SOCIETA' E CULTURA: COME LA SOCIETA' INFLUENZA LA CULTURA

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SOCIETA' E CULTURA: COME LA SOCIETA' INFLUENZA LA CULTURA
Capitolo V

    SOCIETA’ E CULTURA: COME LA SOCIETA’
           INFLUENZA LA CULTURA
PREMESSA
Questo capitolo ripercorre i contributi e presenta in modelli teorici principali
dell’approccio sociologico, che hanno consentito di metter in luce come la società nel
suo insieme influisce sulla cultura, nella determinazione del senso comune,
dell’ideologia, della religione intesi come sistemi culturali.

                           QUATTRO APPROCCI TEORICI
Il rapporto è molto complesso e non è a senso unico. L’idea fertile che i valori, i
simboli e le credenze, ossia gli strumenti con cui valutiamo, rappresentiamo e
classifichiamo cose e persone, operino entro contesti e forme di via sociale. Essi
diventano comprensibili a partire dall’uso che concretamente ne viene fatto in questi
contesi e ambiti relazionali.
D’altro canto la cultura influisce, a sua volta, sulle relazioni sociali vuoi conferendo
loro stabilità, vuoi favorendo lo sviluppo e la diffusione di certi comportamenti.
Il savoir vivre e la civiltè dei ceti aristocratici francesi sono stati imitati dagli altri ceti
in ascesa (borghesia).
Il rapporto tra cultura e società e bidirezionale. Questo tipo di rapporto implica lo
studio dei modi in cui i contesti storico-sociale, strutturati in vario modo, influenzano
la cultura.

Le più importanti questioni sollevate dalla tradizione sociologica possono essere
raggruppate sotto tre titoli principali:
   • la dipendenza delle forme culturali dalle strutture sociali
   • il ruolo che le forme culturali svolgono nella determinazione dell’azione e
      dello sviluppo sociale (variabile indipendente
   • i processi sociali in base ai quali la cultura viene trasmessa da una cultura
      all’altra, si diffonde e si trasforma.

Tipologia dei vari modi di interpretare il rapporto tra società e cultura

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SOCIETA' E CULTURA: COME LA SOCIETA' INFLUENZA LA CULTURA
Negli anni Sessanta e Settanta il dibattito sociologico si concentra sull’asse
determinismo culturale / determinismo sociale (Determinismo= dottrina filosofica a
carattere meccanicistico secondo la quale l’esistere di un fenomeno o il suo modo di esister
dipende totalmente dalla causa fisico-naturale che lo produce, con l’esecuzione della possibilità di
scelta libera da parte dell’uomo).
Questo asse riproduce, in senso lato, l’alternativa filosofica tra idealismo e
materialismo. A un polo, le teorie filosofiche idealiste pongono l’idea come principio
del conoscere e della stessa realtà, mentre all’altro polo le filosofie materialiste pongo
a fondamento della realtà ideale la materia.
La tradizione sociologica tedesca (Weber e Simmel) h preso le distante dalla
posizione idealista mentre la tradizione sociologica francese (Durkheim) è stata
identificata con la posizione idealista (rappresentazioni collettive).
Gradualmente il dibattito si è spostato sull’asse influenza reciproca / autonomia.
Insufficienti le teorie delle scienze sociali che hanno cercato di rendere conto di
questo rapporto, ma però vi sono 4 modelli interpretativi o paradigmi dai quali si
denota che:

   • la cultura può emerge attraverso l’associazione di azioni di individui e gruppi,
     che interagiscono e cooperano tra loro, o per composizione, ovvero come
     risultante dalla somma di azioni di individui e gruppi, senza che sia
     presupposto alcun coordinamento;
   • l’attore sociale può, a sua volta, essere inteso come un soggetto attivo che
     attribuisce un significato alle proprie azioni, significato che deve essere
     indagato e compreso, o come un soggetto passivo dominato da forze che
     perlopiù sfuggono alla sua consapevolezza, di cui quindi di trascura
     l’attribuzione soggettiva di significato.

MODELLI FUNZIONALISTI
Individua la funzione che la cultura svolge nello stabilire e mantenere il sistema
sociale, nasce negli anni 30 dall’antropologia.
   • Malinowski sosteneva che la funzione della cultura consiste nella capacità di
      soddisfare i bisogni fondamentali degli individui dei membri del gruppo (
      nutrizione, protezione, riproduzione).
   • Radcliffe-Brown pensava invece che tale funzione si raggiungesse non
      attraverso il soddisfacimento dei bisogni individuali, ma attraverso la
      conservazione della struttura sociale complessiva. La tesi centrale è che i
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simboli, sia sottoforma di elemento basilare per la comunicazione di idee e
     sentimenti, sia intesi come strumenti di regolazione sociale, funzionano come
     principale sistema di mantenimento dell’ordine sociale.
   • Parson :quello di Parsons è un vero e proprio approccio sistemico in cui molto
     spesso determinati tratti culturali, anziché rappresentare una funzione che in
     generale serve a mantenere l’ordine sociale, esistono a garantire una
     congruenza tra il sistema dei valori e la struttura sociale, in altre parole può
     essere che la funzione sia quella di creare soluzioni a squilibri nel rapporto
     cultura-società.
   • Merton sostiene che l'idea centrale del funzionalismo è interpretare i dati
     attraverso le loro conseguenze sulle strutture più grandi in cui sono
     implicati. Come Parsons analizza la società per vedere se le strutture culturali
     e sociali sono ben integrate oppure no. Ma è interessato a capire per quale
     motivo le società persistono e cerca le funzioni che facilitano l'adattamento di
     un dato sistema sociale. L'analisi funzionalista classica viene considerata
     conservatrice in quanto ricerca i fattori di turbamento delle strutture sociali
     disfunzionali che possono provocare una modifica nello status quo. Merton si
     discosta da quest'analisi tradizionale, e dunque anche da Parsons, perché si
     pone una domanda: "funzionale a chi?". Ammettendo l'esistenza di diversi
     gruppi di interesse all'interno della società, senza considerarla più come un
     organismo unitario, introduce un elemento della sociologia del conflitto
     all'interno della sociologia funzionalista. Inoltre, Merton introduce la
     distinzione tra funzione manifesta e funzione latente. La funzione latente si ha
     quando un fenomeno - egli analizza in particolare i rituali - produce
     conseguenze oggettive, quindi visibili, riscontrabili e non arbitrarie, non
     intenzionalmente volute o ammesse.
Tuttavia il quadro diventa meno chiaro sia quando si tratta di spiegare altri valori e
altre norme i cui benefici collettivi non sono altrettanto evidenti, sia quando si cerca
di dare una spiegazione generale della cultura. (es: il codice d’onore a cui viene
attribuita la funzione sociale di ridurre i conflitti, in realtà genera esso stesso delle
dispute perché l’onore è ottenuto attraverso strategie arrischiate).

