STALIN, TROTSKY E MARCO RIZZO - di Mauro Pasquinelli

Pagina creata da Nicolo Parisi
 
CONTINUA A LEGGERE
STALIN, TROTSKY E MARCO RIZZO - di Mauro Pasquinelli
STALIN, TROTSKY E MARCO RIZZO
di Mauro Pasquinelli

                                                     Riceviam
o e volentieri pubblichiamo.

Marco Rizzo, l’assassinio di Trotsky e la piccozza di Mercader

Dopo aver commesso l’errore fatale di votare i 5 stelle nel
2018, alle ultime regionali stavo per commetterne un altro,
votando il Partito Comunista di Marco Rizzo. Mi spingevano a
farlo le sue condivisibili esternazioni contro il Governo
Conte, contro la Nato e l’Euro, che ho sempre fatto mie. Ma
una volta entrato nell’urna qualcosa mi ha trattenuto dal
farlo, ed è il nostalgico stalinismo del suo gruppo dirigente.

Puntuale è giunta la conferma della giustezza delle mie
remore, in una forma che più esplosiva e paradossale non si
poteva.

L’8 Giugno scorso Marco Rizzo, scrive nella sua pagina
Facebook questo indegno e riprorevole post:

“L’8 giugno 1960 Ramón Mercader venne insignito della Stella
di Eroe dell’Unione Sovietica. Parente stretto di Maria
Mercader, la moglie di Vittorio De Sica. Era stato appena
rilasciato dopo vent’anni di carcere duro in Messico, durante
i quali non rivelò mai la sua vera identità e la sua
appartenenza all’NKVD. Nel 1963 l’onorificenza gli fu revocata
da Kruscev non a caso. Continuò però a tenersi la Stella. Morì
a L’Avana nel 1978, ma venne sepolto a Mosca, dove tuttora si
trova la sua tomba, con il nome di Ramon Ivanovich Lopez nel
cimitero Kuntsevo, un posto d’onore per i cekisti e per chi ha
servito la patria sovietica. GRANDE ONORE a MERCADER”.

Il primo pensiero che mi è venuto in mente, leggendo queste
righe, è proprio il detto di Marx a proposito di Luigi
Bonaparte: “la storia si ripete sempre due volte prima come
tragedia e poi come farsa”.

Marco Rizzo non è insolito esibire, in una vera e propria
caduta di stile, la sua professione di fede stalinista, ma
questa volta ha passato il segno e mi costringe ad una dura
replica. Non me ne vorranno i molti compagni che militano in
questo partito, o che lo votano, pensando ingenuamente che
esso rappresenti una alternativa rivoluzionaria a questo
sistema. Molti di essi godono della mia stima, ma è giunto il
momento di fare chiarezza e di aprire gli occhi su questo
stravagante personaggio che li guida.

Una figura che io definisco senza peli sulla lingua, dottor
Jekill e mister Hide, un homo duplex, totalmente scisso tra
l’essere e il non essere, tra l’essere e l’apparire, tra una
parte degna, rappresentata da molte sue giuste dichiarazioni
pubbliche, ed un’altra demoniaca, che non solo contrasta con
la prima, ma la schianta e la annulla.

Marco Rizzo è una di quelle figure tipiche della fauna di
sinistra degli ultimi 80 anni che io definirei “rivoluzionario
di carriera”, di contro al “rivoluzionario di professione” di
leniniana memoria. Il rivoluzionario di carriera è un
attivista per antonomasia, che fa della predica rivoluzionaria
un ufficio per apparire, per dare sfogo al proprio narcisismo,
oggi diremmo per fare comparse televisive, ricevere like e
firmare autografi.

Se Guy Debord fosse ancora in vita lo definirebbe un comunista
da avanspettacolo, un bravo attore che recita una parte
“sinistra” nel teatro osceno della società spettacolarizzata.
Di bravi arrampicatori come Rizzo ne abbiamo visti tanti in
Occidente, dopo la fine della seconda guerra mondiale,
passando per il ’68 e il ’77: da Daniel Cohn Bendit a
Bertinotti, da D’Alema a Beppe Grillo: iniziano come
incendiari e finiscono come pompieri, magari con una bella
villa in campagna e un’altra al mare, senza mai farsi sfuggire
la pensioncina d’oro!

