UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA - CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE - Infn
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE CHIMICHE Studi di produzione di 52/51Mn con ciclotrone e sintesi di complessi di manganese per la diagnostica multimodale PET/MRI Relatore: Prof.ssa Alessandra Boschi Laureando: Stefano Lonis Secondo Relatore: Dott.ssa Petra Martini Correlatore: Dott.ssa Micol Pasquali Anno Accademico 2018/2019
Sommario Introduzione: il progetto METRICS e scopo della tesi ............................................... 2 Capitolo 1 Parte Generale.............................................................................................. 4 1.1 La medicina Nucleare.................................................................................................... 4 1.2 I radiofarmaci ................................................................................................................ 4 1.3 I radioisotopi e il decadimento radioattivo .................................................................... 5 1.3.1 Tecniche di produzione .............................................................................. 7 1.3.2 Il ciclotrone ................................................................................................. 8 1.4 L’imaging Molecolare (MI) ........................................................................................ 12 1.4.1 Tomografia ad emissione di positroni (PET) ........................................... 12 1.4.2 Imaging a risonanza magnetica (MRI) ..................................................... 15 1.4.3 Imaging Multimodale ............................................................................... 17 1.5 Il manganese................................................................................................................ 18 1.5.1 Isotopi del manganese .............................................................................. 19 1.5.2 Metodi di produzione di 51/52Mn ............................................................... 19 1.5.3 Chimica del manganese ............................................................................ 21 Capitolo 2 Parte sperimentale ..................................................................................... 25 2.1 Materiali e metodi ....................................................................................................... 25 2.2 Processo di estrazione radiochimica Cr-Mn ................................................................ 27 2.2.1 Studi di dissoluzione del target ................................................................. 27 2.2.2 Sviluppo di una procedura di separazione Cr-Mn .................................... 28 2.2.3 Studi di automazione della procedura di separazione Cr-Mn................... 30 2.3 Sintesi dei complessi di manganese ............................................................................ 34 2.3.1 Preparazione del complesso [Mn(PTA)2(Cl)2(H2O)2] .............................. 34 2.3.2 Preparazione del complesso Mn(S2CNEt2)2 ............................................. 34 2.3.3 Preparazione del complesso Mn(S2CNEt2)3 ............................................. 35 2.3.4 Preparazione del complesso Mn(NOEt)2.................................................. 37 2.3.5 Preparazione del complesso Mn(NOEt)3.................................................. 38 Capitolo 3 Risultati e discussione ................................................................................ 40 3.1 Studi di separazione Cr/Mn ......................................................................................... 43 3.2 Sintesi di complessi di manganese con leganti ditiocarbammati ................................ 50 Appendice ...................................................................................................................... 62 Ringraziamenti ............................................................................................................. 69 Riferimenti .................................................................................................................... 70 1
Introduzione: il progetto METRICS e scopo della tesi Il presente lavoro di tesi è stato realizzato nell’ambito del progetto denominato METRICS 52/51 “Multimodal pET/mRi Imaging with Cyclotron-produced Mn (β+emitter/paramagnetic) iSotopes” (CSN5 INFN 2017-2020), un progetto interdisciplinare finanziato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e realizzato dal gruppo di ricerca LARAMED (LAboratory of RAdionuclides for MEDicine) dei Laboratori Nazionali di Legnaro LNL-INFN in collaborazione con alcune sedi locali di INFN, quali Padova, Milano e Ferrara, l’Università di Ferrara e l’Ospedale “Sacro Cuore- Don Calabria” di Negrar (VR). Lo scopo del progetto METRICS riguarda lo studio e la messa a punto di un efficiente metodo di produzione mediante ciclotrone di isotopi radioattivi di 52/51Mn da utilizzare in campo medico diagnostico con la tecnica di Imaging Multimodale PET/MRI grazie all’accoppiamento dei corrispondenti radiofarmaci a complessi paramagnetici di manganese. La tomografia a emissione di positroni (PET) è una tecnologia diagnostica che si basa sull’impiego di molecole radioattive che, introdotte nell’organismo, si concentrano in un particolare tessuto bersaglio a seguito dell’interazione con specifici substrati biologici. L’informazione diagnostica che ne deriva, essendo veicolata dall’interazione della molecola tracciante con le biomolecole che compongono le varie strutture cellulari, risulta di natura metabolica o funzionale. La risonanza magnetica (MRI) è invece una differente tecnologia diagnostica che sfrutta il segnale prodotto dalle transizioni di spin indotte sui protoni dell’acqua presente nei tessuti quando il campione biologico è posto in un campo magnetico. Con lo scopo di aumentare il contrasto fra i vari tessuti viene generalmente utilizzato un composto chimico contenente un metallo paramagnetico che non interagisce con le biomolecole presenti all’interno e all’esterno delle cellule ma che si disperde nel liquido interstiziale. Ne consegue che l’informazione diagnostica ottenuta con la metodologia MRI risulta di natura essenzialmente anatomica. Attualmente in ambito medico le due metodologie diagnostiche vengono utilizzate nella tecnologia cosiddetta ‘ibrida’, PET/MRI, grazie all’impiego di molecole radioattive caratterizzate dalla presenza di isotopi emettitori di positroni, quali fluoro-18, e di complessi paramagnetici di gadolinio. Con questa metodologia vengono sovrapposte due immagini registrate separatamente che vengono poi fuse mediante l’uso di programmi di 2