In termini generali il funzionalismo è stato importante per lo studio della cultura non
tanto per le spiegazioni della cultura tutta in funzione della società, ma piuttosto per
la capacità di fornire delle interpretazioni potenti ed efficaci della funzione di
specifici tratti e fenomeni culturali rispetto alla società di cui erano parte.

MODELLI CAUSALISTI
Si tratta di un insieme di teorie che hanno in comune l’idea che la cultura in
generale e le sue componenti (valori, norme, credenze) sia direttamente causata
da processi che sfuggono alla coscienza degli individui che a quella cultura
aderiscono.
Le cause possono essere di natura biologica, psichica, economica o sociale, ma non si
rifanno mai ai significati che gli individui possono assegnare ai diversi fenomeni di
cui fanno esperienze.
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Ne consegue che se vogliamo comprendere perché una norma, un valore, una
credenza o un insieme di questi emerge, non dobbiamo rifarci al significato che essi
hanno per il soggetto che vi aderisce, perché le forze psichiche, sociali, ecc.. operano
alle spalle del soggetto, sfuggono alla sua coscienza e sono indipendenti dalla sua
volontà. Pertanto le ragioni addotte dai soggetti non sono prese in considerazione.

   • Vilfredo Pareto attribuisce l’origine di valori e credenze a cause psichiche
     (deviazioni). Se la causa reale sono gli istinti, allora valori e credenze non sono
     altro che mutevoli e fragili tentativi da parte dell’uomo di dare una vernice
     logica e obiettiva a ciò che logico e obiettivo non è.
   • Marx e Durkheim hanno sostenuto l’importanza delle cause sociali:
         o Marx: Le cause possono essere di natura biologica, psichica, economica
            o sociale, ma non si rifanno mai ai significati che gli individui possono
            assegnare ai diversi fenomeni di cui fanno esperienze.
         o Durkheim: a volte ha utilizzato modelli di spiegazione causalisti,
            sostenendo spesso l’esistenza di una relazione causale tra ordine
            sociale e ordine concettuale: ad esempio, la tesi secondo cui il concetto
            di spazio di tipo circolare tipico presso alcune popolazioni australi
            sarebbe il portato dell’organizzazione a cerchio dell’accampamento
            tribale.
   • David Bloor e Barry Barnes hanno elaborato il ≪programma forte≫               ≫ di
     sociologia della conoscenza, che ha sostenuto che l’affermarsi di diversi
     paradigmi nelle scienze sarebbe il frutto di conflitti, giochi di potere,
     interessi di gruppi scientifici e sociali che rappresentano la particolare
     situazione socio-politica di un periodo specifico. Pertanto il susseguirsi di
     paradigmi scientifici sarebbe l’esito di specifici fattori di ordine sociale.

Infine, dagli anni ‘70 si è sviluppata negli Usa una corrente di sociologia della cultura
fortemente interessata a descrivere l’ambito della produzione culturale: gli aspetti
organizzativi e strutturali dell’industria culturale influenzerebbero in modo decisivo
la fruizione culturale e la cultura in generale.

Questa influenza non avviene in modo univoco e automatico, ovvero che detiene il
potere non ha la possibilità di manipolare a suo piacimento la fruizione della cultura -
come sosteneva ad esempio la Scuola di Francoforte negli anni ‘50 e ‘60 - tuttavia la
cultura emerge come la somma di tanti comportamenti organizzativi e si presenta
come un repertorio di elementi scarsamente integrati.

Tra i fattori sociali viene data una particolare considerazione alla struttura dei
mercati, ai sistemi di ricompensa degli specialisti, ai meccanismi di accesso a
specifici campi culturali.

La novità di questo approccio non consiste solo nell’importanza attribuita alle basi
specificamente istituzionali della cultura, ma anche nel focalizzarsi sugli oggetti
culturali, come libri, dipinti, rapporti di ricerca scientifici, ecc.. che di volta in volta,
danno espressione concreta a norme, valori, credenze, ossia agli elementi culturali.
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A questa prospettiva è stata rivolta la critica che studiare la produzione di oggetti
culturali significhi solo affrontare un aspetto della cultura, ma non la cultura in
quante tale.

MODELLI STRUMENTALI
Questi modelli esplicativi si rifanno direttamente alla teoria della scelta razionale che
rappresenta un’importante punto di vista di tutta la sociologia e viene impiegata
molto spesso nelle ricerche socio-economiche. Alla base dell’azione sociale, vi è
l’insieme delle azioni di ogni singolo individuo che si comporta in modo razionale,
perseguendo consapevolmente i propri scopi e calcolando il rapporto costi-benefici.

Secondo Elias vi sono tre versioni dell’Utilitarismo:
   1. le norme sono razionalizzazioni ex post del proprio interesse
   2. sostiene che le persone seguono le norme per paura di ricevere una sanzione se
      non lo fanno
   3. si aderisce a norme sociali per il fatto che hanno spesso conseguenze benefiche

MODELLI INTERAZIONISTI
Si basano sull’interazione comunicativa tra i soggetti. Secondo questi approcci le
norme e le rappresentazioni culturali in generale emergono dalla ripetizione di
soluzioni a problemi ricorrenti di cui esiste esperienza nel passato. Tali problemi e
soluzioni hanno a che fare con pratiche e azioni situate a diversi livelli di complessità.
Secondo il filosofo ed esperto di semiotica Charles Sanders Peirce, le
rappresentazioni simboliche del significato evolvono attraverso l’uso ripetitivo dei
segni quando attori interdipendenti puntano a coordinare la loro interazione.
   • Icona: un segno correlato al suo oggetto per similarità, alcuni esempi sono le
      illustrazioni, i ritratti, e le caricature.
   • Indice: un segno che si riferisce all'oggetto che esso denota, in virtù del fatto
      che è realmente determinato da quell'oggetto, i segni indicali sono motivati per
      contiguità fisica, alcuni esempi sono la firma, la fotografia e l'impronta
      digitale;
   • Simbolo: un segno che si riferisce all'oggetto che denota, in virtù di
      un'associazione di idee generali, si tratta di un segno non motivato, e quindi
      arbitrario, alcuni esempi sono il linguaggio.

Nei modelli interazionisti è interessante notare che anche se lo sfondo intersoggettivo
è già dato all’individuo che vi opera, essi tuttavia ne sono consapevoli, sono in grado
di interpretare, di progettare, negoziare i significati.

Di particolare rilievo è il recente approccio ‘neodurkheimiano’, portato avanti da
Collins, secondo il quale è possibile spiegare i significati riferendosi a particolari
azioni e situazioni. Per tale motivo questo approccio si fonda in particolare sullo
studio dei rituali come modalità normale di interazione quotidiana.

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MODELLI STRUTTURALISTI
Derivano dalla linguistica strutturale di Ferdinand de Saussure che per la lingua
aveva focalizzato l’analisi sulle strutture basilari del linguaggio, sostenendo che esso
è un sistema formale di segni combinati in modo non aleatorio, dando rilievo
primario all'asse della sincronia rispetto a quello della diacronia.