Il rivoluzionario di carriera, tipico esponente della fauna
folkloristica di sinistra, vive di rendita sulle conquiste dei
veri rivoluzionari di professione. Ogni tanto commemora
anniversari e celebra ricorrenze per tenere desta la memoria
dei suoi adepti addormentati e smarriti.

Marco Rizzo non sfugge a questo stantio cerimoniale, solo che
questa volta ha ribaltato i termini: invece di ricordare il
grande rivoluzionario di professione Trotsky, uno dei migliori
talenti universali che il movimento socialista abbia mai
prodotto, ha celebrato il suo vile assassino, la canaglia che
in pieno stile mafioso, gli ha fracassato il cranio con un
colpo di Piccozza. Per fare una analogia è come se invece di
commemorare Che Guevara avesse riabilitato il suo assassino!

Parafrasando ciò che di Hume disse Hegel possiamo affermare:
con Marco Rizzo si e’ toccato il punto piu’ basso della storia
comunista italiana negli ultimi 70 anni.

Chi era Trotsky?

Prima di passare ad una serrata critica del post, occorre
ricostruire la scena del delitto magnificato dal nostro.
Si sta parlando dell’assassinio di Leone Trotsky un gigante
del XX secolo, presidente del Soviet di Pietroburgo già a 25
anni, nella prima rivoluzione russa del 1905, una figura di
intellettuale che molti critici hanno classificato ai vertici
del pensiero e della letteratura russa del XX secolo, da tutti
gli storici considerato il più brillante oratore dell’Ottobre
Rosso. Se fosse morto prima della rivoluzione non avrebbe
sfigurato difronte a personaggi storici del movimento operaio
come Bakunin, Herzen o Rosa Luxemburg.

Il 1917 lo ha consacrato come il fondatore dell’armata rossa e
il dirigente più influente, secondo solo a Lenin, alla guida
della prima grande rivoluzione proletaria vittoriosa nella
storia.

Il 25 Ottobre di quell’anno Trotsky era alla guida del
comitato rivoluzionario che diede l’assalto al Palazzo di
Inverno provocando la caduta del governo provvisorio di
Kerensky. Per quattro anni, dal suo treno piombato, guidò
vittoriosamente il primo esercito proletario, l’armata rossa
nella difesa della patria sovietica dagli attacchi degli
eserciti occidentali.

Alla morte di Lenin avvenuta nel gennaio del 1924, fu
chiaramente indicato dal leader bolscevico, nel suo
testamento, come suo successore, per essere il compagno più
capace dell’intero Comitato Centrale del partito, nonostante
ne criticasse la tendenza amministrativista.

Scrive Lenin

“Io penso che, da questo punto di vista, fondamentali per la
questione della stabilità siano certi membri del CC come
Stalin e Trotski. I rapporti tra loro, secondo me,
rappresentano una buona metà del pericolo di quella scissione,
che potrebbe essere evitata e ad evitare la quale, a mio
parere, dovrebbe servire, tra l’altro, l’aumento del numero
dei membri del CC a 50 o a 100 persone.”
Poi continuava:

“Il compagno Stalin, divenuto segretario generale, ha
concentrato nelle sue mani un immenso potere, e io non sono
sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente
prudenza. D’altro canto, “il compagno Trotski come ha già
dimostrato la sua lotta contro il CC nella questione del
commissariato del popolo per i trasporti, si distingue non
solo per le sue eminenti capacità. Personalmente egli è forse
il più capace tra i membri dell’attuale CC, ma ha anche una
eccessiva sicurezza di sé e una tendenza eccessiva a
considerare il lato puramente amministrativo dei problemi.”
(1)

Che fosse il più capace e il migliore per rivestire il ruolo
di sostituto di Lenin, era chiaro non solo a quest’ultimo ma a
tutti i membri dell’Internazionale comunista compresi Gramsci
e Bordiga, fondatori del PCI. A tutti tranne che a Stalin, che
verso di lui covava un odio irrefrenabile.

