SUPEREROI DI MASSA. IL SISTEMA DEI PERSONAGGI IN PERSON OF INTEREST

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SUPEREROI DI MASSA.
IL SISTEMA DEI PERSONAGGI IN PERSON OF INTEREST

Miriam Visalli

Nella New York contemporanea due “paladini della giustizia” operano in segreto nella difesa della comunità.
Una speciale Macchina costruita dal governo per scongiurare gli attacchi terroristici viene reimpiegata per
attuare tale missione. Non senza macchia, i “difensori” dissimulano un passato oscuro di gravi danneggiamenti e
operano nella condizione liminare di “supereroi senza corazza”, in un mondo (il nostro) che ci appare
assoggettato alla morsa dell’inafferrabile intrusione tecnologica, oscuramente puntellato dal controllo capillare.

                                                                    […] qualsiasi accountant di qualsiasi città americana
                                                                          nutre segretamente la speranza che un giorno,
                                                                               dalle spoglie della sua attuale personalità,
                                                                                              possa fiorire un superuomo
                                                                                  capace di riscattare anni di mediocrità.
                                                                                    Umberto Eco, Apocalittici e integrati

ANTEFATTO

           Nel mezzo di un affollato incrocio di Manhattan, tra l’onda gialla dei cabs e i volti indistinti
di una moltitudine in movimento perpetuo, seguiamo una conversazione tra un senzatetto e un
                                                 uomo in inappuntabile completo scuro: «cos’hanno in
                                                 comune otto milioni di persone», chiede retoricamente il
                                                 secondo, mentre la folla fagocitante li rende allo
                                                 spettatore sempre meno distinguibili. «Nessuna di loro
                                                 sa cosa riservi il futuro», risponde. A New York City
                                                 ogni diciotto ore una persona viene uccisa e alla fine
della giornata uno dei passanti che vediamo frettolosamente percorrere quell’incrocio sarà stato
vittima di un omicidio. Se i delitti circostanziali sono quasi impossibili da evitare, i crimini
pianificati possono invece essere scongiurati. Harold Finch, che conduce la conversazione, possiede
una lista grazie alla quale è possibile individuare alcune delle persone in pericolo, soggetti in
procinto di essere coinvolti in situazioni criminose senza esserne al corrente. Attraverso la lista tali
reati possono essere prevenuti, intercettati. Finch sa come ottenere informazioni, di qualunque
tipologia esse siano, e sa che quell’individuo malconcio non è un senzatetto qualunque: John Reese,
questo uno dei suoi nomi, è infatti un ex agente della CIA che il governo crede deceduto in seguito

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a un incidente. In ragione delle sue particolari abilità acquisite, visti anche i trascorsi militari, Reese
è l’uomo giusto per Finch, è il modus attraverso il quale poter mettere a frutto le sue informazioni. Il
prologo del “Pilot” di Person of Interest, secondo il più tradizionale degli schemi narrativi, lascia
intendere che l’eroe dapprima riluttante accetterà di aderire alla “crociata” di Finch che, del resto,
con una carica motivazionale di sicuro successo, espone a Mr. Reese le sue ragioni: «Non le
servono uno psichiatra, un gruppo di sostegno e neppure delle pillole. Le serve uno scopo. E in
particolare le serve un lavoro».
Almeno altri due personaggi riluttanti comparteciperanno alla missione pre-crime di Finch: dal
“Pilot” il detective Lionel Fusco, in seguito Joss Carter, dall’episodio #10 "Number Crunch". Le
adesioni di Fusco e Carter, entrambe del NYPD, determineranno anche un avvicinamento agli
stilemi del police procedural all’interno di una già variegata esperienza di generi che convoca il
crime, il thriller, la spy-fi, in uno scenario che resta debitore di Orwell, vista la peculiare marca
stilistica che coinvolge immagini di ogni sorta di telecamera di sorveglianza cittadina come
inquadrature di raccordo, e naturalmente dell’ipotetico futuro sorvegliato dalla polizia Precrimine
immaginato da Dick in Rapporto di Minoranza.