Rispetto allo studio della cultura, lo strutturalismo prende corpo soprattutto in
antropologia grazie all’opera di Claude Levì-Strauss che concentra l’analisi sulla
struttura interna delle culture. Secondo Levì-Strauss esistono degli universali
culturali. La mente umana ha una predisposizione universale a classificare la realtà
in termini di opposizioni binarie.

In seguito lo strutturalismo di Levì-Strauss ha influenzato tutte le scienze sociali e,
nella sociologia della cultura, anche se gli autori hanno abbandonato il tentativo di
giungere a modelli universali, hanno continuato ad esaminare diversi tratti culturali in
termini strutturalisti.

Così, l'evoluzione sociale non viene spiegata chiamando in causa la volontà degli
uomini e le loro intenzioni, bensì mediante la logica e la capacità di evoluzione insita
nel sistema, che rappresentano proprietà oggettive delle strutture, non dipendono
dagli individui e rimangono loro fondamentalmente inconsapevoli.
Levi-Strauss si concentra sull’analisi della cultura considerata in se stessa, come si
esprime nell’arte, nel rituale, nelle regole della parentela. Questa è come la
rappresentazione di superficie di una struttura profonda della mente umana.

                L’IDEOLOGIA COME SISTEMA CULTURALE
Che cos’è l’Ideologia
L’Ideologia è un insieme di idee e valori politici, speso camuffati da teorie
scientifiche, ma che in realtà nascondono interessi e motivazioni diverse di un
movimento culturale.

L’identificazione di un fenomeno ideologico nasce principalmente dalla percezione
che, a partire dal XIX secolo, le religioni cristiane, nei paesi occidentali, entrano in
competizione con altre fonti di legittimazione che pretendono di fondare la vita
sociale e collettiva su sistemi di idee e di valori secolari.

Toynbee sottolinea come i sistemi di idee religiose entrano in competizione con altri
sistemi di idee, non religiose, come l’individualismo liberale, il comunismo, il
nazionalismo.
Egli coglie il punto centrale che la società industriale sconvolge le forme tradizionali
di legittimazione dell’ordine sociale, dando vita a visioni del mondo, ossia a credenze
e valori integrati in un sistema i cui elementi sono connessi gli uni agli altri.

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I criteri che consentono l’individuazione di un’ideologia sono:
   - sistema di idee e di pensieri relativa ad una visione del mondo con un alto
       grado di coerenza interna
   - prodotta da gruppi di intellettuali, ma si diffonde a livello delle masse che
       quindi legittimano l’efficacia di tali idee
   - ha la funzione di legittimare o giustificare i rapporti di potere esistenti o quelli
       che si intende imporre attraverso il cambiamento
   - richiami e prove di validità che si pretendono scientifiche, ma che spesso sono
       solo pseudo-scientifiche.

• Il concetto di potere e quello di ideologia sono sempre strettamente legati.
• Il potere indica la capacità da parte di un individuo o di un gruppo di far valere i
  propri desideri e interessi anche di fronte alla resistenza altrui.
• L’esercizio del potere comporta spesso l’uso della forza e della violenza, ma è
  anche accompagnato dallo sviluppo di dee che giustificano l’azione di chi lo
  detiene.
• Un potere diventa legittimo quando è capace di far accettare le proprie decisioni
  come ben fondate, e questo non sempre avviene perché possono sorgere reazioni
  contrarie di ostilità e di resistenza da pare dei dominati.
• L’ideologia è, un tipo possibile di giustificazione del potere su cui chi detiene il
  potere può cercare di fondare la propria legittimità.
• I rapporti di potere che l’ideologia può giustificare non sono solo legati alle classi
  sociali ma alle differenze di potere tra uomini e donne, tra diversi gruppi etnici e
  diversi stati-nazione.

Un’osservazione importante sulla specifica funzione di legittimazione svolta
dall’ideologia è stata fatta dal sociologo tedesco Niklas Luhmann (1970) che
consente di distinguerla dalla legittimazione in base a convinzioni e valori
tradizionali.
Egli la chiama legittimazione ponderata per sottolineare che l’ideologia stabilisce
una graduatoria tra i valori, delimitando così le conseguenze dell’azione, che
meritano di essere presi in considerazione, e neutralizzando tutte le altre
conseguenze.
Tale graduatoria costituisce una regola di priorità nei casi di conflitto fra valori.

In questo caso l’aspetto più importante dell’ideologia non è la sua coerenza interna,
ma la capacità di costituire una pragmatica di orientamento di fronte a divergenze
tra criteri di scelta contraddittori.

L’ideologia dunque, stabilendo un ordine di priorità, integra valori contraddittori,
attribuendo loro ambiti segmentati di validità (in chiesa si prega; al mercato si
mercanteggia), scarta alcune possibilità di azione riducendo la complessità del
processo decisionale.
Per questo motivo le ideologie non sono qualcosa di irrazionale e di emotivo ma
costituiscono la condizione dell’azione razionale e sono perciò una componente
essenziale della tecnica sociale moderna.
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Questa osservazione da sola basterebbe a rispondere alla tesi della fine delle
ideologie che, agli inizi degli anni Sessanta, sosteneva che la struttura dello stato del
benessere avrebbe risolto tutte le questioni sociali più importanti, sostituendo il ruolo
degli ideologi con quello degli esperti.

L’incertezza sui mezzi per realizzare fini collettivi, la contraddittorietà dei valori, la
necessità di giustificare e selezionare corsi di azione da parte di gruppi al potere o che
con questo configgono, rendono indispensabili le ideologie, anche se le forme in cui
si manifestano possono variare enormemente nei contenuti come nel grado di
coerenza.
Esempi opposti di legittimazione ideologica del potere sono stati il Comunismo, nella
sua forma leninista e stalinista, e il nazionalsocialismo della Germania hitleriana

A differenza del comunismo nell’U.R.S.S., il nazionalsocialismo hitleriano
presentava una notevole coerenza reciproca basata sulla centralità dell’idea etno-
razziale di Volk e sulla teoria, che si voleva scientificamente fondata, di un centro
nordico originario da cui sarebbero partite le tribù guerriere conquistatrici dell’Africa
del Nord, dell’antico Egitto ecc.. che, poi, avrebbero fecondato della loro forza
creatrice la Grecia omerica e Roma antica.

