TURING, UN GENIALE PRECURSORE

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PROLOGO

    TURING, UN GENIALE
       PRECURSORE
      Chi non ha mai sentito parlare di Alan Turing, il ge-
niale matematico e crittologo britannico? Il film The Imi-
tation Game, uscito nelle sale nel 2015, con Benedict Cum-
berbatch nel ruolo del protagonista, ha contribuito a farlo
conoscere al grande pubblico, calcando un po’ la mano
sul suo carattere tormentato e solitario. Il film ripercorre
in particolare il ruolo determinante svolto da Turing du-
rante la seconda guerra mondiale: fu lui, infatti, che riuscì
a decifrare il codice delle macchine Enigma – ritenute in-
violabili – con le quali le forze armate tedesche criptava-
no le proprie comunicazioni.
     Turing è anche l’inventore del famoso «test» che
mette alla prova la capacità di una macchina di dialoga-
re con un essere umano. Ogni anno l’assegnazione del
premio Loebner punta i riflettori sui bot conversaziona-

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UNA GIORNATA CON ALAN TURING

li. Se l’interesse scientifico di queste competizioni appa-
re limitato, l’idea del test di Turing ha avuto comunque
larga diffusione nella cultura popolare ed essa riappare
immancabile nelle opere di fiction che mettono in scena
degli androidi, come il film di fantascienza Ex Machina
(2015) oppure la serie televisiva Westworld (2016).
      Di Alan Turing si conosce anche la fine tragica. Nel
1952, denunciando alla polizia un furto con scasso nel
proprio appartamento, egli rivela di averne dato le chiavi
a un ex amante. Si ritrova così condannato per pratiche
indecenti con un altro uomo; nel Regno Unito l’omoses-
sualità è infatti ancora considerata un reato (la legge, risa-
lente al 1885, sarà abrogata solo nel 1967). Le autorità gli
impongono una scelta corneliana: il carcere o la castrazio-
ne chimica. Sceglie la seconda opzione. I preparati che è
tenuto a ingurgitare gli confondono i pensieri e compro-
mettono la sua forma fisica. L’8 giugno 1954, viene trova-
to morto nel suo letto. Sul comodino campeggia una mela
che sembra essere stata avvelenata con il cianuro… Una
tenace leggenda urbana vuole che il logo Apple, la mela
con il morso, sia un omaggio ad Alan Turing.
      Icona gay, eroe della seconda guerra mondiale, ge-
nio tormentato dal destino interrotto… Ma chi è davvero
Alan Turing?
     Alan Mathison Turing nasce a Londra nel 1912. La
madre Sara, ex-studentessa della Sorbona, è ingegnere.
Suo padre, Lucius, è un alto funzionario del governo bri-
tannico. La famiglia Turing è benestante, ma Alan cresce
lontano dai genitori, che vengono trasferiti in India e lo

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Turing, UN GENIALE PRECURSORE

lasciano in Inghilterra, affidandolo ad amici. La madre
racconterà di aver trovato, a ogni successivo rientro in In-
ghilterra, un bambino sempre meno socievole.

                Alan Turing all’età di 16 anni.

      Alan passa gran parte del tempo da solo e legge
molto. Il suo libro preferito è Natural wonders every child
should know, un’opera in cui gli organismi viventi sono
rappresentati come macchine. Questa lettura influenza
profondamente la sua visione del mondo. Il giovane Tu-
ring ama contemplare la natura – i suoi ex compagni rac-
contano che è capace di fermarsi a guardare dei fiori nel
bel mezzo di una partita di hockey. È distratto, e lo sa. È
anche di un candore sconcertante, e di una logica inattac-
cabile. Quando la madre gli fa promettere di fare il bravo,

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UNA GIORNATA CON ALAN TURING

