"Una vita" di Oriana Fallaci - Università degli Studi di Roma La Sapienza Facoltà di Lettere e Filosofia

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Università degli Studi di Roma
                    La Sapienza

                Facoltà di Lettere e Filosofia

       “Una vita” di Oriana Fallaci

                       Tesi di Sara Cesaretti

         Relatore:
Prof.ssa Beatrice Alfonzetti

                               a.a. 2008-09
Introduzione

       Scegliere una tesi su un personaggio controverso e così bistrattato
  come Oriana Fallaci nasce dalla convinzione di poter indagare, in tale
  autrice, una grandissima capacità di scrittura, un'acutezza sottile nella
  comprensione dell’animo umano e un lucidissimo occhio critico sul
  mondo circostante. Una convinzione nata dall'amore e dalla stima che
  nutro per quest’autrice; non un amore ottuso, ma finalizzato alla critica,
  anche negativa, dei suoi lati più discutibili.

       Oriana Fallaci è, è stata e forse sarà sempre una scrittrice tra le più
  discusse, anche in Italia, e soprattutto riguardo la sua ultima produzione
  libraria, quella successiva al crollo delle Twin Towers nel 2001 e
  inaugurata dall’articolo La rabbia e l’orgoglio, scritto di getto in seguito
  ai fatti accaduti in quella data e apparso il 29 settembre 2001 sul
  «Corriere della Sera»; La rabbia e l’orgoglio, ampliato e riveduto,
  diventa subito un best seller letto in tutto il mondo.

        Questa tesi analizza la produzione letteraria di Oriana Fallaci
  precedente ai testi dell’11 settembre e, in modo particolare, considera la
  composizione di un romanzo che, a parer mio, è uno dei più belli mai
  stati scritti, Un Uomo (1979, Rizzoli), nel quale la centralità del
  protagonista, il rivoluzionario greco Aléxandros Panagulis, rispecchia
  alcuni dei più alti valori che la Fallaci ha voluto trasmettere, per lo meno
  fino agli avvenimenti che l'hanno sconvolta. Un Uomo viene, sì,
  analizzato nelle sue vicende esteriori, inserite nel delicato periodo della
  Dittatura dei Colonnelli in Grecia tra il 1968 e il 1973, e scandagliato

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nelle evoluzioni e sofferenze di quella storia d’amore vissuta dalla
Fallaci con il protagonista del libro, ma vuole, soprattutto, mettere
l’accento sulle qualità morali e sulle virtù di cui Panagulis è portatore;
sui valori di libertà, di moralità e di verità e del profondo senso della
legge che, per Oriana Fallaci, hanno sempre rappresentato il perno di
tutte le società e di ogni paese. Ideali di cui la stessa autrice, con i suoi
romanzi, le interviste, le sue raccolte, e con i suoi ripetuti interventi nel
mondo politico, ha voluto dare testimonianza.

     Inutile dire chi era Oriana Fallaci, una donna amata e odiata,
conosciuta in tutto il mondo, oggetto delle più diverse letture e
interpretazioni; questo lo sappiamo tutti. Il mio intento è stato, invece,
quello di sottolineare il peso di una scrittrice-giornalista che è
intervenuta in molti momenti della storia, anche mondiale, e ha
contribuito, spesso con la propria esperienza di vita vissuta, a
influenzarli (perché spesso nella Fallaci vita e racconto, invenzione e
realtà si legano, ed ancor più in Un Uomo, dove la favola dell’eroe
sognante si concretizza nel disperato e dolce rapporto con un uomo
pieno di debolezze). La scrittrice ha tentato, con i suoi modi spesso
burberi e aggressivi, di far riflettere e di smuovere anche solo poche
coscienze, e di mostrare, attraverso la sua visione del mondo e la sua
sensibilità, la realtà e la verità di tutto quello che la circondava, senza
inganni mistificatori e veli.

     È stata un’autrice che è riuscita ad entrare nell’animo di molti, di
molti uomini del nuovo millennio, parlandoci dei nostri conflitti, che
aumentano e diventano più insolubili. La sua mano è riuscita a
sviscerare le contraddizioni che ci portiamo dietro nel modo più chiaro e

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semplice possibile. È stata una scrittrice moderna e portatrice di valori
universali, sempre attuale perché ha affrontato temi che ci riguardano da
vicino e che ci toccheranno, credo, ancora per molto, e l’ha fatto con una
scrittura che non può lasciare indifferenti.

     Questo almeno fino all’11 settembre; mi riserbo di esprimere un
giudizio sugli ultimi libri della Trilogia, evitando di sfiorare i temi di un
dibattito troppo vicino e dalle tematiche scottanti per essere preso in
considerazione in questa sede. Per quanto reputi che, con il passare del
tempo, Oriana Fallaci abbia perso il rigore e la capacità di intuire
genialmente le verità sul mondo e sull’uomo, e di esprimerle in uno stile
scorrevole e perfetto, ritengo, altresì, che non si possa cancellare, far
passare in sordina e oscurare, a causa dello scredito acquisito negli
ultimi anni di vita, la grandezza delle sue precedenti opere, letterarie e
non. Lo scopo definitivo di questa tesi è stato quello di cercare di
rivalutare e rendere più nota una parte della produzione di questa
scrittrice, per riuscire finalmente ad estrarne il meglio, e a farlo
attraverso un libro che può appassionare e coinvolgere più degli altri.

