"Un mondo interessante e triste" - Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi - L'ospite ingrato
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«Un mondo interessante e triste» Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi Barbara Distefano Prima di morire, voglio protestare contro questa invenzione della debolezza e della volgarità e pregare i lettori di voler distruggere le mie osservazioni e i miei ragionamenti piuttosto che accusare le mie malattie. Giacomo Leopardi I. Un verdadero loco che fa paura A un giornalista argentino, che nel 1964 gli domandava quale fosse il migliore scrittore italiano del momento, Italo Calvino rispose così: «Es un loco completo che se llama Lucio Mastronardi. Un verdadero loco, a quien dos por tres hay que enternar en el manicomio de su pueblo». 1 Mastronardi deve certamente una grossa quota del suo dirompente e fragile successo letterario all’autorità culturale rappresentata da Calvino in quegli anni e ai suoi giudizi euforici. 2 1 E. Gonzales Manet, in «El Mundo», Cuba, 16 febbraio 1964, ora in D. Scarpa, Italo Calvino, Milano, Mondadori, 1999, p. 30. 2 Si vedano una lettera di Calvino a Vittorini datata 29 novembre 1960: «Altra lettura eccezionale: un lungo nuovo romanzo di Mastronardi: Il maestro di Vigevano, che non so se e come pubblicare, perché è di un’oscenità, uno schifo dell’umanità che fanno restare senza fiato, ed è pieno di motivi assolutamente paranoici, ma tutto insieme è una cupa opera di poesia in cui non ci sarebbe da toccare una virgola»; o quella di Calvino a Mastronardi del 3 dicembre dello stesso anno: «è un libro fuori dal comune, con una forza poetica dentro, una forza di disperazione, una visione
Evidentemente, però, anche nelle parole dei suoi più grandi estimatori, l’autore vigevanese non si libera dai due fardelli che ne hanno scoraggiato una lettura profonda impedendone la riscoperta: el manicomio y el pueblo, il disagio psichico e il provincialismo. La «sensibilità di scorticato vivo», l’innegabile «gorgo di sofferenze» 3 e il tragico gesto che pose fine alla parabola terrena del maestro di Vigevano, hanno fatto prevalere la vulgata del Mastronardi malato: depresso e incostante, paranoico, ossessivo, incapace di uscire dai chiusi circuiti della propria mente e del proprio borgo natio, tanto nella vita, quanto nel lavoro della letteratura. Ne sono risultate, anche a livello critico, l’attenuazione di una scrittura potente e l’ingiusta tendenza a relativizzare la pugnace capacità mastronardiana di osservare il mondo contemporaneo a partire da due microcosmi: Vigevano e la scuola. Studi recenti riconoscono giustamente all’autore del Maestro di Vigevano il merito d’aver anticipato la dimensione auto-terapeutica delle narrazioni scolastiche odierne, cioè di aver aperto la strada a quel Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi «folto numero di insegnanti-scrittori che si dedicano alla scuola o scelgono la via del successo letterario come via di uscita da un «Un mondo interessante e triste». contesto frustrante sul piano intellettuale». 4 E se a giornalisti come Riccardo De Gennaro è toccato colmare la lacuna di un profilo biografico completo dell’autore, lettori attenti come Goffredo Fofi si sono posti le domande a cui cerchiamo di rispondere con questo contributo: «Paranoico, Mastronardi? Certamente, ma bisogna anche chiedersi […] se la sua paranoia non avesse delle giustificazioni, delle radici e delle ragioni che spingevano oltre il privato».5 assolutamente nera dell’umanità che riesce a diventare visione poetica […] di una brutalità al di là di ogni misura […] più infernale e ricco e impressionante del Calzolaio» (lettere citate in A.M. Palmieri, Maestri di scuola, maestri di pensiero, Roma, Aracne, 2015, pp. 191-192). E ancora nel 1983: «L’eccezionalità dell’evento Barbara Distefano Mastronardi sta nel fatto che nella tradizione italiana non abbiamo avuto né un Balzac né un Dickens né tantomeno un Dostoevskij che abbiano trasfigurato la nostra società in una morfologia e in un’etologia distinguibili da ogni altra, come una fauna o flora cresciute in una nicchia biologica a sé stante. Mastronardi nel suo piccolo ha fatto questo», I. Calvino, Ricordo di Lucio Mastronardi, in Per Mastronardi. Atti del Convegno di studi su Lucio Mastronardi, Vigevano 6-7 giugno 1981, a cura di M.A. Grignani, Firenze, La Nuova Italia, 1983. 3 Ivi. 4 A.M. Palmieri, Maestri di scuola, maestri di pensiero cit., p. 226. 5 G. Fofi, Prefazione a R. De Gennaro, La rivolta impossibile. Vita di Lucio Mastronardi, Roma, Ediesse, 2012. 176
QUARANT’ANNI DOPO n. 8 - 2020 L’OPERA DI LUCIO MASTRONARDI (1930-1979) Non è certo la prima volta che il pubblico dei lettori e la comunità dei critici usano la malattia dell’autore per esorcizzare i contenuti sgraditi di un’opera. Il caso più noto nella letteratura italiana è certamente quello di Giacomo Leopardi e della sua alterna fortuna, iniziata con le riduzioni di coloro che da subito stabilirono nessi deterministici fra sofferenze personali e sistema di pensiero, Barbara Distefano continuata con le riserve desanctisiane sulla scarsa militanza, proseguita con le diagnosi crociane di ingorghi sentimentali privi di validità speculativa e arrivata a critici come Timpanaro, che seppero scorgere una coscienza universale dietro l’apparente lamento individuale. Con il caso Mastronardi il contesto è certamente un altro: siamo evidentemente lontani dal clima lombrosiano in cui Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi «Un mondo interessante e triste». attecchirono certe letture dell’opera del Recanatese, ma siamo anche distanti dal superamento dei pregiudizi nei confronti del disagio mentale. Ed è per quell’assenza di “serietà” che, a sentire De Sanctis, comprometteva il nesso fra letteratura e vita civile, e quindi per la sua “scarsa militanza” e per il suo cinismo, che Mastronardi si potrebbe far rientrare, con Leopardi, in quella “linea del riso” che nella Storia desanctisiana si contrapponeva alla “linea dell’impegno” ed emergeva come tendenza riconoscibile in molti letterati italiani. 6 Fu Calvino stesso, d’altro canto, a cogliere la spaventosa distanza fra la “serietà” della linea deamicisiana e questa risata rabbiosa esplosa in faccia al mondo scolastico: La risata di Mastronardi è una risata che fa paura. Anche noi ridiamo con lui dal principio alla fine del suo libro, ma ci accorgiamo che abbiamo paura dello stesso nostro riso. La violenza viscerale di Mastronardi nutre un genio del grottesco che ha il segno sgraziato e crudele dei pupazzi di Siné. Questo Maestro di Vigevano che potrebbe essere battezzato l’Anti- Cuore, l’Anti-De Amicis ha una serie di scenette e gags sulla scuola che difficilmente dimenticheremo. 7 Il riso di Mastronardi segna, rispetto a De Amicis, l’avvento di una nuova maniera di raccontare la scuola, ma non si allinea alle attuali 6 Per una schematizzazione del discorso desanctisiano, cfr. G. Ferroni, Prima lezione di letteratura italiana, Bari, Laterza, 2009, pp. 19-20. 7 I. Calvino, Il maestro di Vigevano di Lucio Mastronardi, in «L’Unità», 13 giugno 1962, p. 6. 177
