Tradurre un sogno: tre storie di cavalli, tra parole, lingue e immagini
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MARCO CIPOLLONI Università di Torino Tradurre un sogno: tre storie di cavalli, tra parole, lingue e immagini And this weak and idle theme, No more yelding but a dream, Gentles do not reprehend. {A Midsummer Night's Dream) Un viaje de invierno di Juan Benet è un romanzo di ripetizioni, intera- mente costruito con variazioni quasi musicali sul tema della progressione e dell'avvicinamento. Avvicinamento a una data e ad un luogo stabiliti (a una casa, a una donna, a una festa), verso cui convergono, con diversi itinerari, intenti e strategie, molti fantasmi e alcune figure emblematiche ed enigma- tiche. Tra queste, una delle più oscure e inquietanti è quella di un cavallo impastoiato, che scende dalla montagna e, facendo irruzione nello spazio recintato e codificato della festa, interrompe il rito che celebra la fine del- l'inverno e il ritorno della primavera, finendo per compromettere i delicati equilibri simbolici della celebrazione. Quest'immagine letteraria, associata a quella cinematografica delle irruzioni animali nelle feste delle commedie hollywoodiane, è rimasta a lungo, solo linguisticamente risolta, in un ango- lo della mia memoria di traduttore. Senza questa immagine forse non avrei incontrato, o avrei incontrato senza vederlo e riconoscerlo per tale, il possi- bile nesso tra la traduzione dei sogni, le variazioni musicali, i cavalli e le sta- gioni. Questo intervento è infatti dedicato a tre successive versioni di uno stes- so quasi sogno. In questo quasi sogno, ricordato e raccontato in prosa da Bilenchi, tradotto in castigliano ed in poesia da Guillen e ritradotto in ita- liano da Luzi, l'apparizione dei cavalli non avviene, come in Benet, sul fini- re dell'inverno, ma in un abbagliante crepuscolo d'estate. Passando dall'e- AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
258 Marco Cipolloni quinozio al solstizio l'immagine onirica del cavallo si trasforma, per così dire, in una variante mediterranea del Midsummer Night's Dream. La storia del nostro quasi sogno, fatta di chiose e ritraduzioni, è intera- mente contenuta, prima e più che raccontata, nelle poche pagine di un pic- colo libro: La fuente, pubblicato nel 1961 dalla casa editrice All'Insegna del Pesce d'Oro. A prescindere dalla cornice editoriale che materialmente le raccoglie, le accosta e le accomuna, le tre versioni del nostro quasi sogno sono riconduci- bili ai diversi volti di un altro sogno: quello traduttivo di amministrare il passaggio di un'immagine onirica da una forma d'arte ad un'altra e da uno spazio linguistico-culturale ad un altro. Partecipare ai sogni degli altri e tradurre un sogno sarebbe, a rigor di logi- ca, impossibile. Per fortuna, però, in arte e in letteratura la logica non è mai pura, copula con la storia e diventa narrabile. La concreta esistenza delle opere e dei testi ci riconsegna infatti ad un universo di luoghi immediata- mente tangibili, nei quali la traducibilità del rapporto tra realtà e sogno viene di fatto a coincidere con quella del rapporto tra linguaggio e immagi- ne. La parola poetica non trascrive direttamente l'immagine onirica, ma la interpreta, la commenta e la illustra, configurandosi come una sorta di dida- scalia, posta, in questo specifico caso, al servizio di una storia tutta giocata sul contrappunto tra acqua e polvere, fertilità (del gesto) e sterilità (dello sguardo). La storia in questione è quella di alcuni cavalli verbali che scendo- no all'abbeverata ed è raccontata da un adolescente maschio che stava lì per osservare, non visto, un gruppo di lavandaie; il narratore originario è il pro- satore Romano Bilenchi, mentre i "traduttori" sono i poeti Jorge Guillen e Mario Luzi; il vaivén traduttivo, dunque, non viaggia soltanto sull'asse lin- guistico, italiano-spagnolo-italiano, ma anche su quello letterario prosa-poe- sia-poesia. I cavalli che, scendendo all'abbeverata, divengono oggetto delle carezze delle donne e dello sguardo dell'uomo, sono evidentemente cavalli dell'eros. Il seguito del passo di Bilenchi che fa da tema alle variazioni poe- tiche di Guillen è in questo senso abbastanza esplicito: Vicino alla fonte una ragazza [...] aspettava un giovane che io conoscevo. Appena il giovane le era accanto si additavano l'un l'altra i cavalli ormai lon- tani e poi imboccavano una strada campestre che si perdeva nella vallata. A parte questo, però, i contorni della vicenda sono tanto nitidamente AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