risponde che promette, certo, ma che ha paura di dimen-
ticarsi la promessa. Il suo rigore logico gli impedisce di fir-
mare la carta d’identità, visto che è vietato scriverci sopra.
       Turing inizia l’internato al college di Sherborne a 13
anni, nel 1925. Il giorno della riapertura della scuola coin-
cide con un grande sciopero delle ferrovie, così il ragazzo
arriva in bicicletta, coprendo una distanza di un centina-
io di chilometri. I giornali locali riportano l’impresa, ma a
lui sembra del tutto normale: gli avevano raccomandato
di non perdere il primo giorno!
      Non sono facili gli anni trascorsi a Sherborne. La sua
sbadataggine è oggetto di scherno da parte dei compagni.
La sua mancanza d’interesse per la religione e le materie
letterarie irrita più di un professore. Alcuni chiedono ad-
dirittura la sua espulsione, dalla quale, però, lo salvano
ogni volta le sue performance scientifiche. Durante le le-
zioni di religione, per esempio, è capace di mettersi a cal-
colare decine di decimali del numero π.
     È a quest’epoca che Alan si innamora del suo com-
pagno Christopher Morcom1, che morirà pochi anni dopo,
per aver consumato del latte infetto. Turing ammirava
molto l’affilato spirito scientifico di Christopher e la sua
scomparsa lo toccherà in modo profondo e ­durevole.
      Nel 1931 Turing è ammesso all’Università di Cam-
bridge. Ha 21 anni. Aveva chiesto di poter entrare al pre-
stigioso Trinity College, ma alla fine viene accettato al
King’s. La cattiva reputazione che ha presso alcuni pro-
fessori gli giocherà ancora qualche tiro mancino. Ottiene

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Turing, UN GENIALE PRECURSORE

una borsa di studio, dimostrando il fondamentale teore-
ma del limite centrale: la somma delle variabili casuali in-
dipendenti tende sempre a una distribuzione normale2.
Turing ignora che questo risultato è già stato dimostrato
una decina d’anni prima, ed è quindi accusato di plagio,
ma il suo ragionamento è abbastanza originale da con-
vincere alcuni docenti della sua sincerità e indurli a pren-
dere le sue difese.
      Nel 1936 Alan Turing scrive un articolo fondativo:
«On computable numbers, with an application to the Ent-
scheidungsproblem» («Sui numeri computabili, con un’ap-
plicazione al problema della decisione»). Vi descrive una
macchina che diverrà il modello dei nostri computer, una
macchina universale che può eseguire tutti gli algoritmi
possibili e immaginabili. Quest’intuizione lo consacra
come «padre» dell’informatica moderna.
      Alan Turing si sposta in seguito negli Stati Uniti, per
concludere gli studi di dottorato all’Università di Prince-
ton. John von Neumann, altra figura emblematica dell’in-
formatica, tenta allora di reclutarlo in quell’ateneo, ma
scoppia la seconda guerra mondiale. Turing torna in In-
ghilterra, dove entra a far parte del quartier generale dei
servizi segreti britannici, a Bletchley Park, per violare il
sistema di cifratura della macchina Enigma. Turing è un
lavoratore accanito. Per distendersi va a correre. Quando
viene convocato alle riunioni londinesi, percorre 75 chi-
lometri all’andata e altrettanti al ritorno. Se non si fosse
ferito a una gamba, si sarebbe addirittura qualificato per
la specialità di maratona ai giochi olimpici!

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UNA GIORNATA CON ALAN TURING

      Benché la battaglia della Manica (1940-41) sia stata
senz’altro vinta grazie al suo lavoro di criptoanalisi, Tu-
ring non riceverà alcun riconoscimento ufficiale. La sua
opera rimarrà a lungo classificata come segreto militare,
per timore che cada nelle mani di altre potenze straniere.
       Dopo il 1945, Alan Turing riprende le ricerche sulle
macchine universali. Nel 1950, scrive il celebre articolo
sulle macchine pensanti, «Computing machinery and
intelligence» («Macchine calcolatrici e intelligenza»). Nel
1952 scrive anche un programma per giocare a scacchi.
Predice che le macchine batteranno gli esseri umani, il
che accadrà alcuni decenni più tardi. Lavora sulla mor-
fogenesi e, nell’ultimo periodo della sua vita, formulerà
ipotesi molto importanti per spiegare la particolare dispo-
sizione degli elementi che ritroviamo nei fiori di girasole
e nelle brattee delle pigne.
       In breve, è questo destino eccezionale che vi pro-
poniamo di scoprire nelle pagine che seguono. L’eredità
di Turing è straordinariamente feconda e più che mai at-
tuale. A partire dal 1936, e poi nel 1950, egli ha gettato
le fondamenta di ciò che ormai chiamiamo «intelligenza
artificiale». Da un decennio questa ha messo sottosopra le
nostre vite, e sta imponendo profonde trasformazioni ai
modi di produzione, alle abitudini di consumo, ai proces-
si decisionali… E per capire meglio che cosa sia l’intelli-
genza artificiale, e immaginare la portata della rivoluzio-
ne in arrivo, è utile tornare sui passi di Turing.