Trotsky si rifiuta inspiegabilmente (qui il suo errore fatale)
di portare il testamento di Lenin al XII Congresso del Partito
Comunista (bolscevico) Russo, permettendo a Stalin, già
segretario generale dal 1921, di riorganizzare la struttura
del partito, piazzando i suoi uomini di fiducia in tutti i
posti chiave.

Nell’autunno del 1923, quando già Stalin aveva assunto il
controllo del potere, Trotsky si pone alla testa
dell’opposizione di sinistra anti-staliniana allo scopo di
combattere l’involuzione autoritaria e burocratica, e
riportare lo Stato post-rivoluzionario sui binari della
democrazia sovietica. Ma la storia, a causa della stanchezza
delle masse russe e del riflusso della rivoluzione
internazionale, non gli gioca a favore.

Nel 1926 viene espulso dall’Ufficio politico e nel 1927 dal
Comitato Centrale. Nel 1928 viene deportato ad Alma Ata,
nell’Asia centrale sovietica, per essere poi espulso dall’Urss
l’anno seguente.

Iniziava cosi il suo terzo esilio che si sarebbe concluso con
il suo assassinio avvenuto a Città del Messico il 20 agosto
del 1940 ad opera del sicario Ramon Mercader, al soldo della
Ghepeu, il famigerato servizio segreto russo.