ricostruzione. L’immagine “ibrida” PET e MRI così ottenuta non può essere considerata prodotta da una vera fusione del contenuto delle informazioni diagnostiche raccolte con le due metodiche, proprio perché la loro natura è fondamentalmente diversa. L’obiettivo principale del progetto METRICS è quello di realizzare una fusione delle immagini PET e MRI ad un livello più fondamentale, utilizzando traccianti radioattivi PET e agenti di contrasto paramagnetici MRI caratterizzati dalla stessa composizione molecolare, cioè composti dalla stessa specie chimica. Utilizzando infatti la stessa specie molecolare per generare immagini PET e MRI l’interazione molecolare tra l’agente radioattivo/contrasto e i processi cellulari dovrebbe essere della stessa natura. Il manganese, possedendo sia isotopi stabili paramagnetici che isotopi radioattivi che decadono attraverso l’emissione di positroni, è stato identificato come elemento ideale per tali scopi. Ad esempio, il manganese naturale, nello stato di ossidazione +2, è caratterizzato da un elevato momento di dipolo magnetico che lo rende particolarmente adatto ad essere impiegato come agente di contrasto MRI. Inoltre i due isotopi radioattivi, 52 Mn e 51Mn, hanno proprietà nucleari vantaggiose per un loro impiego come traccianti PET. In particolare, il 52Mn ha caratteristiche di emissione spettrale positronica simili al 18 F, assicurando così una risoluzione spaziale e definizione delle immagini PET analoghe a quest’ultimo. La realizzazione del progetto METRICS coinvolge fondamentalmente una serie di studi interdisciplinari che possono essere riassunti nei seguenti punti: (1) studio dei parametri ottimali di irraggiamento per la di produzione di 52/51Mn con ciclotrone con elevata purezza ed alta attività specifica, al fine di identificare il target più adeguato; (2) design e realizzazione di un target in grado di sostenere livelli relativamente alti 52/51 di potenza compatibili con una produzione di Mn che possa soddisfare le necessità di un territorio regionale; (3) sviluppo di una procedura efficiente per la separazione degli isotopi radioattivi di 52/51 Mn dal target e da eventuali contaminanti e preparazione dei relativi radiofarmaci per la PET; (4) sintesi e caratterizzazioni di complessi stabili e paramagnetici di Mn per l’imaging MRI. 3
È in questo contesto che si colloca il mio lavoro di tesi. In particolare, il lavoro sperimentale svolto ha riguardato lo studio preliminare di metodi originali di separazione Cr/Mn e la sintesi e caratterizzazione di selezionati complessi di manganese. Capitolo 1 Parte Generale 1.1 La medicina Nucleare La Medicina Nucleare è una particolare disciplina medica che utilizza sostanze radioattive chiamate radiofarmaci per l’analisi di processi fisiologici, biochimici e patologici in vivo. Tale campo ha permesso, soprattutto negli ultimi anni, la diagnosi e il trattamento ottimale di molte patologie neoplastiche permettendo di migliorare notevolmente le terapie e ottimizzare le prognosi per i pazienti. Le metodiche diagnostiche della medicina nucleare, quali PET (Positron Emission Tomography) e SPECT (Single Photon Emission Computed Tomography), permettono di ottenere informazioni non solo di carattere morfologico, come invece avviene in radiologia e risonanza magnetica, ma anche di tipo biochimico, patologico e fisiologico degli organi analizzati. Il fondamento della medicina nucleare consiste quindi nella visualizzazione dell’organo in esame nella sua totalità e funzionalità. La tecnologia che concretizza tale scopo è detta “Diagnostica per Immagini” o “Imaging” e si basa sull’impiego di particolari apparecchiature dotate di cristalli in grado di emettere fotoni quando colpiti da determinate tipologie di radiazioni. La radiazione emergente dall’organo e contenente le informazioni relative al suo stato clinico, viene così restituita sotto forma di immagine grazie ad un’elaborazione di tipo informatico. L’immagine finale, chiamata “scintigrafia”1, risulta totalmente generata dalla radiazione emessa dal radiofarmaco che si è localizzato all’interno dell’organo bersaglio sfruttando un ben preciso meccanismo biologico. 1.2 I radiofarmaci In generale i radiofarmaci sono traccianti utilizzati in medicina nucleare che contengono uno o più isotopi radioattivi e il carrier, ovvero una molecola con funzioni biologiche di trasporto. Il loro utilizzo può essere sia per fine diagnostico che terapeutico. Il processo 4
per il quale il radioisotopo viene legato chimicamente alla molecola di trasporto è definito marcatura. Tramite la rivelazione dell’attività di questi farmaci all’interno degli organismi è possibile ottenere delle immagini statiche, indicative di dove il radiofarmaco si localizzi dopo un determinato lasso di tempo, o una serie di immagini registrate in tempi diversi utile a determinare la distribuzione del medicinale evidenziando anche aspetti metabolici. Si possono quindi ottenere informazioni sia di tipo metabolico che funzionale.2 1.3 I radioisotopi e il decadimento radioattivo Il radioisotopo è un particolare elemento caratterizzato da un nucleo instabile che, decadendo, emette energia sotto forma di radiazioni. Le modalità di decadimento del radioisotopo determinano l’utilizzo diagnostico, terapeutico o entrambi in alcuni casi. I nuclei instabili possono decadere tramite una o più combinazioni dei seguenti processi: fissione spontanea, cattura elettronica, emissione di particelle α (nuclei di 4He), β+ (1 positrone) o β- (1 elettrone) o transizione isomerica con emissione di raggi γ, affinché possano raggiungere la stabilità ottenendo il rapporto N/Z del nuclide stabile più vicino. In tutti i processi di decadimento l’energia, la massa e la carica si devono conservare. Cattura elettronica Il decadimento per cattura elettronica è un processo per il quale un nucleo ricco di protoni assorbe un elettrone e- di una shell interna, solitamente K o L. Uno dei protoni nucleari p, si trasforma quindi in un neutrone n con l’emissione di un neutrino elettronico νe che compensa l’energia di decadimento. p + e- → n + νe Successivamente alla cattura dell’elettrone, un elettrone esterno rimpiazza la lacuna formata nella shell interna provocando l’emissione di uno o più raggi-X caratteristici. 5
