piccole aziende. Comunque quella storia ci dice che devi essere sempre focalizzato e fare la
scelta più giusta e saggia, anche se poi alla fine mio padre è riuscito a comprare un’opera di Bacon più tardi.
 Per me lavorare nel mondo della moda significa essere come un antropologo o un esploratore. Valicare nuove
frontiere. Le persone nella moda sono sempre interessate al dialogo con l'arte, perché gli artisti sanno prima
dei designer cosa ci aspetta nel futuro. Ma sono due categorie di persone molto vicine tra loro. Poi ci sono le
altre persone, che vengono molto dopo. Ciò eccitava mio padre, il quale decise di comprare e appendere opere
d'arte in questo posto perché sentiva che le persone che lavorano nella moda dovevano davvero percepire e
capire questo dialogo. Non stava solo raccogliendo una collezione-vetrina per pura immagine.

FNW: Come è stato influenzato dall’America?

LM: Nel 1986, quando sono tornato per avviare Max Mara USA, New York era una città molto dura. Però,
anche se la città era difficile, e con molta criminalità, la sua energia era incredibilmente grande, anche senza
molti soldi.

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FNW: Vi quoterete mai in Borsa?

LM: Non sono un fan della quotazione in senso assoluto. Se lavori in questo campo e vuoi davvero essere
libero di raggiungere i tuoi obiettivi ed essere un'azienda creativa è meglio che il top management si concentri
su questo. E il mercato azionario è molto esigente in termini di strategie e risultati a breve termine. Ci sono
molte fluttuazioni e quindi volatilità, il che non è ideale per quello che facciamo.

FNW: Quali piani avete per la successione da Max Mara?

LM: Siamo molto coinvolti nella vita dell’azienda. Si tratta di un’attività molto affascinante se ti piace. Quindi,
se i membri della nostra famiglia mostrano passione e determinazione, ci sarà sempre spazio per loro. Sono
convinto che le aziende familiari diano un valore aggiunto. Se guardiamo alla storia italiana passata, ci
accorgiamo che avevamo le botteghe, quelli che oggi definiremmo i laboratori, dei grandi pittori, nelle quali
c’è un trasferimento dal padre al figlio di cultura, saperi, abilità, competenze, e in più questa motivazione delle
persone che lavorano in un'azienda di famiglia che permette di superare un sacco di problemi.

Laureatosi alla vicina Università di Parma, Luigi vive in una villa sulle colline sopra Reggio Emilia; è sposato
e ha tre figli. La moglie è un’esperta del grande filosofo politico francese Alexis de Tocqueville.

4. Il tesoretto dei Maramotti
(La Repubblica)

Le holding della famiglia emiliana hanno un patrimonio di 3,7 miliardi. I pezzi pregiati sono Max Mara e la
quota di Credem e stanno seduti su un tesoro che, agli attuali corsi borsistici, vale quasi 490 milioni di euro,
al netto del premio di maggioranza. Sono Ignazio e Luigi Maramotti azionisti assieme alla sorella Ludovica
col 36,5% di Credem Holding, la società che controlla il 77,5% del Credito Emiliano. Luigi è vicepresidente
della banca, Ignazio della holding e proprio quest'ultima società qualche settimana fa ha distribuito agli
azionisti un dividendo complessivo di oltre 28 milioni, pari a 1,75 euro a titolo, invariato rispetto allo scorso
anno. I Maramotti possiedono le loro quote in Credem Holding, che raggruppa oltre 200 azionisti vincolati da
un patto di sindacato, attraverso un trittico di finanziarie: Cofimar (che ha il 19,97%), Società Anonima
Finanziaria Emiliana- Safe (8,4%) e Max Mara Fashion Group (8,1%).

Queste tre casseforti - più una quarta denominata Unity RE, nata due anni fa per meglio gestire il passaggio
generazionale e concentrarvi il patrimonio immobiliare - sono le chiavi d'accesso per fotografare la consistenza
patrimoniale degli imprenditori di Reggio Emilia, che al grande pubblico più che nella loro veste di banchieri
sono noti in quanto proprietari del marchio di prêt-à-porter Max Mara.

Quando nel 2005 scomparve a 78 anni d'età Achille Maramotti, fondatore del gruppo Max Mara e marito di
Ida Lombardini, erede della dinastia motoristica reggiana, uscì di scena un industriale ossessionato dalla
riservatezza, nonostante "Forbes" lo avesse indicato come il quarto uomo più ricco d'Italia. Non a caso per
stare lontano dai riflettori le sedi legali di Cofimar, Max Mara Fashion Group e Safe furono e ancora oggi sono
basate al numero civico 10 di via Pietro Giannone a Torino, perché la quota di maggioranza è intestata alla
Simon Fiduciaria, che lì ha sede, a suo tempo controllata e gestita dall'avvocato Franzo Grande Stevens (il più
famoso legale di Gianni Agnelli) e in seguito passata sotto le insegne della Ersel dei Giubergia, un'altra
famiglia dell'establishment torinese. Del resto nel capoluogo piemontese c'è un altro alleato storico dei
Maramotti, la famiglia Zanon di Valgiurata, che con la loro Fenera Holding sono titolari di un 1% abbondante
di Credem, tanto che Igino Zanon di Valgiurata è presidente della banca e vicepresidente di Credemholding.

