UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA - CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE - Infn

Pagina creata da Christian Castellani
 
CONTINUA A LEGGERE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA - CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE - Infn
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA

            CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE

    Studi di produzione di 52/51Mn con ciclotrone e sintesi di
    complessi di manganese per la diagnostica multimodale
                                   PET/MRI

Relatore: Prof.ssa Alessandra Boschi               Laureando: Stefano Lonis

Secondo Relatore: Dott.ssa Petra Martini

Correlatore: Dott.ssa Micol Pasquali

                                Anno Accademico

                                       2018/2019
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA - CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE - Infn
Sommario
Introduzione: il progetto METRICS e scopo della tesi ............................................... 2
Capitolo 1 Parte Generale.............................................................................................. 4
   1.1       La medicina Nucleare.................................................................................................... 4
   1.2       I radiofarmaci ................................................................................................................ 4
   1.3       I radioisotopi e il decadimento radioattivo .................................................................... 5
      1.3.1         Tecniche di produzione .............................................................................. 7
      1.3.2         Il ciclotrone ................................................................................................. 8
   1.4       L’imaging Molecolare (MI) ........................................................................................ 12
      1.4.1         Tomografia ad emissione di positroni (PET) ........................................... 12
      1.4.2         Imaging a risonanza magnetica (MRI) ..................................................... 15
      1.4.3         Imaging Multimodale ............................................................................... 17
   1.5       Il manganese................................................................................................................ 18
      1.5.1         Isotopi del manganese .............................................................................. 19
      1.5.2         Metodi di produzione di 51/52Mn ............................................................... 19
      1.5.3         Chimica del manganese ............................................................................ 21
Capitolo 2 Parte sperimentale ..................................................................................... 25
   2.1       Materiali e metodi ....................................................................................................... 25
   2.2       Processo di estrazione radiochimica Cr-Mn ................................................................ 27
      2.2.1         Studi di dissoluzione del target ................................................................. 27
      2.2.2         Sviluppo di una procedura di separazione Cr-Mn .................................... 28
      2.2.3         Studi di automazione della procedura di separazione Cr-Mn................... 30
   2.3       Sintesi dei complessi di manganese ............................................................................ 34
      2.3.1         Preparazione del complesso [Mn(PTA)2(Cl)2(H2O)2] .............................. 34
      2.3.2         Preparazione del complesso Mn(S2CNEt2)2 ............................................. 34
      2.3.3         Preparazione del complesso Mn(S2CNEt2)3 ............................................. 35
      2.3.4         Preparazione del complesso Mn(NOEt)2.................................................. 37
      2.3.5         Preparazione del complesso Mn(NOEt)3.................................................. 38
Capitolo 3 Risultati e discussione ................................................................................ 40
   3.1       Studi di separazione Cr/Mn ......................................................................................... 43
   3.2       Sintesi di complessi di manganese con leganti ditiocarbammati ................................ 50
Appendice ...................................................................................................................... 62
Ringraziamenti ............................................................................................................. 69
Riferimenti .................................................................................................................... 70

                                                                     1
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA - CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE - Infn
Introduzione: il progetto METRICS e scopo della tesi

Il presente lavoro di tesi è stato realizzato nell’ambito del progetto denominato METRICS
                                                                                      52/51
“Multimodal        pET/mRi        Imaging         with      Cyclotron-produced                Mn
(β+emitter/paramagnetic)      iSotopes”     (CSN5        INFN     2017-2020),   un   progetto
interdisciplinare finanziato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e realizzato dal
gruppo di ricerca LARAMED (LAboratory of RAdionuclides for MEDicine) dei
Laboratori Nazionali di Legnaro LNL-INFN in collaborazione con alcune sedi locali di
INFN, quali Padova, Milano e Ferrara, l’Università di Ferrara e l’Ospedale “Sacro Cuore-
Don Calabria” di Negrar (VR).

Lo scopo del progetto METRICS riguarda lo studio e la messa a punto di un efficiente
metodo di produzione mediante ciclotrone di isotopi radioattivi di 52/51Mn da utilizzare in
campo medico diagnostico con la tecnica di Imaging Multimodale PET/MRI grazie
all’accoppiamento dei corrispondenti radiofarmaci a complessi paramagnetici di
manganese. La tomografia a emissione di positroni (PET) è una tecnologia diagnostica
che si basa sull’impiego di molecole radioattive che, introdotte nell’organismo, si
concentrano in un particolare tessuto bersaglio a seguito dell’interazione con specifici
substrati biologici. L’informazione diagnostica che ne deriva, essendo veicolata
dall’interazione della molecola tracciante con le biomolecole che compongono le varie
strutture cellulari, risulta di natura metabolica o funzionale.

La risonanza magnetica (MRI) è invece una differente tecnologia diagnostica che sfrutta
il segnale prodotto dalle transizioni di spin indotte sui protoni dell’acqua presente nei
tessuti quando il campione biologico è posto in un campo magnetico. Con lo scopo di
aumentare il contrasto fra i vari tessuti viene generalmente utilizzato un composto
chimico contenente un metallo paramagnetico che non interagisce con le biomolecole
presenti all’interno e all’esterno delle cellule ma che si disperde nel liquido interstiziale.
Ne consegue che l’informazione diagnostica ottenuta con la metodologia MRI risulta di
natura essenzialmente anatomica.

Attualmente in ambito medico le due metodologie diagnostiche vengono utilizzate nella
tecnologia cosiddetta ‘ibrida’, PET/MRI, grazie all’impiego di molecole radioattive
caratterizzate dalla presenza di isotopi emettitori di positroni, quali fluoro-18, e di
complessi paramagnetici di gadolinio. Con questa metodologia vengono sovrapposte due
immagini registrate separatamente che vengono poi fuse mediante l’uso di programmi di

                                              2
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA - CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE - Infn
ricostruzione. L’immagine “ibrida” PET e MRI così ottenuta non può essere considerata
prodotta da una vera fusione del contenuto delle informazioni diagnostiche raccolte con
le due metodiche, proprio perché la loro natura è fondamentalmente diversa.

L’obiettivo principale del progetto METRICS è quello di realizzare una fusione delle
immagini PET e MRI ad un livello più fondamentale, utilizzando traccianti radioattivi
PET e agenti di contrasto paramagnetici MRI caratterizzati dalla stessa composizione
molecolare, cioè composti dalla stessa specie chimica. Utilizzando infatti la stessa specie
molecolare per generare immagini PET e MRI l’interazione molecolare tra l’agente
radioattivo/contrasto e i processi cellulari dovrebbe essere della stessa natura.

Il manganese, possedendo sia isotopi stabili paramagnetici che isotopi radioattivi che
decadono attraverso l’emissione di positroni, è stato identificato come elemento ideale
per tali scopi. Ad esempio, il manganese naturale, nello stato di ossidazione +2, è
caratterizzato da un elevato momento di dipolo magnetico che lo rende particolarmente
adatto ad essere impiegato come agente di contrasto MRI. Inoltre i due isotopi radioattivi,
52
     Mn e 51Mn, hanno proprietà nucleari vantaggiose per un loro impiego come traccianti
PET. In particolare, il 52Mn ha caratteristiche di emissione spettrale positronica simili al
18
     F, assicurando così una risoluzione spaziale e definizione delle immagini PET analoghe
a quest’ultimo.