Su questa idea veniva fondata la superiorità razziale del popolo tedesco. All’idea di
una razza superiore si affiancava quella di una anti-razza, inferiore e maledetta, che
bisognava sottomettere e neutralizzare: la razza ebraica

Concezione e modi di operare dell’ideologia
Si possono individuare quattro concezioni principali dell’Ideologia:
   - Ideologia come difetto della ragione, come insieme delle idee distorte da
      cause sociali e manipolate a scopi di dominio (es. gli idola di Bacone)
   - Ideologia come falsa coscienza, pensiero che inverte o capovolge i rapporti
      sociali (accezione marxiana)
   - Ideologia come razionalizzazione, vernice logica che gli individui applicano a
      motivazioni sottostanti, senza averne coscienza (accezione presente in Pareto)
   - Ideologia come concezione del mondo di una determinata epoca (accezione
      presente in Mannheim)

Ideologia come difetto della ragione
L’identificazione del fenomeno dell’Ideologia, coniato per la prima volta alla fine del
XVIII secolo dal filosofo Antonine Destutt de Tracy con il significato di scienza
dell’origine delle idee, ha riguardato, successivamente, le forme distorte del pensiero
e le cause che producono questa distorsione.

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In questo senso il vero anticipatore della problematica ideologica è stato Francesco
Bacone che aveva elaborato una teoria degli “idola” con la quale intendeva
analizzare gli elementi che possono influire sul pensiero, distorcendolo e intralciando
il raggiungimento della vera conoscenza.

Con questa teoria egli apre la strada alla concezione a partire dal XVIII secolo
secondo cui il ≪pregiudizio≫ si fonda su un complesso di impulsi irrazionali,
condizionati dagli interessi di dominio di potenti gruppi sociali, tra cui in particolare
il clero, accusato di diffondere idee superstiziose.

In questa prospettiva il pregiudizio viene quindi considerato una consapevole
manipolazione dei ceti subordinati da parte dei potenti.
Il limite principale di questa impostazione risiede nell’idea semplicistica che
un’ideologia si possa imporre a un gran numero di persone attraverso l’inganno e la
menzogna consapevole.

Sappiamo, invece, che il miglior modo per convincere gli altri è credere in quello di
cui si vuol convincere. L’idea dell’impostura comporta anche l’idea altrettanto
ingenua che basti smascherare l’inganno perché i soggetti se ne liberino.

Vengono sottovalutate le reali condizioni sociali e di vita che contribuiscono a
rendere pregiudizi e idee errate credibili da parte delle persone. Dietro questo modo
di affrontare il pregiudizio (l’ideologia) c’è, l’ assoluta fiducia nella ragione umana e
credono nella possibilità di arrivare a una conoscenza autentica.

Ideologia come falsa coscienza
Il presupposto generale di Marx è il principio secondo cui è nel lavoro che avviene
la piena realizzazione dell’essere umano.
Marx non dedica un’opera sistematica allo studio dell’ideologia, tuttavia vi dedica
uno scritto intero - L’ideologia tedesca del 1845 - in cui critica duramente
l’impostazione hegeliana e dei seguaci di Hegel secondo cui la storia è il frutto del
cambiamento che riguarda le filosofie e i sistemi di idee.

Secondo Marx l’idealismo inverte e capovolge i rapporti reali. Le idee secondo Marx
non hanno una storia e uno sviluppo autonomo, ma sono la diretta emanazione dei
rapporti reali, cioè dei rapporti sociali prevalenti in un determinato momento storico.

Lo sviluppo della divisione del lavoro ha prodotto una disgiunzione tra lavoro
materiale e lavoro intellettuale. Nell’ambito del lavoro intellettuale che produce
appunto idee e concetti, questi si staccherebbero dalla realtà che è in un’ultima
istanza frutto dei rapporti materiali che rappresentano il vero motore della storia e del
cambiamento.
Marx inoltre descrive con cura l’operare dell’ideologia nel sistema capitalistico:
oggettivando e naturalizzando i rapporti tra le persone, li presenta come rapporti tra le
cose. Gli oggetti e in particolare le merci vengono presentati come se fossero dotati di
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qualità proprie, quando invece in realtà secondo Marx sono sempre il frutto della
produzione umana.
Il feticismo delle merci è quel processo attraverso cui gli individui della società
capitalista tendono a reificare le merci, considerandole dotate di qualità proprie e a
dimenticare che il valore delle merci dipende dal lavoro necessario per produrle.

Se l’ideologia costituisce dunque una forma di falsificazione della realtà dei rapporti
sociali, tanto che Marx parla di falsa coscienza, le rappresentazioni del mondo
prodotte dalla classe dominante sono ideologiche, cioè non vere, perché tendono a
produrre una distorsione della realtà e a giustificare le disuguaglianze come frutto
naturale delle cose.
Le classi dominate non hanno consapevolezza della falsità delle rappresentazioni
offerte dalla classe dominante, mentre quest’ultima approfitta del suo dominio
oggettivo per produrre una visione del mondo che giustifica i rapporti di forza.
L’ideologia borghese oscura la reale relazione tra le classi e contribuisce a
rappresentare gli interessi della casse borghese come interessi universali.

I due autori sostengono che la fondamentale illusione ideologica sia quella di ritenere
che le idee siano indipendenti dai rapporti sociali nei quali si producono o,
addirittura, che siano gli eventi spirituali a muovere la storia e a trasformare le
condizioni reali della vita, come sembrano credere le filosofie idealistiche della
storia.

La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è in primo luogo
direttamente intrecciata all’attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini,
linguaggio della vita reale.

Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono qui
ancora come emanazione diretta del loro comportamento materiale. Ciò vale allo
stesso modo per la produzione spirituale, quale essa si manifesta nel linguaggio della
politica delle leggi, della morale, della religione, della metafisica, ecc.. di un popolo.
Sono gli uomini i produttori delle loro rappresentazioni, idee, ecc., ma gli uomini
reali, operanti, così come sono condizionati da un determinato sviluppo delle loro
forze produttive e dalle relazioni che vi corrispondono fino alle loro formazioni più
estese. La coscienza non può mai essere qualche cosa di diverso dall’essere cosciente,
e l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita.

Ideologia come razionalizzazione
Vilfredo Pareto (1848-1923) considera l’uomo un animale ideologico. Il sociologo
ed economista italiano ritiene che gli esseri tendano a presentare i propri istinti e
impulsi, soprattutto quelli meno più inconfessabili, sottoforma di costrutti logici e
ragionevoli in modo da ottenere consenso e giustificazione.
La visione di Pareto è capace di definire le ideologie come forme di
razionalizzazioni a posteriori (ex-post). Da questo punto di vista il meccanismo è

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simile a quello del funzionamento dell’ideologia secondo Marx. Tuttavia, Pareto
situa la spiegazione a livello psichico e non sociale.

Le forme ideologiche (derivazioni) operano come razionalizzazioni a posteriori ,
sono cioè una “vernice logica” che gli individui applicano a motivazioni sottostanti
senza averne coscienza.
Il meccanismo e lo stesso della “falsa coscienza” marxiana, solo che le cause
determinanti la falsità non sono sociali, come in Marx, ma psichiche. Si tratta dunque
di pseudoragionamenti.
Il contributo più importante di Pareto va però ricercato nell’aver distinto tre livelli
indipendenti di analisi. Le ideologie possono essere analizzate sotto l’aspetto:
    1. oggettivo: in base al nesso (logico o non logico) con cui i dati vengono
       collegati
    2. soggettivo: in base alla loro forza persuasiva
    3. utilità sociale: malgrado Pareto, come Marx, ritenga che le ideologie
       mascherino interessi diversi da quelli che postulano, suggerisce di prendere in
       considerazione il livello di utilità sociale, in quanto possono esservi ideologie
       che mostrano di avere elevati livelli di persuasione e quindi anche una certa
       utilità sociale..