SUPEREROI DI MASSA

           Nel gennaio 2012 Nina Tessler, Presidente di CBS Entertainment, dichiara di aver discusso
con l’ideatore della serie Jonathan Nolan la possibilità di rendere «meno periferico» il personaggio
della detective Carter, consentendole l’ingresso nella «caverna del supereroe» e assimilarla come
una sorta di commissario Gordon1. C’è in effetti nella serie una atmosfera pervasiva affatto
emancipata dalla tipicità degli ambienti peculiari dei paladini della giustizia. A partire dalla
suggestione della Tessler rinveniamo immediatamente la “bat-caverna” nel “covo” di Finch: una
volta ottenuto il consenso da Reese, il misterioso (lo
è ancora, Finch, nel “Pilot”) anfitrione lo conduce
all’interno di una biblioteca abbandonata, chiusa per
tagli al bilancio, situata in un edificio venduto a un
istituto di credito che Finch “controllava” e che ha
dichiarato bancarotta. Il fabbricato, allo stato
attuale, si trova in una sorta condizione liminale, un
limbo che in un certo senso non esiste, così come non esistono i due occupanti, dal momento che il
governo li crede deceduti entrambi. Ed ecco l’ingresso nel rifugio mostrato tramite un doppio
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accesso, con l’attraversamento di un corridoio quasi totalmente buio, restituito allo sguardo come
fosse un tunnel al centro del quale sono collocate le due sagome scure di Finch e Reese, che
varcano poi la soglia ulteriore della vera e propria “stanza dei bottoni”. Similmente ai vari
Watchmen di Alan Moore e David Gibbons (come The Comedian, seppure meno brutale, Reese ha
trascorsi militari e ha lavorato per il governo statunitense), si uniscono con lo scopo di vigilare sulla
collettività, intervenendo nel preservarla proprio da se stessa. The Machine è l’oggetto che consente
di praticare tale missione, la Macchina che fornisce i superpoteri: programmata dallo stesso Finch
per il governo degli Stati Uniti, si tratta di una infrastruttura segreta che attraverso un incessante
sistema di sorveglianza basato su intercettazioni di ogni entità – apparecchi telefonici, telecamere,
web … – è in grado di fornire una considerevole quantità di informazioni, costruita dopo l’11
settembre per rilevare ogni plausibile forma di attacco terroristico. La Macchina tuttavia è in grado
di fornire informazioni su chiunque, dato il capillare sistema di localizzazioni su cui è basata, ma
“chiunque” non è sempre una “person of interest” per il governo: i casi considerati minori, omicidi,
furti, rapine, sono classificati come “irrilevanti”. Per questo motivo, e grazie a una modifica
impiantata nel sistema, Finch riesce a estrapolare i numeri di previdenza sociale tramite cui risalire
ai nomi di coloro che verranno coinvolti in tali crimini, siano essi vittime o carnefici.
           Da una struttura tradizionale del racconto, così come la delineava Lévi-Strauss per cui
ciascun personaggio è costituito da un «fascio di elementi differenziali», la coppia Finch/Reese
evolve in una forma certamente ormai tipicizzante delle recenti serie serializzate, per cui la rigidità
dei ruoli lascia ampio spazio a relazioni che si determinano non solo mediante rapporti di manichea
differenza, ma piuttosto di identità. Anche dal punto di vista di una proiezione “supereroica” la
guaina modellata della coppia Batman/Robin, ad esempio, calza piuttosto stretta al sodalizio
Finch/Reese, i cui ruoli sono talvolta interscambiabili. Si pensi alle circostanze in cui l’occhialuto
prototipo geek Harold Finch esce in ricognizione o affronta personalmente la minaccia, esplicitando
un saper fare che è solitamente attribuito a Reese, come avviene nell’episodio #11 “Super”2. Dal
                                               canto suo, Reese non si da unicamente come “braccio
                                               armato” (se la “mente” è Finch): tutt’altro che
                                               tecnofobo, dimostra piuttosto una competenza prossima
                                               al dominio di Finch, del tutto esaustiva in termini di
                                               esplicitazione performativa. Non conosce i dettagli del
                                               funzionamento della Macchina di Finch, ma è
perfettamente a suo agio nella gestione della “ipertecnologia della sorveglianza” che pervade la
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serie. Certo, dal punto di vista formale, del Cavaliere Oscuro Reese mantiene alcuni elementi
caratterizzanti quali il tono di voce piuttosto sussurrato e una certa propensione ad apparire e
scomparire, con il favore delle tenebre, senza preannuncio3. Sui processi di “vestizione dell’eroe”
osserviamo un percorso piuttosto tortuoso: sappiamo dalle ricognizioni nel passato pregresso che
Reese ha dismesso la divisa militare – dunque veicolo di una specifica identità, anche indicizzata