La scena del macabro delittoSiamo giunti sulla scena del
macabro delitto, commemorato da Rizzo.
Stalin temeva di perdere la guerra e con essa la direzione del
PCUS.
Chi se non Trotsky avrebbe potuto essere chiamato alla guida
di un nuovo corso, se Stalin avesse fallito la strategia di
difesa dell’Urss durante la seconda guerra mondiale?
Il rivale Trotsky, doveva essere eliminato. Ma eliminato nella
forma peggiore e criminale, con un colpo di piccozza alla
nuca, che avrebbe dovuto spegnere lentamente il suo cervello,
tra atroci sofferenze.Il sadico piano è stato studiato nei
minimi dettagli dopo che il primo assalto alla casa di
Trotsky, guidato dal pittore messicano Alfaro Siqueiros, fallì
miseramente il 24 maggio del 1940.
Furono stanziati 600.000 dollari per la riuscita
dell’operazione. (2)
Un agente della Ghepeu, già infiltrato nella Quarta
Internazionale, riesce a far incontrare a Parigi la sorella
della Segretaria di Trotsky, Sylvia Agelof, con Ramon
Mercader, ex combattente nella guerra civile spagnola.
Lui la corteggia e lei si invaghisce di lui.
Attraverso vari strategemmi, Ramon Mercader riesce a
trasferirsi in Messico insieme a Sylvia e successivamente a
farsi accreditare come simpatizzante della Quarta
Internazionale.
Entra in amicizia con un altro esponente di spicco di questa
organizzazione, Alfred Rosmer, e di li a poco con Trotsky e
sua moglie, che inizia a frequentare, seppure sporadicamente
per non destare sospetto.
Il 20 Agosto Mercader si reca per l’ultima volta
nell’abitazione di Trotsky, sorvegliata da sette guardie del
corpo, per comunicargli che sarebbe partito il giorno dopo con
Silvia alla volta degli Usa, prima però voleva fargli leggere
un suo documento in difesa della Quarta Internazionale.
Era presente anche la moglie di Trotsky, Natalia Sedova, che
accompagnò entrambi dal giardino, dove il leader sovietico
ogni giorno si prendeva cura dei propri conigli, verso lo
studio.
Una volta giunti allo studio di Trotsky, Natalia si ritira in
un’altra stanza e lascia soli i due. Mentre Trotsky seduto si
appresta a leggere lo scritto, Ramon Mercader estrae una
piccozza dal suo impermeabile e gli sferra un colpo micidiale
alla nuca.
La piccozza penetra per sette centimetri nel cervello di
Trotsky ma non lo uccide.
Egli emette un urlo straziante e riesce persino a bloccare la
mano omicida dell’infame sicario, mentre era in procinto di
sferrargli il secondo colpo.
Le urla del rivoluzionario russo attirarono le guardie, che
bloccarono immediatamente Mercader facendolo arrestare.
Trotsky riusciva ancora a parlare quando, con il volto coperto
di sangue, pronunciò faticosamente: “non uccidetelo deve
confessare tutto sui suoi mandanti”.
Egli morì il giorno seguente all’ospedale.
Ontologia del crimine
Torniamo a Marco Rizzo.
Nel post in difesa del sicario Mercader io intravedo in
filigrana l’essenza della sua persona dietro la falsa
apparenza delle pubbliche dichiarazioni.
Leggo una vera e propria apologia del crimine politico, che
diventa ontologia e weltanschauung.
Una Ontologia che si dipana in poche frasi e che passa dalla
rivendicazione della canagliata di un sicario, alla sua
commemorazione, dal rimprovero a Krusciov che revocò
l’onoreficenza a Mercader alla esaltazione di stelle e
medaglie alla memoria.
Brilla una forma mentis da tipico gerarca, lascio a voi
giudicare se stalinista o altro!Mi chiedo: a chi pretende di
rivolgersi con questo epitaffio alla sua carriera, l’homo
duplex? Semplice, agli ultimi cascami dello stalinismo, cioè
ad una minoranza della minoranza del movimento comunista, già
in frantumi e nel punto più basso della sua parabola storica
secolare.
Una minoranza che definirei non solo stalinista ma rancorosa,
satanista, piena di osceni sentimenti di odio contro altre
tendenze del movimento operaio e comunista, di cui quella
trotskista è parte integrante.
Andate a leggere i commenti in calce al post di Rizzo su
Facebook.
Spuntano elogi dell’eroe Mercader, e piccozze da tutte le
parti.
Un osceno e tragicomico flashback sul Partito di Rizzo.
Una regressione culturale che peggio non si poteva scorgere
nella pagina di un “leader” politico.
E’ questa la base militante del PC di Rizzo?
La lezione di Gramsci sulla costruzione di un blocco egemonico
nazional-popolare, largo e maggioritario, la sua esortazione