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CAPITOLO 1

           AL CUORE
       DELL’INTELLIGENZA
          ARTIFICIALE
A che cosa assomiglierebbe una macchina dotata
di intelligenza artificiale? E di che cosa sarebbe
capace? Saprebbe «pensare»? Per rispondere a que-
ste domande, Alan Turing si preoccupò innanzitutto
di precisare la natura delle macchine e di definire le
loro capacità. Così facendo, giunse a formalizzare la
nozione di algoritmo. Stando a quest’ultima, l’intel-
ligenza delle macchine risiede di necessità nell’algo-
ritmo che esse eseguono.

      Addizionare 6 a 7 è facile. Sappiamo che il risultato
è 13, non occorre ragionarci. L’informazione è immagaz-
zinata da qualche parte nel nostro cervello, l’abbiamo re-
gistrata dopo averla ripetuta meccanicamente sui banchi

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UNA GIORNATA CON ALAN TURING

di scuola. Lo stesso vale per l’addizione di qualunque paio
di cifre: conosciamo il risultato perché ce lo ricordiamo.
      Sommare i numeri 57 e 76 è appena meno facile.
Ma l’operazione resta molto semplice, anche senza cal-
colatrice. Ecco il metodo da seguire su un foglio di carta:
per cominciare, si incolonnano i numeri da addizionare,
mettendoli uno sopra l’altro. Si sommano quindi le cifre
più a destra (6 e 7). Si scrive il risultato (3) sotto la riga, an-
notando il riporto di 1 accanto alle due cifre della colonna
vicina, a sinistra. Si aggiunge il riporto alle due cifre sulla
sinistra (5 e 7). Infine si scrive sotto il risultato (13). L’ad-
dizione è compiuta, il risultato ottenuto è 133.
      Abbiamo appena eseguito un algoritmo, ovvero
una lista di istruzioni elementari e di operazioni logiche.
                  1             1 1           1 1
                 5 7             5 7           5 7
            +    7 6        +    7 6        + 7 6
                   3             3 3         1 3 3

      Che cosa accade sommando 757 e 876? E som-
mando 987 654 327 689 757 e 768 976 966 876? Il
compito è poco più difficile. Basta applicare il medesi-
mo algoritmo usato per 57 e 76, vale a dire ripetere gli
stessi passaggi elementari: (a) addizionare le cifre di una
colonna, (b) annotare il risultato e il riporto, (c) spostarsi
a sinistra. Si procede così finché non restano più cifre da
addizionare.
      Ma perché quest’algoritmo funziona? Perché dà il
risultato corretto, anche con numeri grandi? È raro che

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AL CUORE DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

ci poniamo simili domande. Ci accontentiamo di esegui-
re l’algoritmo seguendo le istruzioni alla lettera, come
una ricetta di cucina.
      Questo algoritmo di addizione, in particolare,
ci è così familiare che non sempre ci rendiamo conto
che dipende dal sistema di numerazione, vale a dire
dal modo di rappresentare i numeri. Eppure esso ha
rivoluzionato la storia della matematica: si tratta del
sistema di numerazione indo-arabico, anche detto
«notazione posizionale decimale». È questo tipo di no-
tazione a permetterci di ricorrere all’astuzia dei riporti
e di ridurre così un’addizione di numeri alla ripetizio-
ne di addizioni di singole cifre. Se i numeri vengono
scritti secondo la notazione romana, per esempio LVII
e LXXVI al posto di 57 e 76, l’algoritmo non può essere
applicato.
     Per molto tempo, infatti, la capacità di compiere
addizioni (e più ancora moltiplicazioni) di numeri è sta-
ta una competenza rara, riservata agli scribi, agli agri-
mensori-geometri e a qualche altro erudito. Poi arrivò
Algoritmi3.