strategie politiche, cinematografiche ed editoriali del “ridere di scuola”.8 Non è una ridicolizzazione tesa a sminuire l’importanza della scuola, ma semmai, una maniera di denunciare l’avvio di un processo di delegittimazione che fa sembrare ridicola la scuola, di additarne il relitto svuotato di senso, stagliato su un paesaggio urbano in cui, dentro gli edifici scolastici, non si produce più nulla che venga considerato utile. In questo orizzonte sociale restano in piedi solo le fabbriche e i loro padroni, come nelle ultime pagine del Maestro: Tiro avanti la vita giorno dopo giorno, fra casa e scuola e lunghe passeggiate. Mi sorprendo a fermarmi davanti a fabbrichini e fabbrichette, e penso che i padroni lasciano in questo mondo qualcosa del loro passaggio. Il padrone muore ma la fabbrica resta. 9 Nel tragico universo letterario che Mastronardi plasma negli anni del boom economico, gli insegnanti non hanno più niente da insegnare a una società che li umilia, li deprezza e li disprezza. Quando non si Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi integrano docilmente nella meschinità del contesto economico, «Un mondo interessante e triste». finiscono per trascinarsi a peso morto nel loro calvario privato, scontando con la sofferenza psichica (o addirittura con il suicidio) quel che resta della loro funzione pubblica. Se il pessimismo è un atteggiamento critico che conserva la sua sostanziale scomodità da un’epoca a un’altra, da una società all’altra, ha ragione Piersandro Pallavicini: la ragione dell’odierna smemoratezza […] sta proprio in quella disperazione, in quella visione tutta nera dell’umanità di cui parlava Calvino a proposito de Il maestro di Vigevano, e che si ritrova tal quale in tutta la breve bibliografia mastronardiana. Difficile ricordare con gioia libri così. Difficile eleggere a eroe Barbara Distefano letterario uno scrittore che quella disperazione e quel nero li trovava dentro di sé. 10 8 Sull’argomento si veda R. Sandrucci, La scuola sotto il segno della commedia. Rappresentazioni della scuola pubblica italiana: studio su sette casi, Pisa, ETS, 2012. 9 L. Mastronardi, Il maestro di Vigevano, in Id., Il maestro di Vigevano. Il calzolaio di Vigevano. Il meridionale di Vigevano, Torino, Einaudi, 1994, p. 169, d’opra in poi MaV. 10 Recensendo La rivolta impossibile di De Gennaro, P. Pallavicini, Maestro di vite disperate, in «Il Sole24Ore», 17 giugno 2012. 178
QUARANT’ANNI DOPO n. 8 - 2020 L’OPERA DI LUCIO MASTRONARDI (1930-1979) Criticare la scuola conoscendola dall’interno è indubbiamente una posizione scomoda. Il maestro appare nel 1962, anno dell’istituzione della scuola media unica, dell’ottimismo pedagogico che la sottende e di un’attenzione senza precedenti per l’istruzione da parte dell’opinione pubblica. È subito best seller (80.000 copie vendute alla prima edizione), ma non a Vigevano: solo 500 lettori, in un comune di Barbara Distefano 60.000 abitanti. Sulla memoria di Mastronardi, però, non può attecchire nessuna retorica, neanche quella del nemo propheta in patria, perché, come si vedrà nelle pagine che seguono, il profeta in questione tiene nella sua intollerabilità anche fuori dalla patria: risulta fortemente sgradevole, caustico e sconcertante ancora mezzo secolo dopo, non solo a Vigevano. Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi «Un mondo interessante e triste». II. Non è come la fabbrica! Mastronardi non aveva paura di offendere quanti, in quegli anni, si impegnavano sinceramente nella sperimentazione didattica e operavano combattivamente per una scuola democratica. Non stupisce, perciò, che una pedagogista tenace come Lidia De Federicis, nel ripercorrere la strada del romanzo di scuola in Italia, 11 non abbia trovato, per il lavoro scolastico, una rappresentazione letteraria equivalente a ciò che Memoriale di Volponi è per la fabbrica. Memoriale e Il maestro di Vigevano, però, non hanno in comune solo l’anno di pubblicazione. La prima traduzione in lingua straniera del Maestro, datata 1963, parla spagnolo ed esce dalla stessa penna che, parallelamente, traduce il Memoriale dello scrittore urbinate. Quel traduttore lavora per la casa editrice catalana Seix Barral dal carcere penale di Lérida, dove le autorità franchiste lo hanno rinchiuso un anno prima, negandogli il diritto allo sciopero. Non lo conosce ancora nessuno, ma si chiama già Manuel Vázquez Montalbán e firma El maestro de Vigevano nello stesso anno in cui esce il suo primo saggio. 12 Prima traduzione in un carcere estero, quindi, per un romanzo che nasce in un manicomio italiano: Mastronardi comincia a scrivere mentre è ricoverato in quello di Mombello, il più grande della penisola. Siamo in provincia di Monza, un’area ad alta concentrazione 11 L. De Federicis, Il romanzo della scuola, in «Belfagor», 2, 31 marzo 2002, p. 232. 12 M. Vázquez Montalbán, El informe sobre la información, Barcelona, Editorial Fontanella, 1963. 179
