Stress e sclerosi multipla: controversie in medicina

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8 Agosto
                                                                                           2013
                                                                                           Anno IV
                                                                                           N. 152

                                                                     Neurologia

     Stress e sclerosi multipla:
     controversie in medicina
     Francesco Teatini
     Az. Ospedaliera dell’Alto Adige – Comprensorio Sanitario di Bolzano

                Da tempo è nota la relazione fra stress e sclerosi multipla (SM), nel
                senso che il primo influisce negativamente sul decorso della secon-
                da. D’altra parte, non ci sono in letteratura molti studi che abbiano
    valutato in modo riproducibile gli effetti dello stress nei soggetti affetti da
    questa malattia, né vi è accordo su l’impatto nelle varie fasi della malattia, esor-
    dio piuttosto che ricaduta. Numerose ricerche sulle modificazioni del sistema
    immunitario in corso di stress cronico hanno sempre fatto emergere la stretta
    relazione tra stress cronico e modificazioni delle risposte immunitarie.

    Il panorama scientifico
    Tra i lavori pubblicati sul rapporto esistente tra stress e sclerosi multipla degli
    ultimi 10 anni, emerge uno studio norvegese (1) che nega un legame tra stress
    e insorgenza della sclerosi multipla, smentendo numerose ricerche preceden-
    ti. Nel lavoro gli Autori hanno evidenziato che “eventi stressanti nel corso della
    vita potevano aumentare il rischio di ricadute di malattia, non si poteva affer-
    mare con certezza che questi eventi potessero contribuire a dare il via alla
    malattia”, concludendo comunque che lo stress “è un fattore di rischio impor-
    tante per la sclerosi multipla”, sebbene necessitasse ancora di essere approfon-

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dito con “ulteriori ricerche focalizzate sullo stress ripetuto, impiegando stru-
    menti di misurazione più accurati”.
    Nell’aprile 2012 è stato pubblicato uno studio nel quale soggetti con SM sono
    stati divisi in due gruppi, uno dei quali ha partecipato ad un programma di
    gestione dello stress e l’altro no. Tutti i soggetti erano affetti da una forma di
    SM recidivante remittente, il numero dei soggetti inclusi nel primo gruppo è
    stato di 31, di 30 il secondo. La gestione dello stress è consistita in tecniche di
    rilassamento come il controllo del respiro ed il rilassamento progressivo dei
    muscoli due volte al giorno. Mediante la registrazione di parametri standardiz-
    zati si sono valutati: lo stress percepito, il luogo del controllo della salute, l’an-
    sia e la depressione. In psicologia con il termine “luogo del controllo”, dall’ingle-
    se locus of control, si valuta se un soggetto ritiene che gli eventi della sua vita
    siano provocati dai suoi comportamenti (luogo del controllo interno) o da
    cause indipendenti (luogo del controllo esterno). Per una registrazione più
    fedele dei sintomi della SM, i partecipanti allo studio tenevano appositi diari.
    Lo stress percepito e i sintomi depressivi erano diminuiti significativamente
    dopo 8 settimane di gestione dello stress. Dall’analisi della sequenza dei con-
    trolli è emerso un effetto del trattamento nel tempo sia sul numero dei sinto-
    mi settimanali che sull’intensità media dei sintomi. Non si sono rilevati altri
    effetti del trattamento. Gli Autori hanno concluso auspicando che i risultati
    della loro ricerca contribuiscano alla progettazione di nuovi studi che valutino
    variabili cliniche e laboratoristiche obiettive.
    In uno studio inglese, publicato sul British Medical Journal, che si è focalizzato
    sulla percezione del paziente rispetto alle condizioni stressanti, viene confer-
    mata l’associazione fra gli eventi stressanti e l’esacerbazione dei sintomi nei
    pazienti con SM, inoltre viene chiaramente affermato che la maggior parte dei
    pazienti con SM è convinta che lo stress possa peggiorare i propri sintomi, ma
    questa teoria ha sempre suscitato controversie nel mondo accademico (2).
    Ultima autorevole tra le varie pubblicazioni sull’argomento ci giunge da Mohr
    et al. (3), che hanno valutato l’impatto di un programma di gestione dello stress
    sull’attività di malattia. Da questo emerge che molte persone con SM racconta-
    no che i sintomi sono più evidenti nei periodi di maggior stress e, quando que-
    sto si attenua, diventano meno preoccupati o meno gravi.