ai giovani ad usare tutta la loro intelligenza, non poteva
essere più distante da queste riprorevoli dimostrazioni di
odio settario.
Subito dopo la pubblicazione del post un amico mi ha scritto:
“Ce lo vedi Rizzo a capo di una cricca di criminali Nkvd che
piccozza i cervelli degli oppositori, dopo aver votato la
fiducia ad un governo neoliberista come quello di Prodi, (che
ha firmato il trattato di Mastricht), l’infame pacchetto Treu
nel giugno del 1997, e dopo aver sostenuto il governo NATO-
D’Alema nel 1999, mentre bombardava la Iugoslavia di
Milosevic?”.
Gli ho risposto: sinceramente no.
Marco Rizzo oggi rassomiglia più ad un pistoleros con la
pistola ad acqua, ad un cavaliere col cavallo a dondolo. Ma
attenzione: tutti gli anonimi personaggi che Stalin utilizzò
per scatenare le grandi purghe contro l’opposizione di
sinistra, mi riferisco ai Vyshinsky, Ezov, Yagoda, Beria, a
loro volta uccisi, tranne l’ultimo, per non lasciare tracce ed
avere testimoni, erano persone apparentemente comuni.
Ciò che si cela nell’animo umano è sempre imponderabile. In
determinate condizioni storiche il subdolo, che è in molti
uomini, può scatenarsi come una furia incontrollata. Quindi è
piu’ probabile che Rizzo finirà la sua carriera di
“rivoluzionario” sul cavallo a dondolo, ma nessuno può sapere
cosa sarebbe capace di fare, nell’ipotesi altamente
improbabile che le condizioni storiche lo lanciassero al
potere, magari come uomo solo al comando.
Il post riprorevole su Mercader ci dice solo una cosa: non
bisogna dimenticare né sottovalutare.Qui abbiamo a che fare
con la famosa critica dell’ideologia, di Marxiana memoria.
Marx ci rammentava giustamente che, come non si può giudicare
una classe sociale da quello che dichiara di essere, così non
si può giudicare un uomo da suoi pensieri, o da quello che
dice di se stesso..
Rizzo va giudicato per i fatti e i fatti ci dicono che è un
classico socialdemocratico che parla di comunismo come il
prete parla dell’al di là, che usa la narrazione comunista
come uno specchietto per le allodole, mentre scinde
Rifondazione da destra e vota la fiducia a Prodi. Ma la butade
su Mercader è interessante per due motivi, primo perché ci
offre la dimensione della sua scissione schizofrenica, del suo
bipolarismo, (ultrastalinista a parole e riformista nei fatti)
nonchè del suo subconscio malato, rancoroso, spudoratamente
sadico (parte irrazionale).
Secondo perchè ci regala in poche battute l’immagine della sua
idea di rivoluzione e di comunismo (parte razionale).
Una sorta di nuova prigione dei popoli, un universo
concentrazionario dove chi non è in linea con la politica del
leader Maximo o del partito-stato, viene liquidato senza
pietà.Abbiamo visto che Trotsky non fu un uomo qualunque.
Egli fu il primo capo dell’armata Rossa e del comitato
rivoluzionario che ha dato vita alla rivoluzione d’ottobre. Fu
il numero due dopo Lenin.
Ciò che Rizzo e gli stalinisti non perdonano a Trotsky, come a
tutti gli artefici della rivoluzione liquidati da Stalin, è la
loro battaglia indomita ed eroica contro la degenerazione
interna del regime, compiuta sotto le insegne del Socialismo,
della democrazia sovietica e dei diritti della classe operaia.
L’apertura degli archivi sovietici dopo l’89 ha scoperchiato
il vaso di Pandora, confermando tutte le accuse di Trotsky sui
crimini di Stalin.
Oramai nessuno storico ha più dubbi: decine di migliaia di
oppositori politici, molti dei quali amici di Lenin, furono
liquidati con la menzogna di essere cospiratori e agenti del
nazismo, e costretti a confessarlo pena il sequestro, la
tortura e la morte dei propri famigliari.
A capo di questa cospirazione anti sovietica, secondo la
versione ufficiale di Stalin, ci sarebbe stato Trotsky, il
principale agente di Hitler.
Mai calunnia fu così insensata, spudorata e dimostrata come
falsa.
Ci sarebbe da ridere per non piangere, ma per decenni, grazie
al mito di Stalin “eroe della gloriosa vittoria contro il
nazifascismo”, e grazie anche alle calunnie sparse a piene
mani da agenti staliniani come Togliatti, molti hanno creduto
alla infame narrazione.
Tutto ciò ricorda alla perfezione l’inquisizione medievale e
la caccia alle streghe.
Tutti oramai sanno fin dove si spinse la scuola della
falsificazione staliniana: a cancellare le stesse foto che
ritraevano Trotsky insieme a Lenin o a eliminare il suo nome