La realizzazione del progetto METRICS coinvolge fondamentalmente una serie di studi
interdisciplinari che possono essere riassunti nei seguenti punti:

       (1) studio dei parametri ottimali di irraggiamento per la di produzione di 52/51Mn con
          ciclotrone con elevata purezza ed alta attività specifica, al fine di identificare il
          target più adeguato;
       (2) design e realizzazione di un target in grado di sostenere livelli relativamente alti
                                                             52/51
          di potenza compatibili con una produzione di               Mn che possa soddisfare le
          necessità di un territorio regionale;
       (3) sviluppo di una procedura efficiente per la separazione degli isotopi radioattivi di
          52/51
                  Mn dal target e da eventuali contaminanti e preparazione dei relativi
          radiofarmaci per la PET;
       (4) sintesi e caratterizzazioni di complessi stabili e paramagnetici di Mn per l’imaging
          MRI.

                                                  3
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA - CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE - Infn
È in questo contesto che si colloca il mio lavoro di tesi. In particolare, il lavoro
sperimentale svolto ha riguardato lo studio preliminare di metodi originali di separazione
Cr/Mn e la sintesi e caratterizzazione di selezionati complessi di manganese.

Capitolo 1 Parte Generale

1.1    La medicina Nucleare

La Medicina Nucleare è una particolare disciplina medica che utilizza sostanze
radioattive chiamate radiofarmaci per l’analisi di processi fisiologici, biochimici e
patologici in vivo. Tale campo ha permesso, soprattutto negli ultimi anni, la diagnosi e il
trattamento ottimale di molte patologie neoplastiche permettendo di migliorare
notevolmente le terapie e ottimizzare le prognosi per i pazienti. Le metodiche
diagnostiche della medicina nucleare, quali PET (Positron Emission Tomography) e
SPECT (Single Photon Emission Computed Tomography), permettono di ottenere
informazioni non solo di carattere morfologico, come invece avviene in radiologia e
risonanza magnetica, ma anche di tipo biochimico, patologico e fisiologico degli organi
analizzati. Il fondamento della medicina nucleare consiste quindi nella visualizzazione
dell’organo in esame nella sua totalità e funzionalità. La tecnologia che concretizza tale
scopo è detta “Diagnostica per Immagini” o “Imaging” e si basa sull’impiego di
particolari apparecchiature dotate di cristalli in grado di emettere fotoni quando colpiti da
determinate tipologie di radiazioni. La radiazione emergente dall’organo e contenente le
informazioni relative al suo stato clinico, viene così restituita sotto forma di immagine
grazie ad un’elaborazione di tipo informatico. L’immagine finale, chiamata
“scintigrafia”1, risulta totalmente generata dalla radiazione emessa dal radiofarmaco che
si è localizzato all’interno dell’organo bersaglio sfruttando un ben preciso meccanismo
biologico.

1.2    I radiofarmaci

In generale i radiofarmaci sono traccianti utilizzati in medicina nucleare che contengono
uno o più isotopi radioattivi e il carrier, ovvero una molecola con funzioni biologiche di
trasporto. Il loro utilizzo può essere sia per fine diagnostico che terapeutico. Il processo

                                             4
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA - CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE - Infn
per il quale il radioisotopo viene legato chimicamente alla molecola di trasporto è definito
marcatura.

Tramite la rivelazione dell’attività di questi farmaci all’interno degli organismi è possibile
ottenere delle immagini statiche, indicative di dove il radiofarmaco si localizzi dopo un
determinato lasso di tempo, o una serie di immagini registrate in tempi diversi utile a
determinare la distribuzione del medicinale evidenziando anche aspetti metabolici. Si
possono quindi ottenere informazioni sia di tipo metabolico che funzionale.2

1.3    I radioisotopi e il decadimento radioattivo

Il radioisotopo è un particolare elemento caratterizzato da un nucleo instabile che,
decadendo, emette energia sotto forma di radiazioni. Le modalità di decadimento del
radioisotopo determinano l’utilizzo diagnostico, terapeutico o entrambi in alcuni casi.

I nuclei instabili possono decadere tramite una o più combinazioni dei seguenti processi:
fissione spontanea, cattura elettronica, emissione di particelle α (nuclei di 4He), β+
(1 positrone) o β- (1 elettrone) o transizione isomerica con emissione di raggi γ, affinché
possano raggiungere la stabilità ottenendo il rapporto N/Z del nuclide stabile più vicino.
In tutti i processi di decadimento l’energia, la massa e la carica si devono conservare.

Cattura elettronica

Il decadimento per cattura elettronica è un processo per il quale un nucleo ricco di protoni
assorbe un elettrone e- di una shell interna, solitamente K o L. Uno dei protoni nucleari
p, si trasforma quindi in un neutrone n con l’emissione di un neutrino elettronico νe che
compensa l’energia di decadimento.

                                       p + e- → n + νe

Successivamente alla cattura dell’elettrone, un elettrone esterno rimpiazza la lacuna
formata nella shell interna provocando l’emissione di uno o più raggi-X caratteristici.

                                              5
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA - CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE - Infn
Decadimento α

Il decadimento α (Fig. 1) interessa per la maggior parte elementi pesanti con Z > 83. La
particella α è uno ione di elio formato da due protoni e due neutroni.

                              Figura 1 - Schema del decadimento α.

Tale decadimento può essere seguito da emissione di raggi γ.

Decadimento β- e β+

Tali processi portano alla variazione del numero atomico Z senza variazione del numero
di massa A dell’elemento.

Il decadimento β– (Fig. 2), che comporta l’emissione di negatroni, avviene quando il
nucleo instabile possiede un eccesso di neutroni con N/Z maggiore rispetto a quello del
nucleo stabile. Un neutrone decade in un protone emettendo una particella β– e un
antineutrino ν. Le particelle β– hanno un’energia variabile da 0 fino all’energia massima
di decadimento, ovvero la differenza energetica tra il nuclide genitore e quello figlio.
L’antineutrino compensa la differenza di energia tra la particella β– e quella del
decadimento.

                              Figura 2 - Schema del decadimento β–.

L’energia di queste particelle β– è dipendente dal tipo di radionuclide.

Il decadimento β+ (Fig. 3) comporta la trasformazione di un protone in un neutrone nel
nucleo instabile e si verifica in nuclidi con difetto neutronico. Tale processo avviene con
emissione di un positrone β+ e un neutrino ν. Il numero atomico Z diminuisce di 1 e il
numero di neutroni aumenta di 1.

                              Figura 3 - Schema di decadimento β+.

                                               6
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA - CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE - Infn
Analogamente al caso precedente, la particella β+ ha energia variabile da 0 all’energia di
decadimento mentre il neutrino possiede la differenza di energia tra la β+ e quella di
decadimento.

I positroni vengono poi annichiliti facilmente interagendo con un elettrone della materia
e producendo due fotoni γ emessi in direzione opposta con E = 0.511 MeV.

Il manganese-52 segue un decadimento di tipo β+ (Fig. 4).

                    Figura 4 - Schema del decadimento radioattivo del manganese-52.

Transizione isomerica IT

Gli isomeri vengono definiti come nuclidi con lo stesso numero di neutroni e protoni ma
differente energia e spin nucleare.