Ideologia come concezione del mondo, di un’epoca
Karl Manheim rientra nella tradizione sociologica tedesca. Infatti, è un sociologo
molto attento a collocare lo studio della società nell’ambito delle dinamiche storiche,
convinto dell’importanza di cogliere lo spirito di un tempo, di un epoca per potere
interpretare le caratteristiche specifiche di una data società.
Nel 1929, proprio in periodo particolare per lo sviluppo e la presa delle ideologie di
massa e in particolare dell’idea e dell’utopia della nazione, Manheim pubblica
“Ideologia e utopia”.

La proposta di Manheim è quella di considerare e studiare le ideologie non dal punto
di vista del rapporto che avrebbero con la realtà e le sue distorsioni, manipolazioni e
falsità, ma da un punto di vista di concezioni totali: si tratta di analizzare la struttura
mentale, gli stili di pensiero, il modo di pensare, rappresentare e interpretare la realtà
- da cui deriva anche il modo di agire su di essa ed entro essa - relativamente ad
un’intera epoca storica o gruppo sociale.

L’ideologia assomiglia così ad una complessiva concezione del mondo un ampio
insieme di tratti che corrispondono alla quasi totalità di una cultura.
Assai nota è in particolare, la sua distinzione tra "ideologia particolare" e "ideologia
generale" .
L’ideologia particolare si riferisce alle idee e alle credenze di un singolo individuo.
In questo caso, quando parliamo di ideologia intendiamo sottolineare soprattutto la
natura menzognera e fuorviante di certe concezioni soggettive, nonché le
deformazioni che una certa persona produce della realtà effettiva. Le idee di tale
persona " sono allora considerate come delle contraffazioni più o meno deliberate di
                                            11
una situazione reale […]. Queste deformazioni si manifestano sotto forma di
menzogne consapevoli o semicoscienti, di inganni calcolati verso gli altri, o di
autoillusioni ". L'analisi di tali idee implica il coglimento di certe falsità
essenzialmente nella sfera psicologica, interiore, talvolta perfino inconscia. Coloro
che si arrestano a tale livello compiono però un errore: un errore, spiega Mannheim,
connesso alla mancata percezione che la produzione delle idee non è mai un fatto
esclusivamente individuale: c'è sempre una componente o matrice sociale.

Il concetto di "ideologia generale" allude appunto a questa nuova e più ampia
dimensione. Essa si configura come l'insieme delle idee e delle credenze elaborate
non da un singolo individuo ma da un intero gruppo (o ceto, o classe), e/o una
determinata era. E' così che si usa (non a torto) parlare di un'ideologia dei proprietari
terrieri, o della borghesia, o dell'illuminismo.
Anche se l'esame dell' "ideologia particolare" non è privo di una sua specificità, è
chiaro che Mannheim privilegia quello della "ideologia generale": lo studio in grado
di pervenire alle radici più profonde e rilevanti di determinate idee e credenze è
quello che ne coglie le scaturigini sociali e storiche.

Si inserisce idealmente qui la caratterizzazione di vari altri concetti, a cominciare da
quello di " falsa coscienza ": un'espressione destinata a una grande fortuna in seno a
una certa sociologia novecentesca, "deformazione" della realtà (sia oggettiva che
soggettiva) prodotto da un determinato insieme di condizioni e di interessi sociali
introiettato nella mentalità individuale o collettiva.

             IL SENSO COMUNE COME SISTEMA CULTURALE
Che cos’è il senso comune e teorie di ispirazione neodurkheimiana
Il senso comune è un sapere implicito, cioè un’insieme di quadri di pensiero,
rappresentazioni, schemi di conoscenza e di percezione che le persone impiegano a
livello implicito.
È un sapere incorporato nelle pratiche che si succedono nella vita quotidiana così
come nella storia di una cultura.

Boudon (1989) ha recentemente parlato di vere e proprie disposizioni, forme di
conoscenza e di agire che a noi sembrano autoevidenti e scontate, ma che in realtà
sono il frutto di un consolidamento storico.

In parte il senso comune si basa anche su microrituali che l’etnometodologia
(Garfinkel) ha messo in rilievo. I rituali e la pratiche contribuiscono a sviluppare e
mantenere il senso comune.
Appartengono al senso comune non solo le categorie, le nozioni generali, ma anche la
modalità (stereotipi) attraverso cui ci rappresentiamo gli altri e percepiamo
l’ambiente sociale senza possedere le conoscenze dettagliate e precise.
Questi schemi, che riguardano credenze sugli attributi personali di interi gruppi
sociali (nazioni, razze, etnie ecc.), dipendono dall’esistenza di mantenere o di
raggiungere un’immagine positiva di se stessi e del proprio gruppo di appartenenza.
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E’ nelle pratiche sociali, nei momenti associativi, nelle istituzioni, nelle forme delle
relazioni sociali che si trovano i dispositivi materiali che sostengono e riproducono
questo tipo di sapere.

Il senso comune è stato affrontato dalla sociologia principalmente attraverso due
filoni interpretativi differenti: le teorie di ispirazione durkheimiana e la fusione tra
pragmatismo americano e fenomenologia.

Nell’ambito dell’impostazione basata sulle opere e sul pensiero di Durkheim, si
assegna una centralità esplicativa alle categorie fondamentali del pensiero e alle
forme classificatorie, intese come rappresentazioni collettive, cioè come prodotti del
vivere collettivo e sociale.
Esse dipenderebbero dal modo in cui il gruppo sociale è organizzato. Il fatto che
categorie del pensiero e forme di classificazione dipendono dalle rappresentazioni
collettive, fa sì che diventino vere e proprie istituzioni sociali, frutto dell’interazione
sociale e capaci di influire sul comportamento del singolo.
Durkheim sostiene la visione della natura collettiva delle categorie e delle forme di
classificazione in quanto critica sia l’empirismo (la mente umana e dunque la psiche
è al centro di un processo di immagazzinamento), sia il kantismo (tali categorie e
forme di classificazioni esistono a priori).

Durkheim e Mauss nei loro scritti giustificano l’idea che genere e specie, tempo e
spazio siano sistemi classificatori e categorie del pensiero che variano da società a
società in funzione del tipo di organizzazione sociale e del tipo di conformismo
logico in esse presenti.