Ignazio, classe 1961 è il più giovane dei tre figli di Achille Maramotti e presiede le tre casseforti a monte di
Credemholding. Tutte con forma di srl hanno insieme un patrimonio netto di oltre 3,7 miliardi suddiviso fra i
342 milioni di Cofimar, i 2,1 miliardi di Max Mara Fashion Group e gli 1,3 miliardi, e nel 2017 hanno prodotto
un utile complessivo di oltre 680 milioni. Le tre holding, otre che detenere le quote in Credemholding, hanno
diversificato in modo consistente in altri asset finanziari. Cofimar ha investito 65 milioni in un fondo e possiede

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titoli Unicredit in carico per 25,5 milioni. Sono il pacchetto che resta di quello di poco inferiore al 2% che
prima era del Credito Romagnolo, poi di Unicredit Banca e infine di Unicredit, e che aveva fatto entrare Achille
Maramotti nel consiglio d'amministrazione della banca allora guidata da Lucio Rondelli, che lo aveva indicato
anche nel board e nel comitato esecutivo di Mediobanca.

In Unicredit gli sono succeduti prima il figlio Ignazio e poi Luigi, che dal consiglio della banca è uscito nel
2015, contestualmente alla diluzione della partecipazione. Anche Max Mara Fashion Group, che controlla fra
l'altro l'omonima casa di moda, ha investito 580 milioni in fondi e 380 milioni in obbligazioni bancarie così
come Safe ha puntato 50 milioni in fondi azionari. E proprio quest'ultima cassaforte controlla due importanti
subholding lussemburghesi, Max Mara International e International Fashion trading, in carico rispettivamente
nel bilancio consolidato di Safe per 72,8 e 870 milioni.

5. Max Mara, via al riassetto: 1 miliardo in cassaforte per la gestione finanziaria
(Il Sole 24 ore)

Ampio riassetto nella galassia di holding della famiglia Maramotti con la Società Anonima Finanziaria
Emiliana (già Max Mara Finance) che diventerà così una cassaforte specializzata nella «gestione finanziaria»
mentre Cofimar (a cui fa capo la quota in Unicredit e la lussemburghese Ibef) sarà «votata alla gestione delle
partecipazioni bancarie» e Max Mara Fashion Group al business industriale, cioè alla moda.

La riorganizzazione, secondo quanto ricostruito da Radiocor, è avvenuta nelle ultime settimane e attraverso
due operazioni distinte che hanno portato in pancia alla Società Anonima Finanziaria Emiliana risorse per
complessivi 1,085 miliardi di euro in nome della stessa strategia: «Un progetto organico di ottimizzazione
delle risorse finanziarie che permetteranno di formare una maggiore massa con tutti i conseguenti vantaggi».

La prima operazione ha visto la Max Mara Fashion Group scorporare e scindere a favore della Anonima
Finanziaria «il ramo d’azienda destinato a servizi legali e audit unitamente alle risorse impiegate e ad altri
beni, contratti e titoli»: un pacchetto valutato 900 milioni di patrimonio netto e che comprende, tra gli altri,
immobili con un valore complessivo di 41 milioni sparsi in tutta Italia da Milano (in Via Montenapoleone) a
Roma per arrivare a Genova, Torino e Venezia, obbligazioni bancarie per oltre 330 milioni (di Banco Bpm,
Intesa Sanpaolo e Ubi) e un credito di 380 milioni verso la stessa Anonima Finanziaria. La seconda operazione,
invece, ha coinvolto Cofimar, che ha trasferito sempre all’Anonima Finanziaria liquidità eccedente il
fabbisogno aziendale per 185,2 milioni, equivalente al credito infruttifero di pari importo che vantava nei
confronti della stessa società.

Domande (RISPONDERE DI SEGUITO ALLE DOMANDE)

    1. Max Mara è un’azienda di famiglia? Perché?
    2. Qual è stato il vantaggio competitivo che ha differenziato la strategia di Max Mara nei primissimi anni
       di attività?
    3. La presenza della famiglia Maramotti nel settore bancario a quale tipo di strategia competitiva è
       assimilabile?
    4. Qual è l’approccio della Famiglia al mercato borsistico? Utilizzando le conoscenze acquisite durante
       il corso spiega la tua posizione in merito al rapporto “Azienda di famiglia-Borsa”.
    5. Qual è l’utilità delle 3 “casseforti” della famiglia Maramotti?
    6. Achille Maramotti ha più volte anteposto le esigenze aziendali alle proprie volontà. Partendo dal caso
       in esame, descrivi il rapporto imprenditore-impresa nelle aziende di famiglia evidenziandone gli
       aspetti positivi e negativi.

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7. Utilizzando le nozioni teoriche illustrate nel corso, descrivi (spiegando il motivo di ogni scelta) come
   avresti organizzato e gestito il passaggio generazionale tra Achille Maramotti ed i 3 figli.
8. Descrivi il tuo personale piano d’azione nel caso in cui fossi stato/a a capo di una multinazionale come
   Max Mara durante la recente pandemia Covid-19. Quale sarebbe stato il tuo rapporto con i dipendenti?
   Come avresti gestito la produzione?

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