Spesso i decadimenti β portano alla formazione di stati eccitati che possono poi
raggiungere lo stato fondamentale emettendo energia tramite radiazione γ. Quando gli
stati di transizione isomerica hanno un tempo di vita relativamente alto, sono chiamati
metastabili come accade ad esempio per il 99mTc in cui il simbolo “m” indica appunto tale
condizione.

1.3.1 Tecniche di produzione

I radioisotopi possono essere prodotti mediante ciclotroni o all’interno di reattori nucleari
dove si espongono appropriati materiali, chiamati target, ad un flusso di particelle ad
elevata energia che provoca la reazione nucleare responsabile della formazione del
radioisotopo desiderato. La reazione nucleare che avviene dipende da alcuni fattori tra
cui:

                                                  7
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA - CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE - Infn
   il tipo, l’energia ed il flusso delle particelle;
         le caratteristiche chimico fisiche del target;
         il valore della sezione d’urto della reazione.3

In medicina nucleare, emettitori β+ come il 18F e radioelementi aventi una breve emivita
           201
come il          Tl vengono prodotti tramite ciclotroni e rappresentano circa il 25 % dei
                                                                  18
radioisotopi utilizzati in diagnostica. In particolare, il             F viene prodotto irraggiando
acqua arricchita con 18O con protoni accelerati da ciclotrone secondo la reazione nucleare
18
     O(p,n)18F che porta alla formazione del       18
                                                        F. Dopo circa 2 ore di irraggiamento, il
radioisotopo viene isolato e successivamente legato chimicamente a una molecola di
glucosio per ottenere il radiofarmaco [18F]FDG (fluoro deossi glucosio).

La maggior parte dei radioisotopi viene invece prodotta all’interno di reattori nucleari nei
quali un fascio di neutroni provoca la fissione di un target d’alluminio contenente 235U.
Tramite tale processo si ottengono radioisotopi aventi un’emivita sufficientemente lunga
da garantire il loro trasporto e successivo utilizzo. Il più importante fra i radioisotopi
                                                                                           99
ottenuti da reattore nucleare derivato dalla fissione dell’uranio 235 è il                  Mo, il
                               99m
radionuclide genitore del         Tc, l’elemento principe della diagnostica medico nucleare
SPET, utilizzato in più del 70 % degli esami scintigrafici. Fino a pochi anni fa, l’uranio
utilizzato per la produzione di questi radioisotopi era del tipo Highly Enriched Uranium
(HEU) con una quantità di isotopo 235 pari al 95 %; tuttavia, grazie a recenti
regolamentazioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (IEAE) si è imposto
di rimpiazzare questo elevato grado di uranio per la fine del 2017 con un Low Enriched
Uranium (LEU) arricchito solamente per il 20 % o meno.

Nel caso di radioelementi prodotti da ciclotrone la sintesi dei radiofarmaci può essere
effettuata nella stessa sede di formazione del radionuclide, se il reparto di medicina
nucleare è dotata di ciclotrone, oppure in sedi differenti e i prodotti spediti ai vari servizi
di medicina nucleare.

1.3.2 Il ciclotrone

Il ciclotrone è uno strumento utilizzato per accelerare fasci di particelle elettricamente
carichi, solitamente ioni leggeri, tramite l’applicazione di una corrente alternata ad alta
frequenza ed alta tensione che fornisce l’accelerazione, e di un campo magnetico
perpendicolare che fornisce invece la direzione alle particelle. Esse partono dal centro del

                                                  8
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA - CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE - Infn
ciclotrone e, percorrendo una traiettoria a spirale, escono dalla macchina con velocità
prossime a quella della luce (Fig. 5).4

                    Figura 5 – Schema della traiettoria delle particelle nel ciclotrone.

A causa delle radiazioni prodotte all’interno del ciclotrone, le pareti esterne sono
schermate con pareti di piombo.

Il cuore di questo strumento è formato da una camera circolare ad alto vuoto con una
pressione inferiore a 10-6 mbar, all’interno della quale vi sono due elettrodi cavi a forma
di D chiamati dees. Tali elettrodi necessitano di un sistema di raffreddamento interno a
causa dell’elevato riscaldamento provocato dalla collisione delle particelle spurie; per lo
stesso motivo risulta fondamentale ottimizzare la traiettoria del fascio.

La camera si trova tra i due poli di un magnete, in modo che il campo magnetico attraversi
in maniera perpendicolare il piano su cui giacciono i dees (Fig. 6).

                            Figura 6 - Schema dell’apparato del ciclotrone.5

                                                     9
Le particelle che vengono introdotte tangenzialmente nella camera vengono deviate dal
campo magnetico ortogonale e mantenute su un’orbita circolare dalla forza di Lorentz
(Eq. 1) data dalla seguente equazione:

    =         ×                                                                        (Eq. 1)

dove    rappresenta la carica della particella,     la sua velocità istantanea e      il campo
magnetico.4

Tramite l’applicazione tra i due elettrodi di una differenza di potenziale alternata ad alta
frequenza (radiofrequenza) (Eq. 2) le particelle subiscono un’accelerazione ogni volta che
passano tra i dees aumentando così la loro energia cinetica (Eq. 3):

  =               (   )                                                                (Eq. 2)

dove     rappresenta il voltaggio di picco,        la frequenza angolare di radiofrequenza e
 il tempo.

  =               =                                                                    (Eq. 3)

dove    rappresenta la massa e     la velocità.

A causa dell’accelerazione prodotta dai due elettrodi, l’orbita circolare a cui sono
sottoposte le particelle per via del campo magnetico aumenta fino a quando il fascio
fuoriesce tangenzialmente dallo strumento. Ѐ possibile quindi ricavare il raggio
dell’orbita   (Eq. 5) a partire dalla velocità angolare della particella   (Eq. 4):

   = =                                                                                 (Eq. 4)

  =                                                                                    (Eq. 5)

                                              10
La frequenza di rivoluzione       , anche detta frequenza di ciclotrone, di una particella
carica in un campo magnetico è definita dalla seguente equazione (Eq. 6):

   =                                                                               (Eq. 6)

dalla quale si ricava che un incremento della velocità provoca un aumento del raggio
dell’orbita senza però influenzare la frequenza orbitale o il periodo in quanto dipendenti
solamente dal campo magnetico applicato.

Il principio su cui si basa il funzionamento del ciclotrone è il seguente: il tempo
impiegato a percorrere mezzo giro di circonferenza deve essere uguale al semiperiodo di
radiofrequenza (Eq. 7).6

     =      =      =          →           =        =                               (Eq. 7)

Da queste equazioni si ricava che la pulsazione di ciclotrone        della radiofrequenza
debba essere uguale alla velocità angolare degli ioni. Una volta che le particelle
acquistano l’energia desiderata, alla quale corrisponde un’orbita di raggio Rest (raggio di
estrazione), vengono deviate da un sistema di estrazione e inviate contro il target per far
avvenire la reazione nucleare d’interesse.

L’impiego di questi particolari strumenti ad elevata tecnologia permette la produzione di
nuclidi radioattivi che, per le loro peculiari caratteristiche di decadimento, trovano
impiego in medicina. In particolare, la maggior parte dei radionuclidi prodotti da
ciclotrone risulta povera di neutroni e quindi decade per emissione di positroni (β+) o per
cattura elettronica. Tali radionuclidi vengono rivelati e trasformati in immagini a
contenuto diagnostico tramite l’impiego della tecnologia nota come tomografia ad
emissione di positroni (PET) di cui si parlerà ampiamente in seguito.