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La presente ricerca ha valutato l’impatto di un programma di gestione dello
    stress della durata di 24 settimane sull’attività di malattia. Dall’elaborazione dei
    dati è emerso che il programma di gestione dello stress aveva ridotto l’attività
    di malattia alla risonanza magnetica, tuttavia, i benefici sembravano scompa-
    rire dopo la fine del programma.
    In particolare l’attività della malattia, valutata tramite risonanza magnetica,
    risultava ridotta in modo significativo tra le persone che avevano seguito il
    programma di gestione dello stress rispetto a coloro che appartenevano al
    gruppo di controllo. Il 77% di coloro che aveva seguito il trattamento era privo
    di lesioni cerebrali attive (captanti il gadolinio), rispetto al 55% dei soggetti del
    gruppo di controllo, inoltre il 70% di coloro che aveva seguito il trattamento
    non aveva presentato nuove lesioni, contro il 43% del gruppo di controllo.
    Queste differenze non erano evidenti nel periodo di follow-up, cioè una volta
    che il programma di gestione dello stress era terminato.
    Gli Autori ritengono che i benefici limitati al periodo di trattamento siano
    dovuti in parte al fatto che le persone avrebbero dovuto imparare a mantene-
    re i comportamenti di gestione di riduzione dello stress per conto proprio e
    suggeriscono anche che il supporto telefonico fisso e mobile e via internet
    avrebbero potuto contribuire a sostenere i risultati ottenuti per un più lungo
    periodo di tempo. Nell’editoriale di accompagnamento a tale pubblicazione
    viene sottolineata l’importanza dello studio che potrebbe essere una prova
    diretta “di un nesso causale tra lo stress e l’attività infiammatoria in questi
    pazienti.” Inoltre, nello stesso editoriale e stata sottolineata l’importanza di
    una valutazione della SM in un contesto più ampio dell’attuale in una visione
    biopsicosociale.

    Lo stress e l’impatto sul sistema immunitario
    Nonostante il modello bio-medico abbia caratterizzato, e ancora caratterizzi, la
    maggior parte del pensiero scientifico occidentale, negli ultimi decenni il pro-
    gresso della biologia molecolare, cellulare e genetica, nelle neuroscienze e
    nelle tecniche di imaging cerebrale è stato sfruttato anche per lo studio delle
    relazioni esistenti tra emozioni e salute dell’individuo. Tali ricerche strumenta-

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li recenti hanno permesso di rilevare le numerose connessioni fra i sistemi ner-
    voso, endocrino ed immunitario, e di formulare nuove teorie di “relazione” tra
    le emozioni vissute dolorosamente e la malattia. Tutto ciò ha permesso a diver-
    si studiosi contemporanei di evidenziare l’importanza che rivestono le emozio-
    ni per la sopravvivenza umana e di come esse stesse possano in buona misu-
    ra influenzare gli stati di salute e malattia (4).
    Considerare l’essere umano nella sua interezza, in un’ottica biopsicosociole,
    richiede il riconoscimento della correlazione tra tutti i nostri sistemi (nervoso,
    immunitario, endocrino) considerandoli facente parte di un unico sistema
    interconnesso: “l’uomo”.
    Lo stress deve considerasi un nodo essenziale per la regolazione della fisiolo-
    gia dell’organismo e dei circuiti neuroendocrini.
    È bene chiarire subito che lo stress, di per sé, ed entro certi limiti “soggettivi”,
    non rappresenta per l’organismo umano né un bene né un male. Questo per-
    ché la percezione di un evento quale “stressante” varia soggettivamente da
    individuo ad individuo. Infatti, anche se oggi si parla di stress in senso negati-
    vo, in sé la risposta allo stress è una risposta fisiologica atta a permettere all’in-
    dividuo e alla specie tutta di sopravvivere (5).
    Nel nostro organismo, infatti, in situazioni percepite come stressanti, si innesca
    la produzione di sostanze ormonali definite “ormoni dello stress” (quali adrena-
    lina, noradrenalina, ormone della crescita, ACTH, TSH, FSH, LH, glucagone, b-
    endorfine, a-MSH ecc.) che facilitano la riposta generale dell’organismo alla
    situazione di stress. In parole più semplici, come Selye e altri studiosi hanno
    rilevato, lo stress è positivo quando è percepito nella misura in cui ci fornisce
    la sensazione di avere la possibilità di dominare il proprio ambiente. Viceversa,
    lo stress è negativo quando è percepito come esagerato, indesiderato, spiace-
    vole e accompagnato da sensazioni d’insicurezza, disagio, soggezione. Selye
    chiamò quest’ultimo con il termine di distress ovvero stress negativo, caratte-
    rizzato dalla sgradevole sensazione di malessere associata ad uno spreco di
    energia. Con il termine di eustress invece, quello positivo, sinonimo di vitalità
    associata al massimo di efficacia e produttività.
    Gli studi di Cannon e Seyle sul sistema nervoso simpatico e sull’asse endocri-