Decadimento α Il decadimento α (Fig. 1) interessa per la maggior parte elementi pesanti con Z > 83. La particella α è uno ione di elio formato da due protoni e due neutroni. Figura 1 - Schema del decadimento α. Tale decadimento può essere seguito da emissione di raggi γ. Decadimento β- e β+ Tali processi portano alla variazione del numero atomico Z senza variazione del numero di massa A dell’elemento. Il decadimento β– (Fig. 2), che comporta l’emissione di negatroni, avviene quando il nucleo instabile possiede un eccesso di neutroni con N/Z maggiore rispetto a quello del nucleo stabile. Un neutrone decade in un protone emettendo una particella β– e un antineutrino ν. Le particelle β– hanno un’energia variabile da 0 fino all’energia massima di decadimento, ovvero la differenza energetica tra il nuclide genitore e quello figlio. L’antineutrino compensa la differenza di energia tra la particella β– e quella del decadimento. Figura 2 - Schema del decadimento β–. L’energia di queste particelle β– è dipendente dal tipo di radionuclide. Il decadimento β+ (Fig. 3) comporta la trasformazione di un protone in un neutrone nel nucleo instabile e si verifica in nuclidi con difetto neutronico. Tale processo avviene con emissione di un positrone β+ e un neutrino ν. Il numero atomico Z diminuisce di 1 e il numero di neutroni aumenta di 1. Figura 3 - Schema di decadimento β+. 6
Analogamente al caso precedente, la particella β+ ha energia variabile da 0 all’energia di decadimento mentre il neutrino possiede la differenza di energia tra la β+ e quella di decadimento. I positroni vengono poi annichiliti facilmente interagendo con un elettrone della materia e producendo due fotoni γ emessi in direzione opposta con E = 0.511 MeV. Il manganese-52 segue un decadimento di tipo β+ (Fig. 4). Figura 4 - Schema del decadimento radioattivo del manganese-52. Transizione isomerica IT Gli isomeri vengono definiti come nuclidi con lo stesso numero di neutroni e protoni ma differente energia e spin nucleare. Spesso i decadimenti β portano alla formazione di stati eccitati che possono poi raggiungere lo stato fondamentale emettendo energia tramite radiazione γ. Quando gli stati di transizione isomerica hanno un tempo di vita relativamente alto, sono chiamati metastabili come accade ad esempio per il 99mTc in cui il simbolo “m” indica appunto tale condizione. 1.3.1 Tecniche di produzione I radioisotopi possono essere prodotti mediante ciclotroni o all’interno di reattori nucleari dove si espongono appropriati materiali, chiamati target, ad un flusso di particelle ad elevata energia che provoca la reazione nucleare responsabile della formazione del radioisotopo desiderato. La reazione nucleare che avviene dipende da alcuni fattori tra cui: 7
il tipo, l’energia ed il flusso delle particelle; le caratteristiche chimico fisiche del target; il valore della sezione d’urto della reazione.3 In medicina nucleare, emettitori β+ come il 18F e radioelementi aventi una breve emivita 201 come il Tl vengono prodotti tramite ciclotroni e rappresentano circa il 25 % dei 18 radioisotopi utilizzati in diagnostica. In particolare, il F viene prodotto irraggiando acqua arricchita con 18O con protoni accelerati da ciclotrone secondo la reazione nucleare 18 O(p,n)18F che porta alla formazione del 18 F. Dopo circa 2 ore di irraggiamento, il radioisotopo viene isolato e successivamente legato chimicamente a una molecola di glucosio per ottenere il radiofarmaco [18F]FDG (fluoro deossi glucosio). La maggior parte dei radioisotopi viene invece prodotta all’interno di reattori nucleari nei quali un fascio di neutroni provoca la fissione di un target d’alluminio contenente 235U. Tramite tale processo si ottengono radioisotopi aventi un’emivita sufficientemente lunga da garantire il loro trasporto e successivo utilizzo. Il più importante fra i radioisotopi 99 ottenuti da reattore nucleare derivato dalla fissione dell’uranio 235 è il Mo, il 99m radionuclide genitore del Tc, l’elemento principe della diagnostica medico nucleare SPET, utilizzato in più del 70 % degli esami scintigrafici. Fino a pochi anni fa, l’uranio utilizzato per la produzione di questi radioisotopi era del tipo Highly Enriched Uranium (HEU) con una quantità di isotopo 235 pari al 95 %; tuttavia, grazie a recenti regolamentazioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (IEAE) si è imposto di rimpiazzare questo elevato grado di uranio per la fine del 2017 con un Low Enriched Uranium (LEU) arricchito solamente per il 20 % o meno. Nel caso di radioelementi prodotti da ciclotrone la sintesi dei radiofarmaci può essere effettuata nella stessa sede di formazione del radionuclide, se il reparto di medicina nucleare è dotata di ciclotrone, oppure in sedi differenti e i prodotti spediti ai vari servizi di medicina nucleare. 1.3.2 Il ciclotrone Il ciclotrone è uno strumento utilizzato per accelerare fasci di particelle elettricamente carichi, solitamente ioni leggeri, tramite l’applicazione di una corrente alternata ad alta frequenza ed alta tensione che fornisce l’accelerazione, e di un campo magnetico perpendicolare che fornisce invece la direzione alle particelle. Esse partono dal centro del 8
ciclotrone e, percorrendo una traiettoria a spirale, escono dalla macchina con velocità prossime a quella della luce (Fig. 5).4 Figura 5 – Schema della traiettoria delle particelle nel ciclotrone. A causa delle radiazioni prodotte all’interno del ciclotrone, le pareti esterne sono schermate con pareti di piombo. Il cuore di questo strumento è formato da una camera circolare ad alto vuoto con una pressione inferiore a 10-6 mbar, all’interno della quale vi sono due elettrodi cavi a forma di D chiamati dees. Tali elettrodi necessitano di un sistema di raffreddamento interno a causa dell’elevato riscaldamento provocato dalla collisione delle particelle spurie; per lo stesso motivo risulta fondamentale ottimizzare la traiettoria del fascio. La camera si trova tra i due poli di un magnete, in modo che il campo magnetico attraversi in maniera perpendicolare il piano su cui giacciono i dees (Fig. 6). Figura 6 - Schema dell’apparato del ciclotrone.5 9
Le particelle che vengono introdotte tangenzialmente nella camera vengono deviate dal campo magnetico ortogonale e mantenute su un’orbita circolare dalla forza di Lorentz (Eq. 1) data dalla seguente equazione: = × (Eq. 1) dove rappresenta la carica della particella, la sua velocità istantanea e il campo magnetico.4 Tramite l’applicazione tra i due elettrodi di una differenza di potenziale alternata ad alta frequenza (radiofrequenza) (Eq. 2) le particelle subiscono un’accelerazione ogni volta che passano tra i dees aumentando così la loro energia cinetica (Eq. 3): = ( ) (Eq. 2) dove rappresenta il voltaggio di picco, la frequenza angolare di radiofrequenza e il tempo. = = (Eq. 3) dove rappresenta la massa e la velocità. A causa dell’accelerazione prodotta dai due elettrodi, l’orbita circolare a cui sono sottoposte le particelle per via del campo magnetico aumenta fino a quando il fascio fuoriesce tangenzialmente dallo strumento. Ѐ possibile quindi ricavare il raggio dell’orbita (Eq. 5) a partire dalla velocità angolare della particella (Eq. 4): = = (Eq. 4) = (Eq. 5) 10