                                              11
Recentemente presso i Laboratori di Legnaro dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
INFN è stato installato un potente ciclotrone in grado di accelerare protoni fino a 70 MeV
ad alta corrente (750 μA) (Fig. 7).

                           Figura 7 - Ciclotrone da 70 MeV dell'LNL-INFN

Le caratteristiche uniche di questo ciclotrone, solo un altro esemplare analogo risulta
attualmente installato nel mondo, permetteranno, oltre a studi fondamentali di fisica
nucleare, di produrre radionuclidi innovativi per la medicina.

1.4    L’imaging Molecolare (MI)

L’imaging molecolare comprende alcune tecniche diagnostiche che permettono la
visualizzazione, la caratterizzazione e la misura dei processi biochimici a livello cellulare
e molecolare in organismi viventi. Negli ultimi decenni, questo campo ha subito un
crescente interesse grazie al suo elevato potenziale in diagnosi e nel monitoraggio clinico
e preclinico. Dell’imaging molecolare fanno parte tecniche quali la tomografia
computerizzata CT, la tomografia computerizzata ad emissione di singolo fotone SPECT,
la tomografia ad emissione di positroni PET e l’imaging a risonanza magnetica MRI. Nei
prossimi paragrafi saranno in particolar modo approfondite quest’ultime due poiché sono
le tecniche di imaging a cui fa riferimento il progetto METRICS.

1.4.1 Tomografia ad emissione di positroni (PET)

Come accennato precedentemente, la tomografia ad emissione di positroni è una tecnica
diagnostica che si basa sull’impiego di molecole radioattive chiamate radiofarmaci che,
introdotte nell’organismo, si concentrano in un particolare tessuto bersaglio a seguito

                                                12
dell’interazione della molecola radiomarcata con specifici substrati biologici.
L’informazione diagnostica che ne deriva risulta veicolata dall’interazione della molecola
tracciante con le biomolecole che compongono le varie strutture cellulari. A differenza
della risonanza magnetica nucleare, che dà informazioni di tipo morfologico, la PET
fornisce informazioni di tipo fisiologico permettendo quindi uno studio dei processi
metabolici-funzionali all’interno di un organismo.

Tale tecnica viene utilizzata principalmente in oncologia, ma anche in neurologia e in
cardiologia. In ambito neurologico ad esempio permette la valutazione del metabolismo
glicidico a livello cerebrale, la diagnosi di demenze e la valutazione del deterioramento
del cervello; in cardiologia permette studi di perfusione, localizzando aree del cuore con
mancanza di irrorazione dovuta per esempio ad arteriosclerosi, e di metabolismo per la
valutazione di eventuale ridotta vitalità del tessuto miocardico.

Radiofarmaci in PET

Le analisi PET vengono svolte mediante somministrazione ai pazienti di radiotraccianti
                                                                                      18
costituiti da radioisotopi in grado di emettere positroni (solitamente                     F con T½ = 110
min) legati chimicamente a molecole metabolicamente attive.                                L’esempio più
rappresentativo è dato dal 2-fluoro-2-deossi-D-glucosio, [18F]-FDG (Fig. 8), un analogo
                                                                                                      18
del glucosio in cui l’ossidrile in posizione 2 risulta sostituito da un atomo di                           F
radioattivo.

                     Figura 8 - Struttura chimica del 2-fluoro-2-deossi-D-glucosio.

Tale molecola si comporta in maniera analoga al glucosio e viene quindi captata da cellule
ad elevato utilizzo di questo zucchero, come quelle del cervello o del rene e dalle cellule
tumorali. Come avviene con il glucosio, il [18F]-FDG viene fosforilato in posizione 6
all’ingresso della cellula, dove rimane nella forma di [18F]-FDG -6-fosfato poiché non più
riconosciuto nel processo catabolico del glucosio. In questo modo la cellula risulta
visibile fino a che la molecola rimane radioattiva e quindi rivelabile mediante la tecnica
PET. Pertanto il [18F]-FDG può essere utilizzato nello studio del metabolismo glucidico

                                                  13
delle cellule miocardiche, aspetto importante per pazienti post-infartati o aventi difetti
fissi di perfusione.

I radioisotopi utilizzati in questo ambito devono avere un tempo di dimezzamento
relativamente breve; dopo la somministrazione del radiofarmaco, i positroni emessi si
annichilano, dopo 1-2 mm di interazione con il tessuto, con un elettrone del materiale
emettendo due fotoni in direzioni opposte ad energia fissa di 511 keV che vengono rivelati
da opportuni rivelatori chiamati camere PET (Fig. 9).

                                  Figura 9 - Annichilazione di un positrone.

Per ottenere una mappa della distribuzione del radiofarmaco e proiezioni tomografiche,
il rivelatore è posto attorno al paziente; mediante l’utilizzo di sofisticati sistemi di
elaborazione computerizzati il segnale radioattivo emesso dal radiofarmaco viene
trasformato in immagine, mettendo in evidenza eventuali anomalie funzionali o
metaboliche del paziente (Fig.10).

 Figura 10 - A) Schema di rivelazione della tecnica PET; B) Esempio di immagine PET ottenuta dopo iniezione di
 18F-FDG per lo studio del morbo di Alzheimer (in Molecular Diagnosis & Therapy 15(6):313-25 December 2011).

                                                     14
1.4.2 Imaging a risonanza magnetica (MRI)

La MRI viene utilizzata in medicina per scopi diagnostici sfruttando il principio fisico
della risonanza magnetica nucleare; non è dannosa nei confronti del paziente e non
vengono utilizzati materiali radioattivi come invece accade nella tomografia ad emissione
di positroni. Tale tecnica si basa sulle proprietà magnetiche dei nuclei atomici e in
particolare sul momento angolare μ, che può assumere valori interi o seminteri.

L’interazione di un nucleo con un campo magnetico statico B0 generato da un magnete
provoca l’allineamento ad esso del momento angolare tramite un moto di precessione
avente una frequenza angolare precisa definita come frequenza di Larmor o di risonanza
dipendente dal tipo di nucleo e dall’intensità del campo magnetico. Tenendo in
considerazione un insieme di nuclei, si può definire il vettore di magnetizzazione M
risultante dalla somma di tutti i singoli momenti magnetici dei nuclei, ciascuno dei quali
potrà essere allineato in modo parallelo (m = +½) o antiparallelo (m = -½) al campo
magnetico statico. Si può dimostrare dalla meccanica quantistica che vi sarà sempre un
leggero eccesso di momenti magnetici lungo una direzione rispetto all’altra col risultato
che il vettore di magnetizzazione non potrà mai essere nullo. Tale vettore viene misurato
e utilizzato per la realizzazione dell’immagine (Fig. 11).

   Figura 11 - Schema del moto di precessione dei momenti magnetici sottoposti a un campo magnetico statico.

Per rivelare il vettore di magnetizzazione, si perturba il sistema rimuovendolo dalla
condizione di equilibrio con un impulso a radiofrequenze chiamato impulso di eccitazione
RF ottenuto da una bobina; successivamente alla perturbazione avviene il processo di
rilassamento per ritornare alla situazione di equilibrio. Tale processo genera un segnale
denominato free induction decay (FID) il quale può essere rivelato come una corrente
elettrica e successivamente elaborato.