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Una vita

     Oriana Fallaci nasce a Firenze il 29 giugno del 1929. È la prima di
quattro sorelle, Neera, Paola ed Elisabetta, la figlia adottiva dei genitori
Tosca ed Edoardo Fallaci, entrambi fiorentini. La madre, una donna forte e
combattiva, le insegna l’importanza della dignità e la possibilità, anche per
una donna, di lavorare; il padre, che fino alla vecchiaia rappresenterà il suo
grande eroe (forse l’unico), è un artigiano con l’antifascismo e il valore
della libertà e dell’anarchismo nelle vene. È una famiglia povera e onesta,
che investe i propri guadagni principalmente nell’acquisto di libri, passione
che accomuna entrambi i genitori e che ha una forte influenza su Oriana.
Libri di ogni genere, grandi classici russi e italiani, testi proibiti, scrittori
inglesi e americani che tanto peso ebbero nella sua fantasia. È grazie ai suoi
genitori, all’attività giornalistica dello zio Bruno Fallaci e al valore da loro
attribuito alla cultura, che Oriana inizia a coltivare il suo amore per i libri e
il sogno di diventare una scrittrice, o meglio “uno scrittore”, ad appena
nove anni.

     Durante gli anni della dittatura fascista in Italia, il padre Edoardo
diviene capo del movimento clandestino partigiano di Giustizia e Libertà,
fondato a Parigi nel 1929, e la piccola Oriana diventa anch’essa una
partigiana che, con il nome di battaglia Emilia e la sua bicicletta, funge da
staffetta e accompagna spesso i fuoriusciti dai campi di concentramento.

     Per il suo attivismo durante la guerra le viene consegnato nel ’43,
all’età di soli quattordici anni, un riconoscimento d’onore dall’Esercito
Italiano, l’unico che riceverà nel corso della sua vita dalla sua patria, se si

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esclude qualche raro premio letterario.

     Nel 1944 il padre viene arrestato e torturato a Villa Triste, dove
Oriana lo vede tumefatto e quasi irriconoscibile. Scampa al trasferimento in
Germania e, nonostante le violenze subite, si salva.

     Oriana, sebbene abbia perso un anno, frequenta il liceo classico
Galileo Galilei a Firenze. Ha degli ottimi voti in tutte le materie, a parte in
matematica e fisica. Si diploma con un anno di anticipo, a soli sedici anni.
Sotto le pressioni della famiglia che tenta di dissuaderla dal sogno di
diventare “uno scrittore”, Oriana s’iscrive alla facoltà di Medicina ma, a
causa delle ristrettezze economiche, del nepotismo causato dalla giovane
età e dalla povertà, sceglie di abbandonare una materia che, pur
interessandole, non era quella indicata per la sua forma mentis. Durante
questo periodo, però, inizia a collaborare con «Il Mattino dell’Italia
Centrale», un quotidiano d’ispirazione democristiana per cui scrive articoli
che spaziano dalla cronaca giudiziaria al costume. Siamo nel 1957. I suoi
modelli sono gli scrittori americani come Kipling, London e il grande
Hemingway, autori votati anche al giornalismo che, con la loro penna,
riescono, nei loro articoli, a dar vita ai personaggi di cui raccontano. Oriana
si cimenta con un modo di fare giornalismo, ancora sconosciuto in Italia,
basato non più solo sui fatti, ma un giornalismo che porta alla luce i
sentimenti, le storie, le psicologie degli uomini.

     È anche per questo che non le basta più la redazione locale del
«Mattino», ma vuole scrivere per una grande testata nazionale. Nel 1951
        Accadde a Fiesole un episodio affascinante: morì un comunista e la
     Chiesa gli negò la sepoltura in terra consacrata e la cerimonia religiosa.
     Allora i compagni di quel comunista si vestirono da preti, impararono a
     memoria le preghiere funebri e inscenarono un funerale religioso. Dopo aver
     scritto il pezzo, forse perché soddisfatta del risultato, forse per l’interesse e
     l’unicità del fatto narrato, fa quello che avrebbe voluto fare già da tempo: lo

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invia all’«Europeo», uno dei periodici «di maggior prestigio, il più
         intelligente e il più bello», allora diretto da Arrigo Benedetti1.

         Inizia così la collaborazione, seppur saltuaria, con l’«Europeo». Nel
1952 arriva il pretesto per lasciare «Il Mattino», nato da un disguido sulle
modalità di stesura di un articolo su Palmiro Togliatti, e viene licenziata. È
così che decide di cambiare vita e partire per Roma, dove vive per un po’ di
tempo senza soldi e senza cibo. Per un po’ resta in attesa che lo zio Bruno,
uomo dal carattere spigoloso, arrivato alla direzione dell’altra grande
rivista di quegli anni, «Epoca», la inserisca all’interno del giornale. Pur
temendo l’accusa di favorire la nipote, decide di assumerla, anche se le
vengono affidate mansioni di redazione e articoli difficili e di poca
importanza che non ne mettono in luce le capacità.

         Con la promozione del nuovo direttore, Enzo Biagi, Oriana viene
licenziata da «Epoca» ma un altro nuovo direttore, Michele Serra
dell’«Europeo», la inserisce nella rivista per occuparsi in particolare della
vita romana. Con questa testata iniziano i viaggi e cominciano soprattutto
quelle interviste a divi e politici che diverranno famose in tutto il mondo,
perché abbandonano la dimensione obiettiva per lanciare sfide agli
intervistati con cui Oriana si sforza di entrare in contatto divenendo
anch’essa protagonista dell’intervista, «una sorta di interrogatorio non
violento, in cui girando e rigirando attorno al problema il colpevole finisce
per confessare senza neanche accorgersene»2.

         Nel 1955 viene inviata da Michele Serra per la prima volta a New
York, un grande sogno che si realizza, quello di viaggiare e scoprire il
mondo. Qui deve intervistare attori e registri dell’acclamata Hollywood. Le

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    http://www.oriana-fallaci.com/i-primi-articoli/vita.html
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    http://www.oriana-fallaci.com/i-primi-articoli/vita.html

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