Tradurre un sogno: tre storie di cavalli, tra parole, lingue e immagini 259 disegnati quanto sostanzialmente incerti e, in definitiva, sfuggenti. La prin- cipale difficoltà risiede nel fatto che, come in quasi tutte le storie di Bilenchi, le cose divengono senza accadere ("non un avvenimento, ma un divenire" scrive Luzi, nel 1940). Quella che ci viene presentata in realtà non è la vera e propria storia di un vero e proprio sogno, ma la quasi storia di un quasi sogno, una non vicenda in cui tutto si gioca e si compie sulle soglie della nar- razione, nell'incanto di un'immagine e nella sequenza delle sue metamorfo- si, appena prima che la parola possa trasformarsi da epifania in racconto. Il passo di Le stagioni che Guillen sceglie come pretesto per le poesie di La fuente è, in questo, assolutamente rappresentativo. Le stagioni è infatti una delle prose che Romano Bilenchi raccoglie nel 1958 con il titolo Una città, tornando alla narrativa dopo una quasi ventennale escursione nei ter- ritori del giornalismo. Nicoletti, nel saggio introduttivo all'antologia mon- dadoriana del 1977 {La siccità e altri racconti) nota che "le prose di Una città non mostrano i segni del tempo trascorso" e che con esse Bilenchi sembra "riprendere il discorso interrotto quindici anni prima", cioè all'inizio degli anni quaranta, accentuando semmai "quella strenua, capillare ricognizione descrittiva che obnubila e mortifica ogni più naturale insorgenza narrativa", producendo così "una severa tensione lirica che blocca la realtà in un tempo assoluto", per cui "Queste di Una città sono storie che davvero non si pos- sono raccontare, non hanno né un principio né una fine e, procedendo da una seriale accumulazione di addendi, guadagnano l'attenzione del lettore in virtù della loro forza evocativa, che, proprio prendendo le mosse da quella Serrata trama di minute osservazioni, sembra trasferirsi in una sfera di imma- ginosità surreale, dove nessun significato traslato è da rilevare, se non la meraviglia di un adolescente finalmente e felicemente disarmato di fronte agli imprevisti dell'esistenza". Non fosse per l'infelice banalizzazione finale ("nessun significato traslato da rilevare"!) tutto questo potrebbe benissimo essere sintetizzato da un qualunque lettore di Freud assimilando a sogni le prose di Una città. Del resto, pur senza fare esplicito ricorso al termine sogno, la tensione onirica della prosa di Bilenchi era già stata abbondantemente sottolineata proprio da Mario Luzi in un breve intervento del 1940, intitolato Tra l'atti- mo e l'eterno e ristampato nel 1973 come prefazione all'edizione definitiva di Conservatorio di Santa Teresa. In quella sua pagina, il futuro traduttore delle variazioni poetiche di Guillen su tema in prosa di Bilenchi già parlava di "dedizione all'oggetto", descrivendo l'autore di Conservatorio come uno AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
260 Marco Cipolloni scrittore che, "impigliato in una sorta di dialettica affettiva, era destinato ad agire a ritroso in quel mondo che, per avere spesso un sapore autobiografi- co, non era ancora per questo della memoria". Un'istanza autoriale dunque la cui presenza appariva sempre più demandata all'attenzióne silente di fron- te ad un mondo in cui, proprio come nei sogni, "le apparizioni successive della vita oscillano e si moltiplicano senza confermare alcuna nozione stabi- lita". Questo atteggiamento di contemplazione quasi attiva, assai congeniale a Guillen e colto da Luzi nel Bilenchi degli anni trenta, descrive e chiosa con una precisione quasi delirante l'atteggiamento tenuto dal protagonista-nar- ratore all'inizio di Le stagioni. Il testo intitolato Le stagioni è in realtà composto da due frammenti, sepa- rati