industriale, che evidentemente vanta anche grossi numeri di pazienti psichiatrici. E mentre la Spagna franchista non ha paura di un carcerato antifascista che dà voce al maestro Mombelli, nemmeno a Berlino Est si teme un personaggio che sfodera il disagio di una reclusione a partire dal suo stesso nome. Sarà la casa editrice Volk und Welt, fondata nel ’47 e inizialmente dedita alla pubblicazione di autori antifascisti, a pubblicare Der Leher Von Vigevano quattro anni dopo l’innalzamento del muro. Un’altra traduzione, Il Maestro la deve alla Romania di Nicolae Ceaușescu, dove nel 1972 comincia a circolare Învăţătorul din Vigevano, nella collezione «Meridiane» dell’editore Univers. Significativo che, ancora oggi, non esistano traduzioni in Francia o in area anglosassone, e occorrerebbe, certo, uno studio più sistematico sulla ricezione di Mastronardi fuori d’Italia. Partorito negli anni del boom economico, cioè di un benessere che non toccò minimamente i lavoratori della scuola, ma al contrario palesava la «montante disistima nei confronti del ruolo docente nel Nord delle fabbrichette», 13 Il maestro di Vigevano mette in scena non Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi solo l’avanzata inesorabile della società neocapitalista, ma anche la trasformazione della scuola in azienda, su un palcoscenico «Un mondo interessante e triste». riconoscibilissimo da cui, a turno, si affacciano la Barilla, la Michelin, la Topolino e lo Sputnik. Con la stessa prudenza di chi «volge in farsa» l’ambizione all’affresco onnisciente, 14 Mastronardi incide sulle pagine del romanzo non soltanto le corse ai profitti, le ostentazioni degli industrialotti, l’esplosione del consumismo e il degrado culturale che ne consegue, ma anche i segni della mercificazione dell’istruzione, la svalutazione irreversibile del lavoro culturale e la sua precarizzazione ruggente. Nella Vigevano mastronardiana, le idee fisse e le pulsioni dei lavoratori della scuola non differiscono nella sostanza da quelle dei padroni delle fabbriche. Gli arrivismi sono gli stessi, la crudeltà degli Barbara Distefano interessi personali regna sovrana. Nella muda di Rino, nell’orologio di Ada e in tutti i feticci che allagano le pagine del romanzo, Mastronardi proietta le ossessioni di una società intera, e lo fa partendo dalle manie 13 G. Iacoli, Il satrapo infelice. Sull'emersione rovinosa della sessualità nella vita e nei comportamenti pubblici dell'insegnante, in Maîtres, précepteurs et pédagogues. Figures de l’enseignant dans la littérature italienne, a cura di S. Lazzarin, A. Morin, Berna, Peter Lang, 2017, p. 76. 14 Ci sembra che anche per il Maestro possa valere la formula montaliana, cfr. E. Montale, Letture. Il calzolaio di Vigevano, in «Il Corriere della Sera», 31 luglio 1959. 180
QUARANT’ANNI DOPO n. 8 - 2020 L’OPERA DI LUCIO MASTRONARDI (1930-1979) dell’ambiente lavorativo che conosce meglio: quello «scolastico- impiegatizio», che in superficie ha logiche opposte rispetto al «mondo eccitato ed emergente degli aspiranti industrialotti», 15 ma a ben guardare comincia a replicarlo puntualmente. Gli insegnanti delle scuole popolari, ad esempio, promuovono gli alunni perché ogni promozione gli fa intascare tremila lire. 16 Gli stessi alunni diventano Barbara Distefano merce da scambiare, in un mercato governato dai guadagni dei genitori: Arrivò in quella la collega Rapiani: – A me tutta la feccia, – urlò. – Non è giusto che Mombelli abbia tutti i figli di ricchi e io tutta la feccia! […] Intanto i colleghi si scambiavano gli scolari: il collega Filippi Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi «Un mondo interessante e triste». aveva ceduto un figlio di industriale in cambio di quattro figli di artigiani; il collega Pagliani aveva scambiato due figli di artigiani in cambio di due figli di mamma. – Io ho un figlio di artigiani: sono pronto a scambiarlo con due figli di operai, – urlò Cipollone. – Ci sto, – dissi. […] Avevo tre bambini del Patronato, cioè poverissimi. – Chi li vuole questi tre bambini in cambio di uno oriundo e ripetente e scemo? – domandai. […] Tornò da me la collega Rapiani: – A che gioco giochiamo? Qui non c’è un povero: o me ne lasci almeno dieci oppure lo dico al direttore! […] Mi ero preparato una bella scuola di piccola, media e alta borghesia. Stavo contemplando il registro, allo schema: «professione del padre». (MaV, pp. 121-123) Visto dalla scuola di Mombelli, il mondo si divarica sulla faglia che separa la ricchezza dalla povertà. La rappresentazione di Mastronardi è come un terremoto, che scuote l’edificio scolastico fino a deformarlo e ci restituisce una visione traballante e grottesca di quella realtà. E tuttavia, la sua è una deformazione con solide fondamenta, che finisce per additare la sostanza classista del sistema scolastico italiano cinque anni prima di Lettera a una professoressa. 15 G.C. Ferretti, Il mondo in piccolo (ritratto di Lucio Mastronardi), in Per Mastronardi cit., pp. 23-36: p. 29. 16 «Il giovane maestro della scuola popolare disse: - Signor ispettore, percepisco tremila lire all’anno, agli esami, per ogni alunno promosso. Ora la mia scuola è di venti alunni e non mi si concede il permesso di esaminarli tutti. Chiedo al sindacato di intervenire…» (MaV, p. 146). 181
Nonostante il cinismo che ne orienta le condotte lavorative, settant’anni dopo Il romanzo d’un maestro di Edmondo De Amicis, 17 gli insegnanti rappresentati da Mastronardi continuano a pendere sull’abisso della povertà. Il viaggio di nozze e la cresima del figlio, la rispettabilità sociale e la dignità, sono cose che, con il suo stipendio e la sua indipendenza economica di facciata, Mombelli non può permettersi. Che fosse «una sorta di bracciantato intellettuale», Bianciardi lo aveva fatto dire pochi anni prima a «un professore venuto apposta da Roma»: «Oggi l’insegnante in nulla, se non nella diversa prestazione d’opera, differisce dal bracciante che il latifondista ingaggia per le faccende stagionali». 18 E Mastronardi sente di ribadirlo nella lettera con cui, nel novembre del 1960, accompagna il suo manoscritto: «Si cercano di tenere le distanze con la classe operaia. Poi ci si accorge che le distanze le tiene la classe operaia che guadagna più di noi». 19 Nel Maestro, questa forbice si apre e si chiude al ritmo di un conflitto coniugale. L’umiliazione dei più lauti guadagni di Ada e le sue pressioni Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi sul marito («Pianta la scuola!»; MaV, p. 54), si monetizzano con la quantificazione esatta delle rispettive ore di lavoro: «Venticinque ore «Un mondo interessante e triste». le ho spese a scuola. Altre venticinque le ho spese in lezioni e ripetizioni, e fa cinquanta. […] Ada ha speso diversamente le sue censosessantotto ore. Almeno una novantina le ha spese lavorando. Forse anche di più» (MaV, p. 34). 20 Saltato sul carro dei “lavoratori veri”, Mombelli maschera le umiliazioni del nuovo lavoro («Sto facendo l’impiegato di mia moglie e mio cognato», MaV, p. 67) affondando il dito nelle piaghe della categoria magistrale: 17 Sulla la miseria della categoria magistrale narrata da De Amicis nel Romanzo d’un maestro cfr. B. Distefano, Sporcarsi di gesso. Il lavoro degli insegnanti nel racconto di scuola, da Edmondo De Amicis a Mario Fillioley, in «L’Ospite ingrato», 3- Barbara Distefano 4, novembre 2018, pp. 158-161. 