Norbert Elias svilupperà ulteriormente l’importante concezione di Durkheim del
tempo come categoria sociale, cioè come una istituzione sociale che è diversa dal
tempo individuale. In particolare Elias traccia l’evoluzione storica che ha portato le
società occidentali industrializzate a giungere ad una dimensione scientifica, astratta e
razionale di tempo: il tempo esatto.

E’ Marcel Maus (1938) a delineare una delle prime e più importanti analisi della
genesi della categoria di persona considerata una categoria dello spirito umano,
ossia una categoria fondamentale come quella di spazio e di tempo.
Mausdistingue fra una struttura stabile che chiama “il senso dell’io”, ossia il senso
della propria individualità materiale e spirituale a un tempo, di cui nessun essere
umano sarebbe sprovvisto, e il “concetto che gli uomini nelle varie epoche se ne sono
fatti”, variabile dunque in funzione dei diversi contesti storici e sociali.

E’ su quest’ultimo che si sofferma delineandone l’evoluzione storica: dalla nozione di
personaggio presente presso le popolazioni tribali alla persona titolare di diritti e di
dover nell’antica Roma. Si arriva alla società moderna in cui la persona assume un
carattere sacro.

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Anche la categoria di ‘persona’ ha subito un particolare processo di cambiamento
nelle società occidentali. Soprattutto, così come le altre categorie fondamentali del
pensiero umano, mostra un’ampia variabilità nell’ambito delle diverse società e
culture osservate dalla sociologia e dall’antropologia di ispirazione durkheimiana.
Marcel Mauss, ad esempio, ha mostrato come nelle società tribali il concetto di
persona si esaurisca nei ruoli sociali svolti da quella persona.

Successivi studi comparativi realizzati sulla base dell’influenza della sociologia di
Durkheim e dell’antropologia di Mauss, non solo hanno confermato questa
impostazione, ma hanno anche allargato lo spettro delle variabilità, spingendo il
dibattito sulle forme di classificazione, sul linguaggio e sulle categorie verso
posizioni relativiste.

Verso posizioni relativiste, che negano l’universalità delle categorie del pensiero,
vanno studi fondamentali come quello del sinologo Marcel Granet (1934) il ha
spiegato che il pensiero cinese si basa sull’intuizione analogica e sulle relazioni di
similarità, disdegnando le forme analitiche del pensiero occidentale.
La lingua cinese non è organizzata allo scopo di registrare concetti, analizzare idee o
esporre dottrine, ma per scopi pratici.
I concetti astratti sono costruiti per analogia con i termini concreti: la parola “folla” è,
ad esempio, indicata da un termine che significa “tre uomini”.
Non vi è una parola che esprima la categoria generale di “vecchio”, ma un complesso
di parole che rappresentano diversi aspetti sociali concreti dell’età avanzata.
L’uso degli emblemi è realizzato in un’elaborata etichetta, per cui ogni situazione
sociale necessita di un particolare vocabolario e di una terminologia adeguata. Nel
pensiero cinese “il sistema dei simboli è uno strumento che permette la realizzazione
e la perpetuazione di un regno dell’ordine caratterizzato dall’etichetta”.

Sempre nell’ambito dell’influenza esercitata dalla sociologia di Durkheim, Maurice
Halbwachs (1925-1950) ha introdotto il concetto di memoria collettiva che è
qualcosa che le società costruiscono sull’insieme dei quadri di pensiero, delle
rappresentazioni dello spazio e del tempo, dei modi di classificare il mondo.

Anche e persino la memoria individuale dipende da quella collettiva, cioè da
categorie sociali pre-esistenti, da quadri che hanno un’origine sociale e che quindi
portano la memoria individuale a dipendere dall’appartenenza a un gruppo e al fatto
di condividere con altri la medesima esperienza. La memoria dunque opera non tanto
in base alla conservazione, ma grazie a processi di ricostruzione e selezione del
passato in funzione del presente. La memoria dunque è un insieme dinamico, la cui
coerenza è solo parziale e viene ricostruita di volta in volta.

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Senso comune: pragmatismo americano e fenomenologia
Durkheim non soltanto aveva considerato le categorie e le classificazioni come
rappresentazioni collettive, ma aveva anche legato tali rappresentazioni ai rituali
perché questi costituiscono un forte momento di associazione e interazione in cui
gli individui sperimentano sentimenti e stati emotivi comuni che servono anche a
rinsaldare la trasmissione dell’eredità sociale.
Anche il pragmatismo americano - Peirce, Dewey, Cooley, Mead - considera il
comportamento quotidiano come basato sulla ripetizione di soluzioni per problemi
comuni.
Sia l’approccio di Durkheim che quello del pragmatismo americano condividono la
simile avversione a considerare le azioni degli individui come sempre dettate dalla
logica della scelta razionale.
In sintesi, il pragmatismo americano riprende la matrice di Alfred Schütz secondo
cui al centro del comportamento c’è il senso comune che opera come un sistema di
significati e di definizioni della realtà che collocandosi ad un livello diverso dalle
ideologie, dal sapere scientifico o dalle dottrine filosofiche riguarda un livello pre-
teorico.

Afred Schutz e la sociologia della conoscenza
Alfred Schütz (1899–1959), filosofo e sociologo austriaco, è considerato come il
fondatore dell'idea di una sociologia fenomenologica. È influenzato dalla sociologia
di Max Weber, dalle tesi sulla scelta e sulla temporalità di Henri Bergson e,
soprattutto, dalla fenomenologia di Edmund Husserl. Dall’individualismo
metodologico weberiano Schütz mutua la preminenza data all’azione dell’individuo
e al significato dell’azione, ma a differenza di Weber, manca in Schütz ogni
ambizione a tracciare comparazioni fra lunghi archi spaziali o temporali,
cosicché l’analisi rimane sempre centrata sulle strutture dell’esperire individuale nel
mondo sociale e nella vita quotidiana.

A partire dall’opera di Schutz è possibile individuare 5 componenti importanti che
caratterizzano il concetto sociologico di senso comune.

1) Oggettività: le persone nella vita quotidiana tendono generalmente a percepire la
realtà come ordinata, oggettivata e dotata di senso. Il linguaggio costituisce
l’elemento in cui è maggiormente riscontrabile il senso di oggettivazione da parte del
singolo individuo che si ritrova vocaboli, regole grammaticali ed espressioni come
qualcosa di già definito e presente, pronto all’uso nella realtà quotidiana.

2) Intersoggettività e interscambiabilità: la realtà è condivisa sempre con gli altri.
Si ritiene che vi sia una corrispondenza tra i propri significati e quelli degli altri o
quanto meno che ci possa essere. Il linguaggio e la comunicazione servono, tra le
altre cose, proprio a favorire questo continuo confronto per mettere alla prova la
validità dei significati del senso comune.

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3) Auto-evidenza: il senso comune è quel sapere-agire, quelle disposizioni-
dispositivi che diamo per scontati come evidenti, per i quali non c’è bisogno di
interrogarsi. Nei loro confronti vi è una sospensione del dubbio.