sulla stessa uniforme – e ha successivamente “rinunciato” agli incarichi governativi per disperdersi
definitivamente nell’anonimato della vita di strada, come homeless, circostanza che ci viene
sottoposta nel “Pilot” in quanto situazione iniziale del suo programma narrativo. L’incarico
assegnatogli da Finch determina un nuovo statuto identitario seppure – necessariamente – ancora
parziale: abbandonati i panni del senzatetto, rasato in volto, il “nuovo” Reese ci appare ora con
l’aspetto di un misterioso sicario, acquisisce lo status incerto di “man in suit”, così come lo
identifica il Dipartimento di Polizia che ne attesta la presenza in alcune scene del crimine, dove
sono rinvenute le sue impronte digitali. Eppure sappiamo non essere “Reese” il suo nome autentico,
dunque l’impronta, l’orma come traccia della riemersione del passato è ancora un segno effimero di
una vaga identità.
           Nella logica del fascio di relazioni che determina il sistema dei personaggi, possiamo
individuare tra i coadiuvanti i citati detectives Fusco e Carter, nondimeno con alcune problematicità
di natura etico/identitaria in quanto deputati dell’ordine precostituito, certamente meno integerrimi
del commissario Gordon di Gotham City, eppure pronti a rispondere alle sollecitazioni di
Finch/Reese mutuate dall’onnipresente cellulare non tracciabile fornito da Finch, una sorta di
“batsegnale” del Cavaliere Oscuro della DC Comics.
           Tra gli oppositori consideriamo invece nel ruolo attanziale del mutaforme la psicologa
Caroline Turing nell’episodio #23 “Firewall”: individuata come possibile vittima dalla Macchina di
Finch poiché al corrente di informazioni possibilmente compromettenti, può avvalersi della
protezione di Reese. Nel finale dell’episodio, l’ultimo della prima stagione, scopriremo invece la
farsa: il suo studio e la sua identità sono una messinscena, Turing è Root, l’hacker già evocata
nell’episodio #13 “Root Cause”, intenzionata a carpire i segreti di Finch, di cui rappresenterebbe
l’antinomia. La storia orizzontale di Root si costituisce infatti come anti-programma: nell’episodio
“Root cause” il personaggio dell’hacker stabilisce un carattere polemico agendo come anti-soggetto
il cui scopo si oppone al programma di Finch, con il quale condivide tuttavia l’expertise informatica
utilizzata appunto con finalità antitetiche. Root corrisponderebbe dunque al supercattivo, dotata dei
“superpoteri” determinati dalla sua attitudine di abilissima hacker, il superudito delle intercettazioni
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e una sorta supervista informatica che le permette di acquisire infinite informazioni che consentono
certamente un vasto potere d’azione4.
           Il villain principale, almeno in termini di ricorsività di evocazioni, è poi Carl Elias, figlio
illegittimo del capo mafia Gianni Moretti, il cui “piano diabolico” – meglio esplicitato nell’episodio
#19 “Flesh and blood” – è di destrutturare la criminalità organizzata gestita dalle Cinque Famiglie,
riunirle per assumerne l’assoluto controllo, anche tramite l’intervento e il supporto di una “speciale”
struttura di polizia denominata come HR, forse acronimo di high ranking in quanto costituita da
alcuni alti ufficiali corrotti del Dipartimento di Polizia di New York, con ricorsive apparizioni del
Capitano Lynch e dell’agente Simmons, «figure vicarie»5 di Elias.
Ora l’immagine propria di Elias non è certo quella del villain tradizionale: non ha l’eccentricità di
Joker né il QI dell’Enigmista e non dimostra particolari attitudini scientifiche come il Dottor
Octopus di Spiderman. E nel suo progressivo inserimento nel racconto non sembrerebbe fornire
prova dell’esprit géométrique di Lex Luthor. Di aspetto fisico non particolarmente attraente, né
caratterizzato da alcuna peculiarità, manifesta un greve sentimento di rivalsa originato dal
danneggiamento subito in giovane età, in seguito all’uccisione di sua madre, Marlene Elias, per
mano di un mastino di Moretti. Elias è evocato per la prima volta nell’episodio #3 “Mission Creep”,
mentre la sua presentazione diretta, nell’episodio #7 “Witness”, è costruita su una divergenza tra
essere e apparire. Ed ecco infatti apparire Charlie Burton, testimone in fuga di un omicidio di un
affiliato a Cosa Nostra avvenuto a Brighton Beach (nel distretto di Brooklyn), territorio controllato
dalla mafia russa. Burton insegna Storia presso distretto scolastico dello stesso quartiere e aspira a
un futuro di redenzione per i suoi studenti, accusa le
autorità di corruzione capillare dunque affidarsi alla
polizia in quanto teste di un crimine, specialmente di
afferenza mafiosa, è una via impraticabile per chi
abita in quel sobborgo che sembra essere dimenticato
dalla Legge. Identificato come “soggetto sotto
indagine” dalla Macchina di Finch, Reese dovrà
pianificarne la fuga attraverso i malfamati tenements, coadiuvato perfino da uno studente di Burton,