                                                      15
Mezzo di contrasto in risonanza magnetica

I mezzi di contrasto o agenti di contrasto sono sostanze utili a modificare il modo in cui
una regione analizzata si presenta in una immagine medica alterando il contrasto di un
determinato tessuto e rendendo quindi più dettagliata l’analisi (Fig. 12).

   Figura 12 - Confronto tra risonanza magnetica nucleare senza mezzo di contrasto (sinistra) e con agente di
                                             contrasto (destra).

I mezzi di contrasto in risonanza magnetica, caratterizzati da elettroni spaiati capaci di
accoppiarsi agli spin dei protoni nei nuclei di interesse, influenzano i tempi di
rilassamento in misura tale da garantire un elevato incremento di contrasto già a basse
concentrazioni di questo agente. Possono essere di due tipi: mezzi di contrasto
paramagnetici (ferro, manganese, lantanidi, …) e superparamagnetici (ossidi di ferro); in
entrambi i casi si usano ioni metallici complessati da opportuni leganti, i quali riducono
la tossicità degli ioni stessi. I mezzi di contrasto vengono iniettati per via endovenosa e
determinano, nelle zone in cui si distribuiscono, un cambiamento del campo magnetico
modificando l’intensità del segnale registrato.

Il sistema di rivelazione è posto attorno al paziente in maniera analoga alla tomografia ad
emissione di positroni (Fig. 13).

                          Figura 13 - Schema della strumentazione utilizzata in MRI.

                                                      16
1.4.3 Imaging Multimodale

La continua ricerca per migliorare le prestazioni in campo medico diagnostico ha portato
all’introduzione dell’imaging multimodale che permette di combinare informazioni
funzionali e morfologiche. Questa combinazione può essere ottenuta perseguendo due
strade diverse:

       modo asincrono: si acquisiscono più immagini in tempi diversi unendole poi
        tramite manipolazione digitale;
       modo sincrono: si acquisiscono più immagini simultaneamente e vengono unite
        automaticamente.

Nel primo caso, vi sono diverse complicazioni date principalmente dalla differente
posizione del paziente nelle scansioni acquisite in macchine diverse. Di conseguenza, il
metodo di acquisizione simultaneo è quello più efficiente in quanto permette di avere una
corrispondenza perfetta tra le immagini ottenute. Per poter sviluppare al meglio questa
tecnologia è necessario trovare apparecchiature ibride capaci di effettuare diversi tipi di
analisi e disporre di traccianti adeguati da iniettare al paziente.7

Imaging multimodale PET/MRI

Tramite la combinazione della tomografia ad emissione di positroni e l’imaging a
risonanza magnetica è possibile ottenere informazioni di tipo funzionale e molecolare,
con la PET, e informazioni anatomiche di tessuti e organi, con la MRI. Inoltre, la
combinazione di queste due metodiche risulta estremamente vantaggiosa poiché vengono
unite l’elevata sensibilità della PET e l’alta risoluzione spaziale e specificità della MRI
(Fig. 14).

                  Figura 14 - Glioma cerebrale evidenziato dall’analisi ibrida PET/MRI.

                                                   17
Queste indagini vengono attualmente condotte utilizzando uno stesso strumento ma
impiegando due agenti di imaging chimicamente differenti somministrati in tempi diversi:
inizialmente viene iniettato il mezzo di contrasto paramagnetico per l’analisi di risonanza
magnetica, generalmente un complesso di gadolinio, e successivamente il tracciante
radiomarcato per la tomografia ad emissione di positroni che, nella maggior parte dei casi,
è costituito da un radiofarmaco contenente il radionuclide 18F. Le due immagini ottenute
vengono poi sovrapposte ottenendo un’immagine “ibrida” PET/MRI il cui contenuto
diagnostico non risulta però completamente sovrapponibile a causa della discrepanza
derivante dalla differenza chimica tra i due agenti di imaging utilizzati.

Per ottenere una vera fusione tra le due tecniche sarebbe necessario disporre di un agente
di contrasto chimicamente identico al tracciante radioattivo. Dall’analisi delle proprietà
chimico-fisiche degli isotopi radioattivi utili e adatti per le indagini PET risulta evidente
che solo il manganese è caratterizzato da proprietà paramagnetiche (Fig. 15).7

                   Figura 15 - Elementi paramagnetici (sinistra) e carta dei nuclidi (destra).

Le peculiari proprietà magnetiche possedute dal manganese nei suoi bassi stati di
ossidazione, in combinazione con l’esistenza di radioisotopi emettitori di positroni quali
52
     Mn e 51Mn, fanno di questo metallo l’elemento ideale da utilizzare al fine di ottenere
specie chimiche adeguate sia per gli studi di imaging PET che per quelli di risonanza
magnetica.

1.5       Il manganese

Il manganese è un elemento della tavola periodica con numero atomico 25 appartenente
al gruppo VIIB, insieme a tecnezio e renio, con configurazione elettronica [Ar] 3d5 4s2.
Dopo il gadolinio, il manganese presenta il momento paramagnetico più alto di tutti gli
elementi. Tale proprietà deriva dallo ione Mn2+ il quale ha 5 elettroni spaiati nella shell
3d.

                                                      18
1.5.1 Isotopi del manganese

L’elemento Mn fa parte dei metalli di transizione e in natura si trova prevalentemente
come isotopo stabile 55Mn. Sono stati isolati più di 18 radioisotopi del manganese e il più
stabile di essi è il 53Mn con un tempo di dimezzamento di 3.7 milioni di anni seguito dal
54
     Mn con 312.3 giorni e dal 52Mn con 5.591 giorni (Tab. 1). I restanti isotopi radioattivi
hanno un’emivita inferiore alle 3 ore e la maggior parte di essi minore di un minuto.

     Nuclide      Z         N          Massa Isotopica (u)                 Emivita                Decadimento
       51
            Mn    25       26                   50.9482108                 46.2 min                   β+
       52
            Mn    25       27                   51.9455655                  5.591 d                   β+
       53
            Mn    25       28                   52.9412901                3.7 x 106 y                 CE
       54
            Mn    25       29                   53.9403589                  312.3 d                   CE
                       Tabella 1 - Elenco dei più importanti isotopi radioattivi del manganese.

                             53           54
Mentre i radioisotopi           Mn e           Mn decadono per cattura elettronica (CE), processo nel
quale un nucleo ricco di protoni assorbe un elettrone di una shell interna (K o L)
trasformandosi in un neutrone (p + e- → n + νe), i radioisotopi 52Mn e 51Mn vanno incontro
a un decadimento β+ ottenendo rispettivamente 52Cr e 51Cr a seguito alla trasformazione
di un protone in un neutrone, positrone e neutrino (p → n + e+ + ν). Questo aspetto,
insieme al tempo di decadimento ottimale, rende i radioisotopi 52Mn e 51Mn di particolare
interesse per le applicazioni PET.