18 L. Bianciardi, Il lavoro culturale [1957], Milano, Feltrinelli, 2013, p. 73. 19 Cfr. R. De Gennaro, La rivolta impossibile cit., p. 46. 20 Si veda anche il racconto Il Trasferimento: «Un altro padre di scolaro lo incontravo sempre dal parrucchiere. Difatti aveva un magazzino di scarpe vicino alla bottega del barbiere […] Subito si sentiva in dovere di stringermi la mano; e mai, che me l’abbia stretta con la mano che si grattava la testa, mai. Sempre con l’altra. E cominciava: - Eh andiamo bene eh, signor maestro. Eh sì. La vita è bella per voi. Le vacanze, il pomeriggio libero, va là che vai bene! Lo stipendio che non è tanto, d’accordo, ma per quello che fate è fin troppo; diciamo la verità eh. Poi il regalino, eh», in «L’Unità», 8 dicembre 1963, ora in Per Mastronardi cit., pp. 138-140. 182
QUARANT’ANNI DOPO n. 8 - 2020 L’OPERA DI LUCIO MASTRONARDI (1930-1979) Il collega Varaldi scuote la testa e dice: – Scommetto che ti sei pentito di avere abbandonato la scuola! […] – Noi siamo in vacanza! – disse Cipollone! – Per quello che prendete! – Risposi scaldandomi. I colleghi si guardarono. Li avevo toccati in fondo. Le mie risposte erano come coltelli che trapassavano il loro catrame. (MaV, p. 79) Barbara Distefano Dalla bocca di Mombelli né i colleghi né i lettori possono aspettarsi nulla di conciliante o confortante. Gli ingredienti del romanzo sono tanta rabbia, un bel po’ di sadismo e pochissime pagine di rinsavimento: «Rivedo le scene in Piazza; il mio tirare fuori i soldi; il mio mortificare i colleghi. A questo riduce il catrame, a questa Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi «Un mondo interessante e triste». meschinità?» (MaV, p. 83). L’ossessione per la pensione non è altro che l’unica via di riscatto da un orizzonte grigissimo. Con la «ninnananna atroce» 21 dei coefficienti, gli insegnanti del Maestro mettono a tacere la frustrazione che li governa, e tengono a bada il sistema che, dietro la farsa, minaccia costantemente di ucciderli. Ada è l’incarnazione di una società animata da cieca presunzione, che non crede alla somiglianza fra la scuola e la fabbrica: «Antonio, tu non sai che significhi avere un padrone sopra che ti fissa coi suoi occhi!» (MaV, p. 47). Il maestro Mombelli, invece, conosce benissimo la dialettica servo-padrone. Dal latino, dai passati remoti, dai pronomi Ella e dalle i prostetiche del direttore, il protagonista impara che il suo lavoro è un’eterna prova e una continua ispezione. Quel linguaggio obsolescente, che risuona dall’Italia umbertina e fa il verso a quella fascista, dà voce al tritacarne del precariato e della produttività. Con lo stesso timbro caricaturale con cui Ada rammenta che «il lavoro nobilita» (MaV, p. 18), il direttore continua a fare il direttore anche al caffè, e anche nel tempo libero si preoccupa di come spendere i fondi della scuola («Ecco come spendere quelle centomila lire! Compreremo dei vocabolari!»; MaV, p. 29). Come nota Asor Rosa, nella sua figura Mastronardi proietta «lo smisurato spreco di energie, che si cela dietro un fittizio, ma proprio perciò abnorme, spropositato, eccitamento del lavoro umano». 22 Sulla disumanità di questa logica, la risata cattiva di Mastronardi scende già nelle prime pagine del romanzo: 21 D. Scarpa, La farfalla vola nel prato, introduzione a L. Mastronardi, Il maestro di Vigevano, Torino, UTET, 2007, p. XVIII. 22 A. Asor Rosa, Uno scrittore ai margini del capitalismo: Mastronardi, in «Quaderni piacentini», 14, gennaio-febbraio 1964, p. 37. 183
– Ho un figlio malato, potrei andare a casa mezz’ora? – domandai. Il direttore mi guardò scuotendo la testa. – Le voglio raccontare un aneddoto, signor maestro Mombelli. Quando noi eravamo ancora maestro, capitò che mio padre stava morendo. Noi andammo a scuola e ci dimenticammo che nostro padre stava morendo. Questo perché? Perché, signor maestro, le preoccupazioni personali non si devono portare nell’aula scolastica. Ma pensi, signor maestro Mombelli, ai missionari, pensi che la nostra è una missione. Mi faccia vedere il registro, signor maestro! (MaV, p. 14) Se la retorica della missione («mestiere… pardon! missione…»; MaV, p. 24). è un bersaglio privilegiato che trova la sua incarnazione nel personaggio del maestro Amiconi («È morto in scuola, – borbottava l’ispettore. – Non c’è morte più bella per un educatore!»; MaV, p. 155), il romanzo raggiunge l’apice della disumanizzazione con le figure di Zarzalli e Nanini. Il primo è un relitto umano, costretto a insegnare con le gambe Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi in cancrena perché gli mancano due anni al minimo della pensione: «Un mondo interessante e triste». All’ultima ora Zarzalli si sentì male. – Il male va avanti, – mormorava: – mi sta marcendo tutto… […] Gli scolari che piantano una cagnara dell’inferno, io vicino a lui che non sapevo che fare. Arrivò l’ispettore. – Ho sentito gridare e allora siamo venuti… Cos’ha Zarzalli, cosa c’è?... Un altro permesso non glielo possiamo concedere. […] Zarzalli era con la bocca aperta, gli occhi in fuori. Emetteva gemiti lugubri. – Cos’ha Zarzalli? – seguitò l’ispettore. – Se si allontana non possiamo darle la qualifica. Il Regolamento, sa… – Rimango! – disse Zarzalli in un soffio. Per un momento sembrava Barbara Distefano che stesse meglio, ma poi riprese a gemere. (MaV, p. 128) Il secondo è l’unica figura che sembra mantenersi integra in questo inferno scolastico («per fortuna c’era il collega Nanini»; MaV, p. 103), almeno finché non finisce maciullato sotto un treno. Supplente a cinquant’anni, Nanini è l’eterno precario, l’unico che osa sghignazzare in faccia al fanatismo del metodo attivo, che non trova il coraggio di lasciare quel lavoro, ma non ha paura di beccarsi il continuo promemoria urlato del «Fuori ruolo! Fuori ruolo!» (MaV, pp. 100-101). 184