che lo ritiene il migliore tra i suoi insegnanti. Un uomo comune dunque, “vittima” di una carriera
forse insoddisfacente e accidentata, assoggettato suo malgrado al potere inestirpabile della
criminalità organizzata che sceglie di non affrontare, specialmente quando afferma: «non dirò una
parola sperando che questa storia svanisca da sola […] se testimonio non potrò mai più tornare qui.
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E ho lavorato troppo duramente. Questa è la mia casa». Burton è tuttavia una sorta di eroe per
alcuni dei suoi studenti, cui assegna la lettura de Il conte di Montecristo, oggetto a ben guardare
accresciuto di un carattere indiziario6 circa la sua reale identità, svelata attraverso il montaggio
alternato del finale dell’episodio: Charlie Burton è Carl Elias, qui colto nell’esplicitazione della sua
attitudine mimetica messa in atto sfruttando il vantaggio dell’anonimato, «il vantaggio che hai se
nessuno sa chi sei o conosce il tuo aspetto», spiega conversando con Reese.
Il procedimento attuato da Elias ci appare conforme – comunque efficace – al meccanismo di
“occultamento di se stessi” pervasivo nella serie, che si estende in un orizzonte in cui tutti i
personaggi sembrano mentire circa la loro identità o deragliare dal proprio ruolo sociale.
In vena di mitopoiesi del supereroe Tarantino discuteva, attraverso il monologo di Bill nel finale del
Vol. II di Kill Bill, dell’uomo comune visto attraverso gli occhi di Superman: debole, insicuro,
codardo, vale a dire come Clark Kent, insulso e mediocre nel suo completo blu, impacciato e
remissivo dietro i suoi grandi occhiali nerd. Ed ecco come Carl Elias sceglie di mimetizzarsi nel
tessuto sociale, mostrandosi vulnerabile e ordinario come Charlie Burton, salvo poi non celare
alcuna corazza speciale sotto quelle spoglie simulate. «È un bel piano per uno che non è nessuno»:
così Moretti apostrofa il progetto di “criminalità evoluta” del figliastro, o ancora: «sei una forza di
corruzione e debolezza», secondo il detective Carter, a convocare ulteriormente la frustrazione
performativa di Elias e il carattere in progress del personaggio del villain7. Anche il dipanarsi
narrativo relega Elias in carcere e affida il cliffhanger del finale di stagione alla supercattiva Root.
           Riassumendo, in termini di ridefinizione supereroica del sistema narrativo e dei personaggi,
Person of Interest mette in scena un meccanismo composito di caratteri la cui “motrice” è avviata
dalla Macchina, il cui funzionamento resta in parte occultato, ma che costituisce la principale linea
                                               orizzontale della serie. Come accennato, la Macchina è
                                               un oggetto cardine che, associato alle straordinarie
                                               competenze informatiche di Finch, è in grado di fornire
                                               “poteri non comuni”: la possibilità di accedere a una
                                               ingente mole di informazioni sui singoli cittadini della
                                               comunità ottenute attraverso capillari ricerche incrociate
– dalle infrastrutture di polizia ai dossier secretati provenienti dagli archivi governativi – agisce
come una sorta di vista a raggi X che consente di vedere attraverso, non già corpi o oggetti di
metallo come Superman, bensì attraverso un reticolato di conoscenze altrimenti inaccessibili. La
clonazione dei telefoni cellulari opera invece come un vero e proprio superudito che permette di
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ascoltare le conversazioni (non solo telefoniche, spiega Finch nel primo episodio) a distanze
illimitate.
           Riguardo al mito di Superman Eco argomentava circa l’immagine simbolica del supereroe:
        L'eroe fornito di poteri superiori a quelli dell'uomo comune è una costante della immaginazione popolare, da
        Ercole a Sigfrido, da Orlando a Pantagruel sino a Peter Pan. Spesso la virtù dell'eroe si umanizza, e i suoi poteri
        più che soprannaturali sono l'alta realizzazione di un potere naturale, l'astuzia, la velocità, l'abilità bellica,
        addirittura l'intelligenza sillogizzante e il puro spirito d'osservazione, come avviene in Sherlock Holmes. Ma in
        una società particolarmente livellata, in cui le turbe psicologiche, le frustrazioni, i complessi d'interiorità sono
        all'ordine del giorno; in una società industriale dove l'uomo diventa numero nell'ambito di un'organizzazione che
        decide per lui, dove la forza individuale, se non esercitata nell'attività sportiva, rimane umiliata di fronte alla
        forza della macchina che agisce per l'uomo e determina i movimenti stessi dell'uomo - in una società di tale tipo
        l'eroe positivo deve incarnare oltre ogni limite pensabile le esigenze di potenza che il cittadino comune nutre e
        non può soddisfare8.