         UN UOMO DI NOME «ALGORITMI»
     Nel IX secolo, un matematico persiano si soffer-
mò sui metodi di addizione dei numeri. Il suo obiet-
tivo non era soltanto quello di eseguirne lui stesso,
ma di trovare uno stratagemma che permettesse a
chiunque di effettuare qualunque tipo di somma. Per

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UNA GIORNATA CON ALAN TURING

riuscirci, adottò la notazione decimale proposta da
alcuni dotti indiani. Essa rappresenta i numeri ser-
vendosi di cifre che vanno da 0 a 9. E – punto crucia-
le – accorda particolare importanza alla collocazione
delle cifre: il valore di ciascuna di esse dipende dalla
posizione in cui si trova. Come ben sapete, 109 e 910
sono numeri diversi, benché composti dalle medesime
cifre.
      Grazie a questa notazione, l’algoritmo di addizio-
ne divenne facile sia da descrivere sia da eseguire. Basta-
va saper addizionare cifre semplici e seguire metodica-
mente le istruzioni dell’algoritmo, per riuscire a somma-
re numeri molto grandi. Questo algoritmo è così sempli-
ce che, ormai, la stragrande maggioranza dei bambini lo
padroneggia fin dalla più tenera età.

 Ritratto immaginario del matematico persiano Algoritmi.

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AL CUORE DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

       Il matematico che semplificò il problema dell’ad-
dizione si chiamava al-Khuwārizmī (780-850 circa); in
Occidente, è meglio conosciuto con il nome di Algoritmi.
A lui, scienziato della Casa della Sapienza di Baghdad, il
Califfo aveva chiesto di istruire il popolo, immaginando
procedimenti che mettessero la soluzione dei problemi
matematici alla portata di tutti. Certo non sospettava
che la parola «tutti» avrebbe incluso, alcuni secoli più
tardi, perfino alcune macchine, che applicando quelle
istruzioni sarebbero sembrate intelligenti.
      Algoritmi non si accontentò delle addizioni: inven-
tò tutta una serie di procedimenti e li riunì in un libro
intitolato al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-jabr wa al-mu-
qābala, inaugurando con ciò una nuova branca della
matematica, l’algebra, dedicata ai numeri e alle equa-
zioni. Il suo libro di istruzioni di calcolo è stato il primo
libro dedicato agli algoritmi. Conteneva per esempio la
moltiplicazione basata sulla notazione posizionale deci-
male, che avete appreso molto presto sui banchi di scuo-
la. Questo, di algoritmo, è un po’ più complesso di quello
dell’addizione. Da un lato, richiede di aver memorizzato
le tabelline, dall’altro di eseguire diverse operazioni ele-
mentari. Ci torneremo nel capitolo seguente.
     Il libro esponeva anche un metodo semplice, oggi
insegnato al liceo, per risolvere tutte le equazioni di se-
condo grado. Ancora una volta, e a differenza di altri,
Algoritmi non cercò solo di trovare le soluzioni di una
data equazione. Questo sapevano già farlo tutti i ma-
tematici. Essi si servivano di quelle che si chiamano
«identità notevoli» o «prodotti notevoli», vale a dire del-

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UNA GIORNATA CON ALAN TURING

le uguaglianze che permettono di modificare la scrittura
delle equazioni per mezzo di fattorizzazioni e ulteriori
sviluppi. Tuttavia, la manipolazione dei prodotti note-
voli si rivelava talvolta complicata, soprattutto prima
dell’arrivo dell’algebra di Algoritmi.
      Il genio di Algoritmi consistette nell’escogitare una
«ricetta» sistematica. Grazie a tale ricetta, è sufficiente
eseguire alcune operazioni aritmetiche semplici, per la
precisione tre moltiplicazioni e una sottrazione, per cal-
colare un primo numero, il famoso «discriminante». Il
suo valore fornisce indicazioni preziose sul numero di
soluzioni dell’equazione, che poi si esprimono con mol-
ta facilità a partire dal discriminante stesso.
       Queste ricette non sono state chiamate da subito
«algoritmi». Dovettero passare circa due secoli prima
che un monaco inglese del XII secolo, Adelardo di Bath,
suggerisse di usare il nome latinizzato del matematico
persiano per dare il nome di «algoritmi» ai procedimen-
ti di calcolo.
      Grazie a questi algoritmi, chiunque può sembrare
«intelligente». Basta eseguire i calcoli prescritti. E, curio-
so a dirsi, per sembrare intelligente non occorre capire
perché l’algoritmo funzioni, né che cosa stiamo facendo.
      Se Algoritmi fu verosimilmente il primo a racco-
gliere in un libro un insieme di algoritmi, e a descriverli
con un linguaggio unificato, non fu però il primo a im-
maginarne. Gli algoritmi esistono da quando gli esseri
umani hanno avuto l’idea di formulare procedure che

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