QUARANT’ANNI DOPO n. 8 - 2020 L’OPERA DI LUCIO MASTRONARDI (1930-1979) Bocciato all’ennesimo concorso perché la sua accondiscendente lezione sull’acero platanoide non convince la commissione (MaV, p. 118), e infine suicida: Finché un giorno […] urlò: – Bambini: scrivete bene anellato il seguente dettato. È intitolato: il testamento di un educatore. «Auguro al maestro Amiconi di crepare nel momento in cui Barbara Distefano riscuoterà la sua prima pensione di gruppo A» – dettò sibillando. Si guardò intorno ironico, e sputò per terra e poi sui muri. – Questo è il mio amore per la scuola! – diceva. Quindi si nascose dietro la lavagna e pisciò. Poi disse: – Ho amato i bambini come si può amare la merda! Se ne andò con un sorriso stravolto. Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi «Un mondo interessante e triste». Dopo qualche ora lo trovarono sulla ferrovia, maciullato. (MaV, p. 141) La morte di Nanini è una vetta tragica nel paesaggio piattissimo del Maestro. Un dato da insabbiare («È stata una disgrazia, – disse l’ispettore […] Mi raccomando, bidello, lascia aperto il portone. Il maestro Nanini vuole tornare nel suo meraviglioso regno: la scuola!»; MaV, pp. 141-142), ingombrante proprio come la lucidità di fondo del discorso di Mastronardi. Dice benissimo Domenico Scarpa: lo spazio narrativo di quello che gli sembra «uno dei talenti […] più limpidi del secondo Novecento italiano». 23 è «un luogo nel quale i protagonisti ottengono il minimo risultato con il massimo sforzo. Ottengono, anche, il massimo dell’umiliazione». 24 «Un’immagine dell’Italia della sopravvivenza» 25 che, a contesto completamente mutato, regge ancora perfettamente. Il maestro di Vigevano è, quindi, un romanzo che affonda nel «catrame» e svela la sporcizia del sistema scolastico. Si apre con la sequenza sconcertante di un maestro che urla, causa il pianto dell’ultimo della classe e picchia un altro scolaro: – Silenzio! – urlai alla scolaresca. Piantai un paio di lorde al primo che mi è capitato e subito si stabilì un silenzio teso. – Mani sul banco, – urlai. Controllai le unghie uno per uno. Uno scolaro puzzava di profumo; ma era figlio di un industriale, quindi non potevo sfogarmi con lui. L’ultimo della classe aveva le mani sporche. 23 D. Scarpa, La farfalla vola nel prato cit., p. XVIII. 24 Ivi, p. XIV. 25 I. Calvino, Ricordo di Lucio Mastronardi cit. 185
– Schifo! Schifo! – urlai. – Vediamo un po’ sotto! Il ragazzino si cavò la blusetta e comparve una maglia così sporca e rattoppata e puzzolente da far vomitare. […] Guardai gli occhi del ragazzino e rimasi senza fiato. Erano lucidi e intensi. (MaV, p. 13) Il Maestro continua, come abbiamo visto, portandoci a monte di questa violenza, e si conclude con l’educazione ridotta a prostituzione e un orizzonte di giovani interessati solo alla televisione, al Musichiere e a «certe case»: 26 […] me ne andai a scuola. Il collega Filippi e il collega Pisquani stavano discutendo se l’educazione è scienza oppure arte. – È scienza, come la medicina, la fisica, l’astrologia! – diceva uno – È arte. Come la musica, la pittura, la scultura! – contraddiceva l’altro. Sottoposero il dubbio all’ispettore. L’ispettore disse: – L’educazione è sintesi di scienza e arte! Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi – Allora noi siamo artisti e scienziati nello stesso tempo? – domandò Cipollone. «Un mondo interessante e triste». – Naturalmente, – rispose Pisquani. Tutti soddisfatti ci fregammo le mani. Dopo un po’ di discussione saltò fuori un altro dubbio. Se, cioè, l’educazione fosse sorta prima della prostituzione o, viceversa, se la prostituzione fosse sorta prima dell’educazione. (MaV, p. 143) Una parola va spesa, però, proprio sugli scolari. Se all’appello di questa impietosa realtà scolastica non sembra mancare nessuno, gli alunni sono i grandi assenti del Maestro, e quest’assenza ci permette di osservare il rischio di cortocircuito fra autore e personaggio che si genera nel romanzo di scuola scritto da uno scrittore che nella vita fa davvero l’insegnante. Non è un caso che lo scrittore Mastronardi non Barbara Distefano ci faccia vedere in viso gli alunni del maestro Mombelli (se non nel terribile scorcio citato sopra): è, forse, una maniera di assolverli. L’unica possibilità di salvezza nell’opera sembra, del resto, venire 26 «La riunione proseguì con la relazione di un insegnante di scuola popolare di giovani operai. – I miei scolari, – disse con aria afflitta, – fanno pensare a un futuro tolbro. Prendono d’assalto la televisione quando c’è la box. Quando c’è il Musichiere. Disertano la televisione quando c’è prosa, o quando trasmettono programmi culturali come quello del professor Cutolo» (MaV, p. 145). 186
QUARANT’ANNI DOPO n. 8 - 2020 L’OPERA DI LUCIO MASTRONARDI (1930-1979) proprio da un bambino. Il gesto di Rino, che si disfa dei tanto sudati regali del padre per donarli a una famiglia di «zingari», non è l’ennesimo schiaffo allo zimbello del villaggio, ma l’unico spiraglio critico al cospetto del sistema: «Papà, quelli li conosco, non hanno legna per scaldarsi e vivono dormendo sulle panche dei giardini! Almeno noi da scaldarsi e da mangiare ce l’abbiamo!» (MaV, p. 45). Barbara Distefano La necessità di separare il vissuto lavorativo dell’autore dai suoi personaggi si pone a maggior ragione se si aprono i registri del maestro Lucio. 27 Alla fine di ogni mese, Mastronardi scrive relazioni sulla classe schiette come quelle del maestro Leonardo Sciascia, 28 dimostrando che, anche sul documento d’ufficio, non ha «alcun timore di esprimere francamente la sua opinione sulla scuola, sui programmi, sul cosiddetto Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi «Un mondo interessante e triste». “metodo attivo”, sulle circolari ministeriali, sul modo d’essere di certi colleghi che aspiravano esclusivamente allo scatto del coefficiente». 29 I registri attestano, inoltre, la preoccupazione sincera per la psicologia dei bambini più svantaggiati, e in alcuni casi lasciano addirittura trapelare qualche gioia sincera e qualche dichiarazione di poetica: «E mentre correggevo gli errori ortografici dei miei alunni, che amavo perché sventurati, imparavo qualche cosa da quelle pagine vere, tormentate di umanità sofferente»; 30 o ancora: «È un piacere per me leggere i riassunti, i temi, le esposizioni scritte di questi bambini: è il loro un linguaggio semplice, scorrevole, antiletterario, che i nostri attuali scrittori (almeno una forte corrente letteraria) cerca di imitare». 31 Mastronardi, del resto, lo dirà a chiare lettere: «la scuola […] è un mondo interessante e triste. Interessante per chi è fuori dalle mura, triste per chi è dentro». 32 Convince, quindi, l’impressione di Riccardo De Gennaro: 27 Alcuni stralci di queste cronache si trovano in Scuola e società nella Vigevano dei Mastronardi, a cura di A. Stella, M.A. Arrigoni, M. Savini, Milano, Giuffrè, 1998. Cfr. anche E. Paccagnini, Il timbro cupo e inimitabile di un irregolare, in «Il Corriere della Sera», 9 aprile 2004. 28 Per le cronache sciasciane, rimando a B. Distefano, Sciascia maestro di scuola, Roma, Carocci, 2019. 29 Così De Gennaro, intervistato in corrispondenza dell’uscita di La rivolta impossibile: Scuola e rivolta. Una biografia di Lucio Mastronardi, in «GiuntiScuola», 22 luglio 2012, https://www.giuntiscuola.it/lavitascolastica/magazine/articoli/cul- tura-e-pedagogia/scuola-e-rivolta-una-biografia-di-lucio-mastronardi-intervista-a- riccardo-de-gennaro/ (ultimo accesso: 10/11/2020). 30 Scuola e società nella Vigevano dei Mastronardi cit., p. 38. 31 Ivi, p. 47. 32 R. De Gennaro, La rivolta impossibile cit., p. 48. 187