Ora, come accennato, Reese non è del tutto Superman né Clark Kent, eppure Person of Interest reca
traccia di un complesso di caratteri parzialmente assimilabile a una tale connotazione “mitologica”.
Certo, nessuno dei personaggi discende da una stirpe kryptoniana, ma è comunque l’opacità di un
passato non convenzionale ad agire come attivatore di particolari competenze, il tempo, insomma,
«come struttura della possibilità». L’attualizzazione dell’operato di tali “eroi” che sono sì forniti «di
poteri superiori a quelli dell'uomo comune», risiede proprio nella mediazione di una certa Macchina
qui sfruttata in quanto opportunità di redenzione dell’uomo «che diventa numero», nella fattispecie
di previdenza sociale. Resta da esplorare la problematicità di tale selezione: se infatti la Macchina
scarta come irrilevanti i cittadini comuni di cui trattiene la marca identificativa del numero di
previdenza sociale, potremmo allora sollevare il dubbio circa la folta schiera di casi borderline –
clandestini o in generale “cittadini indesiderati” – non individuabili poiché sprovvisti di tale
numero.
Ancora sulla mitopoiesi del supereroe sappiamo della traiettoria su cui essa si pone, rintracciabile
«nell’ambito della civiltà del romanzo», in ragione del fatto che, considerandone il rapporto con il
lettore, «il personaggio del mito incarna una legge, una esigenza universale, e deve in una certa
misura essere quindi prevedibile, non può riservarci sorprese»9. Di contro il personaggio del
romanzo deve assumere un carattere di riconoscibilità, compartecipazione, «universalità estetica»,
archetipo fisso ma allo stesso tempo saper produrre un modello di identificazione. Ed ecco allora la
necessità dell’alter ego Clark Kent, il mite accountant come apoteosi della mediocrità ma anche
l’ancoraggio di Superman al luogo e al tempo “mortali”, elementi atti a determinare l’assimilazione
del lettore. Ed ecco Harold Finch dimostrarsi perfettamente in grado di commutare da rat lab a deus
ex machina, impersonare di volta in volta differenti caratteri: Arthur Bellinger assicuratore della
mutua statale, Norman Burdett assistente legale, Walt Trowbridge tecnico della OneState Bank, il
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blogger Thomas Paine, Lucas Bennett del Dipartimento Politiche per la Famiglia… E poi ancora,
perdersi tra la folla, completamente mimetizzato nella dissimulazione dell’uomo comune e senza
volto, per osservare e ascoltare indisturbato – tramite il superudito del sempre presente auricolare –
le voci di ciascun individuo che la Macchina ha selezionato come “person of interest”.
                                                           I supereroi senza corazza della serie di Nolan afferiscono dunque al modello che rappresenta
l’essenza delle serie serializzate di recente produzione: l’imprevedibilità dei fatti (anch’essa,
naturalmente, appannaggio della civiltà del romanzo) collocata nella pluralità delle storie
orizzontali, sostenuta dalla ridondanza della struttura nel mantenimento della configurazione
autoconclusiva dell’episodio. Non senza alcune (inconsapevoli?) riflessioni metanarrative: la
condizione paradossale di Superman esige la sua vulnerabilità, l’eventualità di morte che esilia il
mito nella condizione umana, poiché un Superman eterno non si espone alla indispensabile
identificazione del lettore. Nel “Pilot” di Person of Interest lo spettatore è immediatamente
informato del fatto che Finch e Reese siano ritenuti entrambi deceduti dal governo, e una tale
condizione consente loro di agire entro un margine di azione di una certa ampiezza, laddove privati
di un’identità rintracciabile, in un certo senso invisibili, risultano dunque dotati di una certa dose di
invulnerabilità. Di contro, al termine dell’episodio, Finch puntualizza che accettando la “missione”
saranno posti di fronte al rischio di morire realmente, di conseguenza – nonostante i “poteri”
superiori – restituiti alla vulnerabilità della condizione umana. Ed ecco convocato il processo di
familiarizzazione, iter identificativo che lo spettatore delle serie televisive acquisisce non già
nell’immedesimazione in un determinato personaggio, bensì nel riconoscere una più ampia struttura
di riferimento. Nel nostro caso, un mondo che ci appare assoggettato alla morsa dell’inafferrabile
intrusione tecnologica, oscuramente puntellato dal controllo, pur tuttavia un mondo imperfettamente
umano.
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
1
  “Bringing the Carter character into the superhero cave”: si veda, sulle dichiarazioni di Nina Tessler riguardo alla prima
stagione di Person of Interest, www.tvline.com, www.seriable.com, www.collider.com, www.zap2it.com.
2
  Finch fallisce parzialmente l’ispezione nell’appartamento di Ernie Trask (in “Super”) rendendosi riconoscibile, ma
non è raro che Reese commetta errori e imprudenze.
3
  Ricordiamo che Jonathan Nolan, ideatore e produttore della serie, è co-sceneggiatore di Il cavaliere oscuro (The Dark
Knight, 2008, di Christopher Nolan) e The Dark Knight Rises, 2012, film conclusivo della bat-trilogia dello stesso
regista cominciata nel 2005 con Barman Begins.
4
  Root può far apparire e sparire “oggetti” e utilizza infatti le informazioni a sua disposizione per controllare e ricattare
Peter Matheson – il socio in affari corrotto del membro del congresso assassinato – nell’episodio #13: «potrei avere
ogni email che hai mandato, ogni contatto che hai chiamato e ogni password che hai usato. Potrei svuotare il tuo conto
in banca, liquidare i tuoi patrimoni, e persino mandare alla tua ex moglie l’indirizzo della tua casa alle Bermuda». In
questo modo inequivocabile si rivolge a Matheson, tramite un telefono cellulare e con voce naturalmente contraffatta.