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no dello stress hanno quindi aperto la possibilità di dare una rappresentazio-
    ne scientifica al rapporto tra emozioni, salute e malattia.
    Lo stress risulta essere, perciò, una reazione adattativa dell’individuo, che in
    certe situazioni può diventare patogena. Lazarus nel 1991 riprese il concetto di
    stress introducendo il concetto di “mediazione cognitiva” il quale asserisce che
    non tutti gli eventi potenzialmente stressanti inducono l’individuo ad un’atti-
    vazione emozionale identica con conseguente reazione fisiologica di stress,
    ogni evento viene invece valutato soggettivamente dall’apparato cognitivo
    della persona (Fig.1).

    Fig. 1. Lo stress secondo Lazarus (1991).

    È ormai opinione comune che eventi percepiti da un individuo come stressan-
    ti per un periodo prolungato possono attivare i tre sistemi nervoso, endocrino
    ed immune ovvero il soggetto nel suo complesso, ripercuotendosi in tutti gli
    aspetti della sua vita. Tale condizione si può estrinsecare sotto forma di distur-
    bi dell’umore, fatica cronica, influenza sulla crescita influenza sulla sessualità
    Ciò evidenzia l’aspetto solistico dell’uomo e il suo rapporto con l’ambiente in
    termini di reciprocità.
    L’insieme di tutte queste correlazioni ha dato il via ad una nuova branca di
    studi denominata psiconeuroimmunologia.
    Con il termine “Psiconeuroimmunologia”, si fa riferimento allo studio dell’inte-
    razione tra sistemi nervoso, endocrino, immunitario e psiche (6,7).
    Sono diversi gli studi che hanno dimostrato che le risposte immunitarie posso-

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no essere modificate usando le tecniche del Condizionamento Classico; di
    rilievo in questo campo è l’esperimento di Ader e Cohen (1975) che adottaro-
    no una tecnica specifica per stabilire la risposta condizionata: l’avversione per
    il gusto o “effetto Garcia”.
    Numerose sono anche le ricerche sulla modulazione del sistema immunitario,
    per esempio alcune hanno dimostrato che il condizionamento può essere utiliz-
    zato in aggiunta alla farmacoterapia nel trattamento di alcune malattie autoim-
    muni (ad esempio nel LES) ed altre ancora che il condizionamento può modifi-
    care la resistenza dell’organismo alla crescita della massa tumorale. In particola-
    re, nello studio del 1989 di Ghanta, Hiramoto e Solvason, fu utilizzato l’odore di
    canfora come stimolo condizionato e cellule DBA/2 come stimoli incondizionati
    per studiarne gli effetti del condizionamento sulla risposta immunoterapeutica.
    Utilizzarono sei gruppi di animali e a tutti furono iniettate cellule del linfoma YC8.
    Due gruppi erano stati sottoposti a condizionamento ma non erano stati ri-
    esposti all’odore di canfora, un altro gruppo non aveva ricevuto alcun condizio-
    namento mentre il sesto aveva ricevuto solo immunizzazione con cellule DBA/2.
    I risultati dimostrarono che i gruppi condizionati e ri-esposti allo stimolo condi-
    zionato riportavano una diminuzione della massa tumorale e un ritardo nella
    sua crescita rispetto ai gruppi non sottoposti a condizionamento, mentre quello
    non trattato riportava il più alto tasso di crescita tumorale.
    Nel 1981, R. Ader sancì definitivamente la nascita della psiconeuroendocrino-
    logia come disciplina. L’implicazione fondamentale riguarda l’unitarietà del-
    l’organismo umano, la sua unità psicobiologica frutto della scoperta che com-
    parti così diversi dell’organismo umano funzionano con le stesse sostanze.
    Nel 1987 Biondi, Pancheri e Cotugno (4), trovarono immunodepressione in
    soggetti con elevati valori nella scala D, depressione, e nella scala SI, introver-
    sione sociale, dell’MMPI, valori elevati alla scala negazione nel Test degli
    Schemi di Reazione; indicativa di coping del tipo rimozione-diniego nell’af-
    frontare situazioni conflittuali.
    I confini tra malattie organiche e disturbi psicologici, o tra mente e corpo sono
    molto sfumati: è quindi necessario occuparsi del paziente utilizzando un
    approccio multidisciplinare come la psiconeuroendocrinoimmunologia.
    È il nostro stesso corpo che ci tradisce, ci “attacca” (8,9).