1.5.2 Metodi di produzione di 51/52Mn

Gli isotopi radioattivi 51 e 52 del manganese possono essere prodotti a partire da un target
di cromo con abbondanza naturale all’interno di un ciclotrone. Il bersaglio viene
irraggiato da un fascio di protoni con una corrente di circa 20 µA e un’energia incidente
tra i 10 e i 20 MeV per 80-400 minuti. Il manganese-52 viene prodotto principalmente
                                     52
dalla reazione nucleare                   Cr(p,n)52Mn e in minor contributo dalla reazione
53
 Cr(p,2n)52Mn. Inoltre la presenza del cromo 54 può dare la produzione di piccole
quantità di manganese 54 attraverso la reazione 54Cr(p,n)54Mn.8

                                                         19
Tecniche di Separazione Mn/Cr
                   51/52
La produzione di           Mn a partire da target di cromo necessita di un successivo step di
separazione e purificazione dal Cr. In letteratura sono presenti principalmente due
approcci a questa problematica: il primo prevede l’utilizzo di tecniche di separazione
liquido-liquido mentre il secondo prevede l’impiego di resine a scambio cationico o
anionico che permettano la separazione dei due metalli. In tutti i casi, il target di cromo
irraggiato viene disciolto con soluzioni di acido cloridrico a differente concentrazione.
Negli ultimi anni sono state messe a punto le seguenti procedure:

      separazione liquido-liquido utilizzando TOA: il target di cromo irraggiato
       viene sciolto con acido cloridrico concentrato, evaporato e ripreso con HCl 1 M.
       Tale soluzione viene poi miscelata con acido cloridrico 8 M ed estratta utilizzando
       triottilammina (TOA) a differenti concentrazioni (0.1-0.8 M) in cicloesano. Il
       manganese viene successivamente estratto dalla fase organica utilizzando NH3
       1 M. Si è osservato che la separazione migliora aumentando la concentrazione di
       TOA, nonostante la formazione di una terza fase;9
      separazione con resina a scambio anionico: tale separazione prevede l’utilizzo
       di una colonna cromatografica Amberlite CG-400-IITM, condizionata con acido
       acetico e metanolo (50:50); il target di cromo irraggiato viene sciolto con acido
       cloridrico 3 M ed evaporato a 130 °C. Il residuo viene successivamente sciolto in
       5 mL dell’eluente e trasferito nella colonna. Le frazioni di cromo vengono eluite
       con acido acetico e metanolo (50:50) e il manganese con acido cloridrico 3 M;10
      separazione con resina a scambio anionico: in questo caso la separazione è stata
       effettuata con una resina a scambio anionico AG-1x8 condizionata con acido
       cloridrico 12.1 M; il target di cromo irraggiato viene sciolto con acido cloridrico
       11 M e trasferito nella colonna. Le frazioni vengono eluite con HCl concentrato;
       il manganese viene determinato misurando l’attività tramite una camera a
       ionizzazione mentre il cromo viene determinato con uno spettrometro;11
      separazione con resina a scambio cationico: in questo caso si utilizza una
       colonna cromatografica DOWEX 50W×8 condizionata con acido solforico 0.1 M;
       il target di cromo irraggiato viene sciolto con acido cloridrico concentrato a 70 °C
       per 10 minuti e successivamente evaporato. Il residuo viene successivamente
       ripreso con acido solforico 1.5 M e trasferito sopra la colonna. Le frazioni di
       cromo vengono eluite con acido solforico 0.1 M e il manganese con una soluzione
       di ammonio citrato 0.067 M.12

                                               20
Infine, da quanto evidenziato nel lavoro di Henry Freiser, “Solvent Extraction in
radiochemical separations”13, un’altra strada percorribile da poter utilizzare nella
separazione liquido-liquido, è quella di utilizzare un chelante adeguato che abbia
un’affinità differente per i due metalli. Ad esempio il chelante dietilditiocarbammato
mostra una differente affinità nei confronti di Cr e Mn legata al pH di lavoro. Il Mn viene
estratto completamente a pH 6.5 mentre il Cr risulta estratto a pH 0.

1.5.3 Chimica del manganese

Il manganese, appartenendo al settimo gruppo della tavola periodica, è un metallo di
transizione e possiede un elevato numero di stati di ossidazione possibili tra cui i più
probabili sono +2, +3, +4, +5, + 6 e +7. Tale ampio intervallo deriva dal fatto che nella
zona centrale dei metalli di transizione gli elettroni d non sono presenti all’interno di una
struttura elettronica inerte ma sono tutti disponibili per la formazione di nuovi legami.

La chimica del manganese risulta quindi essere piuttosto variegata, si possono ottenere
specie sia ad alto che a basso spin, complessi a geometria tetraedrica ma anche ottaedrica
e inoltre può formare dei composti polimetallici in cui i leganti si dispongono a ponte tra
più ioni. Tale versatilità offre numerose possibilità per la sintesi di potenziali agenti di
imaging. L’attività biologica di questi complessi è determinata dalle caratteristiche della
molecola nella sua totalità: in particolare il metallo definisce la stabilità, la geometria e le
proprietà magnetiche ed elettriche mentre il legante conferisce le proprietà biologiche
interagendo con l’organismo in cui viene iniettato. Il manganese risulta particolarmente
affine ad atomi quali ossigeno, zolfo e azoto, e i leganti con questi atomi tendono a
formare complessi piuttosto stabili con il metallo.14

Stato di ossidazione +2 ([Ar] 3d5)

Lo stato di ossidazione +2 risulta essere il più stabile; il Mn(II) forma composti quali
MnCl2 (Fig. 16) e MnSO4 caratterizzati da una colorazione rosa chiaro e si trova
principalmente in una configurazione ad alto spin (S = 5/2) a causa dell’elevata energia
di accoppiamento elettronica. La maggior parte dei sali formati da questo ione sono
solubili in acqua. Inoltre gli ioni Mn(II) svolgono in biologia funzioni di cofattori con una
elevata varietà di enzimi; i più importanti di questi hanno un’utilità essenziale nella
disintossicazione dei radicali liberi superossidi.

                                              21
Figura 16 - Struttura del cloruro di manganese tetraidrato.

Lo ione Mn2+ in soluzioni acquose neutre o acide forma il complesso [Mn(H2O)6]2+ che
risulta essere piuttosto resistente all’ossidazione. In soluzioni basiche, si forma l’idrossido
di manganese Mn(OH)2 che si ossida molto facilmente all’aria.

Il numero di coordinazione normale per lo ione Mn2+ è 6 e i complessi ottaedrici che si
formano hanno una colorazione rosa chiaro; tuttavia è possibile che questo ione occupi
delle lacune tetraedriche all’interno di determinati composti (vetri a base di zinco quali
ZnO) fornendo una colorazione verde/gialla intensa. I complessi formati dal Mn(II) hanno
generalmente delle costanti di equilibrio minori rispetto a quelle dei cationi divalenti
relativi ai successivi elementi Fe(II) e Cu(II), perché lo ione manganese, avendo un raggio
ionico maggiore, non possiede un’energia di stabilizzazione del campo dei leganti nei
suoi complessi, con eccezione dei pochi complessi noti a basso spin. Leganti chelanti
quali EDTA, ioni ossalato, etc., formano complessi stabili e isolabili da soluzioni
acquose. Essendo la configurazione ad alto spin quella più comune, non vi sono delle
transizioni d-d spin permesse giustificando la scarsa assorbanza nella regione del visibile.
Mentre nei complessi ottaedrici non vi sono transizioni d-d permesse per simmetria, in
quelli tetraedrici e planari quadrati queste sono possibili e tali complessi manifestano una
colorazione molto più intensa.15

Stato di ossidazione +3 ([Ar] 3d4)

Il manganese nello stato di ossidazione +3 tende a formare in particolare composti con
leganti acetato caratterizzati da una colorazione marrone/viola scuro (Fig. 17). Questi
complessi tendono a dare dismutazione in soluzione, ovvero una particolare reazione
redox per la quale una stessa specie in parte si ossida e in parte si riduce formando quindi
Mn(II) e Mn(IV). Tale reazione di dismutazione può essere ridotta in presenza di un
eccesso di Mn2+ e con una concentrazione di [H+] > 3 M.