persino dai manuali della storia sovietica.
Leggete la storia del partito bolscevico scritta da Stalin per
averne prova.
Su questa scuola della falsificazione George Orwell ha scritto
il romanzo più bello del XX secolo, 1984: il ministero della
verità stalinista riscriveva la storia per obnubilare le menti
e controllare il futuro, ricorrendo all’uso di una neolingua
che presentava la guerra come pace, la schiavitù come libertà.
Ma la verità prima o dopo emerge come la pianta dal seme.
Essa non è mai di parte, è sempre rivoluzionaria.
Rizzo si gonfia il petto con le menzogne, oramai smascherate,
della scuola della falsificazione staliniana.
Ciò mette il sigillo definitivo sulla sua pochezza di uomo e
sulla sua bassa statura di intellettuale e di politico.
Rizzo esalta il “gesto eroico” di una canaglia, di un sicario
che colpisce alle spalle una persona inerme dopo aver
conquistato la sua amicizia e simpatia. Ci può essere più vile
apologia della codardia e del disumano? Il pensiero corre a
Giulio Cesare pugnalato a tradimento dal suo figlio adottivo e
beniamino Bruto. O a Giuda Iscariota che con il suo bacio
tradì Cristo, facendolo crocifiggere.
Quanta arte e letteratura scorre su questi episodi? Quanta
bellezza in rime da parte di Shakespeare nel suo testo
memorabile dove fa recitare in modo sublime Marco Antonio?!
Eppure nessuno dei grandi artisti ha composto opere per
esaltare il traditore, il Bruto, il Giuda Iscariota o il
Ponzio Pilato. Il tradimento che porta alla morte del tradito
ne esalta le doti e ne attutisce le colpe storiche. Nel caso
di Cesare i molti crimini compiuti in guerra, soprattutto in
Gallia. Marco Rizzo è forse il primo nella storia del pensiero
politico, o meglio il secondo dopo Stalin e i suoi ascari, che
si sforza di dare dignità al gesto di una canaglia che
colpisce a tradimento.
Conclusioni
Ricapitolando, le affermazioni di Rizzo sono gravi sotto
quattro aspetti: storico-politico, etico-morale, psicanalitico
e comunicativo. Sull’aspetto storico politico ho già
accennato.
Voglio qui aggiungere alcune brevi considerazioni.
Marco Rizzo esalta Stalin come il vero continuatore della
politica di Lenin. Non tiene conto però di un “piccolo”
particolare: l’ultima battaglia di Lenin.
Costui il 22 dicembre del 1922 ruppe i rapporti personali con
Stalin e chiese a Trotsky di costruire un blocco politico per
destituire il Georgiano dalla carica di Segretario generale
(3).
Lenin considerava Stalin un dirigente pericoloso, a causa dei
suoi metodi brutali, per il futuro dell’unita’ del partito e
dello Stato. Per marcare definitivamente la sua distanza da
Stalin, Lenin scrisse nel testamento le seguenti parole:
“Stalin è troppo grossolano, e questo difetto, del tutto
tollerabile nell’ambiente e nei rapporti tra noi comunisti,
diventa intollerabile nella funzione di segretario generale.
Perciò propongo ai compagni di pensare alla maniera di
togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo
posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si
distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qualità,
quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e
più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc. Questa
circostanza può apparire una piccolezza insignificante. Ma io
penso che, dal punto di vista dell’impedimento di una
scissione e di quanto ho scritto sopra sui rapporti tra Stalin
e Trotski, non è una piccolezza, ovvero è una piccolezza che
può avere un’importanza decisiva.” (4)
Il testamento di Lenin fu nascosto da Stalin fino alla sua
morte avvenuta nel 1953. Lo trovarono in un cassetto della sua
scrivania al Cremlino. Fu pubblicato per la prima volta in
Russia nel 1956. Da vero genio del male, nascose il testamento
di Lenin, mentre fece imbalsamare la sua mummia ed erigere in
suo onore un mausoleo. Divinizzando Lenin si preparava a
inaugurare il dispotismo assoluto e il culto della propria
personalità.La Krupskaia, moglie di Lenin, fu ostinatamente
contraria alla costruzione del mausoleo e scrisse: “la volontà
di Lenin per l’avvenire non era costruire statue o mausolei in
suo nome ma scuole, strade ed ospedali”.
Nel 1926, rincarò la dose “se Lenin fosse sopravvissuto
sarebbe già in galera”.
Siamo nel 1926 anno in cui lo stesso Antonio Gramsci,