«i bambini gli volevano molto bene, lui diceva di odiare i bambini, i genitori dei bambini, i colleghi maestri. Ma credo fosse un po’ una posa. Il fatto è che avrebbe voluto avere il tempo di scrivere». 33 Il maestro di Vigevano, perciò, non è il romanzo di un conflitto individuale, ma un sintomo della rottura definitiva fra scuola e società, il prodotto di un contesto in cui «la scuola non è che una delle espressioni grottesche di una stupidità dilagante, dell’esplodere pervasivo di luoghi comuni e nuovi miti dal quale nessun aspetto della società contemporanea è esente». 34 Un romanzo scritto in una città con «mille fabbriche e nessuna libreria», 35 con un titolo che «è un ossimoro», perché il maestro e Vigevano sono una contraddizione di termini. 36 «Non è come la fabbrica!» (MaV, p. 30), urla Mombelli ad Ada, nel tentativo di aggrapparsi al senso residuo e allo stemma distintivo della sua professione. Ma non sono che gli ultimi palpiti, i sussulti di un agonizzante che non crede più a quello che dice. Non ci crede la moglie e non ci crede la società, che in fondo, nell’economia del romanzo, sono la stessa cosa. Non è Ada, infatti, a tradire il Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi maestro, ma è la società intera. Per questo motivo, il tradimento coniugale è probabilmente il punto più emblematico del romanzo: «Un mondo interessante e triste». inizialmente è solo un delirio e una lunga sequenza allucinata; girando pagina, però, la paranoia di Mombelli si rivela una premonizione, e come tale, ci indica la funzione conoscitiva della deformazione. III. Non O.R.E. ma O.R.E.D. La fama letteraria guadagnata dal maestro-scrittore con Il maestro di Vigevano ha immediate ripercussioni lavorative. È solo il 1963, e già «le autorità scolastiche scacciano da Vigevano Lucio Mastronardi, e gli levano la nuova classe dopo un’ora di insegnamento, e lo confinano in segreteria. Hanno paura che contamini le anime dei fantolini. E pensare che fra cento anni intitoleranno una scuola al suo nome, versando, Barbara Distefano daccapo, la lacrimuccia sull’incomprensione dei suoi contemporanei». 37 33 R. De Gennaro, Scuola e rivolta cit. 34 C. Varotti, Scuola, in I luoghi della letteratura italiana, a cura di G.M. Anselmi, Milano, Mondadori, 2003, p. 336. 35 Cfr. G. Bocca, Mille fabbriche nessuna libreria, in «Il Giorno», 14 gennaio 1962, p. 6. 36 Cfr. D. Scarpa, La farfalla vola nel prato cit., p. XIV. 37 Così Luciano Bianciardi in un articolo, cfr. M.A. Grignani, Introduzione a Il maestro di Vigevano cit., p. IX. 188
QUARANT’ANNI DOPO n. 8 - 2020 L’OPERA DI LUCIO MASTRONARDI (1930-1979) Intervenuto a difendere l’amico Lucio, Luciano Bianciardi emetteva un pronostico che non si è mai avverato. Ad oggi, nessuna scuola, né a Vigevano né in altri luoghi d’Italia, è stata intitolata a Lucio Mastronardi. 38 La ragione è che, anche se sono passati cinquantotto anni, il mondo scolastico non potrebbe tollerare le caricature del Maestro di Vigevano. C’è, però, a Vigevano, una scuola dell’infanzia “Pistoja Mastronardi”, Barbara Distefano intitolata a Maria, madre dello scrittore, a sua volta maestra elementare. 39 Un’educatrice che intendeva davvero l’istruzione come missione: premiata con medaglia d’oro della Pubblica Istruzione, e autrice di cronache scolastiche oggi trascritte integralmente in un volume intitolato Scuola e società nella Vigevano dei Mastronardi. Lucio è figlio di un matrimonio pedagogico. Anche il padre Luciano Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi «Un mondo interessante e triste». lavorava nel mondo della scuola: era un ispettore scolastico, conobbe la moglie proprio durante una delle sue ispezioni, e venne messo a riposo per «gravi atti di indisciplina», 40 che in quel caso erano le idee antifasciste. Sulla vetrina della scuola primaria “Regina Margherita”, dove lo scrittore insegnò fino al 1963, non c’è, invece, nessuna traccia di Lucio Mastronardi: nome evidentemente incompatibile con parole in bella mostra come organigramma, funzionigramma POF e PTOF.41 Gli anni in cui lo scrittore lavora al suo Maestro sono quelli in cui, in Italia, si comincia a parlare di antilingua burocratica. Mastronardi è tagliato fuori dal palcoscenico dei dibattiti, ma vi partecipa «nel modo più geniale, ricostruendo su materiali autentici l’idioma di una pedagogia negativa»,42 e mandando in onda «il trionfo dell’italiano scolastico», nella sua versione di lingua «da morte civile», 43 che è una varietà del «linguaggio della dittatura del denaro e del business». 44 Sul finale del romanzo, il personaggio Mombelli sembra opporre un udito straniato all’inquinamento acustico che lo circonda. Così, ad esempio, quando gli ufficiali che si occupano del caso Rino lo riaccompagnano a casa: «Siamo arrivati, – disse una voce burocratica» (MaV, p. 162). 38 Solo la Biblioteca civica di Vigevano porta il nome dello scrittore. 39 Istituto Comprensivo di via Valletta Fogliano, https://icviavallettafogliano.edu. it/infanzia-pistoja-mastronardi/ (ultimo accesso: 10/11/2020). 40 Scuola e società nella Vigevano dei Mastronardi cit, p. 9. 41 Istituto Comprensivo di piazza Vittorio Veneto, https://www.icpiazzavittoriove- neto.edu.it/pvw/app/default/pvw_sito.php?sede_codice=PVME0029&page=20718 69. (ultimo accesso: 10/11/2020). 42 D. Scarpa, La farfalla vola nel prato cit., p. XIV. 43 Ivi, p. XVIII. 44 M.A. Grignani, Introduzione cit., p. X. 189