La frequenza di rivoluzione , anche detta frequenza di ciclotrone, di una particella carica in un campo magnetico è definita dalla seguente equazione (Eq. 6): = (Eq. 6) dalla quale si ricava che un incremento della velocità provoca un aumento del raggio dell’orbita senza però influenzare la frequenza orbitale o il periodo in quanto dipendenti solamente dal campo magnetico applicato. Il principio su cui si basa il funzionamento del ciclotrone è il seguente: il tempo impiegato a percorrere mezzo giro di circonferenza deve essere uguale al semiperiodo di radiofrequenza (Eq. 7).6 = = = → = = (Eq. 7) Da queste equazioni si ricava che la pulsazione di ciclotrone della radiofrequenza debba essere uguale alla velocità angolare degli ioni. Una volta che le particelle acquistano l’energia desiderata, alla quale corrisponde un’orbita di raggio Rest (raggio di estrazione), vengono deviate da un sistema di estrazione e inviate contro il target per far avvenire la reazione nucleare d’interesse. L’impiego di questi particolari strumenti ad elevata tecnologia permette la produzione di nuclidi radioattivi che, per le loro peculiari caratteristiche di decadimento, trovano impiego in medicina. In particolare, la maggior parte dei radionuclidi prodotti da ciclotrone risulta povera di neutroni e quindi decade per emissione di positroni (β+) o per cattura elettronica. Tali radionuclidi vengono rivelati e trasformati in immagini a contenuto diagnostico tramite l’impiego della tecnologia nota come tomografia ad emissione di positroni (PET) di cui si parlerà ampiamente in seguito. 11
Recentemente presso i Laboratori di Legnaro dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare INFN è stato installato un potente ciclotrone in grado di accelerare protoni fino a 70 MeV ad alta corrente (750 μA) (Fig. 7). Figura 7 - Ciclotrone da 70 MeV dell'LNL-INFN Le caratteristiche uniche di questo ciclotrone, solo un altro esemplare analogo risulta attualmente installato nel mondo, permetteranno, oltre a studi fondamentali di fisica nucleare, di produrre radionuclidi innovativi per la medicina. 1.4 L’imaging Molecolare (MI) L’imaging molecolare comprende alcune tecniche diagnostiche che permettono la visualizzazione, la caratterizzazione e la misura dei processi biochimici a livello cellulare e molecolare in organismi viventi. Negli ultimi decenni, questo campo ha subito un crescente interesse grazie al suo elevato potenziale in diagnosi e nel monitoraggio clinico e preclinico. Dell’imaging molecolare fanno parte tecniche quali la tomografia computerizzata CT, la tomografia computerizzata ad emissione di singolo fotone SPECT, la tomografia ad emissione di positroni PET e l’imaging a risonanza magnetica MRI. Nei prossimi paragrafi saranno in particolar modo approfondite quest’ultime due poiché sono le tecniche di imaging a cui fa riferimento il progetto METRICS. 1.4.1 Tomografia ad emissione di positroni (PET) Come accennato precedentemente, la tomografia ad emissione di positroni è una tecnica diagnostica che si basa sull’impiego di molecole radioattive chiamate radiofarmaci che, introdotte nell’organismo, si concentrano in un particolare tessuto bersaglio a seguito 12
dell’interazione della molecola radiomarcata con specifici substrati biologici. L’informazione diagnostica che ne deriva risulta veicolata dall’interazione della molecola tracciante con le biomolecole che compongono le varie strutture cellulari. A differenza della risonanza magnetica nucleare, che dà informazioni di tipo morfologico, la PET fornisce informazioni di tipo fisiologico permettendo quindi uno studio dei processi metabolici-funzionali all’interno di un organismo. Tale tecnica viene utilizzata principalmente in oncologia, ma anche in neurologia e in cardiologia. In ambito neurologico ad esempio permette la valutazione del metabolismo glicidico a livello cerebrale, la diagnosi di demenze e la valutazione del deterioramento del cervello; in cardiologia permette studi di perfusione, localizzando aree del cuore con mancanza di irrorazione dovuta per esempio ad arteriosclerosi, e di metabolismo per la valutazione di eventuale ridotta vitalità del tessuto miocardico. Radiofarmaci in PET Le analisi PET vengono svolte mediante somministrazione ai pazienti di radiotraccianti 18 costituiti da radioisotopi in grado di emettere positroni (solitamente F con T½ = 110 min) legati chimicamente a molecole metabolicamente attive. L’esempio più rappresentativo è dato dal 2-fluoro-2-deossi-D-glucosio, [18F]-FDG (Fig. 8), un analogo 18 del glucosio in cui l’ossidrile in posizione 2 risulta sostituito da un atomo di F radioattivo. Figura 8 - Struttura chimica del 2-fluoro-2-deossi-D-glucosio. Tale molecola si comporta in maniera analoga al glucosio e viene quindi captata da cellule ad elevato utilizzo di questo zucchero, come quelle del cervello o del rene e dalle cellule tumorali. Come avviene con il glucosio, il [18F]-FDG viene fosforilato in posizione 6 all’ingresso della cellula, dove rimane nella forma di [18F]-FDG -6-fosfato poiché non più riconosciuto nel processo catabolico del glucosio. In questo modo la cellula risulta visibile fino a che la molecola rimane radioattiva e quindi rivelabile mediante la tecnica PET. Pertanto il [18F]-FDG può essere utilizzato nello studio del metabolismo glucidico 13
delle cellule miocardiche, aspetto importante per pazienti post-infartati o aventi difetti fissi di perfusione. I radioisotopi utilizzati in questo ambito devono avere un tempo di dimezzamento relativamente breve; dopo la somministrazione del radiofarmaco, i positroni emessi si annichilano, dopo 1-2 mm di interazione con il tessuto, con un elettrone del materiale emettendo due fotoni in direzioni opposte ad energia fissa di 511 keV che vengono rivelati da opportuni rivelatori chiamati camere PET (Fig. 9). Figura 9 - Annichilazione di un positrone. Per ottenere una mappa della distribuzione del radiofarmaco e proiezioni tomografiche, il rivelatore è posto attorno al paziente; mediante l’utilizzo di sofisticati sistemi di elaborazione computerizzati il segnale radioattivo emesso dal radiofarmaco viene trasformato in immagine, mettendo in evidenza eventuali anomalie funzionali o metaboliche del paziente (Fig.10). Figura 10 - A) Schema di rivelazione della tecnica PET; B) Esempio di immagine PET ottenuta dopo iniezione di 18F-FDG per lo studio del morbo di Alzheimer (in Molecular Diagnosis & Therapy 15(6):313-25 December 2011). 14