tra loro da un esile iato tipografico. Il secondo frammento parla effetti- vamente di stagioni: "La primavera e l'autunno erano le stagioni che dura- vano meno". Questo incipit mantiene un evidente dialogo intertestuale con quello di Una città, la prosa che apre l'omonima raccolta e inizia: "La città era bella d'inverno [...] ma anche d'estate era bella". Per contro, il primo frammento di Le stagioni, di stagioni quasi non parla, pur descrivendo una scena e un'atmosfera esplicitamente estive. Si apre con la descrizione di una piscina e di una fonte ("La piscina era al principio di una vallata e aveva accanto una fonte, alta, a tre archi") e prosegue con il resoconto di un bagno e di una passeggiata che in realtà è una piccola orgia di eccitazione visuale, al culmine della quale le ragazze a passeggio si trasformano in quelle "raffi- gurate negli antichi affreschi", mentre "le donne atteggiate nei quadri, belle e piene di grazia, assumevano il volto delle ragazze che conoscevo e che più mi piacevano". Dal punto di vista della stretta funzionalità narrativa e dei legami con il frammento che segue, la descrizione della fonte e della piscina non ha altra utilità che quella, peraltro del tutto incidentale, di fornire al let- tore un punto di riferimento utile per collocare i successivi spostamenti del protagonista: Allora scendevo il versante della vallata opposta a quella che custodiva la piscina. Un viottolo portava a un'altra fonte, anch'essa alta, a tre archi, e poi si perdeva nei campi. L'abbeverata dei cavalli tra le lavandaie, episodio che da l'avvio al cre- scendo di eccitazione del narratore e fa letteralmente da cardine per l'intera suite poetica di Guillen, costituisce perciò, pur presentandosi come memo- AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
Tradurre un sogno: tre storie di cavalli, tra parole, lingue e immagini 261 ria, un evidente momento di irruzione onirica e pulsionale {Le stagioni, appunto) nell'universo simbolico di una raccolta così programmaticamente antropica da intitolarsi appunto Una città. L'irruzione del sogno poetico nella prosa-città di Bilenchi sembra dunque individuare nel ricordo di una giovinezza oniricamente incantata un punto di equilibrio tra azione e contemplazione, realizzando una sintesi analoga a quella che, secondo Macrì ', costituisce il nucleo fondamentale e la cifra rias- suntiva dell'intera attività poetica di Guillen. Tale sintesi, privilegio quasi esclusivo dei sogni, della poesia e dell'arte, altro non sarebbe che il tentativo di tradurre in pratica "l'idea permanente e giusta di un supremo equilibrio classico-romantico, diciamo goethiano, di natura e volontà: dono-presenza dell'oggetto naturale e volontà di viverlo nella misura in cui esso vive e si esprime per sé e per noi" 2 . Il che, oltre a renderci pienamente comprensibi- li le ragioni che portarono Guillen a lavorare sul testo di Bilenchi, costitui- rebbe, se lo trasponessimo in termini freudiani, la ricetta utópica di una feli- cità mentale fatta di armonia ed equilibrio tra identità, pulsione e raziona- lità. Se per spiegare la genesi poetica di La fuente potrebbe forse essere suffi- ciente la pura e semplice constatazione di questa congenialità, per spiegarne la genesi editoriale vale invece la pena di sottolineare l'esistenza di un insie- me di circostanze favorevoli, quali il matrimonio italiano di Guillen e la sua presenza in Italia nello stesso anno in cui esce Una città e in cui All'Insegna del Pesce d'Oro inizia a pubblicare la collana di poeti tradotti da poeti che tre anni dopo ristamperà, nel suo terzo volume, la versione di Luzi di La fuente di Guillen. I primi due volumi della collana, usciti entrambi nel 1958, contenevano le ristampe di vecchie traduzioni montaliane rispettivamente da Eliot e dallo stesso Guillen. A conferma di un crescente interesse per le letterature straniere, dei forti punti di contatto tra prosa e poesia e degli stretti legami tra i protagonisti della nostra storia, nel 1959 Bilenchi e Luzi iniziano a dirigere insieme, per la casa editrice Lerici, una interessante colla- na di narrativa straniera. Per tutte queste ragioni l'operazione poetica compiuta da Guillen sul 1 Studio su "Aire nuestro", poema della salvezza, in J. Guillen, Opera poetica, Firenze, Sansoni 1972. 2 Macri, op. cit., p. 6. AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