                                                  22
Figura 17 - Struttura del manganese acetil acetonato.

Stato di ossidazione +4 ([Ar] 3d3)

Il composto più importante per questo stato di ossidazione è l’ossido di manganese MnO2,
un minerale chiamato pirolusite, fonte primaria di manganese. Tale composto ha una
colorazione nera e viene utilizzato principalmente come pigmento o nelle batterie alcaline
e a zinco-carbonio. In chimica organica è impiegato come agente ossidante.

Altri stati di ossidazione

Il manganese avente altri stati di ossidazione (+5, +6 e +7) forma composti quali K3MnO4,
K2MnO4 e Mn2O7 che sono forti agenti ossidanti e possono andare incontro a
dismutazione.

Mn come agente di contrasto

Il paramagnetismo del manganese negli stati di ossidazione più comuni (+2 e +3) può
essere sfruttato nelle analisi di risonanza magnetica nucleare sintetizzando agenti di
contrasto che possano migliorare la qualità delle immagini prodotte dalla tecnica.

Lo ione Mn2+ ha la caratteristica di essere in grado di entrare all’interno delle cellule
attraverso le proteine transmembrana utilizzate dagli ioni Ca2+; poiché l’apporto del calcio
è necessario ai neuroni per il rilascio dei neurotrasmettitori, il manganese può accumularsi
nel cervello e quindi essere utilizzato per studi di imaging cerebrale.

Agenti di contrasto quali il Mangafodipir (Mn-DPDP) (Fig. 18) sono stati utilizzati per
studiare lesioni al fegato tramite assorbimento da parte degli epatociti. Il complesso è
formato dallo ione Mn2+ e dal chelante dipiridossil difosfato e una volta iniettato si

                                                 23
dissocia in manganese libero e legante: il metallo viene assorbito dal fegato fungendo
quindi da agente paramagnetico intracellulare diminuendo il tempo di rilassamento T1 e
aumentando così il contrasto delle immagini MRI mentre il chelante viene espulso
nell’urina.16

                            Figura 18 - Struttura del Mangafodipir.

                                             24
Capitolo 2 Parte sperimentale

2.1      Materiali e metodi

I solventi utilizzati sono di purezza standard e sono stati impiegati senza ulteriori
purificazioni.

Gli spettri IR sono stati registrati con lo strumento VERTEX 70 nell’intervallo 4000 –
400 cm-1 utilizzando pastiglie di KBr anidro.

I cromatogrammi in HPLC sono stati registrati con lo strumento System Gold Beckman
126 Solvent Module con un rivelatore UV-Vis utilizzando come eluenti acqua con 0.1 %
di acido trifluoroacetico e acetonitrile con 0.1 % di acido trifluoroacetico; la colonna
cromatografica utilizzata è stata la Agilent Zorbax C18 (dimensioni particelle 3.5 μm,
4.6x150.0 mm di lunghezza).

Le analisi elementari sono state effettuate con lo strumento EA flash 2000 thermofisher
scientific CHNS-O determination.

Gli spettri UV-Vis sono stati registrati con lo strumento Cary Series UV-Vis
Spectrophotometer (modello G9823A) nell’intervallo 800 – 200 nm.

Le analisi MS-ESI sono state effettuate con uno strumento LCQ Duo Finningan con
analizzatore a trappola ionica.

Le analisi ICP-OES sono state effettuate con lo strumento Optima 3100 XL della Perkin
Elmer.

La stabilità in vitro dei complessi di Mn è stata valutata utilizzando la seguente procedura
e monitorando, mediante cromatografia HPLC, la purezza del complesso a tempi
differenti nell’intervallo di 24 h: alcuni microgrammi del prodotto sono stati solubilizzati
in 1 mL di una soluzione acquosa contenente etanolo al 10 % (v/v) in presenza di 10 mg
di gammaciclodestrina utilizzata per favorire la solubilizzazione. Un’aliquota di 25 L di
prodotto è stata poi incubata a 37 °C con 900 L di soluzione salina e 225 L siero di
ratto rispettivamente. In quest’ultimo caso al termine dell’incubazione 250 μL di
acetonitrile freddo vengono aggiunti all’eppendorf che viene successivamente
centrifugata per 15 min a 15000 rpm al fine di eliminare le proteine residue nel siero. Il
surnatante viene prelevato e iniettato nello strumento HPLC.

                                            25
Gli esperimenti di scambio con cisteina e glutatione (GSH) sono stati effettuati secondo
  la seguente procedura: 100 L della soluzione contenente il complesso sono stati incubati
  a 37°C con 50 L di una soluzione fresca di L-cisteina (0.01 M) o in alternativa di GSH
  (0.01 M) insieme a 100 L di acqua e 250 L di tampone fosfato 0.2 M a pH 7.4.

  Di seguito vengono riportati i solventi e i composti utilizzati con gli eventuali acronimi e
  provenienza (Tab. 2):

            Nome                    Formula molecolare/ acronimo                Fornitore         Purezza %
       Acqua distillata                              H 2O                          Unife
     Soluzione fisiologica                                                    Fresenius Kabi      0.9 in NaCl
      Acqua Ossigenata                              H 2O 2                     Titolchimica           ≥ 30.0

           Etanolo                                  EtOH                         FLUKA                ≥ 98.0
            Etere                                   Et2O                        Carlo Erba            ≥ 99.8

         Cloroformio                               CH3Cl                        Honeywell             ≥ 99.0
        Diclorometano                                                         Sigma Aldrich           ≥ 99.9

         Acetonitrile                              CH3CN                      Sigma Aldrich           ≥ 99.9
          Cicloesano                                                            Carlo Erba            ≥ 99.8
           Toluene                                                           Riedel-de Haën           ≥ 99.7

       Metiletilchetone                             MEK                         Carlo Erba            ≥ 99.5
        Trietilammina                               TEA                       Sigma Aldrich           ≥ 99.5

      Idrossido di sodio                           NaOH                        Titolchimica           ≥ 97.0
       Acido cloridrico                              HCl                        Carlo Erba             37.0
        Acido nitrico                               HNO3                       Titolchimica            67.0

    Acido trifluoroacetico                          TFA                       Sigma Aldrich           ≥ 99.0
      Manganese cloruro                         MnCl2·4H2O                    Sigma Aldrich           ≥ 98.0

  Manganese acetilacetonato                      Mn(acac)3                    Sigma Aldrich           ≥ 95.0
Dietilditiocarbammato di sodio              Na(S2CNEt2)·3H2O                      AnalaR              ≥ 98.5

1,3,5-triaza-7-fosfadamantano                       PTA                                Riferimento17
N-Etil-N-etossiditiocarbammato                      NOEt                               Riferimento18
                     Tabella 2 - Elenco dei solventi e composti utilizzati e relative informazioni.