4) Tipizzazioni: le relazioni sociali ordinarie sono modellate e percepite in base a
schemi di tipizzazione. Si tratta di scorciatoie interpretative di azione, pronte all’uso
che regolano la nostra azione. Gli schemi di tipizzazione consentono di prevedere il
comportamento degli altri e forniscono una base per valutare quale possa essere il
proprio comportamento più adatto alla situazione. Essi forniscono a loro volta schemi
di aspettative. Più ci si allontana da una situazione faccia a faccia, più gli schemi di
tipizzazione e gli schemi di aspettative tendono a farsi anonimi e astratti.

5) Fondo di conoscenza comune: esiste un fondo minimo di conoscenza comune
fatto di simboli, vocaboli, modelli di comportamento, tratti culturali, schemi che data
la loro ripetuta validità ed efficacia di fronte a situazioni ricorrenti, sono ormai dati
per scontati e in quanto tali fanno ormai parte del senso comune. La loro conoscenza
non è totalmente omogenea, ma è socialmente distribuita e relativamente coerente.

               LA RELIGIONE COME SISTEMA CULTURALE
Religione e religioni
Le concezioni del mondo si hanno quando credenze, valori, simboli sono integrati in
un sistema in cui i vari elementi sono connessi tra loro in modo abbastanza coerente.
Quando una concezione del mondo ha a che fare con la natura di esseri sovraumani e
con i loro rapporti con il mondo si parla di religione.

La religione consente agli individui di attribuire un significato alla propria esistenza
e alla morte, di offrire un senso morale alla vita in società. Ogni religione svolge
questi compiti in modi e misure diverse.
La diversa religiosità ha ricadute diverse in molteplici altri ambiti esperienza, tra cui
appunto, i processi sociali, persino quelli che hanno a che fare con la produzione, la
distribuzione e il consumo nel mondo economico.

La religione rappresenta un vero e proprio sistema culturale se:
   1) vi è la struttura di significati che sono espressi tramite dottrine e dogmi,
       precetti e divieti, in simboli.
   2) l’individuo e la realtà sono inseriti in un ordine cosmico e sacro
   3) esiste un carattere pubblico di tali tratti e la religione è acquisita attraverso
       processi sociali di apprendimento.

   1. Dottrine, precetti e simboli
      • Dottrine: sono delle proposizioni teoriche, elaborate in maniera esplicita,
        coma la dottrina cristiana dell’Onnipotenza di Dio. Nelle religioni rivelate
        sono spesso espresse come verità obbligatorie e indiscutibili.
      • Norme: danno delle indicazioni pratiche su come comportarsi nella vita;
        possono essere precetti che ordinano alcuni atti o astinenze di tipo rituale.
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• Simboli: rappresentano oggetti o eventi dell’universo religioso.

   2. Ordine cosmico sacro
      • La religione connette il microcosmo al macrocosmo, inserendo l’individuo e
        la realtà umana in un ordine universale.

   3. Carattere pubblico
      • Il sistema religioso di credenze è pubblicato in quanto non è rappresentato
        solo dalle immagini private e interiori del credente, ma anche da simboli
        esterni presenti nella cultura e acquisiti attraverso l’apprendimento di un
        complesso di idee e di valori cha ha origine nella storia di un gruppo sociale
        ed è trasmesso attraverso un processo di educazione da una generazione a
        quella successiva.

Robert Bellah (1964) descrive la transizione da forme più semplici a forme più
complesse di religione:
  1. Il tipo primitivo (es:aborigeni australiani) è basato sull’azione creatrice di
     demiurghi e figure mitiche ancestrali umane e non umane;
  2. Il tipo arcaico (popolazioni polinesiane e africane) è basato su essere mitici
     potenti, gli dei;
  3. Il tipo storico (proto ebraismo) stabilisce la separazione tra naturale e
     soprannaturale e afferma il concetto di libera volontà;
  4. Il tipo protomoderno (riforma protestante) stabilisce un rapporto diretto tra
     l’individuo e il soprannaturale e il concetto di fede;
  5. Il tipo moderno (religioni contemporanee) accentua la responsabilità e la
     ricerca di un codice etico particolare.

Max Weber ha distinto le religioni universali (induismo, buddismo, cristianesimo,
islamismo, ebraismo) e religioni locali. Inoltre, Weber propone altre due
classificazioni, in base all’immagine del mondo e in base al discorso sulla salvezza.
L’immagine teocentrica fa riferimento ad una concezione di un Dio personale
trascendentale, mentre l’immagine cosmocentrica ad un Dio impersonale e
immanente.

Weber parla di ascetismo quando l’uomo è considerato uno strumento del volere
divino, mentre le religioni che considerano l’essere umano come un vaso, un
contenitore pronto ad ospitare l’essenza divina, Weber parla di misticismo.
Nel primo caso, le tradizioni religiose tendono a prescrivere un’etica di
comportamento precisa, disegnata su una visione del mondo manichea (opposizione
tra il bene e il male).
Nel secondo caso, invece, le religioni tendono ad offrire i percorsi attraverso cui
tendere alla conoscenza delle cose e quindi a strutturare un sistema di carattere
cognitivo.

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Da queste differenze derivano due modi completamente diversi delle religioni
medio-orientali (cristianesimo, ebraismo e islam) e orientali (induismo, buddismo,
confucianesimo) di essere in rapporto con la cultura intesa in termini ampi.
Nel caso delle religioni medio-orientali, l’essere umano è peccatore e soprattutto la
vita terrena è improntata ad una personalità attiva, mentre nell’ideale orientale
l’atteggiamento di conoscenza e contemplazione produce una personalità più
distaccata rispetto all’ordine terreno delle cose.

A partire dal tipo di organizzazione di una religione è possibile distinguere tra chiesa
e setta.
Nel primo caso si tratta di una comunità stabilizzata di credenti, con una lunga
influenza sul sistema culturale di riferimento, tale che la semplice nascita all’interno
della comunità produce nella maggior parte dei casi un’automatica appartenenza alla
chiesa.
Al contrario la setta non si appartiene per nascita, ma seguito di una libera scelta e di
solito l’ostracismo della chiesa e di alcune norme sociali comporta un numero
limitato di fedeli. Inoltre, la setta può esprimere convinzioni e credenze che mettono
in discussione alcuni o molti valori della cultura dominante.

Genesi e funzioni della religione
La sociologia si è posta di fronte al fenomeno delle religioni o
      • in termini di cause che hanno portato alla nascita e allo sviluppo di
         determinate religioni adottando un approccio storico-sociale
      • in termini di funzioni che la religione esplica in termini sociali e culturali.

Ad esempio, l’approccio di Durkheim rientra nel caso delle funzioni che la religione
ha nei confronti della società: attraverso i rituali religiosi, la società esprime un
cambiamento emotivo nelle pratiche quotidiane e attraverso il simbolismo religioso
essa non fa altro che sancire il senso di appartenenza collettiva rinforzando i legami
che uniscono l’individuo alla società. Per il sociologo francese la religione è un
sistema di comunicazione di idee, sentimenti e norme regolative del sistema sociale.