1.4.2 Imaging a risonanza magnetica (MRI) La MRI viene utilizzata in medicina per scopi diagnostici sfruttando il principio fisico della risonanza magnetica nucleare; non è dannosa nei confronti del paziente e non vengono utilizzati materiali radioattivi come invece accade nella tomografia ad emissione di positroni. Tale tecnica si basa sulle proprietà magnetiche dei nuclei atomici e in particolare sul momento angolare μ, che può assumere valori interi o seminteri. L’interazione di un nucleo con un campo magnetico statico B0 generato da un magnete provoca l’allineamento ad esso del momento angolare tramite un moto di precessione avente una frequenza angolare precisa definita come frequenza di Larmor o di risonanza dipendente dal tipo di nucleo e dall’intensità del campo magnetico. Tenendo in considerazione un insieme di nuclei, si può definire il vettore di magnetizzazione M risultante dalla somma di tutti i singoli momenti magnetici dei nuclei, ciascuno dei quali potrà essere allineato in modo parallelo (m = +½) o antiparallelo (m = -½) al campo magnetico statico. Si può dimostrare dalla meccanica quantistica che vi sarà sempre un leggero eccesso di momenti magnetici lungo una direzione rispetto all’altra col risultato che il vettore di magnetizzazione non potrà mai essere nullo. Tale vettore viene misurato e utilizzato per la realizzazione dell’immagine (Fig. 11). Figura 11 - Schema del moto di precessione dei momenti magnetici sottoposti a un campo magnetico statico. Per rivelare il vettore di magnetizzazione, si perturba il sistema rimuovendolo dalla condizione di equilibrio con un impulso a radiofrequenze chiamato impulso di eccitazione RF ottenuto da una bobina; successivamente alla perturbazione avviene il processo di rilassamento per ritornare alla situazione di equilibrio. Tale processo genera un segnale denominato free induction decay (FID) il quale può essere rivelato come una corrente elettrica e successivamente elaborato. 15
Mezzo di contrasto in risonanza magnetica I mezzi di contrasto o agenti di contrasto sono sostanze utili a modificare il modo in cui una regione analizzata si presenta in una immagine medica alterando il contrasto di un determinato tessuto e rendendo quindi più dettagliata l’analisi (Fig. 12). Figura 12 - Confronto tra risonanza magnetica nucleare senza mezzo di contrasto (sinistra) e con agente di contrasto (destra). I mezzi di contrasto in risonanza magnetica, caratterizzati da elettroni spaiati capaci di accoppiarsi agli spin dei protoni nei nuclei di interesse, influenzano i tempi di rilassamento in misura tale da garantire un elevato incremento di contrasto già a basse concentrazioni di questo agente. Possono essere di due tipi: mezzi di contrasto paramagnetici (ferro, manganese, lantanidi, …) e superparamagnetici (ossidi di ferro); in entrambi i casi si usano ioni metallici complessati da opportuni leganti, i quali riducono la tossicità degli ioni stessi. I mezzi di contrasto vengono iniettati per via endovenosa e determinano, nelle zone in cui si distribuiscono, un cambiamento del campo magnetico modificando l’intensità del segnale registrato. Il sistema di rivelazione è posto attorno al paziente in maniera analoga alla tomografia ad emissione di positroni (Fig. 13). Figura 13 - Schema della strumentazione utilizzata in MRI. 16
1.4.3 Imaging Multimodale La continua ricerca per migliorare le prestazioni in campo medico diagnostico ha portato all’introduzione dell’imaging multimodale che permette di combinare informazioni funzionali e morfologiche. Questa combinazione può essere ottenuta perseguendo due strade diverse: modo asincrono: si acquisiscono più immagini in tempi diversi unendole poi tramite manipolazione digitale; modo sincrono: si acquisiscono più immagini simultaneamente e vengono unite automaticamente. Nel primo caso, vi sono diverse complicazioni date principalmente dalla differente posizione del paziente nelle scansioni acquisite in macchine diverse. Di conseguenza, il metodo di acquisizione simultaneo è quello più efficiente in quanto permette di avere una corrispondenza perfetta tra le immagini ottenute. Per poter sviluppare al meglio questa tecnologia è necessario trovare apparecchiature ibride capaci di effettuare diversi tipi di analisi e disporre di traccianti adeguati da iniettare al paziente.7 Imaging multimodale PET/MRI Tramite la combinazione della tomografia ad emissione di positroni e l’imaging a risonanza magnetica è possibile ottenere informazioni di tipo funzionale e molecolare, con la PET, e informazioni anatomiche di tessuti e organi, con la MRI. Inoltre, la combinazione di queste due metodiche risulta estremamente vantaggiosa poiché vengono unite l’elevata sensibilità della PET e l’alta risoluzione spaziale e specificità della MRI (Fig. 14). Figura 14 - Glioma cerebrale evidenziato dall’analisi ibrida PET/MRI. 17
Queste indagini vengono attualmente condotte utilizzando uno stesso strumento ma impiegando due agenti di imaging chimicamente differenti somministrati in tempi diversi: inizialmente viene iniettato il mezzo di contrasto paramagnetico per l’analisi di risonanza magnetica, generalmente un complesso di gadolinio, e successivamente il tracciante radiomarcato per la tomografia ad emissione di positroni che, nella maggior parte dei casi, è costituito da un radiofarmaco contenente il radionuclide 18F. Le due immagini ottenute vengono poi sovrapposte ottenendo un’immagine “ibrida” PET/MRI il cui contenuto diagnostico non risulta però completamente sovrapponibile a causa della discrepanza derivante dalla differenza chimica tra i due agenti di imaging utilizzati. Per ottenere una vera fusione tra le due tecniche sarebbe necessario disporre di un agente di contrasto chimicamente identico al tracciante radioattivo. Dall’analisi delle proprietà chimico-fisiche degli isotopi radioattivi utili e adatti per le indagini PET risulta evidente che solo il manganese è caratterizzato da proprietà paramagnetiche (Fig. 15).7 Figura 15 - Elementi paramagnetici (sinistra) e carta dei nuclidi (destra). Le peculiari proprietà magnetiche possedute dal manganese nei suoi bassi stati di ossidazione, in combinazione con l’esistenza di radioisotopi emettitori di positroni quali 52 Mn e 51Mn, fanno di questo metallo l’elemento ideale da utilizzare al fine di ottenere specie chimiche adeguate sia per gli studi di imaging PET che per quelli di risonanza magnetica. 1.5 Il manganese Il manganese è un elemento della tavola periodica con numero atomico 25 appartenente al gruppo VIIB, insieme a tecnezio e renio, con configurazione elettronica [Ar] 3d5 4s2. Dopo il gadolinio, il manganese presenta il momento paramagnetico più alto di tutti gli elementi. Tale proprietà deriva dallo ione Mn2+ il quale ha 5 elettroni spaiati nella shell 3d. 18