262 Marco Cipolloni corpo in prosa di Bilenchi non è una semplice traduzione e versificazione, ma una piccola serie di libere ricreazioni dall'anima intimamente musicale. Non a caso l'editore Vanni Scheiwiller scelse di presentare il volume col sot- totitolo "variazioni su di un tema" e il traduttore italiano Mario Luzi parla di "vivida suite" in una nota editoriale redatta all'inizio degli anni ottanta, al momento di ristampare il testo nel volume di traduzioni poetiche La cordi- gliera delle Ande, pubblicato da Einaudi. Nel volumetto del 1961, tirato in 1000 esemplari numerati, le tre varia- zioni sono precedute da altrettante illustrazioni di Giovanola (si tratta di illustrazioni monocromatiche che rappresentano figure umane ed equine, stilizzate secondo canoni grafici che, per essere riconoscibilmente ispaniz- zanti, si richiamano ai Chisciotte di Dalí e alle tauromachie di Picasso). I testi spagnoli, senza titolo e dunque rubricati in indice con il primo verso, sono stampati in corsivo, con a fronte la traduzione di Luzi in tondo. In calce alla terza variazione compare la data "Roma, Octubre de 1959". La prima variazione, "A la fuente, gran fuente de tres arcos", è indubbia- mente la più aderente al testo di Bilenchi, di cui si limita ad accentuare il cromatismo e la musicalità, con un accorto uso della ripetizione ("fuente gran fuente", v. 1; "poco a poco", v. 7), dell'allitterazione in r (w. 1 e 4), e in b (v. 18) e in s e z (v. 20) e della consonanza, spinta in almeno un caso fino al limite estremo di una coppia minima {blanda/bianca, v. 18). In tanta fedeltà, solo il finale è in dissolvenza, poiché, a differenza di quanto accade- va in Bilenchi, l'uomo che guarda e che rivela la sua presenza solo nell'ulti- mo verso non scende all'acqua. Nella seconda variazione, "En la fuente de aquel valle", Guillen cerca di ricreare l'atmosfera onirica accentuando le denotazioni jaquel valle" v. 1, "aquelVerano" v. 4, "aquellos barrios" v. 6) per poi sfumarle progressivamen- te ("hacia alguna mano se tendía algún hocico", w. 18-19). Lo sguardo ester- no (l'occhio che sogna) non viene dichiarato, per cui l'immagine diviene ancor più ellittica che nel testo precedente, chiudendo sui cavalli che si allontanano, senza neppure tornare alle donne che riprendono il lavoro. L'ultima variazione, "Caballo sediento", con il ritmo spezzato e secco delle sue fitte interpunzioni, è decisamente più libera. A differenza delle altre ha un'organizzazione strofica oltre che prosodica e inverte l'ordine di entra- ta in scena dei personaggi, centrando fin dall'inizio l'attenzione sui cavalli invece che sulla fonte e le lavandaie, ridotte da un'efficace enumerazione al ruolo di un confuso sottofondo ("Fuente, mujerío, Agua, ropa, voces", w. 9- AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
Tradurre un sogno: tre storie di cavalli, tra parole, lingue e immagini 263 10). L'eccitazione, come spesso in Guillen, si stempera e si purifica in bel- lezza e vitalità: "Se va el grupo equino. La hermosura queda" (w. 19-20). In complesso possiamo dire che le tre variazioni segnano un crescendo di autonomia rispetto al tema base, sfumando progressivamente i ruoli del- l'osservatore, delle donne e della fonte, a benefìcio di quelli della strada e dei cavalli. Il sogno, al momento di venire tradotto in poesia, tende cioè a fagocitare il sognatore, fino a trasformarsi in discorso e risolversi in simbo- lo. Se accostate, le tre variazioni rivelano inoltre, mantenendosi volutamen- te in bilico tra esercizio poetico ed esercizio di versificazione, la presenza di un'intenzione ludico-antologica, per cui il progressivo allontanamento dal testo di partenza, verso una traduzione sempre più libera, si associa ad un gioco poetico che è tutto giocato entro le regole e gli stili della tradizione letteraria spagnola. Più che di tre variazioni si tratterebbe cioè di tre arran- giamenti. Il primo