Malinowski, il famoso antropologo che ha dato sviluppo al funzionalismo nello
studio della cultura, sottolinea come la religione e la magia rivestano nelle piccole
società la funzione di risolvere situazioni di forte tensione emotiva, fornendo
rassicurazioni di fronte al rischio del panico, dell’ansia e del disorientamento.

Robert Merton, un sociologo americano che introduce nelle teorie funzionaliste di
Parsons il tema del cambiamento e della devianza, adotta l’importante distinzione tra
funzione latente e funzione manifesta, scegliendo proprio il campo della religione
per sviluppare tale distinzione. Come Durkheim e Parsons, anche Merton è
interessato alla verifica del livello di integrazione delle strutture culturali e
sociali.
   • Per quale motivo le società persistono?
   • Quali sono le funzioni che facilitano l'adattamento di un dato sistema sociale?
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Le conseguenze delle azioni di parti della società possono avere anche una direzione
diversa o accessoria da quella voluta: molte strutture parziali del sistema sociale
hanno conseguenze dirette su altre strutture parziali, su altri sottosistemi. Esistono
cioè funzioni (o disfunzioni) indirette, oltre che dirette.

Ma esistono anche funzioni (e disfunzioni) manifeste e funzioni latenti: le prime
sono quelle volute, riconosciute e esplicitate, le seconde sono le funzioni non
riconosciute né volute.
Le pratiche religiose possono avere funzioni manifeste - ad esempio, un tipo di
preghiera collettiva può essere volutamente tesa a scongiurare un cattivo raccolto - e
funzioni latenti - ad esempio, quello stesso tipo di preghiera può avere la funzione di
dare fiducia al gruppo di praticanti rispetto a diversi altri pericoli sociali.

Secondo Niklas Luhmann, uno dei maggiori esponenti della sociologia tedesca del
XX secolo, la religione è un sotto-sistema sociale, di carattere simbolico che ha la
funzione di offrire una visione del mondo sintetica e ridurre così la complessità
sociale e quindi anche elementi a prima vista inspiegabili.
Luhmann applicò alla società la teoria dei sistemi sociali, distinta dalla teoria dei
sistemi sociali di Talcott Parsons. Luhmann parte dalla premessa, che gli elementi
primari ed unici di un qualsiasi sistema sociale non siano gli agenti principali, ovvero
gli uomini, ma gli effetti della comunicazione, ovvero comunicazioni che producono
altra comunicazione. Senza comunicazione non esiste nessuna forma di sistema
sociale, anzi la chiusura operativa del sistema sociale è operata proprio sul concetto
di comunicazione.
Si può facilmente notare come le diverse teorie che spiegano il ruolo della religione
rispetto ai sistemi sociali e culturali utilizzando il paradigma della funzione peccano
del limite di trascurare gli aspetti conflittuali e di protesta che a volte sono insiti nella
storia della genesi e dell’affermazione dei movimenti religiosi.

Chi ha invece saputo offrire un’interpretazione sociologica attenta a questi aspetti è
Max Weber. Egli ha offerto una lettura delle religioni tesa anche a sottolineare il
carattere rivoluzionario delle culture sacre soprattutto nel momento in cui ancora
non appaiono sotto forma di chiese stabilite e istituzionalizzate. Spesso, tuttavia,
come sottolinea Weber, le religioni universali tendono anche a giustificare le
disuguaglianze sociali nella vita terrena. In sintesi se da un lato la storia di una
religione può presentare agli inizi un carattere di anti-tradizionalismo culturale,
dall’altro l’assetto istituzionalizzato di una religione tende a mantenere inalterato il
sistema strutturale di una società.
Weber ha rilevato e analizzato a fondo una funzione sociale delle religioni
universali; quella di giustificare razionalmente la diversa distribuzione dei beni tra gli
uomini e, in definitiva, certi assetti della stratificazione sociale.
Il problema di fondo a cui la religione cerca di dare una risposta è quello
dell’incongruenza tra il destino e il merito.

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Tra le spiegazioni causaliste della religione vi è soprattutto la visione materialista di
Marx.
Secondo Marx, le religioni si sviluppano come false visioni della realtà attraverso
cui la struttura delle disuguaglianze materiali tra le classi sociali viene
riprodotta. Si tratta di sovrastrutture - cioè di idee, credenze, visioni che non
hanno a che fare con la realtà strutturale dei rapporti sociali - nate dall’esigenza di
spostare le possibilità di cambiamento fuori dall’ordine reale delle cose.
Questa tesi è coerente al processo intellettuale dello sviluppo del razionalismo nelle
società moderne: se nelle società tradizionali o in quelle piccole la religione
rappresenta il sistema culturale per eccellenza - nel senso che la religione
corrisponde alla concezione del mondo valida per l’intera comunità - in quelle
moderne, industriali, urbanizzate e basate sulla scienza come sistema di conoscenza e
concezione del mondo, la religione perde la predominanza culturale e si ritrova
circoscritta ad ambiti ristretti della vita sociale.

Da questo punto di vista, la ricostruzione storica e sociologica di questo processo di
perdita del dominio culturale è stata compiuta soprattutto da Max Weber e in parte
da Durkheim. Quest’ultimo aveva rilevato soprattutto la progressiva
autonomizzazione della religione rispetto ad altre sfere sociali, cioè rispetto
all’economia, alla politica, alla vita quotidiana. Tale autonomizzazione produce
anche conflitto tra la sfera religiosa e le altre sfere sociali e il conflitto a sua volta
produce autonomizzazione.

La religione nella società moderna
Nei paesi occidentali l’inurbamento e la crescente differenziazione della società
hanno mutato la presenza stessa della religione nella vita quotidiana.
L’esito più rilevante della modernizzazione è stato quello di sottrarre alla religione
la predominanza che aveva nelle epoche storiche passate, limitandone la sfera di
influenza a un ambito circoscritto e specializzato.
Infatti a poco a poco, le funzioni politiche, economiche, scientifiche si sono rese
indipendenti dalla funzione religiosa.
Si e verificato un processo occidentale di razionalizzazione (ogni cosa può essere
dominata con la ragione).

Anche Weber si riferisce a profondi cambiamenti nel rapporto tra religione e società
nella sua analisi del processo occidentale di razionalizzazione, inteso come
progressivo affermarsi dell’idea che ogni cosa può essere dominata con la ragione.

Lo sviluppo socioculturale dell’Occidente gli appare segnato dal “disincantamento
del mondo” che ha una duplice dimensione:
   1. Innanzitutto viene rilevata la progressiva autonomizzazione della religione
      rispetto ad altre sfere (l’economica, la politica); la religione, così resa
      autonoma, entra inoltre in competizione, a volte in conflitto, con altri aspetti
      della cultura della società.

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