arrestato dai fascisti, scrisse la famosa lettera a Togliatti,
allora in Russia, in cui denuncia la durezza e arbitrarietà
dei metodi staliniani contro l’opposizione, quando ancora
sangue non era scorso tra i membri e i dirigenti del partito
bolscevico, ma volavano solo insulti, calamai e portaceneri.
Passano 10 anni e dai calamai si passa alle grandi purghe,
cioè all’assassinio sistematico di tutti i dirigenti della
rivoluzione d’Ottobre. Il 90% dei membri della vecchia guardia
bolscevica fu eliminato fisicamente da Stalin. Solo Sverdlov,
Dzerzinskij e |Lenin morirono di morte naturale. Dei 139
membri e supplenti del Comitato centrale del partito, eletti
al XVII congresso del 1934, nei due anni successivi 98 furono
arrestati e fucilati.
E’ il Termidoro sovietico.
La famosa reazione che ingoia la rivoluzione. La rivoluzione
che divora i propri figli.
Questa pagine vile e vergognosa della storia del movimento
operaio viene esaltata da Rizzo come necessita’ per epurare il
partito dai “traditori” e salvare l’unita’ dello stato
sovietico.
Fecero un deserto e lo chiamarono comunismo.
Passiamo all’aspetto etico-morale.
Il gesto di Mercader è esecrabile dal punto di vista morale, a
prescindere dalle posizioni politiche dell’avversario, e dalla
gravità delle accuse a lui mosse. Esaltare un omicidio
compiuto in quelle modalità mafiose e criminali significa
offrire di sé un immagine eticamente oscena, mostruosa.
Significa aver perso ogni barlume della ragione, togliere ogni
dignità e credibilità al progetto politico, soprattutto se ci
si dichiara democratici e comunisti.
Significa sdoganare la piu’ vile forma di violenza impolitica.
Quello di Mercader è il mezzo infame che scredita il fine,
qualunque esso sia.
E’ la slealtà eretta a prassi politica. Del comunismo ci sono
tante varianti politiche, ma nessuna, tranne quella di Stalin
e di Marco Rizzo, inneggia all’uso della tortura come mezzo
politico.
L’uso della brutale violenza è la corda con cui si impiccano,
insieme ai nemici, i propri principi.
Sarebbe stato d’accordo anche Macchiavelli.
Per un comunista il raggiungimento di un fine rivoluzionario
non puo’ essere disgiunto da mezzi rivoluzionari. Il fine è
nello stesso mezzo, e il mezzo nel fine.
Mi chiedo cosa accadrebbe in questo paese agli oppositori
politici se il Partito di Rizzo, che esalta la piccozza e la
tortura, andasse al potere? Che ne sarebbe della cultura, del
dissenso? E qui vengo alla critica di carattere psicanalitico.
Bisogna essere degli psicopatici per avere nostalgia dei
metodi staliniani di tortura ed eliminazione delle
opposizioni.
E’ oramai acclarato che sotto la dittatura di Stalin il solo
sospetto di contraddirlo veniva punito con l’eliminazione
fisica o l’internamento nei Gulag.
500.000 comunisti uccisi e 5 milioni di internati nei campi di
lavoro come schiavi, è il triste bilancio storico di questo
regime.
Fare apologia dello stalinismo nel 2020 denota secondo me un
disturbo grave sul piano psicanalitico prima che politico.
Cosa è uno psicopatico?
E’ una personalità scissa che scambia un oggetto per un altro,
un gatto per un orso, un criminale per un benefattore.
Ognuno di noi in forme diverse è un dottor Jeckill e Mister
Hide.
Ma una sorta di pudore ci porta a celare la nostra ombra, a
frenare a limitare la nostra parte oscura e irrazionale.
Il “compagno” Rizzo non ha di queste remore: offre al pubblico
il peggio di stesso, esibendolo addirittura come un vanto, un
trofeo.
E arriviamo al piano comunicativo.
Nella letteratura socialista e comunista, la forma è stata
sempre considerata importante quanto la sostanza. Scrivere un
testo sgrammaticato indebolisce e scredita i contenuti dello
stesso. Fare un comizio in piazza, usando epiteti volgari,
squalifica chi lo fa a prescindere da quello che dice.
Karl Marx scolpiva e limava i suoi testi in modo maniacale,
perchè non ci dovessero essere sbavature che ne incrinassero
la bellezza. Antonio Gramsci era un perfezionista della forma
letteraria e del metodo politico.
Nella lotta tra Stalin e Trotsky, seppur si schierò all’inizio
con la maggioranza guidata da Stalin, ne deploro’ subito i
metodi autoritari e persecutori (5).
Marco Rizzo a quale tradizione comunista si riallaccia? Non
c’è alcun dubbio: alla peggiore, a quella che, sotto la
pressione degli eventi e della lotta di classe ha contribuito,