arrangiamento, in endecasillabi, è classicheggiarne e modale, gioca cioè sulla ricchezza di aggettivi e avverbi e su un ordine artificiale e dunque semanticamente non scontato delle parole significanti ("barrios próximos", v. 3; "un caballo surgió", v. 4; "apretadas filas rumorosas", v. 5; "temoroso acercándose", v. 6; "bebió poco a poco de aquel agua", v. 7; "otros caballos vinieron en pareja", w. 10-11; "serpentinos trémolos", v. 12; "y en los cuellos se mordían", v. 13; "descansaban las mujeres", v. 14; "mordién- dose todavía los cuellos", w. 20-21; "las lavanderas a lavar tornaron", v. 22). Il secondo arrangiamento, in versi di otto sillabe, oltre ad un più regola- re andamento narrativo e ad una maggiore essenzialità semantica, propone una maggiore parsimonia per quanto riguarda aggettivi ed avverbi, ripristi- nando anche il normale ordine romanzo di nome e aggettivo ("filas femeni- nas", w. 7-8; "caballo temoroso", w. 8-9). Il terzo arrangiamento, inserendo strofa e rima (ABBA, CDCD) e ridu- cendo l'aggettivazione a una casistica di derivazione verbale ("caballo sedien- to", v. 1; "agua contemplada", v. 5) o specificativa ("grupo equino", v. 19) segna un ulteriore incremento della compostezza normativa e dell'economia funzionale. In sostanza, passando da un arrangiamento all'altro, via via che la tradu- zione da Bilenchi si fa più libera, la norma linguistica e quella poetica si fanno più strette. Nonostante l'occasionale ricorso alla ripetizione ("venivano a due a due, a due a due"), scegliendo sempre il verso libero e rinunciando alla rima, la AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
264 Marco Cipolloni traduzione di Luzi, già pubblicata nel 1960 sulla rivista "II Critone", appare fortemente prosaica e modernizzante, rivelandosi in complesso assai più sen- sibile alla dimensione della fedeltà e delle variazioni, che non a quella degli arrangiamenti poetici, metrici e stilistici attraverso i quali l'originale di Guillen innesta il proprio gioco nel corpo e nel solco della tradizione lirica spagnola. Nella prima variazione, il poeta italiano guarda costantemente a Bilenchi, oltre e talvolta più che a Guillen, limitandosi agli interventi indispensabili per versificare il testo base, arricchendolo al più di una morbida allitterazio- ne in / ("I cavalli se ne andarono lenti lungo la strada alta di polvere soffice, bianca", w. 19-21). In esordio, la fedeltà al testo di partenza è così forte da indurre Luzi al recupero di dettagli interamente omessi dal poeta spagnolo (p.e. nel verso "La fonte era al principio di una valle", v. 1). Nella seconda variazione la fedeltà si indirizza invece, decisamente e direi felicemente, verso il testo di Guillen, di cui restituisce con maggiore effica- cia la cadenza e le immagini, sia pure con qualche occasionale concessione alla prosa e con qualche significativa attenuazione della coloritura gramma- ticale (per esempio la perdita di una litote, per cui "no sin haber algún tiem- po contemplado", w. 11-12, diventa "dopo aver fissato a lungo", v. 11). Il ritmo spezzato della terza variazione sembra in complesso ancor più congeniale a Luzi, che lavora bene sulla semantica, utilizzando con grande intelligenza parole rare e sonore come arsura (v. 1), ressa (v. 8), ruzza (v. 9), ristare (v.ll). Perduto l'intraducibile mujerío, ne recupera efficacemente sia l'effetto che la clausola metrica, traducendo, al verso successivo, voces con vocìo. Solo in un caso Luzi si concede un incipit avversativo ("Ma l'acqua non sazia", v. 13) a fronte di un originale assolutamente denotativo ("El agua no sacia", v. 13). Al verso 3, l'inversione da "Frescura consiente" a "concede frescura", indebolisce eccessivamente sia l'immagine che il suo profilo foni- co. Negli ultimi due versi il cambio di interpunzione (da "Se va el grupo equino. / La hermosura queda" a "II branco equino va via, / la bellezza rima- ne"), attenuando la pausa, toglie forza apodittica alla morale della favola e, in parte, la cambia, trasformando una trionfale teofania della bellezza nel ben più prosaico ricordo di una cosa bella. Per Guillen, la bellezza rimane nell'aria. Per Luzi resta negli occhi e nella mente dell'osservatore. Per quanto riguarda il bilancio delle variazioni, in complesso, il testo tra- dotto, ripercorrendo la via che allontana Guillen da Bilenchi, sembra dun- que trovare spazio sufficiente per articolare un proprio autonomo discorso AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