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Le emozioni più comuni sono la rabbia, la paura, la preoccupazione per i cam-
    biamenti dell’immagine corporea, l’angoscia di non riuscire a programmare il
    futuro e il senso di colpa che può arrivare a prendere la forma di sintomi ansio-
    si e depressivi.
    Senza mettere in secondo piano le importanti scoperte medico-scientifiche,
    senza le quali non sarebbe possibile nessuna cura, possiamo, nell’ambito del
    modello bio-psico-sociale, considerare come elemento fondamentale nell’ap-
    proccio di cura delle malattie autimmunitarie e tumorali l’aspetto psicologico-
    emozionale.
    Negli ultimi anni infatti, proprio grazie alle scoperte di correlazione tra i vari
    sistemi, sono sempre più numerosi gli studi che testimoniano l’importanza
    dell’aspetto psicologico nella cura di questi pazienti. Le ricerche mostrano che
    la psicoterapia unitamente al trattamento farmacologico, incrementa il miglio-
    ramento della malattia. Non ci sono ad oggi ricerche che individuano un orien-
    tamento psicoterapico d’elezione.
    Con i pochi esempi sopra citati riguardo l’influenza del contesto sociale e le
    abitudini delle persone rispetto all’insorgenza di diverse malattie autimmuni-
    tarie, viene da riflettere sull’importanza della prevenzione sia nelle abitudini
    che negli screening precoci pubblicizzati dai Dipartimenti di sanità.
    Ci sono quindi determinanti biologici e genetici che si manifestano dalla nasci-
    ta o durante l’infanzia o l’età adulta, oppure che predispongono la persona a
    sviluppare malattie nell’arco della vita; determinanti psicologici quali la capa-
    cità di coping, l’hardiness, l’autoefficacia, l’autostima e la capacità di comunica-
    zione e di risoluzione dei problemi (10,11). Ci sono poi i determinanti sociali
    che comprendono la collocazione nella società in base al reddito, al tipo di
    lavoro ed alla salute mentale, il tipo di rapporti sociali instaurati ed alle appar-
    tenenze a qualche forma di aggregazione, i fattori culturali e non per ultimi
    quelli ambientali; determinanti connessi allo stile di vita in cui rientrano tutte
    quelle abitudini che caratterizzano l’alimentazione, l’uso di alcool e di fumo,
    l’attività fisica, lo stato civile, le abitudini sessuali, il sonno e naturalmente la
    gestione dello stress presente in tutte le aree.
    Il paradigma sistemico biopsicosociale di promozione della salute (12, 13), si
    attiva proprio sviluppando strategie per intervenire in queste interazioni, uti-

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lizzando un modello per cui devono sussistere le seguenti componenti (7):
    considerare la persona nella sua interezza e nel contesto della sua ecologia
    umana, tenendo presente tutte le interazioni sociali;
    cercare di comprendere i costrutti della persona a proposito della salute;
    riconoscere gli effetti della salute sui cambiamenti dei comportamenti ed il
    ruolo fondamentale dell’individuo nel promuovere e proteggere la propria
    salute autonomamente o con l’aiuto di professionisti (14).

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