                                                            26
2.2    Processo di estrazione radiochimica Cr-Mn

I processi di separazione del manganese dal cromo sono stati effettuati basandosi sulle
tecniche di estrazione liquido-liquido. Tenendo conto della futura applicazione con target
di cromo irraggiati, contenenti quindi manganese radioattivo, l’attenzione è stata
soprattutto rivolta allo studio di processi di facile realizzazione, veloci ed automatizzabili.
Preliminarmente alla messa a punto di questi processi, è stato necessario individuare un
metodo efficiente per la dissoluzione del target di cromo.

2.2.1 Studi di dissoluzione del target

Per tutte le prove di dissoluzione e separazione sono stati utilizzati target di cromo
naturale metallico prodotti presso la ditta K4Sint S.r.l. (Trento) via pressing and sintering
della polvere metallica. I target hanno forma circolare, diametro di circa 1 cm, peso di
circa 0.2000 g, spessore di 0.4 mm e possiedono una densità dell’88 % rispetto a quella
metallica pura.

Sono stati quindi effettuati test di dissoluzione dei bersagli di cromo utilizzando diversi
solventi a diverse concentrazioni, volumi e condizioni di temperatura. In particolare si è
usata acqua ossigenata concentrata al 30 % e acido cloridrico 8-12 M. I test sono stati
condotti sia a temperatura ambiente che a 100 °C con un sistema di raccolta fumi acidi
composto da vial con tappo forabile, capillari e una bottiglia contenente NaOH 6 M
all’interno della quale vengono fatti gorgogliare i fumi di raccolta (Fig. 19).

             Figura 19 - Sistema di raccolta dei fumi acidi generati dalla dissoluzione del target.

                                                      27
In presenza di acqua ossigenata concentrata a caldo si nota una debole reazione che non
porta alla completa dissoluzione del target di cromo nemmeno dopo 24 ore.

In acido cloridrico, la dissoluzione invece avviene completamente anche a temperatura
ambiente in circa 60 minuti. Tuttavia, le condizioni di dissoluzione che riteniamo essere
più appropriate per i nostri scopi sono le seguenti: 3 mL di HCl 8 M in circa 10 min a
100 °C. Tale approccio è stato quindi utilizzato successivamente in tutti gli studi per lo
sviluppo di una procedura di separazione Cr-Mn.

Per simulare la presenza di manganese prodotto dall’irraggiamento nel target di cromo,
alla soluzione di cromo in acido cloridrico vengono aggiunti 5 μL di una soluzione
standard per ICP 1000 mg/L di Mn in 2 % HNO3 (Merck KGaA, Darmstadt, Germany).

2.2.2 Sviluppo di una procedura di separazione Cr-Mn

La tecnica di separazione investigata è l’estrazione con solvente. Diverse combinazioni
di fasi sono state testate al fine di individuare le condizioni che permettano un’efficiente
separazione Cr/Mn. In particolare si è variata la concentrazione e il pH della fase acquosa
in cui sono sciolti Cr e Mn e sono stati utilizzati diversi solventi organici, con eventuale
aggiunta di agenti coordinanti o estrattori anionici. In particolare sono stati usati solventi
quali il MEK, cicloesano e cloroformio, il legante DEDC, impiegato anche nello sviluppo
di complessi del manganese per la diagnostica multimodale PET/MRI, e infine la TEA,
descritta in letteratura come estrattore anionico che forma con il manganese un core
idrofobico.19

Vengono di seguito riassunte le combinazioni di fase testate (Tab. 3):

                     Fase acquosa                                         Fase organica
                   HCl 1-2.5-4-8 M                                              MEK
             HCl + NaOH + buffer pH 6                                 Cloroformio + DEDC
             HCl + NaOH + buffer pH 6                                  Cicloesano + DEDC
                       HCl 1-8 M                                 Cicloesano + TEA (1-0.1 mL)
     Tabella 3 - Elenco delle combinazioni tra fase acquosa e organica utilizzate nelle prove di separazione.

L’indagine è stata condotta su 32 campioni testando le tre combinazioni fase acquosa/fase
organica: HCl/MEK; HCl/TEA in cicloesano; fase acquosa a pH6/ DEDC in cloroformio

                                                       28
o cicloesano. I target sono stati sciolti come descritto nel capitolo precedente in 3 mL di
HCl 8 M e a ciascun campione è stata aggiunta un’aliquota pari a 5 µL di Mn-standard.
Ciascun campione è stato successivamente trattato per ottenere diverse condizioni di
partenza in termini di concentrazione molare di HCl o di pH. Per i test di separazione con
DEDC è stato necessario portare vicino alla neutralità il pH della soluzione di partenza
mediante aggiunta, sotto costante agitazione, di una quantità calcolata di NaOH, tale da
avvicinarsi al pH desiderato (6.5), e alcuni mL di tampone acetato (pH 6).

Le soluzioni acquose contenenti Cr e Mn sono state miscelate vigorosamente con le fasi
organiche per mezzo di un imbuto separatore (Fig. 20). Dopo aver atteso la separazione
delle fasi, la fase organica viene separata e conservata per le analisi. La procedura viene
ripetuta tre volte aggiungendo alla fase acquosa lo stesso volume di solvente organico
fresco. Al termine della procedura le frazioni organiche vengono unite per l’analisi
successiva.

                    Figura 20 - Apparato sperimentale del test di separazione Cr/Mn.

In tutti gli esperimenti di separazione condotti, ci si aspetta che il cromo rimanga nella
fase acquosa mentre il manganese venga estratto selettivamente dalla fase organica la
quale viene quindi raccolta dopo ogni estrazione e analizzata tramite ICP-OES, previa
evaporazione del solvente organico e ripresa del residuo in acido diluito (10 mL di HNO3
1 M o HCl 2 M), al fine di individuare quantitativamente le rese di separazione Cr/Mn.
Sono quindi state calcolate le rese percentuali di estrazione del Cr e del Mn rilevate nei
campioni organici calcolate sulla massa di Cr e Mn presente nel campione iniziale (limite
di rilevabilità dello strumento: (Cr) = 11.4 µg/L; (Mn) = 2.24 µg/L).

                                                  29
2.2.3 Studi di automazione della procedura di separazione Cr-Mn

Per l’automazione dei processi di separazione liquido-liquido del manganese dal cromo
si è utilizzato un dispositivo, Liquid-Liquid Separator Sep – 10, brevettato e prodotto
dell’azienda Zaiput Flow Technologies (Cambridge, Massachusetts, USA). Tale
dispositivo consente di separare efficacemente due fasi immiscibili per mezzo di una
membrana microporosa di politetrafluoroetilene (PTFE) che può essere selezionata a
carattere idrofilo o idrofobico. Grazie ad un controllo della pressione interna al dispositivo
mediante un diaframma solo una delle due fasi attraversa la membrana. Infatti, quando la
miscela delle due fasi (come ad esempio una fase acquosa e una fase organica) entra nel
dispositivo, una fase avrà affinità per la membrana (wetting phase) e ne riempirà i
micropori mentre l’altra fase ne sarà respinta (non-wetting phase). Il diaframma a questo
punto applica una differenza di pressione ai due lati della membrana imprimendo una
forza sufficiente a spingere la wetting-phase attraverso i pori della membrana stessa (Fig.
21).

                 Figura 21 - Schema di funzionamento del modulo di separazione Zaiput.20

                                                   30
Puoi anche leggere