Tradurre un sogno: tre storie di cavalli, tra parole, lingue e immagini 265 poetico, pur mantenendosi dentro i canoni di una fedeltà non sempre sostanziale, ma spesso rigorosa e puntuale. Diverso è ovviamente il discorso per quanto riguarda gli arrangiamenti. Luzi, infatti, segue Guillen nella sua fuga (in senso musicale) dalla prosa di Bilenchi, ma non nel suo percorso di avvicinamento ai canoni della tradi- zione lirica spagnola. La dimensione metapoetica, che pure è essenziale per una corretta interpretazione di La fuente, resta del tutto estranea a La fonte, che, da questo punto di vista, è davvero un altro testo. Traducendo la varia- zione e non l'arrangiamento, Luzi non traduce il testo spagnolo, ma una parte di esso, cioè tira fuori un testo che sta dentro al suo originale. Guillen, versificando e traducendo, cioè variando e arrangiando, inscrive il proprio sogno poetico dentro il sogno di Bilenchi (traducendo lo varia e versifican- do lo arrangia). Luzi, ritraducendo e a sua volta variando da e su Guillen, ne neutralizza in buona parte la versificazione e l'arrangiamento, senza per que- sto ritornare nell'orbita della prosa (il che lo avrebbe costretto ad una sorta di riarrangiamento) o in prossimità dell'originale di Bilenchi, il cui sogno, grazie al vaivén traduttivo, è diventato l'ombra di un sogno altrui, un'orma che il piede di un altro uomo ha lasciato, indossando scarpe altrui, lungo il proprio cammino. Tanto gli arrangiamenti di Guillen, quanto le variazioni di Luzi presen- tano in effetti un progressivo, parallelo e significativo incremento di auto- nomia ideologica e affabulatoria nell'appropriazione e nella reinvenzione dei meccanismi linguistici e narrativi proposti dai rispettivi testi di partenza. Di trascrizione in trascrizione, di arrangiamento in arrangiamento e di variazio- ne in variazione, i cavalli di Bilenchi, estrapolati dal contesto originario e divenuti, per così dire, contesto di se stessi, hanno finito per perdere il loro carattere di irruzione onirica e per assumere una valenza nuova e più auto- nomamente letteraria. In questo contesto, oltre ad entrare in un rapporto più diretto con il motivo artistico e letterario della fonte (dalla mitologia sil- vestre ai loci amoenì), hanno finito per trovare la propria collocazione entro due sistemi di coordinate diversi, se non addirittura opposti, evocando, in Guillen, radiosi simboli di attività e di utopia e lasciando dietro di sé, in Luzi, inquietanti segni di passività e di distruzione. La componente sensua- le, onirica e pulsionale collegata all'immagine del cavallo, apparentemente attenuata e neutralizzata nelle incantate geometrie spirituali e linguistiche del gioco di traduzione e ritraduzione, riaffiora, infatti, con diverse ed assai originali sfumature, in altri luoghi delle non complementari traiettorie di AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
266 Marco Cipolloni scrittura del traduttore Luzi e del poeta Guillen. Proprio nel 1958, cioè nel- l'anno in cui Bilenchi pubblica le prose di Una città e in cui Scheiwiller ristampa le traduzioni di Montale da Guillen, Luzi traduce per l'antologia Poesia straniera del 900, curata per Garzanti da Attilio Bertolucci, alcuni testi poetici di Jules Supervielle, tra cui, dalla raccolta Les antis inconnus, la poe- sia Le chevaux du Temps/L cavalli del tempo, dove l'uomo che spia l'abbevera- ta si scopre vittima e languido cómplice di un inquietante masnada di caval- li-vampiro: Quando i cavalli del tempo si fermano alla mia porta non so stare se non li guardo abbeverarsi. La spengono nel mio sangue l'arsura quelli, voltano verso i miei i loro occhi riconoscenti e intanto quelle sorsate mi empiono di languidezza, mi lasciano così fiacco, cosi solo e scialbo che una notte passeggera mi ottenebra le palpebre e mi occorre rifarmi