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5
  Umberto Eco descrive i ruoli vicari nei dicotomici rapporti tra James Bond e i cattivi che si avvicendano nei romanzi
di Fleming: «personaggi di secondo piano la cui funzione si spiega solo se vengono visti come variazione di uno dei
caratteri principali, di cui portano, per così dire, alcune caratteristiche» in Umberto Eco, Il superuomo di massa.
Retorica e ideologia nel romanzo popolare [1976], Bompiani, Milano, 2005, p. 150.
6
  In “Witness” Elias vendica Benny D’Agostino, il mob leader assassinato dai russi nell’incipit dell’episodio. Sappiamo
però, come accennato, che il piano di vendetta di Elias è piuttosto radicato nel passato, precisamente all’omicidio di
Marlene Elias. Vendetta che intende concretizzare con l’eliminazione della mafia russa per accrescere il potere di Cosa
Nostra e acquisirne il controllo.
7
  In progress poiché se è vero che Elias colleziona alcuni fallimenti – nell’episodio #17 “Baby Blue” Reese riesce a
liberarsi dalla trappola in cui Elias lo attira, o ancora in "Flesh and Blood” Reese libera dal sequestro il figlio di Carter –
riesce tuttavia nel suo intento di eliminare Moretti, predisponendo dal carcere l’esplosione della sua auto.	
  
8
  Umberto Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa [1964], Bompiani,
Milano, 2008, pp. 226-227.
9
  Ivi, pp. 230-231.

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