1.5.1 Isotopi del manganese L’elemento Mn fa parte dei metalli di transizione e in natura si trova prevalentemente come isotopo stabile 55Mn. Sono stati isolati più di 18 radioisotopi del manganese e il più stabile di essi è il 53Mn con un tempo di dimezzamento di 3.7 milioni di anni seguito dal 54 Mn con 312.3 giorni e dal 52Mn con 5.591 giorni (Tab. 1). I restanti isotopi radioattivi hanno un’emivita inferiore alle 3 ore e la maggior parte di essi minore di un minuto. Nuclide Z N Massa Isotopica (u) Emivita Decadimento 51 Mn 25 26 50.9482108 46.2 min β+ 52 Mn 25 27 51.9455655 5.591 d β+ 53 Mn 25 28 52.9412901 3.7 x 106 y CE 54 Mn 25 29 53.9403589 312.3 d CE Tabella 1 - Elenco dei più importanti isotopi radioattivi del manganese. 53 54 Mentre i radioisotopi Mn e Mn decadono per cattura elettronica (CE), processo nel quale un nucleo ricco di protoni assorbe un elettrone di una shell interna (K o L) trasformandosi in un neutrone (p + e- → n + νe), i radioisotopi 52Mn e 51Mn vanno incontro a un decadimento β+ ottenendo rispettivamente 52Cr e 51Cr a seguito alla trasformazione di un protone in un neutrone, positrone e neutrino (p → n + e+ + ν). Questo aspetto, insieme al tempo di decadimento ottimale, rende i radioisotopi 52Mn e 51Mn di particolare interesse per le applicazioni PET. 1.5.2 Metodi di produzione di 51/52Mn Gli isotopi radioattivi 51 e 52 del manganese possono essere prodotti a partire da un target di cromo con abbondanza naturale all’interno di un ciclotrone. Il bersaglio viene irraggiato da un fascio di protoni con una corrente di circa 20 µA e un’energia incidente tra i 10 e i 20 MeV per 80-400 minuti. Il manganese-52 viene prodotto principalmente 52 dalla reazione nucleare Cr(p,n)52Mn e in minor contributo dalla reazione 53 Cr(p,2n)52Mn. Inoltre la presenza del cromo 54 può dare la produzione di piccole quantità di manganese 54 attraverso la reazione 54Cr(p,n)54Mn.8 19
Tecniche di Separazione Mn/Cr 51/52 La produzione di Mn a partire da target di cromo necessita di un successivo step di separazione e purificazione dal Cr. In letteratura sono presenti principalmente due approcci a questa problematica: il primo prevede l’utilizzo di tecniche di separazione liquido-liquido mentre il secondo prevede l’impiego di resine a scambio cationico o anionico che permettano la separazione dei due metalli. In tutti i casi, il target di cromo irraggiato viene disciolto con soluzioni di acido cloridrico a differente concentrazione. Negli ultimi anni sono state messe a punto le seguenti procedure: separazione liquido-liquido utilizzando TOA: il target di cromo irraggiato viene sciolto con acido cloridrico concentrato, evaporato e ripreso con HCl 1 M. Tale soluzione viene poi miscelata con acido cloridrico 8 M ed estratta utilizzando triottilammina (TOA) a differenti concentrazioni (0.1-0.8 M) in cicloesano. Il manganese viene successivamente estratto dalla fase organica utilizzando NH3 1 M. Si è osservato che la separazione migliora aumentando la concentrazione di TOA, nonostante la formazione di una terza fase;9 separazione con resina a scambio anionico: tale separazione prevede l’utilizzo di una colonna cromatografica Amberlite CG-400-IITM, condizionata con acido acetico e metanolo (50:50); il target di cromo irraggiato viene sciolto con acido cloridrico 3 M ed evaporato a 130 °C. Il residuo viene successivamente sciolto in 5 mL dell’eluente e trasferito nella colonna. Le frazioni di cromo vengono eluite con acido acetico e metanolo (50:50) e il manganese con acido cloridrico 3 M;10 separazione con resina a scambio anionico: in questo caso la separazione è stata effettuata con una resina a scambio anionico AG-1x8 condizionata con acido cloridrico 12.1 M; il target di cromo irraggiato viene sciolto con acido cloridrico 11 M e trasferito nella colonna. Le frazioni vengono eluite con HCl concentrato; il manganese viene determinato misurando l’attività tramite una camera a ionizzazione mentre il cromo viene determinato con uno spettrometro;11 separazione con resina a scambio cationico: in questo caso si utilizza una colonna cromatografica DOWEX 50W×8 condizionata con acido solforico 0.1 M; il target di cromo irraggiato viene sciolto con acido cloridrico concentrato a 70 °C per 10 minuti e successivamente evaporato. Il residuo viene successivamente ripreso con acido solforico 1.5 M e trasferito sopra la colonna. Le frazioni di cromo vengono eluite con acido solforico 0.1 M e il manganese con una soluzione di ammonio citrato 0.067 M.12 20
Infine, da quanto evidenziato nel lavoro di Henry Freiser, “Solvent Extraction in radiochemical separations”13, un’altra strada percorribile da poter utilizzare nella separazione liquido-liquido, è quella di utilizzare un chelante adeguato che abbia un’affinità differente per i due metalli. Ad esempio il chelante dietilditiocarbammato mostra una differente affinità nei confronti di Cr e Mn legata al pH di lavoro. Il Mn viene estratto completamente a pH 6.5 mentre il Cr risulta estratto a pH 0. 1.5.3 Chimica del manganese Il manganese, appartenendo al settimo gruppo della tavola periodica, è un metallo di transizione e possiede un elevato numero di stati di ossidazione possibili tra cui i più probabili sono +2, +3, +4, +5, + 6 e +7. Tale ampio intervallo deriva dal fatto che nella zona centrale dei metalli di transizione gli elettroni d non sono presenti all’interno di una struttura elettronica inerte ma sono tutti disponibili per la formazione di nuovi legami. La chimica del manganese risulta quindi essere piuttosto variegata, si possono ottenere specie sia ad alto che a basso spin, complessi a geometria tetraedrica ma anche ottaedrica e inoltre può formare dei composti polimetallici in cui i leganti si dispongono a ponte tra più ioni. Tale versatilità offre numerose possibilità per la sintesi di potenziali agenti di imaging. L’attività biologica di questi complessi è determinata dalle caratteristiche della molecola nella sua totalità: in particolare il metallo definisce la stabilità, la geometria e le proprietà magnetiche ed elettriche mentre il legante conferisce le proprietà biologiche interagendo con l’organismo in cui viene iniettato. Il manganese risulta particolarmente affine ad atomi quali ossigeno, zolfo e azoto, e i leganti con questi atomi tendono a formare complessi piuttosto stabili con il metallo.14 Stato di ossidazione +2 ([Ar] 3d5) Lo stato di ossidazione +2 risulta essere il più stabile; il Mn(II) forma composti quali MnCl2 (Fig. 16) e MnSO4 caratterizzati da una colorazione rosa chiaro e si trova principalmente in una configurazione ad alto spin (S = 5/2) a causa dell’elevata energia di accoppiamento elettronica. La maggior parte dei sali formati da questo ione sono solubili in acqua. Inoltre gli ioni Mn(II) svolgono in biologia funzioni di cofattori con una elevata varietà di enzimi; i più importanti di questi hanno un’utilità essenziale nella disintossicazione dei radicali liberi superossidi. 21