Poche pagine dopo, nel corso dell’ennesima ispezione, il protagonista è costretto a tradurre in azione didattica «il piano O.R.E.», ma questa volta è preparatissimo e può scattare al contro-attacco ruffiano: «Ore? – dissi. Osservare, Riflettere, Esprimere» (MaV, p. 168). Gli ispettori, però, non si accontentano mai: «ricordi non O.R.E. ma O.R.E.D. Osservazione, Riflessione, Espressione e Drammatizzazione. Drammatizzi, signor maestro, su, drammatizzi» (MaV, p. 169). Il piano O.R.E., è uno dei materiali autentici che Mastronardi preleva dalla realtà esterna al testo: uno dei cavalli di battaglia della rivista pedagogica «Scuola Italiana Moderna». 45 Con quelle sigle che differiscono di una sola consonante, il Mastronardi scrittore sbeffeggia tutta una temperie pedagogica, e contemporaneamente ci mostra «una scuola elementare tradizionale svuotata di senso e formalmente rinnovata», un sistema polveroso in cui le drammatizzazioni, l’orrore per il libresco, le sigle e i numeri, i coefficienti e i gruppi A, continuano a coesistere con il latino più pedante, con le anellate e con gli incitamenti al sacerdozio. Una Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi scuola, insomma, che si tappa gli occhi sul problema di fondo, e in cui tutto è cambiato perché nulla cambiasse. «Un mondo interessante e triste». Il vero cambiamento non passa per i nomi («Non chiamiamoli più temi, chiamiamole composizioni», MaV, p. 103), 46 ma riguarda i numeri, che alla fine del romanzo sembrano vincere su tutto: Nello scompartimento si trovava l’avvocato Racalmuto, che mi disse: - 218! - 435! – risposi. - 453! - 765, - dissi. - 765 444 8876 9876! - 666 987 654 332! – risposi. Racalmuto mi guardò soddisfatto. I numeri hanno sostituito le Barbara Distefano parole, pensavo. Ho avuto, pensavo, un dialogo di numeri e ci siamo intesi. […] Passò il controllore e anche lui mi parlava coi numeri anziché con le parole. Uscii nel corridoio e vidi tutt’una folla che parlava coi numeri e si intendeva. 765, 543, 777, 987. Così parlava la folla. (MaV, p. 162) 45 Cfr. «Scuola Italiana Moderna», 1 ottobre 1957, p. 58. Citato in Scuola e società nella Vigevano dei Mastronardi cit., p. 45, nota 57. 46 Ivi, p. 103. 190
QUARANT’ANNI DOPO n. 8 - 2020 L’OPERA DI LUCIO MASTRONARDI (1930-1979) Significativo, quindi, che i dialettalismi del Maestro si leghino tutti alla sfera semantica del denaro. Ma se, come abbiamo visto, la fiumana del progresso è alla base del discorso mastronardiano, il bersaglio privilegiato del romanzo è il metodo attivo. Non è tanto una demolizione dell’attivismo pedagogico in sé, quanto piuttosto il disvelamento delle sue degenerazioni fanatiche. Quello che Barbara Distefano Mastronardi condanna a morte sono le forzature di questo metodo nella pratica quotidiana della scuola, la sua assolutizzazione in un sistema di sorveglianza e punizione delle proposte alternative, il business formativo ad esso legato. Emblematico il preambolo al corso sull’Africa che Mombelli deve seguire per ottenere mezzo punto nella graduatoria delle supplenze, incentrato sulle punture della mosca tzè Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi «Un mondo interessante e triste». tzè e sulla cura dei bambini colpiti da malattie tropicali: «Cari maestri, mettetevi in mente che il fanciullo non è un vaso da riempire… – esordì la professoressa» (MaV, p. 100). Memorabili gli esempi di lezione attiva su Colombo (MaV, pp. 14-18) e su Galileo, e indimenticabili gag anche le progettazioni di interventi didattici per la quarta elementare: «Per fare una lezione sul ferro cominceremo col portare la scolaresca a casa di un minatore! – Impossibile – urlò Nanini – A Vigevano non ci sono minatori!» (MaV, pp. 100-102). Il cenacolo pedagogico, così, diventa un brulicare delirante e dissociato di idee destinate allo scacco (MaV, pp. 144-145), ma quello che Mastronardi sembra dire sopra ogni cosa è il rischio che l’idoneità all’insegnamento venga misurata con la demenzialità, a suono di «Cip cip cip cip cip». 47 Non si può, quindi, non spendere qualche parola a proposito della conferenza pedagogica su «L’arte del ben parlare» che Mombelli tiene davanti alla commissione per superare il concorso che lo reimmetterà in ruolo. Quindici pagine, con tanto di disegnini alla lavagna (MaV, pp. 104-118), che in apparenza sembrano puro divertimento dadaista, ma che in realtà sono un esempio di letteratura che ingloba documenti scolastici. Ancora nell’ultima edizione Einaudi, i curatori inducono a credere che il testo sia stato «scritto da un collega dell’autore, e da questi inserito nel suo romanzo» (MaV, p. 104), ma si tratta di una precisazione erronea, che a quanto pare scatenò una crisi nel fragile Lucio. Dopo aver rivendicato per anni d’essere l’autore di quel trattatello, con la morte del padre lo scrittore si decise a confessare una piccola vendetta familiare: quelle pagine sono, infatti, la 47 Si veda la gustosissima ispezione durante la lezione di scienze (MaV, pp. 137-138). 191
trascrizione di un documento rubato al maestro Luciano Mastronardi, e l’indice che dietro il rapporto di Lucio con la scuola si cela anche un innegabile conflitto privato padre-figlio. Mastronardi si libera, dunque, dall’apparato burocratico schiacciante e dalla routine ossessiva della scuola caricaturizzando tutti senza risparmiare nessuno, neanche i colleghi che ha in casa. Tradisce il padre ridendo delle sue carte scolastiche. Presa la macchina da scrivere, fa morire di scuola tanto l’eterno precario disamorato (Nanini) quanto l’infervorato soldatino dell’istruzione (Amiconi). Facendosi trascinare dal suo «umore caricaturale implacabile», 48 impugna la satira per sfidare il quadro completo della popolazione scolastica, sindacati compresi. Lo Snase e lo Snuse differiscono anche loro per una sola vocale e, dietro le loro vittorie inconsistenti e quindi intercambiabili («Viva lo Snase e abbasso lo Snuse! – Abbasso lo Snase e viva lo Snuse!»; MaV, p. 24), rincorrono anch’essi egoismi privati e interessi individuali. I colleghi, personaggi talmente graffiati che ne rimane solo l’abbozzo grottesco, vengono sistematicamente sorpresi nelle pose più burattinesche, con la Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi smorfia del loro tic personale in faccia e gli argomenti più sconvenienti in bocca («Io se non sono al gabinetto non riesco a leggere!»; MaV, p. 28). «Un mondo interessante e triste». Già prima che la prostituta “Eva” attiri Mombelli nella sua casa (MaV, pp. 150-151), siamo nel «più vasto quadro europeo dell’insegnante toccato dall’eros rovinoso che depone la sua autorità pubblica nel rivelare una vulnerabilità privata»,49 e anche oltre. Il corpo docente, quindi, è al completo e non c’è pietà neanche per l’intellettuale di sinistra (MaV, p. 26) e per l’aspirante poeta (MaV, p. 25). Dopo la pubblicazione del Maestro, il maestro Mastronardi non può che essere spacciato. La sua carriera scolastica è compromessa, eppure il nuovo status di scrittore gli dona una diversa rispettabilità e una maggiore affidabilità agli occhi dei genitori: Barbara Distefano Ho conquistato persino le famiglie piccolo-borghesi dei miei scolari. Se prima mi azzardavo a dargli qualche sei, o anche qualche sette, al lavoro dei loro figli, mi piombavano là, a chiedere spiegazioni. […] Adesso i miei sette, i sei, persino i cinque, sono meritatissimi. Mi guardano come i malati guardano il medico curante. 