subito le forze perché un giorno, se torni l'assetato equipaggio, possa essere vivo e dissetarli. I personaggi e la situazione sono gli stessi di La fuente, solo che in questo caso l'eccitazione voyeuristica trascolora in estasi masochistica, poiché l'os- servatore e la fonte sono letteralmente la stessa persona. Come nella lettera- tura sui vampiri, la conseguenza del salasso è una condizione di "languidez- za" che prelude al sonno e al sogno ("una notte passeggera mi ottenebra le palpebre"). La stessa oblativa e sovrumana passività, la stessa rassegnazione, lo stesso senso del limite e la stessa vegetale saggezza che nella poesia di Supervielle caratterizzano il narratore-osservatore, sono nell'intertesto di Guillen privilegio e prerogativa di Unos caballos: Peludos, tristemente naturales, En inmovilidad de largas crines Desgarbadas, sumisos a confines Abalanzados por los herbazales, Unos caballos hay. No dan señales De asombro, pero van creciendo afines A la hierba. Ni brida ni trajines. Se atienen a su paz: son vegetales. AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
Tradurre un sogno: tre storie di cavalli, tra parole, lingue e immagini 267 Tanta acción de un destino acaba en alma. Velan soñando sombras las pupilas, Y asisten, contribuyen a la calma De los cielos - si a todo ser cercanos, Al cuadrúpedo ocultos — las tranquilas Orejas. Ahí están: ya sobrehumanos. Nel mondo poetico di Luzi, dominato da un disperato pessimismo antro- pologico, poeta è colui che, con stoica rassegnazione, offre se stesso, la pro- pria storia e la propria cultura all'aggressione della vita. In questo modo, la tradizione stessa finisce per essere dominata e colonizzata dalle lacerazioni della contemporaneità, realizzando nella forma più estrema una vocazione sacrificale che, negli anni, ha portato Luzi dalla poesia alla tragedia in versi, trovando esemplare espressione nei tormentati personaggi del suo teatro, Ipazia, il vescovo Sinesio, ma, soprattutto, Don Juan Rosales, burlador dispe- ratamente moderno, rassegnato a compiere il proprio destino di sicario di Stalin nel Messico cardenista. Così lo ricorda, post mortem, il suo gracioso Francisco Córtez: Rosales? Penso a volte che tu riposi seppellito nel ricordo di taluna delle donne amate a quel tempo o meglio nella loro totale dimenticanza3. Niente di più lontano, negli esiti e nei presupposti, dal mondo arioso di Guillen, vivificato da un ottimismo cosmologico così radicale che persino essere "sumisos a confines" può diventare una via alla trascendenza. In Guillen la capacità di crescere "afines a la hierba" identifica vitalità e divinità ancor più radicalmente e ancor più immediatamente di quanto non avve- nisse in Whitman. Il mondo si offre, pantelsticamente, alla contemplazione attiva della poesia, consentendo alla contemporaneità di trovare posto nel solco della tradizione e di approdare così ad una gioia della retorica che, nei momenti più ingenui e felici, diventa una vera e propria retorica della gioia. In Sabor a vida il tema dongiovannesco dell'avventura e della conquista 3 Rosales, Milano, Rizzoli 1983, pp. 120-121. AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
268 Marco Cipolloni viene così evocato e liquidato, sul filo di una felice valorizzazione dello scar- to tra venturas e aventuras, con toni del tutto antitetici a quelli, disincantati, del Rosales di Luzi. La tragedia possibile, in Guillen, assomiglia più a quel- la mitica e classica di Icaro che a quella storica e moderna di Don Giovanni: Hay ya cielo por el aire Que se respira. Respiro, floto en venturas, Por alegrías. [...] ¿Aventuras? No las caza Mi cacería. Tengo con el mismo sol La eterna cita4. Per Luzi la poesia è essenzialmente sintomo e tempo: significa malattia, dannazione, passività e impotenza. La parola, detta o taciuta, ricordata o dimenticata, non è che un intrascendente sacrificio; è il poco che l'uomo può offrire, in un mondo pieno di rumore e di polvere, per difendersi da una vita che, inesplicabilmente, lo aggredisce e lo consuma. Per Guillen la poesia è invece salute, spazio, attività ed autentica creazio- ne: il mondo, ricco d'acqua e di