Figura 16 - Struttura del cloruro di manganese tetraidrato. Lo ione Mn2+ in soluzioni acquose neutre o acide forma il complesso [Mn(H2O)6]2+ che risulta essere piuttosto resistente all’ossidazione. In soluzioni basiche, si forma l’idrossido di manganese Mn(OH)2 che si ossida molto facilmente all’aria. Il numero di coordinazione normale per lo ione Mn2+ è 6 e i complessi ottaedrici che si formano hanno una colorazione rosa chiaro; tuttavia è possibile che questo ione occupi delle lacune tetraedriche all’interno di determinati composti (vetri a base di zinco quali ZnO) fornendo una colorazione verde/gialla intensa. I complessi formati dal Mn(II) hanno generalmente delle costanti di equilibrio minori rispetto a quelle dei cationi divalenti relativi ai successivi elementi Fe(II) e Cu(II), perché lo ione manganese, avendo un raggio ionico maggiore, non possiede un’energia di stabilizzazione del campo dei leganti nei suoi complessi, con eccezione dei pochi complessi noti a basso spin. Leganti chelanti quali EDTA, ioni ossalato, etc., formano complessi stabili e isolabili da soluzioni acquose. Essendo la configurazione ad alto spin quella più comune, non vi sono delle transizioni d-d spin permesse giustificando la scarsa assorbanza nella regione del visibile. Mentre nei complessi ottaedrici non vi sono transizioni d-d permesse per simmetria, in quelli tetraedrici e planari quadrati queste sono possibili e tali complessi manifestano una colorazione molto più intensa.15 Stato di ossidazione +3 ([Ar] 3d4) Il manganese nello stato di ossidazione +3 tende a formare in particolare composti con leganti acetato caratterizzati da una colorazione marrone/viola scuro (Fig. 17). Questi complessi tendono a dare dismutazione in soluzione, ovvero una particolare reazione redox per la quale una stessa specie in parte si ossida e in parte si riduce formando quindi Mn(II) e Mn(IV). Tale reazione di dismutazione può essere ridotta in presenza di un eccesso di Mn2+ e con una concentrazione di [H+] > 3 M. 22
Figura 17 - Struttura del manganese acetil acetonato. Stato di ossidazione +4 ([Ar] 3d3) Il composto più importante per questo stato di ossidazione è l’ossido di manganese MnO2, un minerale chiamato pirolusite, fonte primaria di manganese. Tale composto ha una colorazione nera e viene utilizzato principalmente come pigmento o nelle batterie alcaline e a zinco-carbonio. In chimica organica è impiegato come agente ossidante. Altri stati di ossidazione Il manganese avente altri stati di ossidazione (+5, +6 e +7) forma composti quali K3MnO4, K2MnO4 e Mn2O7 che sono forti agenti ossidanti e possono andare incontro a dismutazione. Mn come agente di contrasto Il paramagnetismo del manganese negli stati di ossidazione più comuni (+2 e +3) può essere sfruttato nelle analisi di risonanza magnetica nucleare sintetizzando agenti di contrasto che possano migliorare la qualità delle immagini prodotte dalla tecnica. Lo ione Mn2+ ha la caratteristica di essere in grado di entrare all’interno delle cellule attraverso le proteine transmembrana utilizzate dagli ioni Ca2+; poiché l’apporto del calcio è necessario ai neuroni per il rilascio dei neurotrasmettitori, il manganese può accumularsi nel cervello e quindi essere utilizzato per studi di imaging cerebrale. Agenti di contrasto quali il Mangafodipir (Mn-DPDP) (Fig. 18) sono stati utilizzati per studiare lesioni al fegato tramite assorbimento da parte degli epatociti. Il complesso è formato dallo ione Mn2+ e dal chelante dipiridossil difosfato e una volta iniettato si 23
dissocia in manganese libero e legante: il metallo viene assorbito dal fegato fungendo quindi da agente paramagnetico intracellulare diminuendo il tempo di rilassamento T1 e aumentando così il contrasto delle immagini MRI mentre il chelante viene espulso nell’urina.16 Figura 18 - Struttura del Mangafodipir. 24
Capitolo 2 Parte sperimentale 2.1 Materiali e metodi I solventi utilizzati sono di purezza standard e sono stati impiegati senza ulteriori purificazioni. Gli spettri IR sono stati registrati con lo strumento VERTEX 70 nell’intervallo 4000 – 400 cm-1 utilizzando pastiglie di KBr anidro. I cromatogrammi in HPLC sono stati registrati con lo strumento System Gold Beckman 126 Solvent Module con un rivelatore UV-Vis utilizzando come eluenti acqua con 0.1 % di acido trifluoroacetico e acetonitrile con 0.1 % di acido trifluoroacetico; la colonna cromatografica utilizzata è stata la Agilent Zorbax C18 (dimensioni particelle 3.5 μm, 4.6x150.0 mm di lunghezza). Le analisi elementari sono state effettuate con lo strumento EA flash 2000 thermofisher scientific CHNS-O determination. Gli spettri UV-Vis sono stati registrati con lo strumento Cary Series UV-Vis Spectrophotometer (modello G9823A) nell’intervallo 800 – 200 nm. Le analisi MS-ESI sono state effettuate con uno strumento LCQ Duo Finningan con analizzatore a trappola ionica. Le analisi ICP-OES sono state effettuate con lo strumento Optima 3100 XL della Perkin Elmer. La stabilità in vitro dei complessi di Mn è stata valutata utilizzando la seguente procedura e monitorando, mediante cromatografia HPLC, la purezza del complesso a tempi differenti nell’intervallo di 24 h: alcuni microgrammi del prodotto sono stati solubilizzati in 1 mL di una soluzione acquosa contenente etanolo al 10 % (v/v) in presenza di 10 mg di gammaciclodestrina utilizzata per favorire la solubilizzazione. Un’aliquota di 25 L di prodotto è stata poi incubata a 37 °C con 900 L di soluzione salina e 225 L siero di ratto rispettivamente. In quest’ultimo caso al termine dell’incubazione 250 μL di acetonitrile freddo vengono aggiunti all’eppendorf che viene successivamente centrifugata per 15 min a 15000 rpm al fine di eliminare le proteine residue nel siero. Il surnatante viene prelevato e iniettato nello strumento HPLC. 25
Gli esperimenti di scambio con cisteina e glutatione (GSH) sono stati effettuati secondo la seguente procedura: 100 L della soluzione contenente il complesso sono stati incubati a 37°C con 50 L di una soluzione fresca di L-cisteina (0.01 M) o in alternativa di GSH (0.01 M) insieme a 100 L di acqua e 250 L di tampone fosfato 0.2 M a pH 7.4. Di seguito vengono riportati i solventi e i composti utilizzati con gli eventuali acronimi e provenienza (Tab. 2): Nome Formula molecolare/ acronimo Fornitore Purezza % Acqua distillata H 2O Unife Soluzione fisiologica Fresenius Kabi 0.9 in NaCl Acqua Ossigenata H 2O 2 Titolchimica ≥ 30.0 Etanolo EtOH FLUKA ≥ 98.0 Etere Et2O Carlo Erba ≥ 99.8 Cloroformio CH3Cl Honeywell ≥ 99.0 Diclorometano Sigma Aldrich ≥ 99.9 Acetonitrile CH3CN Sigma Aldrich ≥ 99.9 Cicloesano Carlo Erba ≥ 99.8 Toluene Riedel-de Haën ≥ 99.7 Metiletilchetone MEK Carlo Erba ≥ 99.5 Trietilammina TEA Sigma Aldrich ≥ 99.5 Idrossido di sodio NaOH Titolchimica ≥ 97.0 Acido cloridrico HCl Carlo Erba 37.0 Acido nitrico HNO3 Titolchimica 67.0 Acido trifluoroacetico TFA Sigma Aldrich ≥ 99.0 Manganese cloruro MnCl2·4H2O Sigma Aldrich ≥ 98.0 Manganese acetilacetonato Mn(acac)3 Sigma Aldrich ≥ 95.0 Dietilditiocarbammato di sodio Na(S2CNEt2)·3H2O AnalaR ≥ 98.5 1,3,5-triaza-7-fosfadamantano PTA Riferimento17 N-Etil-N-etossiditiocarbammato NOEt Riferimento18 Tabella 2 - Elenco dei solventi e composti utilizzati e relative informazioni. 26