50 48 I. Calvino, Ricordo di Lucio Mastronardi cit., p. 447. 49 G. Iacoli, Il satrapo infelice cit., pp. 77-78. 50 L. Mastronardi, Avevo Vigevano ai miei piedi, in «Paese Sera», 28 ottobre 1962. 192
QUARANT’ANNI DOPO n. 8 - 2020 L’OPERA DI LUCIO MASTRONARDI (1930-1979) IV. Conclusioni Se le radici pubbliche della “follia” di Mastronardi andrebbero cercate anche in una condizione professionale sotto attacco, è nella rappresentazione caustica ed estrema del lavoro a scuola che si può senz’altro trovare una causa della scarsa fortuna dello scrittore. Sarebbe eccessivo, di contro, concludere che lo status di maestro Barbara Distefano elementare abbia facilitato l’affermarsi del pregiudizio dello scrittore naïve, del letterato ingenuo privo di una biblioteca alle spalle, anche se Mastronardi non fece nulla per scrollarsi di dosso questa immagine («Mi piacciono Pasolini e Gadda, ma non sono come loro. Non sono filologo, non mi compiaccio del pastiche linguistico. Scrivo in un impasto dialettale perché in italiano puro farei dei componimenti da Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi «Un mondo interessante e triste». maestro di scuola»).51 È certo, invece, che il maestro Lucio seppe sfruttare le conseguenze letterarie del suo mestiere, trasformando la scuola in un osservatorio e cimentandosi con quel tema narrativo e politico che a Vittorini interessava molto da almeno vent’anni. 52 Il maestro di Vigevano segna probabilmente l’apice del racconto di scuola all’italiana e porta avanti una maniera di raccontare la scuola senza veli, iniziata con Il romanzo d’un maestro di Edmondo De Amicis e antitetica rispetto a Cuore. 53 Dopo i personaggi di insegnanti pirandelliani, 54 ottenuta la nomina sul posto tradizionale dell’inetto, 55 Mastronardi fissa il punto di massimo precipizio dello status dell’insegnante, destituito di ogni funzione civica e sprofondato oltre il grigiore impiegatizio. 56 51 M.A. Grignani, Introduzione cit. p. V. 52 «L’argomento mi interessa molto e mi sembra anche nuovo» è la risposta che Vittorini invia al maestro di un povero paese siciliano, quando questi gli propone il testo delle sue Cronache scolastiche, cfr. P. Squillacioti, Note ai testi, in L. Sciascia, Opere, II, tomo I, Milano, Adelphi, 2014. p. 1250. L’interesse dello scrittore siracusano nei confronti della scuola è attestato non solo dalla sua centralità nel Garofano rosso, ma anche dalla ricorrenza dell’argomento sulle pagine del Politecnico. 53 Cfr. C. Ruozzi, Raccontare la scuola, Torino, Loescher, 2014. 54 Cfr. G. Iacoli, Forme e programmi per le scritture dell’insegnante, in Il mestiere di insegnante. Figure di quotidianità, trame invisibili, a cura di A. Musetti, C. Confalonieri, Milano, Unicopli 2013; ma anche Id., Il satrapo felice cit. 55 L. De Federicis, Il romanzo della scuola cit., p. 232. 56 Cfr. G. Iacoli, Dal romanzo del lavoro al romanzo della scuola: narrazioni, cronache e diari del maestro, in Narratori italiani del Novecento dal Postnaturalismo al Post-modernismo e oltre, a cura di R.M. Morano, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012. 193
Sul posto occupato da questa operazione nella letteratura italiana, però, non si è ragionato a sufficienza. Se si è fatto spesso il paragone fra l’incipit del Calzolaio e quello dei Malavoglia, se si è parlato di affinità fra il ciclo dei vinti e la trilogia vigevanese, i rimandi dell’autore al capolavoro verghiano 57 rischiano di essere letti superficialmente come l’ennesima “nozioncina scolastica” e restano da approfondire. Al di là dei riferimenti espliciti, ciò che accomuna Mastronardi allo scrittore siciliano è, soprattutto, quella tenacia accanita, quell’inesausta capacità di osservazione del proprio villaggio ben compresa da Vitaliano Brancati.58 E probabilmente non è nei Malavoglia, che va cercato l’antenato del Maestro, ma piuttosto nella novella Il maestro dei ragazzi: in quel maestro grigiastro e pezzente («la faccia rimminchionita di uno ch’è invecchiato insegnando il b-a- ba»), 59 che alla fine viene rifiutato da una merciaia, su cui Verga gettava uno sguardo ironico nello stesso anno della pubblicazione di Cuore. 60 Il doppio lavoro di Lucio Mastronardi «Un mondo interessante e triste». 57 «La prima volta che ho letto I Malavoglia ci ho visto i calzolai di Vigevano. Penso che se Verga fosse nato qua, avrebbe raccontato la storia di una famiglia di “scarpari”, avrebbe scritto I Malavoglia vigevanesi», L. Mastronardi, intervista a «Rinascita», 21 marzo 1964. 58 «La vitalità degli uomini che danno un sapore sempre più profondo alle Barbara Distefano abitudini, non è inferiore a quella degli attivisti; se addirittura non è più forte. Il quaderno delle cose non è scritto soltanto sulla prima pagina, e per sfogliarlo sino in fondo bisogna che la stessa cosa ci passi davanti agli occhi per anni; ad ogni suo passaggio ne voltiamo una pagina. […] Quello che Verga sapeva sull'orologio di piazza Stesicoro, guardato dieci volte al giorno, valeva più dei cangianti ricordi dei caffè notturni, salotti, ritrovi che, con l'aria di arricchirla, toglievano all'intelligenza dei suoi colleghi viaggiatori qualunque concentrazione», V. Brancati, in L'orologio di Verga, in «Il Mondo», 27 settembre 1955. 59 G. Verga, Il maestro dei ragazzi, ragazzi [1886], ora in Tutte le novelle, a cura di C. Riccardi, Milano, Mondadori, 1979, p. 509. 60 Ivi, pp. 487-509. 194
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