aria, è, in ogni sua parte, trascendente e, come tale, disponibile all'attiva contemplazione del poeta e al suo onnivoro respiro. Il sogno del cavallo, raccontato da Bilenchi, tradotto e versificato da Guillen e ritradotto da Luzi, ci ha dunque condotto abbastanza lontano da mescolare, attraverso le sue metamorfosi poetiche e traduttive, tre geniali intuizioni della Grecia antica sul tema del sogno: 1) la riflessione presocrati- ca sullo stato di veglia e quello di sonno e le mille sfumature della sua stru- mentalizzazione retorica e sofistica ("così solo e scialbo che una notte pas- seggera mi ottenebra le palpebre"); 2) il mito della caverna, poeticamente chiosato dalla folgorante definizione lirica dell'uomo come sogno di un'om- bra ("velan soñando sombras, las pupilas"); 3) il rapporto tra arte (mimesi) e conoscenza (reminiscenza), basato su quello tra il mondo della realtà e il mondo delle idee, le cui arcane geometrie ci vengono spiegate da Piatone Opera poetica. Aire nuestro, Firenze, Sansoni 1990, p. 542. AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
Tradurre un sogno: tre storie di cavalli, tra parole, lingue e immagini 269 utilizzando come esempio proprio il rapporto tra i cavalli e la cavallinità. In Piatone la conoscenza e l'arte, la memoria e la mimesi, condividono, rispet- tivamente, i drammi del sogno e quelli della sua traduzione. La fedeltà del reale al mondo delle idee, non potendo essere misurata rapportando diretta- mente la storia agli archetipi, finisce infatti per riprodursi (di copia in copia) e per ritradursi (di traduzione in traduzione) a partire da un confronto tra le ombre della caverna e le reminiscenze. Realisticamente, il sogno, la poesia e la traduzione si costituiscono come limiti per un'esistenza che, proprio per- ché metafisicamente inautentica, trova nel rapporto di corrispondenza tra linguaggio ed immagini l'unica esperienza autenticamente umana del mondo che ci circonda (e la sola possibile). Solo la poesia e il sogno, proprio grazie alla loro inconsistenza di pallide copie (per non dire delle traduzioni e delle ritraduzioni che rispettivamente sarebbero copia di copia di copia e copia di copia di copia di copia), posso- no, a certe condizioni ed entro certi limiti, rovesciare lo schema del celebre argomento platonico e metterne in causa il rigido dualismo, fondando una sorta di materialismo metodologico e cognitivo. Nel momento in cui l'azio- ne diviene contemplazione e, proprio come accadeva nel viaggio invernale di Benet, si risolve nell'esecuzione di alcune variazioni su tema, l'irruzione del cavallo mette fine alla festa e trasforma il dramma della morte e della storia da epifania in apocalisse. All'improvviso, "tanta acción de un destino acaba en alma": la realtà dei cavalli di carne ed ossa trascolora in iperuranio e la loro semplice esistenza mortale si rivela quintessenza. La metafisica passa, finalmente, dal campo del ser a quello dello estar, i cavalli "ahí están, ya sobrehumanos". In questo essere y a sovrumani e in questo starsene proprio ahi, ai margini della lingua e della letteratura, nei territori della traduzione, del sogno e della poesia, i cavalli traducono il trionfo del vero sull'autentico e la rivincita delle ragioni della storia sulla ragione della filosofia: non più infiniti cavalli reali, inverati da una sola ipostasi equina (l'idea della cavalli- nità), ma un numero definito di veri cavalli {unos caballos, appunto), capaci di prestare il proprio corpo equino, attraverso un numero indefinito di varia- zioni e arrangiamenti traduttivi, al molteplice ma fragile sogno della poesia moderna, sempre più spaesato, ma sempre più necessario in un mondo in cui, con paurosa coincidenza d'opposti, il risveglio può essere un incubo, il disincanto non è che un'illusione e gli inferni reali della rettorica sono ormai inscindibili dai paradisi artificiali della persuasione. AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
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LETTERATURA CATALANA AISPI. Tradurre un sogno: tre storie di cavalli tra parole, lingue e immagini.
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