2.2 Processo di estrazione radiochimica Cr-Mn I processi di separazione del manganese dal cromo sono stati effettuati basandosi sulle tecniche di estrazione liquido-liquido. Tenendo conto della futura applicazione con target di cromo irraggiati, contenenti quindi manganese radioattivo, l’attenzione è stata soprattutto rivolta allo studio di processi di facile realizzazione, veloci ed automatizzabili. Preliminarmente alla messa a punto di questi processi, è stato necessario individuare un metodo efficiente per la dissoluzione del target di cromo. 2.2.1 Studi di dissoluzione del target Per tutte le prove di dissoluzione e separazione sono stati utilizzati target di cromo naturale metallico prodotti presso la ditta K4Sint S.r.l. (Trento) via pressing and sintering della polvere metallica. I target hanno forma circolare, diametro di circa 1 cm, peso di circa 0.2000 g, spessore di 0.4 mm e possiedono una densità dell’88 % rispetto a quella metallica pura. Sono stati quindi effettuati test di dissoluzione dei bersagli di cromo utilizzando diversi solventi a diverse concentrazioni, volumi e condizioni di temperatura. In particolare si è usata acqua ossigenata concentrata al 30 % e acido cloridrico 8-12 M. I test sono stati condotti sia a temperatura ambiente che a 100 °C con un sistema di raccolta fumi acidi composto da vial con tappo forabile, capillari e una bottiglia contenente NaOH 6 M all’interno della quale vengono fatti gorgogliare i fumi di raccolta (Fig. 19). Figura 19 - Sistema di raccolta dei fumi acidi generati dalla dissoluzione del target. 27
In presenza di acqua ossigenata concentrata a caldo si nota una debole reazione che non porta alla completa dissoluzione del target di cromo nemmeno dopo 24 ore. In acido cloridrico, la dissoluzione invece avviene completamente anche a temperatura ambiente in circa 60 minuti. Tuttavia, le condizioni di dissoluzione che riteniamo essere più appropriate per i nostri scopi sono le seguenti: 3 mL di HCl 8 M in circa 10 min a 100 °C. Tale approccio è stato quindi utilizzato successivamente in tutti gli studi per lo sviluppo di una procedura di separazione Cr-Mn. Per simulare la presenza di manganese prodotto dall’irraggiamento nel target di cromo, alla soluzione di cromo in acido cloridrico vengono aggiunti 5 μL di una soluzione standard per ICP 1000 mg/L di Mn in 2 % HNO3 (Merck KGaA, Darmstadt, Germany). 2.2.2 Sviluppo di una procedura di separazione Cr-Mn La tecnica di separazione investigata è l’estrazione con solvente. Diverse combinazioni di fasi sono state testate al fine di individuare le condizioni che permettano un’efficiente separazione Cr/Mn. In particolare si è variata la concentrazione e il pH della fase acquosa in cui sono sciolti Cr e Mn e sono stati utilizzati diversi solventi organici, con eventuale aggiunta di agenti coordinanti o estrattori anionici. In particolare sono stati usati solventi quali il MEK, cicloesano e cloroformio, il legante DEDC, impiegato anche nello sviluppo di complessi del manganese per la diagnostica multimodale PET/MRI, e infine la TEA, descritta in letteratura come estrattore anionico che forma con il manganese un core idrofobico.19 Vengono di seguito riassunte le combinazioni di fase testate (Tab. 3): Fase acquosa Fase organica HCl 1-2.5-4-8 M MEK HCl + NaOH + buffer pH 6 Cloroformio + DEDC HCl + NaOH + buffer pH 6 Cicloesano + DEDC HCl 1-8 M Cicloesano + TEA (1-0.1 mL) Tabella 3 - Elenco delle combinazioni tra fase acquosa e organica utilizzate nelle prove di separazione. L’indagine è stata condotta su 32 campioni testando le tre combinazioni fase acquosa/fase organica: HCl/MEK; HCl/TEA in cicloesano; fase acquosa a pH6/ DEDC in cloroformio 28
o cicloesano. I target sono stati sciolti come descritto nel capitolo precedente in 3 mL di HCl 8 M e a ciascun campione è stata aggiunta un’aliquota pari a 5 µL di Mn-standard. Ciascun campione è stato successivamente trattato per ottenere diverse condizioni di partenza in termini di concentrazione molare di HCl o di pH. Per i test di separazione con DEDC è stato necessario portare vicino alla neutralità il pH della soluzione di partenza mediante aggiunta, sotto costante agitazione, di una quantità calcolata di NaOH, tale da avvicinarsi al pH desiderato (6.5), e alcuni mL di tampone acetato (pH 6). Le soluzioni acquose contenenti Cr e Mn sono state miscelate vigorosamente con le fasi organiche per mezzo di un imbuto separatore (Fig. 20). Dopo aver atteso la separazione delle fasi, la fase organica viene separata e conservata per le analisi. La procedura viene ripetuta tre volte aggiungendo alla fase acquosa lo stesso volume di solvente organico fresco. Al termine della procedura le frazioni organiche vengono unite per l’analisi successiva. Figura 20 - Apparato sperimentale del test di separazione Cr/Mn. In tutti gli esperimenti di separazione condotti, ci si aspetta che il cromo rimanga nella fase acquosa mentre il manganese venga estratto selettivamente dalla fase organica la quale viene quindi raccolta dopo ogni estrazione e analizzata tramite ICP-OES, previa evaporazione del solvente organico e ripresa del residuo in acido diluito (10 mL di HNO3 1 M o HCl 2 M), al fine di individuare quantitativamente le rese di separazione Cr/Mn. Sono quindi state calcolate le rese percentuali di estrazione del Cr e del Mn rilevate nei campioni organici calcolate sulla massa di Cr e Mn presente nel campione iniziale (limite di rilevabilità dello strumento: (Cr) = 11.4 µg/L; (Mn) = 2.24 µg/L). 29
2.2.3 Studi di automazione della procedura di separazione Cr-Mn Per l’automazione dei processi di separazione liquido-liquido del manganese dal cromo si è utilizzato un dispositivo, Liquid-Liquid Separator Sep – 10, brevettato e prodotto dell’azienda Zaiput Flow Technologies (Cambridge, Massachusetts, USA). Tale dispositivo consente di separare efficacemente due fasi immiscibili per mezzo di una membrana microporosa di politetrafluoroetilene (PTFE) che può essere selezionata a carattere idrofilo o idrofobico. Grazie ad un controllo della pressione interna al dispositivo mediante un diaframma solo una delle due fasi attraversa la membrana. Infatti, quando la miscela delle due fasi (come ad esempio una fase acquosa e una fase organica) entra nel dispositivo, una fase avrà affinità per la membrana (wetting phase) e ne riempirà i micropori mentre l’altra fase ne sarà respinta (non-wetting phase). Il diaframma a questo punto applica una differenza di pressione ai due lati della membrana imprimendo una forza sufficiente a spingere la wetting-phase attraverso i pori della membrana stessa (Fig. 21). Figura 21 - Schema di funzionamento del modulo di separazione Zaiput.20 30
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