a tirar fuori la parte peggiore dell’uomo.
Che dire del suo post sul piano della tattica politica e della
comunicazione? Pensare di costruire una forza egemonica e un
blocco sociale nell’Italia del 2020 esaltando il gesto di una
canaglia nel 1940, parafrasando Hegel, è il reale che si fa
assurdo. Forse Rizzo, dopo la scissione della sua sezione
giovanile che lo accusa di Rosso-Brunismo, voleva rifarsi una
sorta di verginità ideologica, ritornando alle origini.
Peccato che per lui le origini non sono Spartaco, il Manifesto
del ’48 o la grande rivoluzione d’Ottobre, è la piccozza di
Mercader.
Fonte: mauropasquinelli.blogspot.com
Note
(1) V. I. Lenin, il testamento, Opere complete vol 36, Editori
Riuniti, Roma 1969, pag 427-432. La lettera al Congresso,
meglio nota come Testamento di Lenin, venne dettata dal leader
sovietico alle proprie segretarie tra il 23 e il 29 dicembre
1922 (con una aggiunta datata 4 gennaio 1923)
(2) Leandro sanchez Salazar, Julian Gorkin, Così fu
assassinato Trotsky, Res Gestae edizioni 2019, pag 269.
(3) Moshe Lewin, l’ultima battaglia di Lenin, Laterza 1959,
pag 99. Stalin fu incaricato dal comitato centrale di vegliare
che il regime del malato Lenin fosse scrupolosamente
rispettato. Le prescrizioni erano date dai medici ma in
coordinamento costante con Stalin. Il 22 dicembre del 1922,
apprendendo dai suoi informatori che il giorno prima la
Krupskaja aveva scritto una lettera (in realta’ un biglietto)
sotto la dettatura di Lenin, Stalin la chiamo’ al telefono e
la copri’, afferma la stessa Krupskaia di ingiurie indegne e
di minacce. Pretendeva di incriminarla davanti la commissione
centrale di controllo per la sua infrazione alle prescrizioni
del regime del malato. Lenin non perdonò la sua impertinenza e
due mesi dopo scrisse a Stalin queste testuali parole “Non ho
intenzione di dimenticare troppo facilmente ciò che è stato
fatto contro di me e va da se che ciò che è stato fatto contro
mia moglie, lo considero come fatto contro di me”.
(4) V. I. Lenin, Ibidem aggiunta del 4 gennaio 1923
(5) Il 1926 è, per motivi diversi, un anno cruciale non solo
nella nostra ma anche nella storia dell’ Urss perché dopo la
dura controversia che ha contrapposto Stalin e Bucharin a
Zinoviev e Trotzky, certifica la definitiva presa del potere
da parte di Stalin e la vittoria della prospettiva della
costruzione del socialismo in un solo paese. La controversia
che dilania il partito russo, investe, attraverso l’
Internazionale, tutti i partiti comunisti. Compreso quello
italiano cui da mesi, fin dalla primavera di quell’ anno,
Togliatti chiedeva, a nome dell’ Internazionale, di prendere
posizione e di schierarsi a favore di Stalin e contro Trotzky.
Da mesi gli italiani rimandavano, esitavano, fino al punto di
essere sospettati, a Mosca, di qualche simpatia per le
posizioni trotzkiste. Il che non era vero, ma era certamente
vero che Gramsci aveva una concezione del valore dell’ unità
del gruppo dirigente, dei metodi di gestione del partito e
della battaglia interna assai diversa da quella di Stalin. E
lo dirà in modo esplicito nella famosissima lettera che, lungi
dall’ essere quel documento di appoggio alla maggioranza che
Mosca aveva richiesto, ne criticava apertamente i
comportamenti. “L’ unità e la disciplina”, scriveva il
dirigente italiano, “non possono essere meccaniche e coatte;
devono essere leali e di convinzione e non quelle di un
reparto nemico imprigionato o assediato… Vogliamo essere
sicuri che la maggioranza del Comitato Centrale del P.C. dell’
Urss non intenda stravincere e sia disposta ad evitare le
misure eccessive”. (Altro che “misure eccessive”! Non solo gli
oppositori di Stalin, ma anche i suoi momentanei alleati come
Bucharin, conosceranno presto l’ espulsione dagli organismi
dirigenti e dal partito e, infine, i processi e le condanne a
morte). Togliatti legge la lettera di Gramsci con sorpresa e
disappunto. Non ne condivide il tono e i contenuti, la fa
conoscere solo a Bucharin e non la inoltra agli organismi
dirigenti del partito russo, cui pure era destinata. Fa di
più: risponde subito a Gramsci con toni molto duri: “La vostra
visione di ciò che sta succedendo qui a Mosca è miope, errata
in partenza… dobbiamo abituarci a tenere i nervi a posto e a
farli tenere a posto ai compagni della base…”
Puoi anche leggere